Da: http://www.linterferenza.info - Fabrizio Marchi insegna Filosofia, è direttore della rivista "l'interferenza".
vedi anche: Guerra in Ucraina, intervista a Emiliano Brancaccio - Daniele Nalbone
Per noi quello che Marchi dice, e non lui solo, corrisponde alla realtà dei fatti. Credo che tutti ne siamo consapevoli. Questo però significa, ce ne rendiamo conto, in qualche modo giustificare il comportamento di Putin e noi facciamo fatica ad avallare una guerra che non sia di liberazione o rivoluzionaria.
Alla fine sarà questo il risultato? Non crediamo, tuttalpiù sarà il risultato di una operazione aggressiva in chiave difensiva e quindi aperta ad ulteriori e imprevedibili sviluppi nel tempo.
Per questo vi proponiamo in appendice il ragionamento di Pablo Iglesias (Podemos). Al di là di chi abbia più o meno ragione, sono quelli da lui esposti i termini della discussione. Su questa base saranno fatte, credo, le prossime scelte sul campo e fuori. Per quello che ci riguarda siamo per il negoziato su tutto. (il collettivo)
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Qualsiasi persona seria minimamente informata e dotata di onestà intellettuale sa perfettamente che la guerra in Ucraina non è iniziata nove giorni fa con l’attacco russo ma otto anni fa, quando un colpo di stato promosso e finanziato dagli USA e dalla NATO con il supporto di forze politiche e milizie locali dichiaratamente naziste rovesciò il governo filorusso di Janucovich.
Da allora è cominciata una guerra contro le popolazioni russe e russofone del Donbass e della Crimea che hanno proclamato la loro indipendenza. Una guerra feroce, come tutte le guerre civili e fratricide dove le milizie naziste ucraine si sono contraddistinte per la loro brutalità. Fra le altre, il criminale rogo di Odessa, dove la casa dei sindacati fu data alle fiamme, decine di persone che erano all’interno morirono arse vive e dall’esterno i miliziani ucraini sparavano a chi tentava di fuggire.
Ma, se dobbiamo dirla tutta, la guerra, anche se non guerreggiata, è iniziata ancor prima, quando la NATO – che a rigor di logica e coerenza in seguito al crollo del blocco sovietico avrebbe dovuto se non sciogliersi o ridimensionarsi, quanto meno restare così come era – ha cominciato ad espandersi ulteriormente, naturalmente verso est, assimilando tanti paesi appartenenti all’ex Patto di Varsavia e repubbliche ex sovietiche, di fatto accerchiando la Russia.
Potremmo dire che il crollo dell’URSS e la fine della cosiddetta “guerra fredda” hanno, paradossalmente, accentuato ulteriormente la tradizionale e storica aggressività occidentale nei confronti della Russia che si era accentuata, ovviamente, con la nascita dell’Unione Sovietica. E questo ci dice molto sulla reale natura dell’Alleanza Atlantica, un’organizzazione militare spacciata per difensiva ma in realtà fondamentalmente offensiva e imperialista.
Dopo la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, che confinano con la Russia a nord, la politica annessionistica della NATO è proseguita con la Polonia, la Croazia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria, che confinano con la Russia al centro e a sud. Pochi mesi fa il tentativo, fallito, di rovesciare Lukashenko e di annettere di fatto la Bielorussia. Poi, otto anni fa, la volta dell’Ucraina.
Perfino l’ex segretario di stato americano Henry Kissinger, non certo una “colomba”, come si suol dire, promotore del criminale colpo di stato di Pinochet in Cile nel 1973 che rovesciò il legittimo governo di Allende, subito dopo il golpe in Ucraina nel 2014 (e sì che era uno che se ne intendeva di colpi di stato…) scrisse nero su bianco che la politica annessionistica da parte degli USA e della NATO nei confronti dell’Ucraina era un grave errore soprattutto nei confronti della Russia; un errore che avrebbe portato a conseguenze nefaste e destabilizzanti in primis per l’Europa e gli stessi Stati Uniti. L’Ucraina – scrisse – dovrebbe essere un ponte fra Russia e mondo occidentale, e non un avamposto di quest’ultimo”.
Quali sono le ragioni che hanno spinto la NATO a trazione americana a questa politica aggressiva nei confronti della Russia?
Sono diverse, come sempre. Intanto l’Occidente, dopo il crollo dell’URSS, avrebbe voluto una Russia ridotta ad una sorta di colonia, di “pais bananero” dove scorrazzare tranquillamente a proprio piacimento. Un paese ridotto ad un enorme bacino di risorse e materie prima a costi bassissimi, una massa di manodopera a buonissimo mercato per le aziende interessate a delocalizzare, un ancor più grande patrimonio di beni pubblici da acquisire a prezzi stracciati. Insomma, una sorta di “anschluss” come avvenuto anche con la ex Germania Est, ma di sapore neocoloniale. E per qualche anno in effetti la situazione è stata questa, grazie al governo del fantoccio Eltsin e il supporto della mafia locale che faceva il bello e il cattivo tempo.
Tutto ciò fino all’arrivo di Putin che ha posto un freno alla dissoluzione e alla spoliazione dissennata del paese, ripristinando – certo all’interno di una economia capitalistica e con una forte impronta autocratica, sia chiaro – quella centralità dello stato che era andata completamente smarrita, con le conseguenze drammatiche che erano sotto gli occhi di tutti. Insomma, la Russia non era e non è Portorico o la Repubblica dominicana, con tutto il rispetto per queste ultime, e Putin glielo ha fatto capire. E questo non è mai andato giù all’occidente, per ovvie ragioni. Si trattò, probabilmente, di un errore di valutazione, anzi, di sottovalutazione da parte occidentale, lo stesso che è stato compiuto nei confronti della Cina. Gli USA erano convinti di essere ormai i padroni del mondo ma di lì a poco la realtà li avrebbe smentiti. Da tempo in difficoltà economica e di credibilità internazionale (anche in America Latina, da sempre considerato il loro cortile, hanno cominciato a perdere terreno, così come in Africa dove ora c’è una forte penetrazione commerciale della Cina), in un mondo che si avvia per ragioni oggettive – stati economicamente potenti, come Cina e India provvisti di armi nucleari, oltre la Russia – verso il multipolarismo, non riescono ad accettare di perdere l’egemonia sul pianeta. Forti della loro potenza militare che – insieme a tutti i loro alleati – gli consente di controllare ancora la gran parte degli oceani, dei mari e degli stretti dove circola la gran parte delle merci di tutto il mondo, cercano di contrastare le potenze emergenti (in realtà già emerse) con la forza muscolare, che ha sempre il suo indiscutibile peso, soprattutto nelle questioni di politica internazionale.
Per attuare questa politica hanno assoluta necessità di avere una Unione Europea al loro servizio, prona ai loro interessi e alla loro volontà, di fatto organica ad essi, un pezzo dell’impero. Per questo devono separare a tutti i costi, anche e soprattutto dal punto di vista economico e commerciale, l’Europa dalla Russia. Un incremento dei legami economici e commerciali – peraltro imprescindibili per tutti i paesi europei che dipendono in buona parte dalle risorse energetiche russe – fra l’Europa e la Russia sarebbe qualcosa che gli Stati Uniti non potrebbero assolutamente permettersi, anche perché l’intensificarsi delle relazioni economico-commerciali comporta l’intensificarsi di quelle politiche. Tutto ciò, anche scontando che questa politica potrebbe portare a saldare ulteriormente l’alleanza fra la Russia e la Cina. Ma Parigi val bene una messa e la messa in sicurezza dell’impero viene prima di tutto. E poi si vedrà.
L’aggressività nei confronti della Russia ha, dunque, questo obiettivo, al momento raggiunto grazie al nanismo delle classi dirigenti europee e anche al fatto che – non dimentichiamolo – in Europa ci sono centinaia di basi militari americane (e non viceversa…).
Il processo di destabilizzazione portato avanti in Ucraina aveva e ha questo scopo, oltre che, ovviamente, quello di tenere quest’ultima sotto scacco. Tutto ciò ha portato alla inevitabile reazione della Russia che, in una logica di potenza ma sostanzialmente difensiva, con l’attacco e l’occupazione militare di parte dell’Ucraina ha voluto mettere il freno a questo processo di destabilizzazione ai suoi confini. La Russia, non dimentichiamolo, impedì, grazie al suo supporto militare e al suo intervento diretto, che la Siria fosse travolta dalle bande dell’ISIS, sostenute e armate dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e, per la proprietà transitiva (e non solo), da Israele e dagli USA. In quel caso però, non fu possibile inscenare la criminalizzazione mediatica nei suoi confronti perché c’erano di mezzo i tagliagole dell’ISIS.
La Russia non può permettersi una Ucraina organica alla NATO e agli USA con basi militari e postazioni missilistiche ai suoi confini a 800 km. da Mosca, e questo lo capirebbero anche i bambini, se qualcuno glielo spiegasse. Non lo vogliono capire i governi e le classi politiche occidentali, tutte, per cieco, stupido e in fondo anche masochistico opportunismo e, naturalmente, non lo capisce la grande maggioranza delle persone educate da tempo a bersi tutte le fesserie che gli rovescia addosso senza soluzione di continuità l’intero apparato mediatico occidentale.
Appendice -------------------
Pablo Iglesias (Podemos):
"Io in questo voglio essere molto chiaro. Capisco qual è l'umore sociale. E' chiaro a tutto il mondo che c'è un'invasione ingiustificabile della Russia in Ucraina, e quando si pone la domanda 'hanno diritto gli ucraini a difendersi?', la risposta naturale di chiunque abbia le migliori intenzioni è: ovvio che hanno diritto a difendersi. Ma quando si hanno responsabilità di governo, a volte bisogna essere abbastanza seri da dire alla gente la verità.
Io ho amici militari, alcuni dei quali hanno esperienze di guerra. Gli ho chiesto se effettivamente questo materiale militare può bastare perché l'esercito ucraino o le milizie civili ucraine sconfiggano l'esercito russo. Mi hanno detto: assolutamente no, è impossibile. E' impossibile, visti i rapporti di forza che ci sono tra esercito russo ed esercito ucraino, più milizie civili. E gli ho chiesto: qual è l'unica maniera di sconfiggere l'esercito russo? Sono stati altrettanto chiari: una missione militare internazionale guidata dagli USA con altri paesi NATO.
Questo è il dibattito che dobbiamo avere. Il dibattito non è su mandare o non mandare le armi, perché chi ne sa qualcosa è perfettamente cosciente del fatto che l'invio di armi non cambia questi rapporti di forza. Quello di cui si deve discutere è se siamo disposti ad entrare in guerra con la Russia. Attenzione: può anche darsi che ci sia una maggioranza di parlamentari che sono d'accordo, in questo caso dovremo fare questa guerra.
Ma allora bisogna lasciare che la gente discuta di quello di cui si deve discutere: di uno scontro mondiale con una potenza che ha armi nucleari, e non sappiamo come risponderanno altre potenze nucleari che in qualche modo ora sostengono la Russia, come la Cina o l'India. E dovremmo accettare nella migliore delle ipotesi che ci saranno cadaveri di giovani militari spagnoli che torneranno a casa in casse di legno; certo, coperti con la bandiera spagnola e con molte medaglie e titoli postumi.
Di questo si deve parlare. Io so che oggi è molto facile dire che i pacifisti sono codardi e che quelli che spiegano che questa guerra c'entra con il controllo dei mercati energetici sono delle merde o dei vigliacchi, o dire che la diplomazia è da codardi, quello che in fondo ha detto Borrell, cioè il capo della diplomazia europea. Io credo che in questo momento si deve dire la verità alla gente: che l'unica maniera di sconfiggere militarmente l'esercito russo sarebbe una missione guidata dagli USA con soldati spagnoli, francesi, tedeschi e di altri paesi NATO. Questo è il dibattito che dobbiamo aprire.
A questo punto, tutto il mio riconoscimento va alle persone che sotto una pressione mediatica enorme stanno dicendo la cosa più difficile: e cioè che si devono fare tutti gli sforzi per arrivare a una soluzione diplomatica - che è poi quello che sta dicendo il segretario generale dell'ONU. Non è né ingenuo né 'buonista' dire che si deve puntare sulla negoziazione e sul dialogo, perché il discorso qui non è mandare armi; il discorso è se dobbiamo accettare di entrare in guerra con una potenza nucleare.
C'è chi sostiene che sia comodo dire 'no alla guerra'. Quello che è comodo è dire 'sì alla guerra' su twitter, negli editoriali, nei talk show televisivi, o da casa. Perché quelli che lo dicono non si metteranno un giubbotto antiproiettili, non prenderanno un'arma per andare a rischiare la vita in Ucraina. Io credo sia molto importante dire alla gente la verità; la verità è che questa situazione non si risolve inviando armi; si risolverebbe semmai con una missione militare, che implica entrare in una guerra mondiale nella quale ci sono potenze nucleari.
Per questo credo che in questo momento di enorme pressione mediatica, di enorme furore bellicista che ricorda lo spirito del 1914, bisogna dare risalto a quei coraggiosi che contro l'opinione di tutti stanno dicendo: diplomazia e dialogo. Che stanno dicendo che la guerra ha poco a che vedere con la democrazia, e che invece ha a che vedere con il controllo delle risorse naturali, delle risorse energetiche, in questo caso del gas; che ha a che vedere con la competizione geopolitica fra potenze, alle quali non frega niente della democrazia; che in questo momento ci sono molti venditori di armi senza vergogna, che stanno pensando a fare profitti con questo conflitto; e che oggi, quelli che sono in minoranza, che hanno il coraggio di dire 'pace e diplomazia', di fronte a chi cerca l'applauso facile dicendo che si deve inviare armi ma che non impugneranno mai un'arma con le loro mani e non si metteranno mai un giubbotto antiproiettile per combattere in territorio ucraino, hanno tutta la ragione. Questa minoranza che dice pace, diplomazia, e allineiamoci con il segretario generale dell'ONU.
Saranno giorni molto difficili, vedremo molte persone di sinistra che sono sempre state per il 'no alla guerra' dire che si devono mandare armi. Però si deve dire la verità alla gente: inviando armi non si cambiano i rapporti di forza. Quello di cui stiamo parlando è entrare in guerra con una potenza nucleare".
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