Carla Maria Fabiani, Università
del Salento. Department of Humanities
Il marxismo e lo Stato.
Il dibattito aperto
nella sinistra italiana sulle tesi di Norberto Bobbio1.
In questa appendice
vorremmo dar conto di una polemica aperta alla fine degli anni
settanta da Norberto Bobbio, a proposito della mancanza in Marx e nei
marxisti contemporanei di una dottrina articolata e compiuta sullo
Stato. Gli interventi in risposta a Bobbio sono numerosi e non tutti
prendono direttamente in considerazione la questione teorica se e in
che modo Marx abbia criticato lo Stato capitalistico e soprattutto
fino a che punto nei suoi testi sia rintracciabile una costruzione
positiva di uno Stato ‘altro’ da quello borghese. Tutti invece
(Bobbio compreso)discutono del rapporto democrazia-socialismo,
incalzati dalle “dure repliche della storia” che l’hanno reso
assai problematico, anche e soprattutto in una prospettiva di
modificazione politica della realtà capitalistica dell’Occidente
europeo e italiano nella fattispecie2.
Certamente l’accenno
marxiano - presente già nell’Ideologia tedesca, in Miseria della filosofia,
poi nel Manifesto, e nel saggio sulla Comune, oltre che in
misura minore nel Capitale -al necessario superamento
dell’ordinamento sociale borghese, delle sue classi e quindi della
sovrastruttura statale che gli corrisponde, viene da tutti citato, ma
al contempo considerato solo come un accenno e non come una vera e
propria teoria politica di Marx. D’altra parte il Marx del1843 –
la Critica a Hegel - non viene ricordato, e nemmeno viene presa in
considerazione la concezione sostanzialmente etica che quel Marx
aveva del sistema statale; non viene altresì considerato il
passaggio alla critica dell’economia politica, o meglio, viene
visto come un’esclusione da parte di Marx di una riflessione che
sia tutta incentrata sullo Stato, sulle istituzioni politiche
borghesi e su quelle ad esse tendenzialmente opposte.
La critica marxiana
allo Stato capitalistico borghese non si presenta perciò - secondo
la tesi di Bobbio e pure secondo quei marxisti sollecitati dalla
polemica - connessa a una costruzione teorica che dia conto delle
diverse forme in cui si organizza il dominio della
borghesia(soprattutto la forma democratica di Stato che dovrebbe poi
mantenersi all’interno di quello Stato socialista che Marx non ha
comunque articolato), ma prende di mira l’essenza violenta - lo
Stato come “violenza concentrata e organizzata della società” -
di quel sistema di dominio di una classe sull’altra, della
borghesia sul proletariato, che potrà superarsi solo attraverso una
rivoluzione strutturale della società, all’indomani della quale si
porrà allora il problema concreto di come organizzare praticamente
la transizione al comunismo. Alla nuova società senza classi esenza
Stato si dovrà arrivare comunque attraverso un processo politico,
rispetto al quale, dicono Bobbio e gli intellettuali marxisti, nei
testi di Marx non c’è un riferimento particolareggiato, non ci
sono indicazioni in proposito.
L’urgenza politica
che Bobbio manifesta è quella di concentrarsi da una parte sul
concetto di democrazia - rappresentativa e/o diretta - e comunque
sulle forme e gli istituti democratici che l’ordinamento borghese
ha prodotto, e dall’altra sulla compatibilità fra questa e il
‘socialismo’,visto al di fuori della sua realizzazione pratica
nell’Unione Sovietica, ma al di dentro di una prospettiva
teorico-politica vicina al marxismo italiano, che deve prendere atto
però dell’insufficienza teorica marxiana sulla questione dello
Stato (seppure realisticamente definito come dominio basato sulla
forza di un interesse sull’altro) e tentare di riempire il vuoto
lasciato dal teorico della “rivoluzione sociale”, con uno studio
finalmente incentrato sui rapporti, sulle istituzioni e sulle forme
alternative possibili a quelle specificamente borghesi.
Considereremo
in margine anche un intervento di Antonio Negri3 sull’argomento
discusso da Bobbio e i marxisti ; l’interesse che può
suscitare è dato dal fatto che Negri riporta la discussione sullo
stretto nesso economico-politico, individuato da Marx, fra Stato e
capitale, ma,curiosamente, tende a interpretare e ricostruire il
pensiero marxiano utilizzando essenzialmente i Grundrisse
ed escludendo invece proprio l’opera principale di Marx,
il Capitale,
nella quale – già nel 24° capitolo del I libro - è
rintracciabile una trattazione non accidentale di quel nesso4.
Si
vuole inoltre precisare che non daremo conto di tutti gli interventi
di risposta a Bobbio,ma solo di quelli che esplicitamente fanno
riferimento ai testi o al pensiero di Karl Marx.
Le
Tesi di Bobbio
Bobbio
prende spunto da un’affermazione di Umberto Cerroni5 riguardo
l’inesistenza o insufficienza di una scienza politica marxista che
indichi una alternativa alla teoria dello Stato democratico borghese
; ricorda anche l’intervista di Lucio Colletti6, nella quale si
conclude che al marxismo manca una vera e propria teoria politica. Di
conseguenza si rivolge ai marxisti italianil anciando loro un
‘appello’ affinché pongano rimedio a questa lacuna teorica che,
a proposito di Marx, è inscindibile dal piano della prassi politica.
Dice
Bobbio che l’utilizzo dei testi marxiani non può d’altronde più
aiutarci a comprendere la complessità della società contemporanea ;
se la prende con il cosiddetto “principio di autorità”,che
spinge molti marxisti ad abusare delle poche indicazioni forniteci da
quei testi a proposito dell’analisi delle istituzioni
(capitalistiche o socialiste che siano). Marx in fondo non avrebbe
scritto, come era invece nelle sue intenzioni, una critica della
politica, piuttosto una critica dell’economia, dalla quale una
scienza marxista dello Stato non è ricavabile.
Il
rapporto poi fra Hegel e Marx (la critica di Marx allo Stato
hegeliano) non può essere fondante in proposito poiché, tutto
sommato - dice Bobbio -, lo “Stato etico” è ancora, per certi
aspetti, preborghese, indi per cui non ha le caratteristiche atte a
costituire la base di una criticamarxista allo Stato moderno e
tantomeno di una teoria socialista dello Stato. Il socialismo
reale,da parte sua, non ha contribuito a semplificare il compito dei
marxisti italiani, nella misura in cui non ha ricompreso in sé le
libertà civili.
Allora
da che cosa ripartire, domanda polemicamente Bobbio, dal confronto
fra Marx e Weber? La critica marxiana della burocrazia - nella
critica allo Stato hegeliano e al secondo Impero di Luigi Bonaparte -
prefigura uno “Stato socialista” che farà a poco a poco a meno
dell’apparato burocratico, Weber invece ritiene - giustamente dice
Bobbio - che il socialismo sarà più burocratico del capitalismo. In
questo senso i marxisti dovrebbero abbandonare le previsioni marxiane
per confrontarsi con altri teorici delle istituzioni, al fine di
conquistare una teoria che indichi non solo ‘chi’ dovrà
governare l’eventuale transizione dal capitalismo al socialismo, ma
soprattutto ‘come’ governerà lo Stato durante il socialismo.
Anche
se il pensiero politico di Marx può essere iscritto nella grande
corrente del realismo politico - lo Stato come apparato di dominio è
innegabile anche secondo Bobbio - non ci ha lasciato però “ricette
per l’avvenire”, cosicché i problemi della democrazia e del
passaggio alsocialismo non possono certo essere risolti con il
reiterato studio dei suoi testi.
Successivamente
Bobbio si interroga sul significato di democrazia - in quanto
rispetto delle“regole
del gioco” - e sfida i marxisti a pronunciarsi sulla possibilità o
meno di conciliare le libertà civili e politiche, conquistate dallo
Stato democratico-rappresentativo, con il socialismo,del quale pure
si avverte la necessità, nella misura in cui la moderna democrazia
rappresentativa dà luogo a una serie di “paradossi”, tra i quali
per esempio c’è proprio il mancato rispetto di quelle regole.
Allora, la domanda conclusiva deve articolarsi intorno alla nozione
di “modello alternativo” a quello dello Stato borghese, modello
che però non può prendere spunto dal pensiero politico di Marx, per
il quale lo Stato, alla fine, deve semplicemente scomparire.
Le
Risposte
Secondo
Umberto Cerroni c’è stato un fraintendimento della teoria politica
marxista e marxiana che ha nuociuto agli intellettuali di sinistra e
al movimento operaio stesso. Ovverosia,si è voluto separare il piano
pratico della politica da quello strettamente scientifico, cosicché
il socialismo è apparso o solo come la scomparsa dello Stato -
conseguenza teorica del superamento della formalità delle libertà
borghesi - oppure come un innesto non meglio definito della
“democrazia diretta” all’interno della “democrazia
rappresentativa”. Viceversa, il marxismo deve unire in sé teoria e
prassi, politica e scienza dello Stato, socialismo e democrazia ;
dando prova di essere proprio quella scienza critica del capitalismo
che immediatamente accenna al superamento della gestione borghese del
potere politico. “La mia conclusione è che il problema della
mediazione della democrazia politica dentro al socialismo è anche il
problema della mediazione del socialismo dentro la democrazia
politica.”7 Certamente questo, dice Cerroni, è ancora solo un
proposito, avvalorato però già dalle parole di Gramsci il quale
individuava come esigenza storica, prima che politica, il superamento
della divisione del genere umano in“governanti
e governati” ; l’attuazione del socialismo, in altri termini, può
non ridursi a un problema meramente “tecnico” oppure solo
astratto e lontano dalla realtà storica presente.
L’intervento
di Valentino Gerratana prende anch’esso in considerazione il
problema del rapporto democrazia-socialismo ed è tutto teso a
dimostrare la massima compatibilità dell’una con l’altro;
d’altra parte riconosce come paradossale la “[…] pretesa di
anteporre
alla
ricerca teorica marxista
la
preventiva liquidazione del pensiero politico di Marx.”8 Sul
problema della“democrazia
diretta”, dei modi e delle forme della sua applicazione all’interno
della “democrazia rappresentativa” o in sostituzione di essa,
Gerratana crede che vi sia un’opposizione reale fra le due, ma
altrettanto vitale per la difesa delle libertà civili e politiche
conquistate dal movimento operaio ; conviene comunque con Bobbio nel
definire “sovversiva” la democrazia in sé, nel senso che “[…]se
davvero fosse pienamente realizzata […] sarebbe essa, e non la
ipotetica società senza classi, la fine dello Stato[…].”9 La sua
conclusione perciò non è distante da quella di Bobbio, nella misura
in cui ritiene che solo all’interno di un quadro democratico
pienamente realizzato il socialismo potrà affermarsi senza pericolo
di autoritarismo.
Furio
Diaz interviene citando da subito i testi marxiani;
il Manifesto,
Miseria della filosofia, l’
Ideologia tedesca
,
e il saggio sulla Comune. Riconosce la scarsità delle indicazioni
riguardo il modo pratico di instaurare lo Stato socialista, ma dice
che questo fu un vuoto che di proposito Marx non volle colmare,
consapevole della fallacia teorica di ogni previsione su un futuro
troppo lontano. Il modello rappresentativo dello Stato
democratico-borghese è comunque entrato in crisi ; l’unica
soluzione che resta ai marxisti è quella di avere “fiducia nella
storia e nell’empiria”. Da una parte, dice Diaz, è necessario
premere sui ceti produttori emergenti per inserirli
nell’articolazione interna dello Stato e della società civile ;
d’altra parte bisogna dare nuovi contenuti alla democrazia
rappresentativa, sperando che “[…] magari l’ultimo ma il più
maturo e solido di questi contenuti sia il socialismo.”10 La fase
di transizione che l’Italia sta vivendo, non può che contare sulla
“volontà politica” di chi intende modificare e rendere più
vitali le istituzioni e le norme che la governano. Il futuro rimane
nell’indeterminatezza.
L’ultimo
intervento che vogliamo citare - prima delle controrepliche di Bobbio
- è quello di Giuseppe Vacca. E’ un lungo intervento questo, che
tende innanzitutto a chiarire il significato attuale di “democrazia
diretta” intesa come “democrazia consiliare” (consigli di
fabbrica,consigli di zona, etc.), “democrazia dal basso” o
“democrazia dei produttori”, la quale comunque garantisce da
sempre all’Italia una strenua opposizione contro forze
antidemocratiche, fasciste o antiliberali in genere. Certamente da
questa democrazia ‘non solo politica’ deve avviarsi un processo
di costruzione del socialismo come associazione dei produttori,
riappropriazione da parte loro dei mezzi di produzione e come
espropriazione del potere politico borghese. Per quanto riguarda poi
la critica di Bobbio al “marxismo teorico” non basta imputare ai
testi marxiani la mancanza di una compiuta dottrina dello Stato;
bisogna confrontarsi scientificamente con la storia e con i suoi
processi. Innanzitutto, l’intellettuale marxista non può astrarre
dal movimento operaio di massa che costituisce la sua base
essenzialmente pratica. D’altra parte la scienza politica marxista
si contraddistingue per essere soprattutto critica
e
non invece positiva,
come lo è la “modellistica giuridica” borghese. Uno sviluppo non
astratto di essa può perciò procedere solo dall’incontro di
quella critica con la realtà delle masse ; un incontro che deve
passare attraverso la ‘forma partito’ prima che attraverso le
istituzioni dello Stato. Il referente principale di Vacca è Gramsci
e la sua teoria storico-politica dello Stato, inteso non come un
‘luogo’
autonomo e razionale in sé, ma come una forma relativa e legata agli
sviluppi riproduttivi della società borghese. Il marxismo deve
imporsi, nell’età imperialista, come l’unica scienza integrale
della politica, che unisca in sé critica del presente e
consapevolezza dei processi storici a venire. Il prezioso nesso
intellettuali-masse deve poi intervenire nella pratica democratica al
fine di trasformarla dall’interno, non solo da un punto di vista
politico ma anche e soprattutto economico-riproduttivo. Solo su
questi presupposti è possibile pensare una transizione democratica
al socialismo che prenda in considerazione, nel particolare, anche le
forme di governo, gli istituti, il ‘come’ oltre il ‘chi’ di
un processo di sviluppo della società umana insenso socialista.
Le
controrepliche di Bobbio
L’insoddisfazione
che Bobbio esprimeva riguardo la mancanza di una dottrina marxista
dello Stato, delle forme di governo e delle istituzioni, non viene
acquietata dagli interventi sopraesposti. Si stupisce innanzitutto
perché i suoi interlocutori non hanno fatto precisi riferimenti alla
teoria ‘di Marx’, piuttosto al marxismo, come scienza politica
critica
e
in corso di formazione. D’altra parte avrebbe voluto che i marxisti
si pronunciassero più decisamente sulle cosiddette“regole
del gioco” democratico, lasciando stare le finezze disquisitorie su
che cosa sia o cosa debba essere “democrazia diretta”. E’
semmai il “sistema parlamentare” ciò che sta a cuore a Bobbio,
anche se la democrazia può realizzarsi, dice lui, pure fuori del
luogo strettamente politico ; ma precisamente “dove ?” E’ la
domanda a cui i marxisti non hanno saputo rispondere. L’altra
“inquietante domanda” a cui i marxisti non hanno dato risposta è
quella che riguarda il nesso democrazia-socialismo ; e più
precisamente non si sono distinti esplicitamente da chi vuole
realizzare la società socialista attraverso la distruzione violenta
dello Stato borghese, intraprendendo un lungo cammino rivoluzionario
senza l’accorto uso degli istituti democratici esistenti. Quale
socialismo è l’uno e quale l’altro ? Se la democrazia è il solo
mezzo, secondo questi marxisti, per guadagnare “l’uomo nuovo”,
Bobbio si chiede quale sia questa umanità rinnovata a cui
tenacemente aspirano, quale sia il socialismo che agognano nella
teoria e nella prassi politica.
L’intervento
di Negri
Di
tutt’altra tendenza è la riflessione di Negri in proposito.
Considera una domanda seria quella che Bobbio rivolge ai “marxisti
riformisti”, i quali sono sostanzialmente scollati, secondo lui, da
qualsiasi prospettiva rivoluzionaria della realtà e dello Stato
capitalistico-borghese. In questo senso non possono marxianamente
rispondere alle domande di Bobbio. Manca loro il metodo
(materialistico-storico e soprattutto dialettico), manca loro la base
teorica su cui ricostruire, a partire da Marx, il nesso
economico-politico fra Stato e capitale, e riconoscere lo Stato come
“il capitale collettivo” per eccellenza. La democrazia è ormai
solo l’involucro formale della negazione del potere politico della
classe operaia ; lo sfruttamento dell’operaio è affidato allo
Stato, a fronte della progressiva messa in crisi della pura legge del
valore. La crisi dello sviluppo capitalistico lascia che lo Stato
sussuma il capitale e riproduca per esso l’essenza dello
sfruttamento. E’ per questo, dice Negri, che “ribellarsi è
giusto”, nella misura in cui la classe operaia ha di fronte a sé
un potere massimamente visibile e concentrato, un potere politico del
quale bisogna fare una critica teorica che abbia un immediato
risvolto pratico. La dialettica marx-engelsiana ci garantisce, dice
Negri, la possibilità di un rovesciamento pratico del potere dello
Stato, che segni contemporaneamente la fine di ogni legge del valore
e di sfruttamento. “Il testo fondamentale di Marx cui questa
lettura si riferisce è quello dei Grundrisse:
qui infatti la continuità metodologica del pensiero marxiano può
essere ricostruita nella sua pienezza.”11
Per
quanto riguarda poi la forma concreta del rovesciamento dello Stato
capitalistico, Negri vede bene la “dittatura del proletariato”,
in quanto superamento definitivo di ogni formalismo
democratico-costituzionale. Conviene con Bobbio che Marx non ci ha
lasciato una teoria dello Stato socialista, piuttosto la base teorica
per interloquire con gli operai, con la loro ormai chiara coscienza
di che cosa sia il potere e di che cosa debba essere il “potere
comunista”. La sfida ultima lanciata da Negri al riformismo
è
perciò quella di provare a costruire una teoria della“distruzione
dello Stato” che proceda veracemente dalle indicazioni teoriche
marxiane e da quelle pratiche della classe operaia rivoluzionaria.
NOTE
1
AAVV, Il
marxismo e lo Stato,
<<Mondoperaio>>, Giugno 1976, supplemento al n° 6, pp.
1-215.
2
Con il senno di poi, certamente, molte delle riflessioni che andremo
a esporre potranno
risultare ‘ingenue’ e molto lontane da quella che oggi si suole
definire mondializzazione
dell’economia, e da quello che ormai viene
considerato, anche da un punto di vista critico, il
‘pensiero unico’ dominante. Tuttavia vogliamo dar conto del
dibattito in termini il più possibile oggettivi, facendo astrazione
dal presente, e riportando a mo’ di scheda gli interventi di quei
marxisti - oltre quelli di Bobbio - che ci sembrano maggiormente
rappresentativi del problema teorico sollevato intorno alla presenza
o meno nei testi di Marx,di una compiuta teoria politica della forma
di Stato, diversa da quella specificamente borghese ‘dispotica
costituzionale o repubblicana che sia’. (continua)
3
Antonio Negri, La
forma stato,
Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 273-287.
4
Il nesso Stato-capitale che Negri mette in evidenza, rovescia, a
nostro parere, l’effettivo rapporto di sussunzione fra i due
termini. Come si è potuto constatare dall’analisi del 24°
capitolo del I libro del Capitale
e
poi dalla ricostruzione marxiana del sistema creditizio (V sezione
del III libro), non è e non può essere il sistema statale a
sussumere il rapporto capitalistico di produzione, come invece vuole
Negri, il quale dice chiaramente - come si vedrà meglio più avanti
– che durante la crisi è lo Stato ad applicare la legge del valore
e dello sfruttamento e a garantire la continuità del rapporto di
produzione capitalistico. Certamente lo Stato ha il potere di
intervenire in modo extraeconomico nel corso dei processi della
riproduzione capitalistica, tuttavia, come si è visto, il ‘sistema
di metodi e leve’,
la ‘violenza concentrata e organizzata’ che lo Stato rappresenta
per la società borghese, viene a sua volta riprodotta dal capitale,
così come viene riprodotto l’ordinamento sociale e politico
borghese nel suo insieme. Lo Stato perciò, secondo la nostra
lettura, si presenta all’origine come la forma sistematica
dell’accumulazione del capitale, ma viene una volta per tutte
sussunto dal processo della riproduzione capitalistica, quando
contribuisce essenzialmente alla nascita della Banca
centrale,intrattenendo con essa rapporti economico-politici, tali che
la sua stessa riproduzione viene a dipendere dalla gestione,da parte
di quella Banca, del capitale
del debito pubblico;
dipende cioè dalla forma autonoma che il capitale monetario da
prestito assume quando diventa capitale
produttivo d’interesse su
base capitalistica. L’autonomizzazione di questa forma di capitale
fa sì che possano intercorrere rapporti finanziari fra Stato e
capitale (lo Stato può assumersi il peso di una politica monetaria e
fiscale volta a ridurre la spesa pubblica, il tasso inflazionistico,
i tassi d’interesse, etc.), ma ciòche regola la politica economica
della nazione e i suoi rapporti col mercato finanziario
internazionale è proprio quel sistema creditizio-bancario che, in un
quadro capitalistico avanzato, si muove indipendentemente dalla forma
politica dello Stato, determinandone anzi gli indirizzi in materia
economica, i quali certamente rispondono ai bisogni di valorizzazione
del capitale complessivo sociale e non alle esigenze riproduttive
della società nel suo insieme, tanto meno a quelle della classe dei
lavoratori salariati. In questo senso diciamo che è il capitale a
sussumere lo Stato e mai viceversa; anche quando, durante la crisi,
si vengano a creare effettive difficoltà per il capitale produttivo
e vi sia una gestione del conflitto sociale e dei rapporti fra le
classi concentrata nelle mani del potere governativo, come se fosse
questo, con forze extraeconomiche, a venire in soccorso del capitale.
In realtà, dice Marx, il nesso economico-politico fra lo Stato e la
Banca centrale è il garante della continuità del rapporto
capitalistico di produzione, nella misura in cui la Banca e il
Tesoro (la contabilità finanziaria dello Stato) conservano la forma
monetaria del capitale e dei redditi di tuttala nazione, mantenendo
l’accumulazione monetaria del capitale complessivo sociale intatta
e pronta per ricominciare di nuovo su una rinnovata base
capitalistica.
5
U. Cerroni, Democrazia
socialista ?,
in AAVV,Omaggio
a Nenni,
<<Quaderni di Mondoperaio>>, 1973.
6
L. Colletti, Intervista
politico-filosofica,
Bari, Laterza, 1974.(continua)
7
AAVV, Il
marxismo e lo Stato,
cit., p. 50.
8 Ivi,
p. 86.
9
Ivi, p. 28.
10
Ivi, p. 113.
11
A. Negri, La
forma stato,
cit., p. 280n.
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