*Intervento di Cristina Re, studentessa all'Università di Economia di Bologna, in un incontro avvenuto nella stessa con relatori Romano Prodi e il professor Emiliano Brancaccio. https://www.facebook.com/rethinkingeconomicsbologna/videos/1587848531231318/
"Salve
professore,
Sono Cristina di rethink economics_bologna/ e la ringrazio per aver accettato il
nostro invito. Detto ciò, però, questo è l'unico ringraziamento
che mi sento di farle. Mi permetta di rubarle due minuti.
Le parlo come
componente di quella che viene definita "Generazione Erasmus".
Eccola qui, la generazione Erasmus: una generazione nata e cresciuta
all'interno dell'Unione Europea ed educata con la favola di un'Europa
di cooperazione e obiettivi comuni, di uno spazio in cui viaggiare
liberamente ed educarsi alla diversità. Un luogo di pace, prosperità
e libertà.
La favola della
nuova generazione Europea di studenti colti, aperti e con alta
mobilità si scontra però con la realtà, ossia con la generazione
dei disoccupati e dei lavoratori poveri. Infatti, solo l'1% degli
studenti italiani partecipa a progetti di mobilità, mentre gli altri
si trovano in situazioni di precarietà o disoccupazione. La
disoccupazione giovanile nel 2017 è arrivata a superare il 40% e
coloro che trovano lavoro sono costretti ad accettare orari e salari
da fame con contratti a termine o retribuiti tramite voucher. In
tantissimi sono costretti ad emigrare; alcuni svolgono attività di
ricerca qui sotto finanziata altri sono costretti a lavori non
qualificati e sottopagati, nonostante l'alto livello d'istruzione.
Il futuro dei
giovani italiani è un futuro grigio e di cui lo Stato ha deciso di
non farsi carico. Siamo una generazione abbandonata dalle istituzioni
e, certo, non sarà tutta colpa dell'Unione europea, ma sicuramente
per capire come migliorare bisogna prima individuare le colpe ed i
colpevoli. L'italia ha scelto di condividere e mettere in atto lo
smantellamento dello stato sociale: ha tagliato educazione,
istruzione, protezioni sociali, investimenti industriali, ecc. Una
situazione di cui nessuno vuole farsi responsabile ma che è
strettamente collegata con l'adesione dell'Italia alle politiche
neoliberiste.
Professore, lei, il
18 gennaio ha rilasciato un'intervista al quotidiano.net/ in cui dice
"la mia Europa è morta. Ma spero che la crisi la svegli. Ora
possiamo solo aggiungere: preghiamo"
Beh, troppo semplice
così.
Mi dispiace ma mi
rifiuto di vivere in un paese che soffre di deficit di memoria. Che
trasforma i carnefici in vittime e i colpevoli in eroi.
Non possiamo non
dimenticare che lei, come presidente dell'IRI ha svenduto il
patrimonio economico italiano a società private.
Lei partecipò in
prima persona alla nascita dell'euro, prima come Presidente del
Consiglio e poi come Presidente della commissione europea.
Lei non si è
battuto per cambiare i criteri scellerati del trattato di Maastricht,
nei quali l'Italia non rientrava, ma promise riforme future. Da quel
peccato originale è succeduto un vortice di privatizzazione, tagli
al welfare, sottomissione ai diktat franco- tedeschi, attacco ai
salari e ai diritti dei lavoratori con l'unico obiettivo di ridurre
il nostro debito pubblico, rientrare nei parametri di Maastricht e
renderci "competitivi". Fu proprio durante il suo governo
che venne approvato il pacchetto Treu che diede inizio al fenomeno
della precarietà in Italia.
Durante il suo
secondo mandato da Presidente del consiglio, poi, fu lei a firmare il
trattato di Lisbona che di fatto era uguale alla Costituzione europea
bocciata nel 2005 da francesi e olandesi.
Mi dispiace ma non
può dire che questa non è la sua Europa. Questa è proprio la sua
Europa.
Lei ha svenduto il
nostro futuro e in cambio di cosa? Ecco cosa abbiamo ottenuto: la
libertà di andare all'estero a fare i camerieri o di vivere una vita
di precarietà e misera. Una vita che ha condotto molte persone alla
disperazione ed alcuni anche al suicidio.
Adesso, non le
chiedo, come fa qualcuno, di formare un nuovo partito o ricandidarsi
per riparare alla situazione. No, quello spetta a noi.
Però le chiedo,
come minimo, che riconosca le sue responsabilità e i suoi errori; e
che magari ci chieda anche scusa."
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