Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sono-utili-le-prove-invalsi-giorgio.html
Lo
Stato minimo implica la scuola minima. La scuola minima è quella che
include, diverte, nonistruisce. Se istruisse non ci sarebbe spazio
per la scuola privata e questo offende il primo articolo di fede
dell'ideologia neoliberale: la superiore efficienza dell'impresa
privata rispetto all'impresa pubblica. Modello delle politiche
scolastiche europee è diventato così il sistema educativo
anglosassone che combina una scuola pubblica gratuita, ma degradata
al punto da dover disporre i 'metal detector' per arginare le
violenze, con una scuola privata, che promette facile accesso al
mondo del lavoro, ma costosa, per frequentare la quale ci si può
indebitare per tutta la vita – un sistema fallimentare a parere
unanime, denunciato ultimamente dal primo ministro May e dal
presidente Trump; un sistema che non può funzionare perché la
scuola privata su cui poggia trasforma in cliente l'alunno, gli dà
dunque una prevalenza sull'insegnante che rende improponibile la
severità e la fatica dell'imparare; un sistema che però consente un
imponente giro d'affari: solo se la scuola pubblica diventa un
ospizio, può nascere una domanda solvente di istruzione qualificata,
cioè genitori disposti a pagarla per i loro figli; solo questa
domanda può sostenere un'offerta di istruzione qualificata, cioè
una scuola privata che non sia più soltanto confessionale o
parassitaria della scuola pubblica, ma che costituisca il centro
nevralgico del sistema di istruzione.
Questa
operazione è stata condotta dapprima in Francia: "Nel campo
dell'istruzione ... è la Francia ... che nel corso degli ultimi tre
decenni ha subito i cambiamenti più rilevanti rispetto a un sistema
originario pubblico centralizzato, gratuito e marcatamente
meritocratico. A seguito delle leggi sul decentramento del 1982 e del
1983, il peso dello Stato nel finanziamento della spesa complessiva
per l'istruzione è sensibilmente diminuito a favore di quello degli
enti territoriali. ... Insomma, con l'indebolimento dell'istruzione
pubblica nel corso degli ultimi decenni, il peso dell'istruzione
privata è incontestabilmente aumentato in Francia a tutti i livelli
del sistema educativo insieme alla posizione delle scuole private
nella gerarchia qualitativa degli istituti e all'incidenza delle
spese per l'istruzione sui bilanci delle famiglie. I livelli
crescenti di disoccupazione, aumentando la concorrenza tra i giovani
per l'accesso all'impiego, hanno contribuito all'espansione della
domanda, quindi dell'offerta, di servizi di istruzione privati: il
ricorso da parte di alcuni a una preparazione privata migliore o
supplementare costringe gli altri ad allinearsi, al costo di doversi
indebitare ... Nelle parole di un docente ... di un prestigioso liceo
parigino: 'Un'offerta privata diversificata e di buon livello è
esplosa nel corso degli ultimi anni in risposta al degrado del
servizio pubblico sempre più a corto di soldi'."1
La
comparazione tra l'esperienza francese e quella italiana mostra che
sul livello qualitativo della scuola pubblica incide, ancora più
della riduzione dei finanziamenti, il decentramento scolastico.
L'operazione che in Italia umilia la scuola pubblica col fine ultimo
di promuovere a centro d'eccellenza la scuola privata, come sappiamo,
è l'autonomia scolastica, realizzata dapprima con abilità, cioè
con lentezza condita di orpelli pseudo pedagogici per nascondere il
fine maligno, infine con un'accelerazione che ha svelato la natura
autoritaria dell'operazione. Il suo carattere saliente è
l'eliminazione dei programmi con preciso spessore
scientifico-culturale e fissati per legge, e la loro sostituzione con
‘indicazioni’ su cui prolifera una 'progettualità autonoma' e
incontrollata delle singole scuole o, peggio, dei singoli insegnanti:
gli alunni non devono avere più queste conoscenze, questeabilità,
ma devono essere coinvolti come protagonisti in attività progettate
da insegnanti animatori. Il controllo della validità formativa delle
attività è attuato a livello di procedura non a livello di
risultato, perché questo è determinato ad arbitrio dell'insegnante
o dell'istituto, e consiste in ‘competenze’ generiche slegate dai
contenuti disciplinari.
Le
definizioni fumose e inconcludenti delle competenze sono rivelatrici
delle intenzioni nichiliste di chi ha riformato la scuola pubblica
negli ultimi vent’anni 2. M. Ambel si esprimeva così: «Per
competenza si intende, in un contesto dato, potenzialità o messa in
atto di una prestazione che comporti l’impiego congiunto di
atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze, abilità e capacità e
che sia finalizzata al raggiungimento di uno scopo»3. Appena
sfoltito il ginepraio verboso, ci si accorge subito della
scorrettezza della definizione: abilità e capacità sono sinonimi di
competenza; ne risulta che la competenza consiste nell'impiegare la
competenza. Ci riprovò il Forum delle Associazioni disciplinari, e
partorì questa definizione: «Ciò che, in un contesto dato, si sa
fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere
l’obiettivo atteso e produrre conoscenza; è quindi la disposizione
a scegliere, utilizzare e a padroneggiare le conoscenze, capacità e
abilità idonee, in un contesto determinato, per impostare e/o
risolvere un problema dato»4. Chiusi gli occhi sulle goffaggini
della prima parte con il suo ricorso illecito ad abilità che è
sinonimo di competenza e con la sventatezza di ridurla a un produrre
conoscenza, la seconda parte, effettivamente esplicativa, fa nascere
la domanda del perché non si sia scritto semplicemente che
competenza è il possesso di strumenti teorici per risolvere
problemi. La risposta è che queste definizioni vogliono distruggere
l'esistente senza costruire il nuovo. Se si definisse competenza in
modo semplice e adeguato, ogni insegnante vedrebbe che ha sempre
insegnato competenze: competenze linguistiche, logiche, matematiche,
estetiche. Per quanto sfugga ai pedagogisti perseguitati dalle manie
classificatorie, nessuna conoscenza scolastica è infatti una nuda
informazione; perfino quelle storiche vertono su singolarità
esemplari, che costituiscono cioè modelli, quindi strumenti da
applicare oltre il loro contesto, per comprendere situazioni in
generale. La semplicità della definizione avrebbe dunque confortato
la prassi didattica nelle scuole italiane, forse l'avrebbe
addirittura migliorata, inducendo gli insegnanti a preoccuparsi
dell'universalità delle conoscenze proposte, dunque della loro
portata applicativa,. Evidentemente non si voleva aiutare gli
insegnanti, li si voleva confondere perché diventassero insicuri
della loro didattica, perché non offrissero resistenza alla sua
liquidazione. Insomma, la programmazione per competenze è stata la
maniera subdola per invitare gli insegnanti pubblici a fare di tutto
pur di non insegnare nulla.
La
'Buona scuola' della Giannini è stata un'accelerazione che ha reso
evidente lo spirito dell'operazione senza più giri di parole. Essa
impone attività evidentemente impossibili, dunque distruttive della
didattica: la scuola-lavoro nei Licei che li trasforma in istituti
professionali e conserva contraddittoriamente il livello teorico
delle discipline; impone la metodologia CLIL, cioè l'insegnamento di
una materia in lingua straniera, senza che ci siano insegnanti in
grado di farlo; premia gli insegnanti valutandone il merito non in
base ai risultati didattici, ma alle certificazioni delle attività
extracurricolari svolte e alle novità improvvisate. Lo strumento più
estremo di dequalificazione è però la fine della valutazione. Non
soltanto nella scuola dell'obbligo non è più consentito bocciare,
in ogni ordine e grado la bocciatura è considerata dai quadri
superiori dell'amministrazione scolastica come un'inadempienza della
scuola. Questa concezione potrebbe essere giusta se ogni studente
fosse aiutato a frequentare la scuola congeniale ai suoi gusti e
adeguata alle sue capacità, e in caso di errore potesse cambiare
istituto; ma nel contesto dell'autonomia acquista una portata
devastante. L'autonomia, infatti, mette in concorrenza tra loro gli
istituti scolastici e li spinge ad incrementare con tutti i mezzi del
più volgare marketing la loro utenza per evitare di essere accorpati
o di sparire. Poiché il fine è di aumentare le iscrizioni e
raggiunto il numero di conservarle, le scuole evitano in tutti i modi
di individuare nei primi anni gli alunni non motivati o non in grado
di frequentare i loro corsi per orientarli verso altri tipi di
scuola, e pur di conservarseli preferiscono ridurre al nulla la
didattica e falsificare le valutazioni. L'amministrazione centrale
viene loro incontro imponendo una normativa sui ‘bisogni educativi
speciali’ per cui qualunque difficoltà di apprendimento può
ricevere da una diagnosi medica il diritto all'elaborazione di un
percorso didattico semplificato, che porta comunque al conseguimento
del normale diploma. In questo modo la scuola pubblica è diventata
l'ospizio a cui le concezioni neoliberali la destinavano e i suoi
diplomi attestati di frequenza.
Tutto
quello che la scuola italiana ha subito e che tanti hanno rilevato
con perplessità, non è il frutto di generose per quanto confuse
volontà pedagogiche o sociologiche di miglioramento della didattica,
ma l'effetto di una volontà consapevole di distruzione della scuola
pubblica per generare domanda solvibile di istruzione privata. E se
abbiamo il dovere di usare i termini giusti per le cose, dobbiamo
dire che una classe dirigente, quella che confessa apertamente di
perseguire non l'interesse dei suoi elettori, cioè degli Italiani,
ma quello dell'Europa 5, cioè dei burocrati dipendenti dalle
pressioni dei poteri transnazionali, come ha tradito l'Italia, ha
tradito la scuola pubblica italiana: ne ha provocato il degrado
scientifico e culturale così da privarla a priori di ogni
autorevolezza di fronte ad alunni e a genitori, umiliando gli
insegnanti a svolgere compiti di animazione e creando una generazione
di semianalfabeti. Dispiace constatare che gli attori principali del
tradimento siano stati i governi di 'sinistra'; ma non stupisce: dal
'Manifesto comunista' del '48 la sinistra è convinta che la società
sia una guerra civile ora occulta ora manifesta; per questo i suoi
adepti sono i più indifferenti ai valori dello Stato e delle
istituzioni che garantiscono i diritti e i più sensibili al canto
delle sirene del cosmopolitismo neoliberale.
La
lotta per l'istruzione pubblica ha però importanti prospettive. Come
lo smantellamento degli strumenti con cui lo Stato interviene
nell'economia, anziché stimolare lo sviluppo, il benessere e la
civiltà, provoca crisi, miseria e barbarie, così la distruzione
della didattica della scuola pubblica non migliora l'istruzione, ma
la rende più che mai classista e culturalmente miserevole. L'epoca
del neoliberalismo sfrenato volge alla fine. Questo, più che la
consapevolezza degli insegnanti sulla degradazione che hanno subito,
dà elementi di speranza. La rinascita non può però avvenire senza
l'impegno soggettivo di illuminazione delle coscienze. Si tratta
dunque di smascherare tutto ciò che è accaduto nella scuola dagli
anni '80 in poi interpretandolo alla luce del progetto di
privatizzazione della società, di constatarne le conseguenze
devastanti, di ripudiarlo, tenendo ferma la necessità di una scuola
pubblica che offra a tutti, secondo le loro capacità intellettuali,
la preparazione teorica e che conservi al suo interno l'istruzione di
eccellenza per tutti i meritevoli a prescindere dalle condizioni
sociali di provenienza.
1.
Barba-Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur,
2016, pp.163 sgg.
2. Traggo
le due citazioni successive
da http://www.mondadorieducation.it/Mondadori-Education/MeandYou/Insegnare-programmare-e-valutare-per-competenze
.
3. In «Progettare
la scuola», n. 3, 2000, p. 32.
4.
In
«Progettare la scuola», n. 4, 2000, p. 42.
5. Così
cinguettava l'ex Presidente del Consiglio: «Nostre battaglie in UE
non erano per l'interesse dell'Italia, ma perché ritenevamo fossero
interesse dell'Europa».
Cfr. https://twitter.com/pdnetwork/status/747357069586608128?lang=it
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