giovedì 23 aprile 2020

Passiamo alla fase 2? - Alessandra Ciattini , Aristide Bellacicco

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Antropologa) e Aristide Bellacicco (Medico) fanno parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni".
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Ma stiamo veramente passando dalla fase 1 a alla fase 2? Prima di procedere è meglio capire cosa è successo.

Il passato 2 aprile il Sole 24 ore, noto organo della Confindustria, ha pubblicato un articolo firmato da 150 scienziati ed accademici che, di fronte all’ipotesi di una perdita del PIL del 10% nel primo semestre del 2020 e di altri elementi assai preoccupanti, propone di avviare in maniera graduale il passaggio alla fase 2. Nello specifico, richiamandosi all’esempio della Corea del Sud, paese dove i contagi e le morti sono state consistenti ma bloccati, i firmatari sostengono: “Occorre iniziare ad elaborare rapidamente una fase 2 che consenta di tutelare al meglio la salute dei cittadini e nel contempo rimettere in moto l’Italia, evitando tuttavia il riaccendersi virulento della pandemia”.

È abbastanza logico che questo appello appaia sul quotidiano della Confindustria, giacché – come sappiamo – nonostante molte imprese anche non essenziali non si siano fermate, gli imprenditori delle regioni più industrializzate (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) premono perché si decida quella che loro chiamano enfaticamente la “ripartenza” [1], come se alle nostre spalle non avessimo decenni di arretramento su tutti i fronti. Cautela, invece, è dimostrata dall’infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano Massimo Galli, il quale ha dichiarato alla Stampa che l’emergenza non è finita e che non è ancora il momento di riaprire, mettendo in evidenza che ci sono molte persone asintomatiche in casa che potrebbero diffondere il virus, se messe in circolazione.

Ciononostante, con un ennesimo Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, Conte ha previsto alcune parziali riaperture ed ha istituito un comitato di esperti in materia economica e sociale, in cui non è presente nessun lavoratore o suo rappresentante, diretto da Vittorio Colao, ex amministratore della Vodafone.

Prima di valutare questa ipotesi, sarà il caso di analizzare criticamente la fase 1 e la validità di tutte le misure ad essa connesse, dato che i più esposti non sono certo gli imprenditori, chiusi per lo più nei loro comodi uffici, ma i lavoratori, i vecchi senza assistenza, i precari, i senza tetto etc. [2], e che nonostante ciò non sono chiamati a decidere sul loro prossimo futuro.

Ma quando è iniziata realmente la “fase 1”? E qual è l’effettivo significato di questa dizione che, in fondo, non è altro che uno slogan? 

Stante anche la fittizia chiusura delle attività produttiva, il punto è che questa famosa fase 1 non è mai veramente iniziata. Mantenendosi infatti sul piano di ciò che era effettivamente noto da molti anni riguardo non solo la possibilità, ma la probabilità, che ci si trovasse da un momento all’altro davanti a una pandemia virale di dimensioni paragonabili a quella attuale, i governi (europei e non) avrebbero dovuto mettere in azione fin dalle prime avvisaglie dell’infezione misure adeguate a limitarne il più possibile la diffusione [3].

Il dottor Ernesto Burgio, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale, ha recentemente dichiarato che “non solo c’era l’allarme ribadito a più riprese per 20 anni da scienziati e ricercatori, ma c’erano lavori di ricerca importanti su questi virus”. Il GPMB (Global Preparedness Montoring Board) metteva in evidenza analoghi rischi in una pubblicazione significativamente intitolata “Un mondo a rischio – Relazione annuale sui preparativi globali per le emergenze sanitarie” liberamente disponibile in rete. In questa relazione veniva letteralmente affermato che a una pandemia di queste proporzioni “il mondo non è preparato” e si fornivano le seguenti indicazioni:

1. I governi devono impegnarsi e investire su questo fronte.
2. I paesi e le organizzazioni devono dare l’esempio.
3. Tutti i paesi devono dotarsi di sistemi robusti per implementare misure di risposta a una pandemia trasversali a tutti i settori.
4. I paesi e le istituzioni devono essere pronti al peggio.
5. Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale devono con urgenza rinnovare i loro sforzi per integrare nel rischio economico la risposta veloce a una pandemia.
6. Istituzioni finanziarie e fondi di investimento devono incrementare i fondi a sostegno dei paesi più poveri e vulnerabili.
7. Le Nazioni unite devono rafforzare i meccanismi di coordinamento.

I governi erano dunque stati informati? Sì, senz’altro e per tempo. In particolare, il governo italiano aveva approvato nel 2016 un “Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia” che indicava sei obiettivi e sette azioni chiave per attrezzare il sistema sanitario e per la messa in sicurezza di medici, ospedali, infermieri e pazienti. Ma tale piano non è mai stato messo in opera, a differenza di quanto è stato fatto in Oriente (Cina in primis) già provate da questo tipo di esperienze.

Come ha dichiarato il senatore Gregorio De Falco “non è stato attuato il vigente Piano Anti Pandemia… a cominciare dalle scorte di materiali (DPI e ventilatori) e con l’adozione di specifiche misure operative, né successivamente all’insorgere dei primi focolai e nemmeno quando il governo ha decretato l’emergenza nazionale”.

Dopo le prime allarmanti notizie provenienti dalla Cina, Governo, Presidenti delle Regioni e sindaci si sono limitati a rassicurare i cittadini: si badi bene, rassicurarli a fronte di un pericolo di cui erano già informati e a fronte del quale avevano già predisposto (ma solo sulla carta) piani d’emergenza preventivi.

Il 21/02/2020 il Sindaco di Roma Virginia Raggi dichiarava dinanzi all’Assemblea Capitolina: “A oggi non siamo una regione a rischio e questo è un dato da diffondere e ribadire…non c’è alcuna ragione di allarme”. Allo stesso modo, il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, rassicurava tutti dicendo che “nella nostra regione non c’è un’emergenza coronavirus e questo è un dato da diffondere per contrastare dichiarazioni e allarmi non ufficiali che diffondono solo allarme nella popolazione”. Il 25/02/2020 il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana (sì, proprio lui), dichiarava in una seduta del Consiglio Regionale: “Cerchiamo di sdrammatizzare, è una situazione senz’altro difficile ma non così tanto pericolosa: il virus è molto aggressivo nella diffusione ma molto meno nelle conseguenze. È poco più di una normale influenza”.

Si badi bene: le tre dichiarazioni citate sono tutte successive alla dichiarazione di Stato d’emergenza emanata il 31/01/2011 dal Governo e di cui a lungo non si è avuta notizia.

Ecco dunque la verità sulla pretesa “Fase 1” ed è una verità semplice: essa non c’è mai stata né ci si è mai preparati per affrontarla in maniera adeguata. Non solo, ma si è continuato per qualche giorno a sostenere, da varie fonti di pretesa autorevolezza, che la situazione non era poi così grave.

A questo iniziale momento di immotivato ottimismo hanno fatto seguito, con stupefacente rapidità e concitazione, misure raffazzonate e contraddittorie che certo tutti ricordiamo:

- il 21 febbraio l’istituzione della “zona rossa” comprendente dieci comuni della Lombardia (area del Lodigiano) cui fece seguito, da lì a pochi giorni
- l’estensione della zona all’intera Lombardia, a varie province della Liguria, dell’Emilia Romagna e delle Marche e poi
- l’estensione all’intero territorio nazionale delle misure che ben conosciamo e alle quali siamo ancora sottoposti.

Ma si badi: contestualmente all’allargamento della zona rossa a zona arancione, la prima (quella “rossa”) venne abolita con la conseguenza di provocare, complice una quanto mai sospetta “fuga di notizie”, la fuga di decine di migliaia di persone verso i paesi del sud Italia. La cosiddetta “quarantena” fu estesa all’intero territorio nazionale e così è a tutt’oggi, con il parziale e discutibile sblocco previsto per il 3 maggio.

Ora, si tenga presente che la “quarantena” ha, in medicina infettivologica, un senso molto preciso: significa che da una data zona colpita da un’epidemia (che sia essa un comune, una regione, un’isola o una nave) nessuno entra e nessuno esce fino a quando la catena dei contagi non si sia azzerata. Le persone devono restare all’interno dell’area soggetta alla misura, mentre ai loro bisogni (cibo, vestiario, generi di necessità, rimozione dei rifiuti, cure mediche ecc.) si provvede recapitando a domicilio, ciò che occorre attraverso apposite forme organizzative (protezione civile, volontari e quant’altro). Ne segue che la misura della quarantena deve avere, e non può non averla, un’estensione limitata e un tempo limitato. Ma è una cosa del tutto ridicola pensare di mettere in quarantena sessanta milioni di abitanti. Che poi nemmeno di una vera e propria quarantena si tratti è reso evidente dalla possibilità di andare al supermercato, in tabaccheria ecc.

Una considerazione ancora per quanto riguarda il numero dei morti, di difficile controllo dato lo scarso numero di tamponi effettuati complessivamente: sarebbe davvero necessario e onesto che ci venisse detto quanto pesano, sulla mortalità complessiva attribuita all’epidemia le infezioni batteriche ospedaliere che, com’è noto, costituiscono a loro volta una vera e terribile epidemia.

Dunque, ciò che viene spacciato per “fase uno” non è in realtà mai esistito: nessuna misura è stata presa per isolare, attraverso appositi “corridoi sanitari” (come ci suggerisce il dottor Burgio) le persone semplicemente positive al virus, sebbene asintomatiche, separandole dai non contagiati e confinandole in apposite strutture di accoglienza per cercare di interrompere la catena dei contagi all’origine. Né le persone rimaste a casa e ammalatesi sono state sottoposte spesso a tampone, per cui nel caso del loro decesso, non siamo in grado di stabilire quale ne sia stata effettivamente la causa.

Questa complessa situazione avrebbe richiesto attenzione e lungimiranza: ma è impossibile aspettarsi tali qualità quando l’elemento fondamentale che si pone alla base della vita sociale sono il debito pubblico e le regole di Maastricht, vale a dire la rendita finanziaria capitalistica.

Lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, si è mosso sotto la spinta di un attivismo televisivo e dell’improvvisazione; e questo ha fatto sì che ricorresse agli strumenti più brutali e rozzi che più gli sono congeniali e per i quali è sempre preparato: vale a dire il controllo, la repressione e la punizione.

Le abitudini quotidiane e ordinarie dei cittadini sono state additate come i rischi principali da combattere e contrastare con estrema durezza: multe, denunce, ipotesi di reato. Tutti colpevoli, insomma tranne lo Stato neoliberista che ha tagliato sanguinosamente la sanità pubblica e non ha saputo tenere conto dei segnali d’allarme che la scienza, anch’essa d’altra parte foraggiata dal capitale, aveva ciononostante lanciato. Come si può leggere su un sito francese, le autorità politiche italiane hanno optato per una gestione poliziesca della crisi sanitaria, instaurando un incostituzionale stato d’assedio, controllando la gente per strada, mentre molte imprese hanno continuato le loro attività produttive e dei servizi, costringendo i lavoratori al rischio di essere contagiati e di trasformarsi in involontari portatori del contagio.

Inoltre, come è stato scritto da illustri costituzionalisti, la nostra Costituzione non prevede lo stato di eccezione e quindi con esso la sospensione delle garanzie personali ed istituzionali da essa stessa sancite (sarebbe contraddittorio). Anche nel caso di guerra, la democrazia parlamentare, offuscata in queste settimane dalla quasi totale chiusura del Parlamento, è a quest’ultimo che spetta dichiararlo, attribuendo i poteri necessari, non pieni (come qualcuno talvolta vaneggia), all’esecutivo. Secondo il costituzionalista Gaetano Silvestri questa disposizione costituzionale indica che occorre valutare “l’appropriatezza degli interventi istituzionali nelle situazioni di emergenza, qualunque sia la loro causa”.

A partire dall’infondata premessa che era necessario stabilire uno stato di eccezione, scavalcando il parlamento e lo stesso governo perché rissoso e disomogeneo, il Presidente del Consiglio si è sentito investito dal potere di prendere misure emergenziali per mostrare la sua finta tempestività. Ed è così che siamo stati inondati da “un profluvio di Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri contenenti discipline delle più varie materie e dei più disparati oggetti, norme attuative di disposizioni già vigenti e, insieme, norme anche fortemente innovative della legislazione esistente, non escluse limitazioni di diritti fondamentali, prescrizioni di nuovi doveri di comportamento, financo sanzioni penali”. Questo comportamento non è in linea con il dettato costituzionale, in quanto i provvedimenti presi si sottraggono al controllo parlamentare, alla valutazione del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale. Ne consegue che, in caso di emergenza, “lo strumento non surrogabile, da utilizzare per interventi immediati, è il decreto legge (art. 77 “in casi straordinari di necessità e urgenza…”), in quanto sottoposto ai controlli su citati.

Sulla base di queste considerazioni ci sentiamo di affermare che non ci troviamo affatto all’inizio della “fase 2” ma in una strana “fase x”, priva di idee e di effettive politiche sanitarie e sociali. Si aspettano le decisioni della cupola europea per sapere cosa ci sarà lecito fare e cosa no, tenendo conto che i vari governi succedutisi hanno accumulato circa 2.400 miliardi di debito, il 30% del quale sta in mani straniere. Altri paesi, come gli USA, ci promettono di aiutarci, inviandoci materiale sanitario, allestendo ospedali e consentendoci di impiegare i loro medici presenti in Italia (Memorandum Trump), in vista di qualche ulteriore cedimento di fronte ai dinieghi europei? Sono solo fantasie? Ci piacerebbe se fosse così, ma abbiamo presenti ciò che si è abbattuto sulla Grecia e i guadagni che hanno tratto da essa le banche tedesche e francesi.

Adesso coloro che hanno aumentato l’età pensionabile, che hanno, anche a prescindere dal colore politico, assottigliato fino all’osso gli strumenti di tutela sociale, compreso il sistema sanitario, che hanno consegnato il lavoro come variabile dipendente nelle mani dei padroni, che hanno abbandonato a loro stessi i più deboli, e che hanno stipulato patti infernali con i più forti, si ergono a nostri severi tutori. C’è qualcuno che ci crede? A chi giova questa epidemia?

Note

[1] D’altra parte, come afferma Eliana Como della minoranza della CGIL, intervistata da Radio Quarantena, il blocco totale, per esempio, in Lombardia non c’è mai stato, giacché 14.000 imprese hanno continuato tranquillamente a lavorare ed altre hanno chiesto e chiedono deroghe al prefetto, che si basano sulla sola autocertificazione. A suo parere, per contenere l’epidemia il governo avrebbero dovuto decidere ed attuare la chiusura a fine febbraio come aveva indicato l’istituto superiore di Sanità e non ha partire dal 22 marzo. A ciò va aggiunto il fatto che la società Leonardo, produttrice di sistemi aerospaziali e di “sicurezza”, con fabbriche in Italia e all’estero, ha continuato la produzione di armi sia pure con un rallentamento su pressione dei lavoratori.

[2] Si tenga presente che negli Stati Uniti il maggior numero di morti si registra tra i cittadini di origine africana e ispanica.

[3] Un altro elemento da non sottovalutare è l’arrivo in Europa a metà marzo di soldati e di materiale statunitensi per un’operazione assai costosa, Defender Europe 2020, una grandiosa manovra militare della NATO, successivamente ridimensionata, con lo spostamento verso la Polonia e i paesi baltici di queste truppe e il loro rientro in patria. A causa della pandemia il 13 marzo il governo italiano si è ritirato dall’iniziativa chiaramente antirussa (Defender 2020: il coronavirus blocca la NATO diretta verso i confini russi). 

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