Da: https://www.lacittafutura.it/ - Alessandra
Ciattini insegna
Antropologia culturale alla Sapienza e collabora con
L’Università Popolare Antonio Gramsci
(https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci).
Leggi anche: Coronavirus:
origini, effetti e conseguenze - R.O.R. intervista Ernesto Burgio
[IMMAGINE: I
coronavirus sono quelli gialli, le altre cose che si vedono sono
cellule (NIAID-RML)]
Dobbiamo chiederci da dove viene il coronavirus, perché la sua origine ci farà capire quale nuovo regime economico-sociale e politico ci aspetta.
Benché, come dice il titolo di questo articolo, ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico. Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere è urgente comprendere se dietro tutto questo c’è un disegno e di quale disegno si tratta, oppure se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. In entrambi i casi ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo gretto particulare, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e la natura, dal cui grembo siamo stati partoriti.
Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto, di cui potrei essere accusata. Come è noto di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano [1] o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto. Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, cui in termini marxisti corrispondono ben precise classi o alleanze tra classi. Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e fatti fuori Robespierre, Saint Just, Couthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.
Pertanto, a mio parere, se ci atteniamo a queste considerazioni, si può ben parlare di congiure e di complotti. Ma torniamo al caso nostro, ossia al ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.
In questi giorni siamo stati inondati dai pareri più diversi di esperti veri e propri, di sedicenti esperti, di personaggi noti al grande pubblico, di analisti politici, di politici veri e propri, che ci elargiscono le loro tesi, ci danno i soliti e talvolta sbagliati consigli (vorrei sapere quanto paghiamo gli spot televisivi), le varie tesi, gli inviti ad essere un tutt’uno contro la pandemia come se fossimo in guerra contro un nemico comune. Infatti, non è un caso che, almeno il mio quartiere qui a Roma, è costellato di bandiere italiane e c’è pure chi canta l’inno di Mameli, mostrando di non aver capito che il vero nemico è interno ed è rappresentato da individui ben precisi e dagli interessi che rappresentato. Come, per esempio, chi ha emanato lo stato di emergenza nella Gazzetta ufficiale il primo febbraio per 6 mesi, in seguito alla presa di posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, senza mettere in risalto questa notizia e facendola seguire da misure a singhiozzo e spesso contraddittorie, come mostra il persistere di attività lavorative in settori non essenziali (armi), la mancata disponibilità di strumenti protettivi che lo Stato stesso dovrebbe distribuire alla popolazione [2]. Oppure, chi in nome del privato che è più efficiente (in realtà più redditizio) [3], ha chiuso ospedali, strutture sanitarie e dato agevolazioni fiscali a privati; ancora, chi ha tagliato i fondi alla ricerca e all’università, facendo sì che – secondo la stessa OMS – oggi ci mancano 50.000 infermieri e probabilmente 45.000 medici, buco stratosferico che cerchiamo di riempire con aiuti provenienti da “odiati” paesi (Cuba, Cina, Venezuela), che evidentemente di fronte alle emergenze funzionano meglio della “democratica” Italia.
Ma torniamo in medias res, cioè al tema principale dell’articolo. Per quello che so esistono due tesi fondamentali: 1) “la distruzione sempre più veloce degli habitat”; 2) la costruzione in laboratorio del coronavirus che ha generato l’attuale pandemia, o la sua diffusione voluta o casuale, indipendentemente dalla sua origine.
Questi due tesi, che non credo si escludano reciprocamente, sono sostenute da vari studiosi, esperti, analisti internazionali. Ho ripreso la frase succitata da un articolo uscito sull’ultimo numero de Le Monde diplomatique (Contro le pandemie, l’ecologia, marzo 2020) della giornalista statunitense, di origini indiane, Sonia Shah, la quale scrive: “Dal 1940, centinaia di microbi patogeni sono comparsi o riapparsi in aree in cui in alcuni casi non si erano mai visti prima. È il caso dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’Ebola nell’Africa occidentale e della Zika nel continente americano. La maggior parte di essi (60%) è di origine animale. Alcuni provengono da animali domestici o da allevamento; più di due terzi da animali selvatici”. Come altri studiosi, la giornalista statunitense ritiene che: “la maggior parte di questi microbi vive al loro interno [degli animali] senza far loro alcun male. Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per arrivare fino al corpo umano e adattarsi”.
Altri studiosi convergono su questo tipo di riflessione, sottolineando che alcune zone della Cina sono state caratterizzate da questi processi come rapida urbanizzazione, industrializzazione dell’attività agropecuaria, integrazione alle nuove catene del valore sviluppati in maniera accelerata, dai quali sono scaturite le condizioni per la rapida mutazione del virus e per il cosiddetto “passaggio di specie”. Come scrive il periodico on line Scienzainrete, questo fenomeno “sempre avvenuto, da quando esiste la vita, è favorito principalmente da due fattori”: i ricettori cellulari sono simili in specie diverse e la prolungata vicinanza fra uomini e animali.
Da queste considerazioni si evince la ragione per la quale la Lombardia costituisce il centro dell’infezione, proprio per il semplice fatto che probabilmente, per la sua intensità industriale, costituisce la regione più inquinata d’Europa. Si tenga inoltre presente che il contesto descritto negli ultimi decenni ha dato vita ad epidemie che si sono susseguite con maggiore frequenza, come la SARS (2002-03), influenza suina H1N1 (2009), il MERS Covid (2012), l’Ebola (2014-16), lo zika (2015) e il dengue (2016). Epidemie di cui dobbiamo attribuire tutta responsabilità al capitalismo e alle sue dinamiche distruttive e perverse e non a un generico Antropocene, nel quale l’uomo stabilisce il suo rapporto trasformativo con la natura [4].
A questo punto dovrei rispondere alla seconda domanda: il SARS-COVID-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), noto più semplicemente come COVID-19, è stato prodotto in un laboratorio, innescandone la mutazione, e poi involontariamente o volontariamente diffuso o disperso, anche nel caso in cui costituisca un organismo non manipolato?
L’ipotesi della diffusione involontaria dei virus non è del tutto scartata dal Bulletin of Atomic Scientists, nel quale si può leggere la descrizione del laboratorio di Plum Island, situato alla foce del Long Island Sound vicino a New York, il cui obiettivo è quello di operare nel campo della bio-sicurezza, altamente sviluppatasi dopo l’11 settembre. E dato che “nessun laboratorio è perfetto”, è possibile che gli agenti patogeni delle malattie lì studiate possano in qualche modo sfuggire e colpire gli abitanti circostanti per poi espandersi ulteriormente.
Passiamo invece alla tesi assai discussa della diffusione volontaria del virus. Come è noto, il presidente Trump insiste nel chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, in questo seguito da settori filoamericani, che intendono cogliere ancora una volta l’occasione di demonizzare la Cina, considerando addirittura gli aiuti pervenutici da questo paese una sorta di cavallo di Troia. Ovviamente tale associazione (Cina/virus) è fortemente respinta dal governo cinese, che nella persona del portavoce del Ministero degli Esteri, Lijan Zhao, in un tweet del 12 marzo, ha accusato gli Stati Uniti di non aver informato il mondo sulle numerose morti lì avvenute, sulla data del ritrovamento del cosiddetto paziente zero, insinuando che sia stato lo stesso esercito statunitense ad aver introdotto il virus a Wuhan in occasione dei giochi sportivi militari tenutosi a in questa città nell’ottobre del 2019. In seguito a queste accuse il Dipartimento di Stato yankee ha convocato l’ambasciatore cinese e lo ha fortemente redarguito; questi si sarebbe mantenuto sulla difensiva.
L’ipotesi formulata dai cinesi è sposata dal giornalista brasiliano Pepe Escobar, il quale scrive che, essendo la Cina oggi il centro dell’economia mondiale, essendo diventata il socio commerciale di circa 130 paesi e avendo firmato solo nel 2019 contratti per la costruzione di infrastrutture per 128 miliardi di dollari, costituisce effettivamente – come ha affermato Trump – la più grande minaccia economica e militare per gli Stati Uniti.
Come si può ben capire, ci troviamo costretti a questo punto a parlare di guerra batteriologica o biologica, ossia di qualcosa di cui, nei tempi della cosiddetta guerra ibrida, bene o male tutti noi abbiamo sentito parlare o visto rappresentare magari in qualche film commerciale.
Ma che dati abbiamo su questo aspetto della questione? Inevitabilmente ne menzionerò solo alcuni che mi sembrano importanti disposta ad accettare ulteriori informazioni da chi vorrà fornirmele.
La storia ci ricorda vari episodi di guerra batteriologica/biologica, di cui si resero responsabili gli antichi greci, i cartaginesi, gli spagnoli e gli inglesi nel Nuovo Mondo; infatti, sappiamo con certezza che questi due ultimi gruppi scientemente regalarono ad esponenti delle nazioni originarie indumenti appartenuti ad individui infettatati dal vaiolo, che – come è noto – fu una delle più rilevanti cause dello sterminio degli indo-americani.
D’altra parte, il già citato Burgio (nota 2) fa notare che vi sono ragioni economiche (rapporto costi/benefici) che fanno delle armi biologiche un utile strumento: “Secondo stime un po’ semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 chilogrammi di gas nervino, di tre tonnellate di bombe al cluster”. Detto in soldoni, ciò significa che con un po’ di spore di antrace si fanno fuori milioni di esseri umani a bassissimo costo (V. Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta). Purtroppo per chi ha intenzione di far uso di tali strumenti di morte, scrive sempre Burgio, le armi biologiche “sono praticamente incontrollabili”, giacché “ogni volta che un microrganismo patogeno comincia a circolare all’interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e il suo percorso sono assolutamente imprevedibili” (Ibidem). E quindi è del tutto possibile che il diffusore stesso rischi di infettarsi e di infettare i suoi compatrioti.
Secondo la costituzionalista venezuelana M. Alejandra Díaz, intervistata da Telesur, vi sono delle ricerche, per esempio, quella di uno studioso venezuelano di nanotecnologie che ha tracciato la mappa genetica del virus, arrivando alla conclusione che esso sarebbe il risultato della combinazione di vari virus; mentre dalla ricerca di uno studioso cinese si ricaverebbe che il Covid-19 scaturisce dall’unione di segmenti tratti dall’HIV e dalla SARS.
La Signora Díaz, membro dell’Assemblea nazionale costituente del Venezuela, è convinta – come il già citato giornalista brasiliano – che il virus responsabile dell’epidemia in Cina sia uscito dai laboratori statunitensi, in effetti numerosi a partire dal secondo dopoguerra e moltiplicatisi dopo l’11 settembre. La costituzionalista latino-americana sostiene che gli Stati Uniti stanno distruggendo il sistema di ordine internazionale da loro stessi creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che stanno imponendo uno stato di eccezione mondiale, in cui il diritto viene sospeso e conta solo la forza. La forza aperta o subdola in tutte le sue forme possibili come è implicito nello slogan à la guerre comme à la guerre. In particolare, secondo questa ipotesi il Covid-19 sarebbe stato creato per colpire la Cina, facendone rallentare l’economia e danneggiando così anche quei paesi, come la Russia e l’Iran, che riforniscono l’ex impero celeste di petrolio e di gas. Con questo atto gli Stati Uniti avrebbero attaccato contemporaneamente i loro più acerrimi nemici: la Russia che li sfida sul piano tecnologico-militare e la Cina che li sta surclassando sul piano economico.
Sappiamo che l’accusa di aver creato il fatidico virus è stata rivolta proprio in questi giorni anche contro la Cina, ma è stata immediatamente smentita perché il virus di cui parla un vecchio servizio televisivo non è collegabile al Covid-19, nonostante gli esponenti della Lega abbiano cercato di presentarlo come tale.
D’altra parte, fonti autorevoli, come il giornale Nature Medicine, considerano improbabile che il nostro virus sia il prodotto di una manipolazione fatta in un laboratorio di virus dello stesso tipo, perché tali cambiamenti possono anche avvenire per via naturale. Inoltre, il Prof. Enrico Bucci, docente di un’università statunitense, ci spiega che è possibile distinguere tra le mutazioni dei virus prodotte in laboratorio attraverso l’inserimento nel genoma di un virus di pezzi del RNA di altri agenti patogeni, e quelle prodotte secondo il principio della selezione naturale, che avvengono in maniera graduale e uniforme.
Da parte sua, il biologo Paolo Massucci, da me consultato e che ringrazio, ritiene che l’origine naturale o artificiale di un virus si può desumere, su basi probabilistiche, dallo studio delle sequenze variate di materiale genetico. L’eventuale presenza, ad esempio, in un nuovo virus, di sequenze provenienti dai virus normalmente utilizzati nei laboratori a scopi di ingegneria genetica, fa propendere per l’ipotesi di una manipolazione umana. Ma si tratta di un’indagine complessa che non sempre fornisce risultati certi e definitivi.
In ultima istanza, quindi sembrerebbe che, nonostante il dibattito sia acceso, gli epidemiologi e altri studiosi del settore sembrano escludere la produzione artificiale del COVID-19 [5], mentre considerazioni di carattere geopolitico potrebbero suffragare una diversa ipotesi non necessariamente fondata sulla manipolazione del virus, ma più probabilmente sull’idea della diffusione casuale e/o volontaria del virus.
Richiamandomi un’altra volta al Burgio, vorrei aggiungere qualche altra rapida riflessione sulla storia della guerra biologica / batteriologica. L’eminente studioso ricorda che durante la Seconda guerra mondiale giapponesi e tedeschi sperimentarono gli effetti di agenti patogeni su cavie umane, e che molti di loro furono assoldati successivamente dagli Stati Uniti, con la mediazione di Henry Kissinger e Allen Dulles, per lavorare nei laboratori di quel paese. Scrive Burgio: “il programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu in grado di recuperare il tempo perduto nell’immediato dopoguerra, anche grazie alla preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731 [6], che avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste”.
Nel periodo della Guerra fredda entrambe le parti in lotta portarono avanti queste ricerche sviluppando “batteri, virus e tossine sempre più micidiali”, fino al momento in cui Stati Uniti ed Inghilterra presero la decisione di vietare le cosiddette armi dei “poveri” e sviluppare sempre più la guerra tecnologicamente più costosa, promuovendo la Biological Weapons Convention del 1972, per tenere a freno i paesi più riottosi. La Convenzione fu poi osteggiata da Clinton e da Bush, osserva Burgio, perché – riassumendo -: “proprio in quegli anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe intelligenti, più potenti di qualsiasi arma mai costruita”. Con questa rivoluzione gli scienziati, dotati o no di una sensibilità etica, si trovarono in mano i mezzi forniti dall’ingegneria genetica, con i quali è possibile “modificare e manipolare con una certa precisione il codice stesso della vita”.
Ovviamente queste scoperte trovarono immediatamente applicazioni che garantivano a imprese come la Geniatech, fondata dal premio Nobel Paul Berg, immensi profitti e mostrarono l’impossibilità di opporre ostacoli al proliferare di ricerche in questo campo, in cui per di più non è facile distinguere tra il loro uso difensivo e quello offensivo.
Quali sono le conclusioni che traggo da queste informazioni? Molto rapidamente vorrei osservare che nessuno nega che il tardo capitalismo sta vivendo una crisi letale, dalla quale si può uscire solo trasformando dalle fondamenta il sistema attuale basato su micidiali conflitti e su strategie distruttive. Purtroppo, l’unica via di uscita che immaginano i decisori mondiali è quella di far pagare ancora una volta la terribile crisi alle masse popolari attraverso politiche di austerità draconiana e con l’uso dello stato di eccezione mondiale, come suggeriva la Signora Díaz. Il panico suscitato dalla diffusione volontaria o involontaria del COVID-19 sembra risultare assai utile a farci tacere e sottomettere ancora una volta, senza scartare l’ipotesi della guerra ibrida tra potenze.
Note
[1] Chi fa fatto il liceo classico tanti anni fa si ricorderà delle famose Catilinarie pronunciate da Cicerone contro il cospiratore.
[2] Muovendosi al livello del senso comune, è del tutto irrealistico impedire che ognuno di noi entri in contatto con il virus dato che stiamo vivendo una pandemia. Anzi, il nostro organismo dovrà entrare in contatto con esso per sviluppare anticorpi sia pure con le dovute precauzioni secondo quanto dichiara Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetico e medicina molecolare, presidente del Comitato scientifico della Società italiana di Medicina ambientale (SIMA).
[3] Si tenga presente questo processo, ignorato da tutti, inizia nel 1974 con un documento delle Nazioni Uniti dal titolo “Il Nuovo Ordine Economico Internazionale”. A questo evento seguì nel 1995 la costituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO, 1995), la quale ha implementato vari accordi sullo scambio di beni e servizi, tra i quali dobbiamo citare il GATS (General Agreement on Trade and Services), il cui scopo era ed è la liberalizzazione dei servizi (ossia, salute, educazione, protezione ambientale, trasporto, rifornimento di acqua, comunicazione, attività ricreative etc,). Ciò ha significato che questi servizi hanno cambiato natura: oggi non sono più diritti, ma merci, quindi governate dalla logica del profitto, della competizione, dalla logica costi-benefici (A. de Siqueira, The regulation of education through WTO/GATS).
[4] Naturalmente noi ci preoccupiamo tanto del COVID 19 perché ci ha colpito direttamente, ma ce ne infischiamo tranquillamente di quelle malattie banali, curabili e “poco lucrative” (polmoniti, dissenterie, bronchiti) , per le quali muore un miliardo di persone nei paesi impoveriti dall’imperialismo situati sotto l’Equatore.
[5] Tuttavia, pur riconoscendo che il virus non è frutto di manipolazione, il Prof. Richard Ebright del Waksman Institute of Microbiology della Rutgers University ritorna all’ipotesi della fuoriuscita accidentale dell’agente patogeno da un laboratorio dotato di scarsi livelli di sicurezza. Episodi del genere si sarebbero verificati sia negli Stati Uniti che in Cina.
[6] Unità militare che operò dal 1936 al 1945 nella Manciuria e nella Cina nord-orientale, dove utilizzò come cavie migliaia di individui presi tra i prigionieri di vari paesi (Cina, Corea, Russia, Stati Uniti etc.). Solo una decina dei responsabili di questi orrendi crimini furono condannati da un tribunale sovietico.
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