venerdì 10 aprile 2020

Il marxismo e lo Stato. Un dibattito italiano 1975-1976 - Carla Maria Fabiani

Da: CARLA MARIA FABIANI. TESI DI LAUREA, A.A. 1997-1998, UNIVERSITà DEGLI STUDI DI ROMA “LASAPIENZA”, TITOLO: IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX. - APPENDICE - http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.academia.edu/1424146/Il_problema_dello_stato_in_Karl_Marx?email_work_card=view-paper 
Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities 

                        "DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio 


 Il marxismo e lo Stato.

Il dibattito aperto nella sinistra italiana sulle tesi di Norberto Bobbio1.


In questa appendice vorremmo dar conto di una polemica aperta alla fine degli anni settanta da Norberto Bobbio, a proposito della mancanza in Marx e nei marxisti contemporanei di una dottrina articolata e compiuta sullo Stato. Gli interventi in risposta a Bobbio sono numerosi e non tutti prendono direttamente in considerazione la questione teorica se e in che modo Marx abbia criticato lo Stato capitalistico e soprattutto fino a che punto nei suoi testi sia rintracciabile una costruzione positiva di uno Stato ‘altro’ da quello borghese. Tutti invece (Bobbio compreso)discutono del rapporto democrazia-socialismo, incalzati dalle “dure repliche della storia” che l’hanno reso assai problematico, anche e soprattutto in una prospettiva di modificazione politica della realtà capitalistica dell’Occidente europeo e italiano nella fattispecie2.

Certamente l’accenno marxiano - presente già nell’Ideologia tedesca, in Miseria della filosofia, poi nel Manifesto, e nel saggio sulla Comune, oltre che in misura minore nel Capitale -al necessario superamento dell’ordinamento sociale borghese, delle sue classi e quindi della sovrastruttura statale che gli corrisponde, viene da tutti citato, ma al contempo considerato solo come un accenno e non come una vera e propria teoria politica di Marx. D’altra parte il Marx del1843 – la Critica a Hegel - non viene ricordato, e nemmeno viene presa in considerazione la concezione sostanzialmente etica che quel Marx aveva del sistema statale; non viene altresì considerato il passaggio alla critica dell’economia politica, o meglio, viene visto come un’esclusione da parte di Marx di una riflessione che sia tutta incentrata sullo Stato, sulle istituzioni politiche borghesi e su quelle ad esse tendenzialmente opposte.

La critica marxiana allo Stato capitalistico borghese non si presenta perciò - secondo la tesi di Bobbio e pure secondo quei marxisti sollecitati dalla polemica - connessa a una costruzione teorica che dia conto delle diverse forme in cui si organizza il dominio della borghesia(soprattutto la forma democratica di Stato che dovrebbe poi mantenersi all’interno di quello Stato socialista che Marx non ha comunque articolato), ma prende di mira l’essenza violenta - lo Stato come “violenza concentrata e organizzata della società” - di quel sistema di dominio di una classe sull’altra, della borghesia sul proletariato, che potrà superarsi solo attraverso una rivoluzione strutturale della società, all’indomani della quale si porrà allora il problema concreto di come organizzare praticamente la transizione al comunismo. Alla nuova società senza classi esenza Stato si dovrà arrivare comunque attraverso un processo politico, rispetto al quale, dicono Bobbio e gli intellettuali marxisti, nei testi di Marx non c’è un riferimento particolareggiato, non ci sono indicazioni in proposito.

L’urgenza politica che Bobbio manifesta è quella di concentrarsi da una parte sul concetto di democrazia - rappresentativa e/o diretta - e comunque sulle forme e gli istituti democratici che l’ordinamento borghese ha prodotto, e dall’altra sulla compatibilità fra questa e il ‘socialismo’,visto al di fuori della sua realizzazione pratica nell’Unione Sovietica, ma al di dentro di una prospettiva teorico-politica vicina al marxismo italiano, che deve prendere atto però dell’insufficienza teorica marxiana sulla questione dello Stato (seppure realisticamente definito come dominio basato sulla forza di un interesse sull’altro) e tentare di riempire il vuoto lasciato dal teorico della “rivoluzione sociale”, con uno studio finalmente incentrato sui rapporti, sulle istituzioni e sulle forme alternative possibili a quelle specificamente borghesi.

Considereremo in margine anche un intervento di Antonio Negri3 sull’argomento discusso da Bobbio e i marxisti ; l’interesse che può suscitare è dato dal fatto che Negri riporta la discussione sullo stretto nesso economico-politico, individuato da Marx, fra Stato e capitale, ma,curiosamente, tende a interpretare e ricostruire il pensiero marxiano utilizzando essenzialmente i Grundrisse ed escludendo invece proprio l’opera principale di Marx, il Capitale, nella quale – già nel 24° capitolo del I libro - è rintracciabile una trattazione non accidentale di quel nesso4.

Si vuole inoltre precisare che non daremo conto di tutti gli interventi di risposta a Bobbio,ma solo di quelli che esplicitamente fanno riferimento ai testi o al pensiero di Karl Marx. 

Le Tesi di Bobbio  

Bobbio prende spunto da un’affermazione di Umberto Cerroni5 riguardo l’inesistenza o insufficienza di una scienza politica marxista che indichi una alternativa alla teoria dello Stato democratico borghese ; ricorda anche l’intervista di Lucio Colletti6, nella quale si conclude che al marxismo manca una vera e propria teoria politica. Di conseguenza si rivolge ai marxisti italianil anciando loro un ‘appello’ affinché pongano rimedio a questa lacuna teorica che, a proposito di Marx, è inscindibile dal piano della prassi politica.  
Dice Bobbio che l’utilizzo dei testi marxiani non può d’altronde più aiutarci a comprendere la complessità della società contemporanea ; se la prende con il cosiddetto “principio di autorità”,che spinge molti marxisti ad abusare delle poche indicazioni forniteci da quei testi a proposito dell’analisi delle istituzioni (capitalistiche o socialiste che siano). Marx in fondo non avrebbe scritto, come era invece nelle sue intenzioni, una critica della politica, piuttosto una critica dell’economia, dalla quale una scienza marxista dello Stato non è ricavabile.  
Il rapporto poi fra Hegel e Marx (la critica di Marx allo Stato hegeliano) non può essere fondante in proposito poiché, tutto sommato - dice Bobbio -, lo “Stato etico” è ancora, per certi aspetti, preborghese, indi per cui non ha le caratteristiche atte a costituire la base di una criticamarxista allo Stato moderno e tantomeno di una teoria socialista dello Stato. Il socialismo reale,da parte sua, non ha contribuito a semplificare il compito dei marxisti italiani, nella misura in cui non ha ricompreso in sé le libertà civili.  
Allora da che cosa ripartire, domanda polemicamente Bobbio, dal confronto fra Marx e Weber? La critica marxiana della burocrazia - nella critica allo Stato hegeliano e al secondo Impero di Luigi Bonaparte - prefigura uno “Stato socialista” che farà a poco a poco a meno dell’apparato burocratico, Weber invece ritiene - giustamente dice Bobbio - che il socialismo sarà più burocratico del capitalismo. In questo senso i marxisti dovrebbero abbandonare le previsioni marxiane per confrontarsi con altri teorici delle istituzioni, al fine di conquistare una teoria che indichi non solo ‘chi’ dovrà governare l’eventuale transizione dal capitalismo al socialismo, ma soprattutto ‘come’ governerà lo Stato durante il socialismo.  
Anche se il pensiero politico di Marx può essere iscritto nella grande corrente del realismo politico - lo Stato come apparato di dominio è innegabile anche secondo Bobbio - non ci ha lasciato però “ricette per l’avvenire”, cosicché i problemi della democrazia e del passaggio alsocialismo non possono certo essere risolti con il reiterato studio dei suoi testi.  
Successivamente Bobbio si interroga sul significato di democrazia - in quanto rispetto delle“regole del gioco” - e sfida i marxisti a pronunciarsi sulla possibilità o meno di conciliare le libertà civili e politiche, conquistate dallo Stato democratico-rappresentativo, con il socialismo,del quale pure si avverte la necessità, nella misura in cui la moderna democrazia rappresentativa dà luogo a una serie di “paradossi”, tra i quali per esempio c’è proprio il mancato rispetto di quelle regole. Allora, la domanda conclusiva deve articolarsi intorno alla nozione di “modello alternativo” a quello dello Stato borghese, modello che però non può prendere spunto dal pensiero politico di Marx, per il quale lo Stato, alla fine, deve semplicemente scomparire.

Le Risposte 

Secondo Umberto Cerroni c’è stato un fraintendimento della teoria politica marxista e marxiana che ha nuociuto agli intellettuali di sinistra e al movimento operaio stesso. Ovverosia,si è voluto separare il piano pratico della politica da quello strettamente scientifico, cosicché il socialismo è apparso o solo come la scomparsa dello Stato - conseguenza teorica del superamento della formalità delle libertà borghesi - oppure come un innesto non meglio definito della “democrazia diretta” all’interno della “democrazia rappresentativa”. Viceversa, il marxismo deve unire in sé teoria e prassi, politica e scienza dello Stato, socialismo e democrazia ; dando prova di essere proprio quella scienza critica del capitalismo che immediatamente accenna al superamento della gestione borghese del potere politico. “La mia conclusione è che il problema della mediazione della democrazia politica dentro al socialismo è anche il problema della mediazione del socialismo dentro la democrazia politica.”7 Certamente questo, dice Cerroni, è ancora solo un proposito, avvalorato però già dalle parole di Gramsci il quale individuava come esigenza storica, prima che politica, il superamento della divisione del genere umano ingovernanti e governati” ; l’attuazione del socialismo, in altri termini, può non ridursi a un problema meramente “tecnico” oppure solo astratto e lontano dalla realtà storica presente.

L’intervento di Valentino Gerratana prende anch’esso in considerazione il problema del rapporto democrazia-socialismo ed è tutto teso a dimostrare la massima compatibilità dell’una con l’altro; d’altra parte riconosce come paradossale la “[…] pretesa di anteporre alla ricerca teorica marxista la preventiva liquidazione del pensiero politico di Marx.”8 Sul problema dellademocrazia diretta”, dei modi e delle forme della sua applicazione all’interno della “democrazia rappresentativa” o in sostituzione di essa, Gerratana crede che vi sia un’opposizione reale fra le due, ma altrettanto vitale per la difesa delle libertà civili e politiche conquistate dal movimento operaio ; conviene comunque con Bobbio nel definire “sovversiva” la democrazia in sé, nel senso che “[…]se davvero fosse pienamente realizzata […] sarebbe essa, e non la ipotetica società senza classi, la fine dello Stato[…].”9 La sua conclusione perciò non è distante da quella di Bobbio, nella misura in cui ritiene che solo all’interno di un quadro democratico pienamente realizzato il socialismo potrà affermarsi senza pericolo di autoritarismo.

Furio Diaz interviene citando da subito i testi marxiani; il Manifesto, Miseria della filosofia, l’  Ideologia tedesca , e il saggio sulla Comune. Riconosce la scarsità delle indicazioni riguardo il modo pratico di instaurare lo Stato socialista, ma dice che questo fu un vuoto che di proposito Marx non volle colmare, consapevole della fallacia teorica di ogni previsione su un futuro troppo lontano. Il modello rappresentativo dello Stato democratico-borghese è comunque entrato in crisi ; l’unica soluzione che resta ai marxisti è quella di avere “fiducia nella storia e nell’empiria”. Da una parte, dice Diaz, è necessario premere sui ceti produttori emergenti per inserirli nell’articolazione interna dello Stato e della società civile ; d’altra parte bisogna dare nuovi contenuti alla democrazia rappresentativa, sperando che “[…] magari l’ultimo ma il più maturo e solido di questi contenuti sia il socialismo.”10 La fase di transizione che l’Italia sta vivendo, non può che contare sulla “volontà politica” di chi intende modificare e rendere più vitali le istituzioni e le norme che la governano. Il futuro rimane nell’indeterminatezza.

L’ultimo intervento che vogliamo citare - prima delle controrepliche di Bobbio - è quello di Giuseppe Vacca. E’ un lungo intervento questo, che tende innanzitutto a chiarire il significato attuale di “democrazia diretta” intesa come “democrazia consiliare” (consigli di fabbrica,consigli di zona, etc.), “democrazia dal basso” o “democrazia dei produttori”, la quale comunque garantisce da sempre all’Italia una strenua opposizione contro forze antidemocratiche, fasciste o antiliberali in genere. Certamente da questa democrazia ‘non solo politica’ deve avviarsi un processo di costruzione del socialismo come associazione dei produttori, riappropriazione da parte loro dei mezzi di produzione e come espropriazione del potere politico borghese. Per quanto riguarda poi la critica di Bobbio al “marxismo teorico” non basta imputare ai testi marxiani la mancanza di una compiuta dottrina dello Stato; bisogna confrontarsi scientificamente con la storia e con i suoi processi. Innanzitutto, l’intellettuale marxista non può astrarre dal movimento operaio di massa che costituisce la sua base essenzialmente pratica. D’altra parte la scienza politica marxista si contraddistingue per essere soprattutto critica e non invece positiva, come lo è la “modellistica giuridica” borghese. Uno sviluppo non astratto di essa può perciò procedere solo dall’incontro di quella critica con la realtà delle masse ; un incontro che deve passare attraverso la ‘forma partito’ prima che attraverso le istituzioni dello Stato. Il referente principale di Vacca è Gramsci e la sua teoria storico-politica dello Stato, inteso non come un luogo’ autonomo e razionale in sé, ma come una forma relativa e legata agli sviluppi riproduttivi della società borghese. Il marxismo deve imporsi, nell’età imperialista, come l’unica scienza integrale della politica, che unisca in sé critica del presente e consapevolezza dei processi storici a venire. Il prezioso nesso intellettuali-masse deve poi intervenire nella pratica democratica al fine di trasformarla dall’interno, non solo da un punto di vista politico ma anche e soprattutto economico-riproduttivo. Solo su questi presupposti è possibile pensare una transizione democratica al socialismo che prenda in considerazione, nel particolare, anche le forme di governo, gli istituti, il ‘come’ oltre il ‘chi’ di un processo di sviluppo della società umana insenso socialista.

Le controrepliche di Bobbio 

L’insoddisfazione che Bobbio esprimeva riguardo la mancanza di una dottrina marxista dello Stato, delle forme di governo e delle istituzioni, non viene acquietata dagli interventi sopraesposti. Si stupisce innanzitutto perché i suoi interlocutori non hanno fatto precisi riferimenti alla teoria ‘di Marx’, piuttosto al marxismo, come scienza politica critica e in corso di formazione. D’altra parte avrebbe voluto che i marxisti si pronunciassero più decisamente sulle cosiddetteregole del gioco” democratico, lasciando stare le finezze disquisitorie su che cosa sia o cosa debba essere “democrazia diretta”. E’ semmai il “sistema parlamentare” ciò che sta a cuore a Bobbio, anche se la democrazia può realizzarsi, dice lui, pure fuori del luogo strettamente politico ; ma precisamente “dove ?” E’ la domanda a cui i marxisti non hanno saputo rispondere. L’altra “inquietante domanda” a cui i marxisti non hanno dato risposta è quella che riguarda il nesso democrazia-socialismo ; e più precisamente non si sono distinti esplicitamente da chi vuole realizzare la società socialista attraverso la distruzione violenta dello Stato borghese, intraprendendo un lungo cammino rivoluzionario senza l’accorto uso degli istituti democratici esistenti. Quale socialismo è l’uno e quale l’altro ? Se la democrazia è il solo mezzo, secondo questi marxisti, per guadagnare “l’uomo nuovo”, Bobbio si chiede quale sia questa umanità rinnovata a cui tenacemente aspirano, quale sia il socialismo che agognano nella teoria e nella prassi politica.

L’intervento di Negri 
 
Di tutt’altra tendenza è la riflessione di Negri in proposito. Considera una domanda seria quella che Bobbio rivolge ai “marxisti riformisti”, i quali sono sostanzialmente scollati, secondo lui, da qualsiasi prospettiva rivoluzionaria della realtà e dello Stato capitalistico-borghese. In questo senso non possono marxianamente rispondere alle domande di Bobbio. Manca loro il metodo (materialistico-storico e soprattutto dialettico), manca loro la base teorica su cui ricostruire, a partire da Marx, il nesso economico-politico fra Stato e capitale, e riconoscere lo Stato come “il capitale collettivo” per eccellenza. La democrazia è ormai solo l’involucro formale della negazione del potere politico della classe operaia ; lo sfruttamento dell’operaio è affidato allo Stato, a fronte della progressiva messa in crisi della pura legge del valore. La crisi dello sviluppo capitalistico lascia che lo Stato sussuma il capitale e riproduca per esso l’essenza dello sfruttamento. E’ per questo, dice Negri, che “ribellarsi è giusto”, nella misura in cui la classe operaia ha di fronte a sé un potere massimamente visibile e concentrato, un potere politico del quale bisogna fare una critica teorica che abbia un immediato risvolto pratico. La dialettica marx-engelsiana ci garantisce, dice Negri, la possibilità di un rovesciamento pratico del potere dello Stato, che segni contemporaneamente la fine di ogni legge del valore e di sfruttamento. “Il testo fondamentale di Marx cui questa lettura si riferisce è quello dei Grundrisse: qui infatti la continuità metodologica del pensiero marxiano può essere ricostruita nella sua pienezza.”11

Per quanto riguarda poi la forma concreta del rovesciamento dello Stato capitalistico, Negri vede bene la “dittatura del proletariato”, in quanto superamento definitivo di ogni formalismo democratico-costituzionale. Conviene con Bobbio che Marx non ci ha lasciato una teoria dello Stato socialista, piuttosto la base teorica per interloquire con gli operai, con la loro ormai chiara coscienza di che cosa sia il potere e di che cosa debba essere il “potere comunista”. La sfida ultima lanciata da Negri al riformismo è perciò quella di provare a costruire una teoria delladistruzione dello Stato” che proceda veracemente dalle indicazioni teoriche marxiane e da quelle pratiche della classe operaia rivoluzionaria.


NOTE

1 AAVV, Il marxismo e lo Stato, <<Mondoperaio>>, Giugno 1976, supplemento al n° 6, pp. 1-215.

2 Con il senno di poi, certamente, molte delle riflessioni che andremo a esporre potranno risultare ‘ingenue’ e molto lontane da quella che oggi si suole definire mondializzazione dell’economia, e da quello che ormai viene considerato, anche da un punto di vista critico, il ‘pensiero unico’ dominante. Tuttavia vogliamo dar conto del dibattito in termini il più possibile oggettivi, facendo astrazione dal presente, e riportando a mo’ di scheda gli interventi di quei marxisti - oltre quelli di Bobbio - che ci sembrano maggiormente rappresentativi del problema teorico sollevato intorno alla presenza o meno nei testi di Marx,di una compiuta teoria politica della forma di Stato, diversa da quella specificamente borghese ‘dispotica costituzionale o repubblicana che sia’. (continua)

3 Antonio Negri, La forma stato, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 273-287.

4 Il nesso Stato-capitale che Negri mette in evidenza, rovescia, a nostro parere, l’effettivo rapporto di sussunzione fra i due termini. Come si è potuto constatare dall’analisi del 24° capitolo del I libro del Capitale e poi dalla ricostruzione marxiana del sistema creditizio (V sezione del III libro), non è e non può essere il sistema statale a sussumere il rapporto capitalistico di produzione, come invece vuole Negri, il quale dice chiaramente - come si vedrà meglio più avanti – che durante la crisi è lo Stato ad applicare la legge del valore e dello sfruttamento e a garantire la continuità del rapporto di produzione capitalistico. Certamente lo Stato ha il potere di intervenire in modo extraeconomico nel corso dei processi della riproduzione capitalistica, tuttavia, come si è visto, il ‘sistema di metodi e leve, la ‘violenza concentrata e organizzata’ che lo Stato rappresenta per la società borghese, viene a sua volta riprodotta dal capitale, così come viene riprodotto l’ordinamento sociale e politico borghese nel suo insieme. Lo Stato perciò, secondo la nostra lettura, si presenta all’origine come la forma sistematica dell’accumulazione del capitale, ma viene una volta per tutte sussunto dal processo della riproduzione capitalistica, quando contribuisce essenzialmente alla nascita della Banca centrale,intrattenendo con essa rapporti economico-politici, tali che la sua stessa riproduzione viene a dipendere dalla gestione,da parte di quella Banca, del capitale del debito pubblico; dipende cioè dalla forma autonoma che il capitale monetario da prestito assume quando diventa capitale produttivo d’interesse su base capitalistica. L’autonomizzazione di questa forma di capitale fa sì che possano intercorrere rapporti finanziari fra Stato e capitale (lo Stato può assumersi il peso di una politica monetaria e fiscale volta a ridurre la spesa pubblica, il tasso inflazionistico, i tassi d’interesse, etc.), ma ciòche regola la politica economica della nazione e i suoi rapporti col mercato finanziario internazionale è proprio quel sistema creditizio-bancario che, in un quadro capitalistico avanzato, si muove indipendentemente dalla forma politica dello Stato, determinandone anzi gli indirizzi in materia economica, i quali certamente rispondono ai bisogni di valorizzazione del capitale complessivo sociale e non alle esigenze riproduttive della società nel suo insieme, tanto meno a quelle della classe dei lavoratori salariati. In questo senso diciamo che è il capitale a sussumere lo Stato e mai viceversa; anche quando, durante la crisi, si vengano a creare effettive difficoltà per il capitale produttivo e vi sia una gestione del conflitto sociale e dei rapporti fra le classi concentrata nelle mani del potere governativo, come se fosse questo, con forze extraeconomiche, a venire in soccorso del capitale. In realtà, dice Marx, il nesso economico-politico fra lo Stato e la Banca centrale è il garante della continuità del rapporto capitalistico di produzione, nella misura in cui la Banca e il Tesoro (la contabilità finanziaria dello Stato) conservano la forma monetaria del capitale e dei redditi di tuttala nazione, mantenendo l’accumulazione monetaria del capitale complessivo sociale intatta e pronta per ricominciare di nuovo su una rinnovata base capitalistica.

5 U. Cerroni, Democrazia socialista ?, in AAVV,Omaggio a Nenni, <<Quaderni di Mondoperaio>>, 1973.

6 L. Colletti, Intervista politico-filosofica, Bari, Laterza, 1974.(continua)

7 AAVV, Il marxismo e lo Stato, cit., p. 50.

8 Ivi, p. 86.

9 Ivi, p. 28.

10 Ivi, p. 113.

11 A. Negri, La forma stato, cit., p. 280n.



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