*da: Lenin, Opere
Complete, vol. 33, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 385-397.
Relazione al IV congresso dell'Internazionale comunista, 13 novembre 1922. Pravda n. 258, 15 novembre 1922.
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Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale
Compagni! Sono
iscritto nell'elenco degli oratori come relatore principale, ma voi
comprenderete che dopo la mia lunga malattia non posso fare un grande
rapporto. Non posso che limitarmi a un'introduzióne alle questioni
più importanti. Il mio tema sarà molto limitato. Il tema: Cinque
anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale
è troppo vasto e grandioso perché, in generale, un solo oratore, in
un solo discorso, possa esaurirlo. Perciò mi limiterò a trattare
soltanto una piccola parte di questo tema, cioè la questione della
«nuova politica economica». Scelgo di proposito soltanto questa
piccola parte del tema per informarvi su di un problema che oggi ha
la massima importanza, almeno per me che ci lavoro attorno in questo
momento.
Vi dirò perciò
come abbiamo dato inizio alla nuova politica economica e quali
risultati abbiamo ottenuto per mezzo di questa politica. Se mi limito
a questo problema, riuscirò forse a farne un esame generale e a
darne un'idea generale.
Per incominciare dal
modo come siamo giunti alla nuova politica economica, devo
richiamarmi a un articolo che io scrissi nel 1918 (101). Al princìpio
del 1918, in una breve polemica, sfiorai, per l'appunto, la questione
dell'atteggiamento che dovevamo assumere verso il capitalismo di
Stato. Scrivevo allora:
«II capitalismo di
Stato rappresenterebbe un passo avanti rispetto allo stato attuale
delle cose (cioè, relativamente alla situazione di allora) nella
nostra Repubblica sovietica. Se, per esempio, tra sei mesi si
instaurasse da noi il capitalismo di Stato, ciò sarebbe un enorme
successo e rappresenterebbe la più sicura garanzia che tra un anno
il socialismo sarebbe da noi definitivamente consolidato e reso
invincibile».
Dicevo questo,
s'intende, in un periodo nel quale eravamo più inesperti di adesso,
ma non tanto inesperti da non poter esaminare simili questioni.
Cosicché, nel 1918,
sostenevo l'opinione che, relativamente alla situazione economica
allora esistente nella Repubblica sovietica, il capitalismo di Stato
rappresentava un passo avanti. Ciò sembra molto strano, e forse
perfino assurdo, poiché anche allora la nostra repubblica era già
una repubblica socialista, poiché allora noi prendevamo ogni giorno
con grande fretta - probabilmente con fretta esagerata - diverse
nuove misure economiche che non possono essere chiamate altrimenti
che socialiste. E ciò nondimeno io presumevo allora che il
capitalismo di Stato, rispetto alla situazione economica allora
esistente nella Repubblica sovietica, fosse un passo avanti, e
spiegavo poi questa idea elencando semplicemente gli elementi
fondamentali della struttura economica della Russia. Secondo me,
questi elementi erano i seguenti: «1. la forma patriarcale, ossia la
più primitiva dell'economia agricola; 2. la piccola produzione
mercantile (questa forma comprende anche la maggioranza dei contadini
che vendono il grano); 3. il capitalismo privato; 4. il capitalismo
di Stato; e 5. il socialismo». Tutti questi elementi economici erano
rappresentati nella Russia di quel tempo. Mi proposi allora di
mettere in chiaro quali rapporti reciproci esistessero tra questi
elementi e se non si dovesse attribuire a uno degli elementi non
socialisti, cioè al capitalismo di Stato, un valore più alto del
socialismo. Ripeto: sembra a tutti molto strano che un elemento non
socialista sia stimato a un livello più alto, sia ritenuto più
elevato del socialismo in una repubblica che si proclama socialista.
Ma la cosa sarà chiara se ricorderete che non consideravamo la
struttura economica della Russia come un qualche cosa di omogeneo e
di altamente sviluppato, e che eravamo pienamente consci di avere in
Russia un'agricoltura patriarcale, vale a dire la forma più
primitiva di agricoltura, accanto alla forma socialista. Quale
funzione, dunque, avrebbe potuto esercitare il capitalismo di Stato
in una tale situazione?
Io mi domandavo
inoltre: quale di questi elementi predomina? È chiaro che in un
ambiente piccolo-borghese domina l'elemento piccolo-borghese. Io mi
rendevo conto, allora, che l'elemento piccolo-borghese predominava;
non era possibile pensare altrimenti. Il problema che mi prospettavo
allora - si trattava di una polemica speciale che non riguardava la
questione attuale - era il seguente: qual'è il nostro atteggiamente
verso il capitalismo di Stato? E rispondevo: il capitalismo di Stato,
pur non essendo una forma socialista, sarebbe per noi e per la Russia
una forma preferibile a quella attuale. Che cosa vuoi dire questo?
Vuol dire che non sopravvalutavamo né i germi né gli inizi
dell'economia socialista, quantunque avessimo già compiuto la
rivoluzione sociale; al contrario, già allora, comprendevamo, fino a
un certo punto, che sarebbe stato meglio se dapprima fossimo
pervenuti al capitalismo di Stato e soltanto dopo al socialismo.
Devo particolarmente
sottolineare questo punto perché mi pare che soltanto partendo da
esso sia possibile, in primo luogo, spiegare in che cosa consiste la
politica economica attuale e, in secondo luogo, trarre delle
importanti conclusioni pratiche anche per l'Internazionale Comunista.
Non voglio dire che noi avessimo già un piano di ritirata preparato
in precedenza. No, non l'avevamo. Quelle brevi righe polemiche non
erano affatto, allora, un piano di ritirata. Non vi si trova neppure
una parola, per esempio, su un punto molto importante: la libertà di
commercio, che ha un'importanza fondamentale per il capitalismo di
Stato. Nondimeno un'idea generica, indeterminata di ritirata era già
contenuta in quelle righe. Penso che noi dobbiamo considerare con
attenzione queste cose, non soltanto dal punto di vista di un paese
che, per la sua struttura economica, era ed è tuttora molto
arretrato, ma anche dal punto di vista dell'Internazionale comunista
e dei paesi progrediti dell'Europa occidentale. Noi, per esempio, ci
occupiamo ora di elaborare un programma. Personalmente io penso che
la miglior cosa sarebbe di limitarci, per il momento, a esaminare i
programmi soltanto in generale, per così dire in prima lettura, e a
farli stampare, ma senza prendere una decisione definitiva ora,
nell'anno corrente. Perché? Perché innanzi tutto penso che
difficilmente siano stati studiati tutti come si deve, questo è
evidente. E poi anche perché non abbiamo quasi affatto riflettuto
sulla possibilità di una ritirata e sul modo di assicurare questa
ritirata. E questo è un problema al quale dobbiamo assolutamente
rivolgere la nostra attenzione in un periodo di cambiamenti tanto
radicali in tutto il mondo, come l'abolizione del capitalismo e
l'edificazione del socialismo con le sue enormi difficoltà. Dobbiamo
non soltanto sapere come agire quando passiamo direttamente
all'offensiva e quando vinciamo. In un periodo rivoluzionario, ciò
non è poi tanto difficile e neanche tanto importante, o, per lo
meno, non è la cosa più decisiva. In un periodo di rivoluzione vi
sono sempre dei momenti nei quali l'avversario perde la testa, e se
noi l'attacchiamo in uno dì questi momenti, possiamo vincere con
facilità. Ma ciò non significa ancora nulla, perché il nostro
avversario, se ha un sufficiente dominio di sé, può in precedenza
raccogliere le forze, ecc. E allora può facilmente provocarci ad
attaccare, e poi respingerci indietro di molti anni. Per questa
ragione ritengo che l'idea di prepararci la possibilità di una
ritirata abbia una grande importanza, e non solo da un punto di vista
teorico. Anche da un punto di vista pratico, tutti i partiti che nel
prossimo avvenire si prepareranno a passare all'offensiva diretta
contro il capitalismo, devono pensare fin d'ora anche al modo di
assicurarsi una ritirata. Penso che se teniamo conto di questa
lezione, oltre che di tutte le altre tratte dall'esperienza della
nostra rivoluzione, non soltanto non ne avremo alcun danno, ma, con
molta probabilità, ne trarremo in molti casi un vantaggio.
Dopo aver
sottolineato che fin dal 1918 consideravamo il capitalismo di Stato
come una possibile linea di ritirata, passo ai risultati della nostra
nuova politica economica. Ripeto: questa idea era allora molto vaga;
ma nel 1921, dopo aver superato, e superato vittoriosamente, la tappa
più importante della guerra civile, ci siamo urtati in una grande
crisi politica interna, che io considero la più grande della Russia
sovietica, la quale ha suscitato il malcontento non soltanto di una
parte notevole dei contadini, ma anche degli operai. Per la prima e,
spero, per l'ultima volta nella storia della Russia sovietica, le
grandi masse dei contadini - sia pure non coscientemente, ma
istintivamente - per il loro stato d'animo erano contro di noi. A che
cosa era dovuta questa situazione originale e, s'intende, molto
sgradevole per noi? La causa era che noi, nella nostra offensiva
economica, ci eravamo spinti troppo oltre, non ci eravamo assicurata
una base sufficiente. Le masse avevano sentito ciò che noi, in quel
momento, non sapevamo ancora formulare coscientemente, ma che ben
presto, dopo qualche settimana, riconoscemmo anche noi, e cioè che
il passaggio diretto alle forme puramente socialiste, alla
ripartizione puramente socialista era superiore alle nostre forze e
che se non ci fossimo dimostrati in grado di eseguire una ritirata in
modo da limitarci a compiti più facili, saremmo stati minacciati
dalla rovina. La crisi incominciò, mi pare, nel febbraio 1921. Fin
dalla primavera dello stesso anno decidemmo all'unanimità - non ho
rilevato grandi disaccordi in proposito tra noi - di passare alla
nuova politica economica. Oggi, dopo un anno e mezzo, alla fine del
1922, siamo già in grado di fare alcuni confronti. Che cosa è
avvenuto? Come abbiamo passato questo periodo di più di un anno e
mezzo? Qual'è il risultato ottenuto? Ci è stata utile questa
ritirata e ci ha davvero salvati? O il risultato è ancora incerto?
Questa è la questione principale che io mi pongo, e penso che essa
abbia un'importanza di prim'ordine anche per tutti i partiti
comunisti, perché, se la risposta fosse negativa, noi tutti saremmo
condannati alla rovina. Ritengo che possiamo dare con tranquilla
coscienza una risposta affermativa a tale questione; cioè possiamo
dire che l'anno e mezzo trascorso ha dimostrato in modo positivo e
assoluto che siamo usciti vittoriosi da questa prova.
Tenterò ora di
dimostrare quest'affermazione. A tal fine devo passare brevemente in
rassegna tutte le parti costitutive della nostra economia.
Prima di tutto mi
soffermerò sul nostro sistema finanziario e sul famoso rublo russo.
Penso che il rublo può essere considerato famoso, anche per il solo
fatto che il numero di questi rubli sorpassa ora il quadrilione. È
già qualche cosa. È una cifra astronomica. Sono sicuro che non
tutti, qui, sanno neppure che cosa significhi questa cifra. Ma noi,
soprattutto dal punto di vista della scienza economica, non le
attribuiamo un'importanza eccessiva perché gli zeri si possono
cancellare. In quest'arte, che dal punto di vista economico è
anch'essa senza importanza, abbiamo già ottenuto qualche cosa e sono
certo che, nell'avvenire, otterremo ancora molto di più. Ciò che
veramente è importante, è il problema della stabilizzazione del
rublo. Alla soluzione di questo problema lavoriamo noi, lavorano le
nostre forze migliori. Noi attribuiamo a questo compito un'importanza
decisiva. Se riusciamo, per un lungo periodo, e in seguito per
sempre, a stabilizzare il rublo, vorrà dire che abbiamo vinto.
Allora tutte queste cifre astronomiche, tutti questi trilioni e
questi quadrilioni non saranno nulla. Allora noi potremo impiantare e
continuare a sviluppare la nostra economia su un terreno solido. A
questo proposito penso di potervi citare dei fatti abbastanza
importanti e decisivi. Nel 1921, il periodo di stabilità del corso
del rublo carta è durato meno di tre mesi. Nell'anno corrente, 1922,
quantunque non sia ancora finito, questo periodo è durato più di
cinque mesi. Ritengo che ciò sia già sufficiente. Certo, non basta,
se volete da noi la dimostrazione scientifica che nell'avvenire
risolveremo completamente questo problema. Ma, secondo me, una
dimostrazione esauriente e completa non è generalmente possibile. I
dati riferiti dimostrano che dall'anno scorso, da quando abbiamo
iniziato la nostra nuova politica economica, sino a oggi, abbiamo già
imparato ad avanzare. Se abbiamo imparato questo, sono certo che
impareremo anche nell'avvenire a ottenere su questa via nuovi
successi, purché non commettiamo qualche sciocchezza madornale. Il
più importante, tuttavia, è il commercio, cioè lo scambio delle
merci, che ci è indispensabile. E se siamo riusciti a venirne a capo
durante due anni, benché fossimo in stato di guerra (giacché
Vladivostok, come sapete, è stata ripresa soltanto alcune settimane
fa), benché soltanto adesso possiamo incominciare a svolgere la
nostra attività economica in modo del tutto sistematico, se malgrado
tutto abbiamo ottenuto che il periodo di stabilizzazione del rublo
carta passi da tre a cinque mesi, penso di poter affermare che
possiamo esserne soddisfatti. Siamo soli. Non abbiamo ricevuto e non
riceviamo nessun prestito. Nessuno dei potenti Stati capitalistici
che organizzano la loro economia capitalistica in modo cosi
«brillante» da non sapere neppure adesso dove vanno, ci ha aiutato.
Essi hanno creato, con la pace di Versailles, un sistema finanziario
nel quale non si raccapezzano neppure loro. Se questi grandi paesi
capitalistici amministrano a questo modo, ritengo che noi, arretrati
e non istruiti, possiamo essere soddisfatti di aver compreso
l'essenziale, di aver compreso le condizioni della stabilizzazione
del rublo, come dimostra non una qualche analisi teorica, ma la
pratica; e la pratica, secondo me, è più importante di tutte le
discussioni teoriche del mondo. E la pratica dice che in questo campo
abbiamo ottenuto dei risultati decisivi, cioè che abbiamo
incominciato a spostare l'economia nella direzione della
stabilizzazione del rublo, il che ha la massima importanza per il
commercio, per il libero scambio delle merci, per i contadini e per
una massa grandissima di piccoli produttori.
Passo ora ai nostri
fini sociali. L'essenziale - s'intende - sono i contadini. Nel 1921
c'era incontestabilmente il malcontento di una grandissima parte dei
contadini. Poi abbiamo avuto la carestia. E questa per i contadini è
stata la prova più dura. È ben naturale che allora tutti all'estero
gridassero: «Eccoli, i risultati dell'economia socialista!». Ed è
del tutto naturale che essi tacessero che la carestia, in realtà,
era un orribile risultato della guerra civile. Tutti i proprietari
fondiari e tutti i capitalisti, che nel 1918 avevano sferrato
l'offensiva contro di noi, presentavano la carestia come un risultato
dell'economia socialista.
La carestia è stata
effettivamente una grande e grave disgrazia, una disgrazia che ha
minacciato di distruggere tutto il nostro lavoro organizzativo e
rivoluzionario.
Adesso io chiedo:
dopo questa calamità inaudita e improvvisa, come stanno le cose,
oggi, dopo che abbiamo introdotto la nuova politica economica, dopo
che abbiamo concesso ai contadini la libertà di commercio? La
risposta è chiara ed evidente per tutti: in un anno, i contadini non
soltanto hanno avuto ragione della carestia, ma hanno anche versato
l'imposta in natura in misura tale che abbiamo già ricevuto
centinaia di milioni di pud di grano, e, inoltre, quasi senza
applicare misure costrittive di qualsiasi specie. Le insurrezioni
contadine che in passato, fino al 1921, caratterizzavano, per così
dire, il quadro generale della Russia, sono quasi scomparse. I
contadini sono soddisfatti della loro situazione attuale; possiamo
dirlo tranquillamente. Per noi queste prove sono più importanti di
qualsiasi dimostrazione statistica. I contadini, nel nostro paese,
sono il fattore decisivo; nessuno lo mette in dubbio. E questi
contadini, oggi, si trovano in condizioni tali che non dobbiamo
temere un qualsiasi loro movimento contro di noi. Lo diciamo con
piena coscienza, senza esagerazioni. Questo l'abbiamo già ottenuto.
I contadini possono essere malcontenti di questo o di quell'aspetto
del lavoro del nostro potere; essi possono lagnarsi. S'intende che
ciò è possibile e inevitabile perché il nostro apparato e la
nostra economia statale sono ancora troppo imperfetti per evitarlo;
ma un serio malcontento di tutti i contadini contro di noi, è, in
ogni caso, assolutamente escluso. Abbiamo ottenuto questo in un anno.
E mi pare che sia già molto.
Passo ora
all'industria leggera. Nell'industria dobbiamo appunto distinguere
l'industria pesante da quella leggera, perché esse si trovano in
condizioni diverse. Per quanto riguarda l'indùstria leggera, posso
dire con tutta tranquillità che si nota una ripresa generale. Non mi
dilungherò in particolari. Non rientra nel mio compito citare dei
dati statistici. Ma questa impressione generale è basata sui fatti,
e posso garantire che essa non è fondata su nulla di non giusto o di
impreciso. Possiamo costatare una ripresa generale dell'industria
leggera e, in relazione a questa ripresa, un certo miglioramento
della situazione degli operai, sia di Pietrogrado che di Mosca. In
altre regioni ciò avviene in proporzioni minori, perché vi
predomina l'industria pesante. Non bisogna dunque generalizzare
questo fatto. Ripeto tuttavia che l'industria leggera si trova
incontestabilmente sulla via della ripresa e che il miglioramento
della situazione degli operai di Pietrogrado e di Mosca è fuori di
ogni dubbio. Fra gli operai di queste due città nella primavera del
1921 regnava il malcontento. Oggi questo malcontento non c'è più.
Noi che seguiamo giorno per giorno la situazione e lo stato d'animo
degli operai, non sbagliamo su questo argomento.
La terza questione
concerne l'industria pesante. Debbo dire che in questo campo la
situazione continua a essere difficile. Nel 1921 è incominciata una
certa svolta in questa situazione. Possiamo dunque sperare che in un
prossimo avvenire le cose miglioreranno. Abbiamo già raccolto in
parte i mezzi necessari per questo. In un paese capitalistico, per
migliorare le condizioni dell'industria pesante occorrerebbe un
prestito di centinaia di milioni, senza i quali un miglioramento
sarebbe impossibile. La storia economica dei paesi capitalistici
dimostra che nei paesi arretrati l'unico mezzo per risollevare
l'industria pesante erano i prestiti a lunga scadenza di centinaia di
milioni di dollari o rubli oro. Noi non abbiamo avuto questi prestiti
e finora non abbiamo ricevuto nulla. Ciò che si scrive oggi sulle
concessioni e cose simili non esiste quasi altro che sulla carta. In
questi ultimi tempi abbiamo scritto molto su questo argomento,
specialmente sulla concessione Urquhart. La nostra politica delle
concessioni mi sembra, ad ogni modo, molto buona. Tuttavia non
abbiamo ancora concessioni passabili. Vi prego di non dimenticarlo.
Perciò la situazione dell'industria pesante è effettivamente un
problema molto difficile nel nostro paese arretrato, giacché non
abbiamo potuto contare sulla possibilità di contrarre dei prestiti
nei paesi ricchi. Ciò nonostante, costatiamo già un notevole
miglioramento e vediamo inoltre che la nostra attività commerciale
ci ha già fruttato un certo capitale; per ora molto modesto, è
vero, poiché supera di poco i venti milioni di rubli oro. In ogni
caso le fondamenta sono poste: il nostro commercio ci da dei mezzi
che possiamo utilizzare per migliorare le condizioni dell'industria
pesante. Comunque, nel momento presente, la nostra industria pesante
è ancora in una situazione molto difficile. Ma io penso che siamo
già in grado di economizzare qualche cosa. E questo lo faremo anche
nell'avvenire. Quantunque le economie si facciano sovente a spese
della popolazione, noi oggi dobbiamo economizzare. Stiamo lavorando
per ridurre il nostro bilancio statale, il nostro apparato statale.
Dirò poi ancora alcune parole a questo proposito. In ogni caso,
dobbiamo ridurre il nostro apparato statale, dobbiamo economizzare
quanto più è possibile. Economizziamo su tutto, perfino sulle
scuole. E non può essere diversamente, perché sappiamo che se non
si salverà, se non si riorganizzerà l'industria pesante, non
potremo costruire nessuna industria: e senza l'industria, noi, come
paese indipendente, moriremo. Questo lo sappiamo molto bene.
La salvezza della
Russia non consiste soltanto in un buon raccolto nelle aziende
contadine - questo è ancora poco - e non soltanto nelle buone
condizioni dell'industria leggera che fornisce ai contadini gli
oggetti di consumo, - anche questo è ancora poco: - ci è anche
necessaria l'industria pesante. E per metterla in buono stato
occorrono molti anni di lavoro.
L'industria pesante
ha bisogno di sussidi statali. Se non troveremo questi sussidi,
saremo perduti, non dico già come Stato socialista, ma come paese
civile. Perciò, da questo punto di vista, abbiamo fatto un passo
decisivo. Abbiamo trovato i mezzi necessari per mettere in piedi
l'industria pesante. La somma che abbiamo raccolto finora supera
appena, è vero, i 20 milioni di rubli oro; ma, in ogni caso, questa
somma esiste ed è destinata unicamente a risollevare la nostra
industria pesante.
Mi pare di avervi
esposto sommariamente e brevemente, come avevo promesso, gli elementi
principali della nostra economia nazionale e penso che da quanto ho
detto si possa trarre la conclusione che la nuova politica economica
ha già dato un risultato positivo. Abbiamo già la dimostrazione che
noi, come Stato, siamo in grado di esercitare il commercio, di
mantenere solide posizioni nell'agricoltura e nell'industria, e di
avanzare. L'azione pratica lo ha dimostrato. E penso che per ora
questo ci basti. Dovremo studiare ancora molto e abbiamo compreso che
è necessario studiare. Da cinque anni teniamo il potere, e in questi
cinque anni siamo sempre stati in guerra. Dunque abbiamo vinto.
Il perché è
comprensibile: perché i contadini sono stati con noi. È difficile
essere con noi più di quanto lo siano stati i contadini. Essi hanno
capito che dietro ai bianchi c'erano i grandi proprietari fondiari,
che essi odiano più di tutto al mondo, e perciò sono stati con noi
con tutto il loro entusiasmo, con tutta la loro devozione. Non è
stato difficile ottenere che i contadini ci difendessero dai bianchi.
I contadini, che prima odiavano la guerra, hanno fatto tutto il
possibile per la guerra contro i bianchi, per la guerra civile contro
i grandi proprietari fondiari. Eppure non era ancora tutto, perché
in sostanza qui si trattava solo di sapere se il potere doveva
restare nelle mani dei grandi proprietari o nelle mani dei contadini.
E questo per noi non era sufficiente. I contadini comprendono che
abbiamo conquistato il potere per gli operai e che ci prefiggiamo di
fondare, per mezzo di questo potere, l'ordine socialista. La cosa più
importante per noi era dunque la preparazione dell'economia
socialista. Non potevamo prepararla seguendo una via diretta. Siamo
stati costretti a farlo seguendo vie indirette. Il capitalismo di
Stato, come l'abbiamo instaurato da noi, è un capitalismo di Stato
particolare. Esso non corrisponde al concetto ordinario di
capitalismo di Stato. Noi abbiamo nelle nostre mani tutte le leve di
comando, abbiamo nelle nostre mani la terra che appartiene allo
Stato. Ciò è molto importante, quantunque i nostri avversari
presentino la questione come se ciò non avesse alcuna importanza.
Non è giusto. Il fatto che la terra appartiene allo Stato è
estremamente importante e ha inoltre una grande portata pratica dal
punto di vista economico. Questa è una nostra conquista, e devo dire
che anche tutta la nostra attività futura dovrà svolgersi senza
uscire da questo quadro. Abbiamo già ottenuto che i nostri contadini
siano contenti, che l'industria si riattivi e che il commercio
rifiorisca. Ho già detto che il nostro capitalismo di Stato
differisce dal capitalismo di Stato nel senso letterale
dell'espressione, in quanto abbiamo nelle mani dello Stato proletario
non soltanto la terra, ma anche i settori più importanti
dell'industria. Anzitutto abbiamo dato in affitto una certa parte
della piccola e media industria; ma tutto il rimanente resta nelle
nostre mani. Per quanto riguarda il commercio, voglio ancora
sottolineare che ci adoperiamo a fondare, e che anzi stiamo fondando,
delle società miste, cioè delle società nelle quali una parte del
capitale appartiene a capitalisti privati - e particolarmente a
capitalisti stranieri - el'altra parte a noi. In questo modo, in
primo luogo, impariamo a commerciare, e questo ci è indispensabile;
in secondo luogo, ci sarà possibile, quando lo riterremo necessario,
liquidare queste società, cosicché noi, per così dire, non
corriamo nessun rischio. Dal capitalista privato impariamo e vediamo
come possiamo risollevarci e quali errori commettiamo. Mi pare di
potermi limitare a questo.
Vorrei accennare
ancora ad alcuni punti di minore importanza.
È fuori di dubbio
che abbiamo fatto e facciamo ancora una quantità enorme di
sciocchezze. Nessuno può giudicare meglio di me; nessuno può
rendersene conto più chiaramente.
Ma perché facciamo
delle sciocchezze? È comprensibile: in luogo, perché siamo un paese
arretrato; in secondo luogo, perché l'istruzione del nostro paese è
minima; in terzo luogo, perché non riceviamo nessuno aiuto. Non c'è
un paese civile che ci aiuti. Al contrario, i paesi civili lavorano
tutti contro di noi. In quarto luogo, per colpa del nostro apparato
statale. Abbiamo ereditato il vecchio apparato statale e questa è la
nostra disgrazia. L'apparato statale lavora molto spesso contro di
noi. È avvenuto che nel 1917, dopo che avevamo preso il potere,
l'apparato statale ci ha sabotato. Allora ci spaventammo molto e
dicemmo: «Per favore, ritornate da noi». Sono ritornati tutti,
questa è stata la nostra disgrazia. Oggi abbiamo una massa enorme di
impiegati, ma non abbiamo un numero sufficiente di elementi preparati
che possano effettivamente dirigerli. In pratica avviene molto spesso
che qui, in alto, dove abbiamo il. potere statale, l'apparato bene o
male funziona: ma in basso, dove comandano loro, spadroneggiano in
modo tale, che, spesso, agiscono contro i nostri provvedimenti. In
alto abbiamo non so quanti, ma penso ad ogni modo soltanto alcune
migliaia, al massimo alcune decine di migliaia di elementi nostri. Ma
in basso abbiamo delle centinaia di migliaia di vecchi funzionari,
ereditati dallo zar e dalla società borghese, che lavorano, parte
coscientemente e parte incoscientemente, contro di noi. È fuor di
dubbio che in questo campo, in breve tempo, non si può far nulla.
Dovremo lavorare molti anni per perfezionare l'apparato, per
cambiarlo e per attrarre forze nuove. Ed è questo che noi facciamo
con un ritmo abbastanza rapido, forse troppo rapido. Abbiamo fondato
scuole sovietiche, facoltà operaie; alcune centinaia di migliaia di
giovani studiano; studiano forse troppo in fretta; ma in ogni caso il
lavoro è iniziato e penso che questo lavoro darà buoni frutti. Se
non lavoreremo con troppa precipitazione, tra alcuni anni avremo un
grande numero di giovani capaci di cambiare radicalmente il nostro
apparato.
Ho detto che abbiamo
fatto una quantità enorme di sciocchezze: ma a questo proposito devo
anche dire due parole sui nostri awersari. Se i nostri avversari ci
rimproverano facendo notare che Lenin stesso riconosce che i
bolscevichi hanno fatto una quantità enorme di sciocchezze, voglio
rispondere: sì; ma sappiate, in ogni caso, che le nostre sciocchezze
sono di tutt'altro genere delle vostre. Noi abbiamo soltanto
incominciato a studiare; ma studiamo in modo così sistematico, che
siamo certi di ottenere buoni risultati. Ma se i nostri awersari,
cioè i capitalisti e gli eroi della II Internazionale, mettono in
rilievo le sciocchezze fatte da noi, mi permetterò di citare qui,
per paragone, le parole di un celebre scrittore russo, modificandole
un po'. Esse suoneranno allora in questo modo: Quando un bolscevico
fa delle sciocchezze, dice «Due per due, cinque»: ma quando i suoi
avversari, cioè i capitalisti e gli eroi della II Internazionale,
fanno delle sciocchezze, risulta che «due per due è uguale a una
candela stearica» (102). Non è difficile dimostrarlo. Prendete, per
esempio, il trattato concluso con Kolciak dall'America,
dall'Inghilterra, dalla Francia e dal Giappone. Vi domando: esistono
al mondo delle potenze più civili, più potenti di queste? E che
cosa è avvenuto? Esse hanno promesso di aiutare Kolciak, senza fare
nessun calcolo, senza riflettere, senza osservare. È stato un fiasco
tale che, secondo me, è perfino difficile concepirlo dal punto di
vista della ragione umana.
Oppure prendiamo un
altro esempio, ancora più vicino e più importante: la pace di
Versailles. Vi domando: che cosa hanno fatto in questo caso le
«grandi» potenze, le potenze «coperte di gloria»? Come potranno
ora trovare una via d'uscita da questo caos, da questo assurdo? Credo
di non esagerare se ripeto che le nostre sciocchezze non sono niente,
in confronto a quelle che fanno, tutti insieme, gli Stati
capitalistici, il mondo capitalistico e la II Internazionale. Ritengo
perciò che le prospettive della rivoluzione mondiale - tema che devo
sfiorare rapidamente - siano favorevoli. E penso che saranno ancora
migliori a una determinata condizione. Su questa condizione vorrei
dire ancora due parole.
Nel 1921, al III
congresso, abbiamo votato una risoluzione sulla struttura
organizzativa dei partiti comunisti, e sui metodi e sul contenuto del
loro lavoro. La risoluzione è eccellente, ma è quasi interamente
russa, cioè quasi interamente ispirata alle condizioni russe. Questo
è il suo lato buono, ma anche il suo lato cattivo. Cattivo, perché
sono convinto che quasi nessuno straniero potrà leggerla: ho riletto
la risoluzione ancora una volta, prima di dire questo. In primo luogo
è troppo lunga: contiene cinquanta o più paragrafi. Gli stranieri,
di solito, non possono leggere cose simili. In secondo luogo, anche
se la leggeranno, nessuno degli stranieri la comprenderà, appunto
perché è troppo russa. Non perché sia scritta in russo, essa è
tradotta ottimamente in tutte le lingue, ma perché è interamente
permeata di spirito russo. In terzo luogo, se, anche in via di
eccezione, qualche straniero la comprenderà, non potrà applicarla.
Questo è il suo terzo difetto.
Ho parlato con
alcuni delegati che sono venuti qui, e spero, nel corso ulteriore di
questo congresso, al quale mi è purtroppo impossibile partecipare,
di poter parlare ampiamente con un gran numero di delegati dei vari
paesi. Ho l'impressione che abbiamo commesso un grande errore con
quella risoluzione, e cioè che ci siamo noi stessi tagliata la
strada verso ulteriori successi. Come ho già detto, la risoluzione è
stesa molto bene e sono disposto a mettere la firma sotto i suoi
cinquanta e più paragrafi. Ma noi non abbiamo capito come si deve
mettere la nostra esperienza russa alla portata degli stranieri.
Tutto ciò che dice la risoluzione, è rimasto lettera morta. Se non
comprenderemo questo, non potremo avanzare oltre. Ritengo che per noi
tutti, tanto per i compagni russi che per i compagni stranieri,
l'essenziale sia questo: dopo cinque anni di rivoluzione russa,
dobbiamo studiare. Soltanto adesso abbiamo la possibilità di
studiare. Non so per quanto tempo questa possibilità potrà durare.
Non so per quanto tempo le potenze capitalistiche ci lasceranno la
possibilità di studiare tranquillamente. Ma ogni momento libero
dalla lotta, dalla guerra, dobbiamo utilizzarlo per lo studio, e per
di più cominciando dal principio.
Tutto il partito e
tutti gli strati della popolazione in Russia lo dimostrano con la
loro sete di sapere. Questa aspirazione allo studio dimostra che oggi
il compito più importante per noi è: studiare, e studiare; ma anche
i compagni stranieri debbono studiare; non come studiamo noi, cioè
non per imparare a leggere, a scrivere e a comprendere ciò che si
legge, della qual cosa abbiamo ancora bisogno. Si discute se ciò
appartiene alla cultura borghese o alla cultura proletaria. Lascio la
questione aperta. In ogni caso è indubitabile che, prima di tutto,
abbiamo bisogno di imparare a leggere, a scrivere e comprendere ciò
che si legge. Gli stranieri non ne hanno bisogno. Essi hanno già
bisogno di qualche cosa di più elevato, intendendo con ciò, prima
dì tutto, anche la-necessità di comprendere quel che noi abbiamo
scritto sulla struttura organizzativa dei partiti comunisti e che i
compagni stranieri hanno firmato senza leggere e senza comprendere.
Questo deve essere il loro primo compito. È indispensabile applicare
questa risoluzione. Ciò non può esser fatto in una notte. È
assolutamente impossibile. La risoluzione è troppo russa: riflette
l'esperienza russa e perciò è assolutamente incomprensibile agli
stranieri, i quali non possono accontentarsi di appenderla in un
angolo, come un'icona, e di pregare davanti a essa. Così non si può
ottenere nulla. I compagni stranieri debbono digerire un buon pezzo
di esperienza russa. Come questo avverrà, non so. Forse i fascisti
in Italia, per esempio, ci renderanno grandi servizi mostrando agli
italiani che non sono ancora abbastanza istruiti, che loro paese non
è ancora garantito contro i centoneri. Forse questo sarà molto
utile. Anche noi russi dobbiamo cercare i mezzi di spiegare agli
stranieri le basi di questa risoluzione. Altrimenti essi non saranno
assolutamente in grado di applicarla. Sono persuaso che a questo
riguardo dobbiamo dire non soltanto ai compagni russi, ma anche ai
compagni stranieri, che nel prossimo periodo l'essenziale è lo
studio. Noi studiamo nel senso generale della parola. Essi invece
debbono studiare in un senso particolare, per comprendere veramente
l'organizzazione, la struttura, il metodo e il contenuto del lavoro
rivoluzionario. Se questo sarà fatto, sono convinto che le
prospettive della rivoluzione mondiale saranno non soltanto buone, ma
eccellenti.
Note:
1) Lenin allude al
suo articolo Sull'infantilismo di "Sinistra" e sullo
spirito piccolo-borghese.
2) L'espressione è
di Turgheniev
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