**Società di
Psicoanalisi Critica http://www.societadipsicoanalisicritica.it/
Come
ha messo bene in rilievo Aldo Giannuli
(http://www.aldogiannuli.it/psicoanalisi-del-muro/) le strategie
politiche, militari e ideologiche dei muri costruiti a difesa di ciò
che sta all’interno sono sempre fallite: il loro fondamento
psicologico ed ideologico è da ricercare in una rassicurazione di
chi lo erige e non alla sua difesa reale.
Le
dighe costruite per creare dei bacini idrici servono per evitare che
piene ed alluvioni travolgano i frutti del lavoro di ciò che sta a
valle e, se non vengono costruite in modo criminale, si pensi al
Vajont, nome sintomatico del monte che stava sopra la diga e che
significa in dialetto friulano “viene giù”, proteggono le case,
le coltivazioni e la vita stessa delle persone ed addirittura
servono, regolando l’afflusso delle acque, a far fiorire
ulteriormente il lavoro dell’uomo. Si pensi, più modestamente,
alle risaie ed ai prati marcitori lombardi: l’acqua, non più
trattenuta, allagando i campi produce il risultato straordinario di
fornire un cibo come il riso che costituisce buona parte
dell’alimentazione mondiale e in Lombardia forniva foraggio fresco
quando la neve ed il gelo coprivano la pianura padana. L’isolamento
dall’acqua è una strategia che non ha affatto per mira quello di
chi la ferma, ma il suo utilizzo più proficuo per rendere la
comunità più ricca e benestante.
Il
muro inteso come fortezza che protegge dall’invasione dei barbari è
invece concettualmente l’opposto: il benessere maggiore non è dato
dallo sfruttamento intelligente di ciò che viene dall’esterno in
modo da creare nuove opportunità, ma è fantasticato come
l’isolamento da esso. I colonizzatori inglesi e belgi non avevano
bisogno di costruire muri di cemento, ma il loro isolamento dai neri
del Kenya e del Congo era garantito dalla ricchezza, dalle armi e da
una ideologia grossolanamente illuministica che ricreava il modo di
vita europeo (delle classi agiate) in Africa.
Sul
piano individuale, l’isolamento attraverso un muro difensivo, è
più facilmente avvertito come patologico mentre, per il fenomeno
della deresponsabilizzazione gruppale, non appare tale quando diviene
ideologia di massa. Nella richiusura paranoide il pericolo
dell’irruzione di un agente esterno viene avvertito come
catastrofico e, tanto meno tale agente è oggettivamente pericoloso,
tanto più esso appare infido e subdolo. Si pensi, è un esempio
magnifico, alla fortezza Bastiani ne Il deserto dei tartari di Dino
Buzzati: l’assoluta mancanza di pericolo del deserto viene
avvertita come tanto più minacciosa quanto più assente è ogni
individuo che provenga da esso: il giovane tenente Drogo invecchierà,
insieme a tutta la guarnigione, nella perenne attesa di un nemico che
non c’è e la sua vita sarà consumata per intero in una difesa
spasmodica da ciò che, all’esterno, non esiste.
Come
la psicoanalisi ci aiuta a capire, quando un nemico esterno, in
quanto tale, non esiste, ciò non significa che il pericolo non sia
reale, ma che esso proviene dall’interno e non dall’esterno.
Mentre la difesa da un nemico esterno, per quanto potente e feroce
questi sia, consente di rapportarsi alla realtà – si pensi alla
memorialistica della vita di trincea nella prima guerra mondiale –
il pericolo interno non può essere affrontato perché la realtà del
mondo interno è molto più minacciosa della morte o della prigionia:
affrontare il mondo interno, se il quadro patologico è
particolarmente grave, significa la propria dissoluzione nel nulla,
la catastrofe mentale, per dirla con Bion.
La
paura paranoide dell’esterno viene sperimentata dal bambino in
quella che Melanie Klein ha chiamato posizione schizoparanoide, cioè
quando il mondo esterno si presenta in tutta la sua minacciosa
incomprensibilità: la luce diretta, la temperatura non più
costante, i rumori non più attutiti, il dolore terribile dei primi
atti respiratori e poi la non costanza della fonte alimentare, la
separazione da essa eccetera. Paradossalmente ciò che aiuterà il
bambino a contenere le sue angosce sarà proprio un agente esterno,
divenuto interno: la madre e la sua relazione con lei. La madre si
prenderà cura del bambino proteggendolo da pericoli reali come la
temperatura inadeguata, la fame, i dolori intestinali e fornirà
quindi il modello di una difesa efficace da un lato, ma, ancor più,
dell’affrontabilità di un pericolo che non si presenterà allora
più come distruttivo, ma come una minaccia reale alla quale in
qualche modo si può fare fronte. Si potrebbe pensare alla crescita
come ad una progressiva capacità di fronteggiare i problemi
attraverso l’identificazione con un buon oggetto protettivo e al
successivo sviluppo di un desiderio, che in psicoanalisi si chiama
riparativo, di proteggere ed aiutare i più deboli. Si potrebbe dire
che una società, un consorzio umano, esiste come tale solo quando vi
è un patto generazionale che garantisce la crescita armonica, con
l’aiuto ed il sostegno dei suoi membri adulti, il lavoro teso a
favorire condizioni di vita via via migliori ed infine la
responsabilità verso coloro che sono resi deboli dalla malattia o
dalla vecchiaia.
Di
converso, meno possibilità di identificazione vi sono con oggetti
capaci e forti, tanto maggiore è la probabilità dello svilupparsi
di patologie individuali e gruppali (cioè sociali) che hanno al
centro la necessità di erigere delle barriere contro l’angoscia di
annientamento che viene da pericoli incontrollabili. Nell’epoca
storica delle società autoritarie e dei fascismi, le patologie
legate all’angoscia di dissoluzione dell’Io erano minori, mentre
prevalevano le nevrosi da inadeguatezza, dal timore cioè di non
rispondere sufficientemente a degli standard rigidi per i quali le
donne dovevano essere morigerate e solo protese a divenire madri e
gli uomini a combattere energicamente nell’agone sociale trionfando
sui concorrenti (commerciali, amorosi e così via) e sui nemici.
La
società globalizzata, pur essendo apparentemente molto distante da
quelle (in realtà produce fenomeni autoritari, razzisti e fascisti e
non solo a livello dell’ideologia di massa,come mostra bene
Giannuli) ripropone modelli di comportamento obbligati che però da
quelli della società autoritaria differiscono profondamente in
quanto all’idea di un individuo formato per la competizione con gli
altri, sostituiscono quella di un individuo che cresce solo
soddisfacendo ogni desiderio, cavandosela in qualche modo utilizzando
gli altri e prendendo per sé quanto più gli è possibile: denaro,
potere, prestigio, donne, notorietà: la società, intesa come
reticolo necessario per lo sviluppo della propria personalità,
appare come un retaggio di un passato preda delle utopie
assistenzialistiche e socialistiche ed è sostituita dall’idea di
una società che è solo una somma di individui nella quale chi è
forte si salva ed ha successo, mentre chi non lo è semplicemente
soccombe.
E’
allora piuttosto comprensibile come le patologie paranoidi si
sviluppino assai più frequentemente in soggetti nei quali l’angoscia
della propria situazione è più difficilmente sopportata o non lo è
per nulla. Si erigono allora dei muri che sono costituiti dalla
propria abitazione, dalla quale non si esce che assai raramente e
comunque sempre meno, e spesso dalla propria stanza che diviene un
fortilizio all’interno del quale vengono svolte le attività per la
sopravvivenza, come il mangiare ed il dormire. In casi estremi è il
letto a divenire il fortilizio dal quale non si esce se non per i
bisogni corporali.
Casi
di questo genere vengono sempre più spesso portati negli studi degli
psicologi; nei casi più favorevoli è la persona stessa a venire in
terapia, per lo più indirizzata a questa dai genitori, visto che in
grande maggioranza questi pazienti sono adolescenti o comunque
persone giovani; nei casi più gravi la persona si rifiuta di uscire
per andare dallo psicologo ed allora si cerca di lavorare, come è
possibile, con i genitori per aiutarli ad affrontare una situazione
drammatica alla quale spesso non vi è rimedio risolutivo, la
“guarigione” per usare un termine equivoco.
Pur
evitando di entrare, in questa sede, in una disamina clinica, è
opportuno sottolineare come uno dei fenomeni più importanti della
globalizzazione, internet, abbia un ruolo fondamentale, e per nulla
positivo, nello svilupparsi di queste patologie. Praticamente tutti i
ragazzi che si isolano progressivamente stanno davanti al computer,
su internet, per un numero spropositato di ore al giorno, anche più
di dodici, e la loro giornata si consuma tra pasti irregolari e
frugali, il sonno, anch’esso irregolare, e internet appunto. Dalle
loro stesse parole emerge con chiarezza che questo uso di internet
tende a confondere il mondo virtuale e quello reale in modo assai
profondo: la realtà non virtuale ed internet divengono
indistinguibili, in una prima fase, ma poi la realtà virtuale tende
a diventare sempre più l’unica realtà rispetto alla quale tutto
il resto appare solo un disturbo inopportuno.
Se
ormai per molti bambini in età della scuola elementare, la compagnia
di altri bambini diviene generalmente più rara, e spesso sostituita
da attività sportive od artistiche nella scelta delle quali il
narcisismo genitoriale diviene nella sostanza il motore vero (nessun
bambino che si rispetti oggi non va almeno a danza, rugby, pallavolo,
tennis, calcio, pianoforte e così via presso maestri e società ad
hoc), ovviamente per le patologie alle quali ci riferiamo tali
contatti sono definitivamente aboliti. Il risultato, patologico, di
tale uso di internet mostra la sua evidenza nella constatazione che
spesso questi soggetti claustrofilici appaiono perfettamente
informati sulle cose del mondo e spesso possono discutere con
competenza apparente di politica, società, psicologia, sport e così
via.
La
percezione di essere isolati, idioti nel senso greco del termine,
comincia ad apparire quando clinicamente la situazione mentale
comincia a migliorare: ed allora cominciano ad apparire crisi di
sconforto e talvolta quadri depressivi che l’eccitazione maniacale
aveva dissimulato.
Il
quadro delle relazioni con i famigliari conviventi oscilla tra la più
totale indifferenza – servono solamente come fornitori di generi di
prima necessità – e un odio profondo quando vengono percepiti come
agenti del mondo interno terrificante che non è più distinto da
quello esterno che possiede le medesime caratteristiche. Coloro che
l’ideologia e l’informazione corrente presentano come estranei
minacciosi che attentano alla “pacifica” vita di una comunità
idealizzata che assomiglia, ovviamente, a quella descritta nel film
di Truffaut del 1966 Fahrenheit 451, vanno respinti, scacciati,
annientati alla stessa maniera degli ebrei e degli oppositori nella
Germania nazista. Va eretto un muro insomma e coloro che minacciano
di scavalcarlo vanno sterminati.
Nessun commento:
Posta un commento