giovedì 12 settembre 2019

IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI

Da: Carla Maria Fabiani: Il problema dello Stato in K. Marx © www.dialetticaefilosofia.it 2008 Dialettica e filosofia - ISSN 1974-417X [online] - https://www.facebook.com/dialettica.filosofia


INTRODUZIONE GENERALE

Il tema che il nostro lavoro si propone di prendere in esame è il problema dello Stato nell’opera di Karl Marx; ovvero se vi sia in Marx una più o meno compiuta teoria sullo Stato. 

L’impostazione teoretica che daremo a tutta quanta la ricerca è motivata innanzitutto da ragioni che riguardano il modo con cui abbiamo inizialmente preso in considerazione l’opera principale dell’autore - ossia il Capitale - individuando in essa precisi e numerosi riferimenti alla forma nazionale e al potere dello Stato moderno-borghese. 

Bisogna da subito chiarire che, nell’ambito della critica dell’economia politica, non si parla di uno Stato ‘altro’ da quello capitalistico1 ; viceversa si prende a tema ‘questo’ Stato e l’essenziale funzione da esso ricoperta nel corso dell’accumulazione originaria, cioè durante l’atto di nascita del capitalismo. 

La nostra convinzione - che non vuole certamente essere definitiva, ma intende costituire un’indicazione per ulteriori approfondimenti - è che nell’opera maggiore di Marx vi sia esplicitata una teoria forte del nesso economico-politico fra il capitale e lo Stato modernoborghese. 

In quest’affermazione sono innanzitutto implicati due nodi teorici di grande rilievo. Il primo riguarda l’economia politica classica e come essa abbia trattato e spiegato lo Stato con categorie proprie, riprese, ma criticate, dallo stesso Marx nel Capitale. Il secondo nodo invece fa riferimento alla filosofia hegeliana del diritto pubblico, la quale venne attentamente studiata e criticata, nel 1843, dal giovane Marx2 

La predisposizione con la quale abbiamo letto il Capitale e poi la critica marxiana alla filosofia del diritto di Hegel, è stata inizialmente volta alla individuazione nelle due opere di un filo storico-logico che ricostruisse la genesi critica della forma moderna dello Stato. In questo, abbiamo volutamente tenuto separata la lettura del primo scritto da quella del secondo, poiché riteniamo che vi sia fra i due uno stacco filosofico tale da non permettere confronti ravvicinati3 . 

L’analisi dei testi ci ha portato a riconoscere nel Capitale un percorso teorico e un processo storico che Marx ha ritenuto di dover esplicitare a proposito della connessione essenziale e imprescindibile fra il rapporto di produzione capitalistico e il sistema dello Stato moderno; nel manoscritto del 1843 invece abbiamo riscontrato non solo il forte interesse del giovane Marx per la concezione organica e sistematica che dello Stato moderno aveva Hegel, ma anche il suo sforzo teorico di criticare la forma monarchico-costituzionale di Stato e, contemporaneamente, l’astratta forma politica che lo Stato moderno rappresenta nei confronti della società civile.
Quello che abbiamo cercato di fare è stata sostanzialmente l’analisi del manoscritto giovanile marxiano, al fine di seguire la disamina che Marx ha condotto nei confronti della filosofia hegeliana del diritto pubblico, per rilevare quelle aporie o mancanze di forma e di contenuto che sono state poi da Marx stesso lamentate, spingendolo a interrompere lo studio del diritto hegeliano, ma non la riflessione filosofico-politica sullo Stato moderno. 

La centralità del problema dello Stato nel pensiero giovanile marxiano ci sembra non possa essere contraddetta, nella misura in cui la critica a Hegel e alla monarchia costituzionale, non è solo presente nel manoscritto del 1843, ma viene preceduta da tutta quell’attività giornalistica svolta da Marx fra il 1842 il 1843, sulle pagine della Reinische Zeitung, nelle quali la critica dello Stato prussiano si unisce alla critica teorica della moderna estraneazione fra Stato e società civile. 

Dicevamo del ‘fallimento’ teorico marxiano rispetto alla sua critica a Hegel. Qui non vogliamo indagare il rapporto fra il metodo filosofico dell’uno e quello dell’altro, piuttosto precisare come - e se ne darà poi conto - l’impostazione etica della critica marxiana allo Stato moderno-hegeliano non si discosti totalmente dalla visione che dello Stato aveva Hegel, come della consapevole realizzazione dello Spirito del popolo che ‘sa e vuole’ se stesso solo in quanto Stato. Ciò che allontana Marx da Hegel è la considerazione per la quale l’eticità dello Stato moderno non si è effettivamente realizzata, non ha superato, anzi ha accentuato, l’estraneazione fra Stato politico e società civile (fra la costituzione politica e la vita del popolo, etc.); a tal punto che l’unica via percorribile per riconquistare l’eticità perduta, secondo Marx, è proprio la dissoluzione di entrambi i lati dell’opposizione. 
La scomparsa dello Stato astratto porta con sé la scomparsa della società ‘solo’ civile; tutto questo realizzandosi in un quadro politico altamente democratico in cui il diritto attivo e passivo di voto sia esteso universalmente. 

Per quanto comunque Marx non riesca a sistemare la sua concezione democratica di Stato, per quanto muova critiche a Hegel interne al suo stesso orizzonte etico, ciò che caratterizza la visione filosofica della sua analisi dello Stato hegeliano è proprio la considerazione di esso come di un sistema organico che porta dentro di sé, nell’essenza, il germe del conflitto, dell’ostile opposizione e della propria ‘rovina’. 

Questa precisa considerazione da parte di Marx, che vede lo Stato come un organismo, il quale è però affetto nell’essenza da rapporti ‘meccanici’, non etici e lacerati (la vita del popolo estraniata da se stessa, il ‘meccanismo’ della mediazione degli ordini, etc.); questa convinzione del giovane Marx, a nostro parere, lo porta ad abbandonare la sua ricerca sul diritto statuale hegeliano e sulla forma-Stato per cercare altrove il reale principio di spiegazione della moderna estraneazione fra società civile e Stato politico. 

Nel corso dell’analisi, tutto questo verrà spiegato più approfonditamente, ma già qui si può anticipare che, insieme alla sua insoddisfazione per non essere riuscito a criticare Hegel sistematicamente, Marx mostra pure di ricercare, da dopo il 1843, al di fuori dell’ambito eticofilosofico, la genesi storica della moderna contraddizione fra Stato e società civile. 
Ci riferiamo non solo alla concezione materialistica della storia - esposta da Marx e Engels nell’Ideologia tedesca - ma alla ‘scoperta’ da parte di Marx della critica dell’economia politica classica, attraverso la quale egli giunge a istituire un nesso essenziale fra forme dell’economia e forme della politica4 . 

L’importanza perciò del suo primo scritto sullo Stato sta tutta nella ‘faticosa’ maturazione logica a cui il suo pensiero filosofico giunge fino a ‘passare’, abbandonando la filosofia stessa, a un altro livello di analisi e ricerca sulla realtà storica moderna e sullo Stato. 
Lo Stato moderno diventa definitivamente Stato capitalistico-borghese, l’età moderna si riempie di categorie che fanno diretto riferimento a quella neoformazione sociale che è il rapporto di produzione capitalistico; il nesso organico-riproduttivo della moderna società non viene più ricercato all’interno delle (mancate) mediazioni statali, piuttosto nelle autonomizzazioni del processo capitalistico riproduttivo dell’ordinamento sociale borghese. 

Anche lo Stato entra a far parte - come sovrastruttura, come sistema e come potere - di quel processo che inizialmente si impone all’interno di una nazione, dando vita alla formazione economica del capitale complessivo sociale. Ma lo Stato, inizialmente, agisce come forza extraeconomica della società, sistemata dal potere legislativo che, nel corso dell’accumulazione originaria, rende valide su tutto il territorio nazionale quelle ‘conquiste’ - ottenute con l’uso della forza e con la guerra - a cui la classe dei proprietari fondiari era pervenuta espropriando la classe dei lavoratori diretti proprietari dei loro mezzi di produzione5 . 

Successivamente lo Stato viene, una volta per tutte, sussunto dal capitale e precisamente dall’autonoma forma di capitale produttivo d’interesse. Si crea un nesso inscindibile fra Banca centrale e Stato, fra sovrastruttura creditizia e ‘spesa pubblica’, fra sistema del credito e sistema statale. 
Anche la riproduzione della società nel suo insieme viene fatta dipendere da questo binomio economico-politico, che, a livello nazionale è rappresentato dal rapporto del potere governativo (e tramite esso di tutto l’apparato statale) con il credito pubblico. 

Nella critica dell’economia politica perciò - cioè nel Capitale - Marx sembra giungere a un punto decisivo della sua riflessione sullo Stato. Era partito dal concetto di Stato ‘solo’ politico, ne aveva criticata l’astrattezza, aveva pure considerato la politica come un aspetto unilaterale della moderna estraneazione (e che certo non poteva diventare suo principio di spiegazione né di emancipazione pratica), ma lì si era fermato, interrompendo l’analisi sul sistema hegeliano, interrompendo il suo studio filosofico sull’età moderna. 
Come vedremo poi meglio, il ‘passaggio’ al metodo materialistico di indagine storica, ossia la critica della sua ‘anteriore coscienza filosofica’, la scoperta della critica dell’economia politica, ma anche il passaggio al comunismo, segnano certo un terminus a quo dal quale Marx non tornerà più indietro, ma non fanno scomparire, anzi per certi aspetti arricchiscono, il suo interesse per il sistema statale moderno-borghese

Ci si è chiesto - da parte dei marxisti - se vi sia allora una teoria marxiana e ‘comunista’ dello Stato. Da parte nostra abbiamo provato a rispondere dando conto in appendice di un dibattito tenutosi in Italia nel 1975-’76, nel quale Norberto Bobbio ha lanciato, per così dire, la provocazione che, in effetti, una vera e propria dottrina dello Stato socialista in Marx non c’è, ma soprattutto non c’è fra gli studiosi marxisti. Le risposte a Bobbio sono state di vario genere, ma tutte hanno confermato le sue perplessità riguardo alla mancanza di indicazioni marxiane sulla forma politica che lo Stato dovrebbe assumere quando sorpassasse e rivoluzionasse, per mano della classe operaia, ‘lo stato di cose presente’. 

Come abbiamo accennato, in Marx certamente c’è una complessa e articolata teoria dello Stato borghese-capitalistico, manca una teoria ‘socialista’ dello Stato - anche se a ben vedere una teoria dello ‘Stato socialista’ ci sarebbe pure, ma riguarderebbe il secondo Impero di Napoleone III in Francia, che venne duramente criticato e messo alla berlina da una serie di articoli di Marx sulla New York Daily Tribune di cui parleremo in seguito - manca cioè un programma pratico e dettagliato6 che indichi tutte le tappe che il proletariato dovrà percorrere per arrivare alla conquista del potere. Manca anche una teoria sulle forme di governo, sulla ‘gestione’ del potere e soprattutto una considerazione particolareggiata e sistematica della forma democratica di Stato. 

D’altra parte, tutto questo uscirebbe fuori della critica dell’economia politica, potendo essere considerato piuttosto come un percorso squisitamente politico (teorico o pratico che sia), un percorso che Marx, a quanto possiamo constatare, non volle intraprendere, scegliendo piuttosto di immergersi nello studio di questo rapporto di produzione, al fine di ricostruirne la genesi storico-logica, per criticare le distorsioni materiali e di coscienza cui il capitale dà necessariamente luogo. 

Per concludere, dobbiamo ancora dire che si è fatta una scelta precisa dei testi da analizzare, dei testi da sintetizzare o di quelli da citare soltanto in nota. Di volta in volta ne verranno indicate le ragioni, che cambiano a seconda della relazione in cui si trovano con l’argomento principale della nostra tesi. 

   (Qui il testo completo: http://dialetticaefilosofia.it/public/pdf/770tesi.pdf )

Note

1 Nel Capitale, come si vedrà, si prefigura la fine di questo rapporto di produzione e quindi il superamento del dominio politico della borghesia sul proletariato, ma sempre con accenni, rari e mai approfonditi.

2 Ci riferiamo al manoscritto marxiano di critica alla filosofia statuale hegeliana (Karl Marx, Critica della filosofia statuale hegeliana, traduz. cura e commentario di R. Finelli e F.S. Trincia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1983) del quale si dirà approfonditamente nel primo capitolo del presente lavoro. Possiamo però intanto dire che nel Capitale Marx farà un riferimento implicito - cioè senza citare il manoscritto - al suo lavoro giovanile di critica a Hegel affermando che “Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel […] come un <<cane morto>>. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare.” (Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, vol.I, 1989, pp.44-45). Il passo citato è celebre, ma l’abbiamo voluto ricordare affinché sia evidente come Marx, in fondo, non si sia mai liberato della influenza filosofica da parte di Hegel (della sua dialettica) e che non abbia mai inteso compiere quel ‘parricidio’ che spesso gli si attribuisce, interpretandolo proprio come un annullamento del rapporto filosofico con l’idealista tedesco. Certo, la critica a Hegel rimane, ma come vedremo non verrà portata da Marx alle sue estreme conseguenze; il ‘passaggio’ alla critica dell’economia politica - di cui diremo più avanti - mostrerà come Marx abbandonerà la filosofia tout court e anche l’intenzione di mettere insieme un sistema filosofico critico della speculazione hegeliana.

3 Come si vedrà in seguito, la Critica rimase un manoscritto per ragioni - spiegate dallo stesso Marx nel 1844 - che riguardavano la sua totale mancanza di forma sistematica; a differenza del Capitale (libro I) che fu invece pubblicato e ritenuto perciò soddisfacente in quanto a forma espositiva. “Certo il modo di esporre un argomento deve distinguersi formalmente dal modo di compiere l’indagine. L’indagine deve appropriarsi il materiale nei particolari, deve analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve rintracciarne l’interno concatenamento. Solo dopo che è stato compiuto questo lavoro, il movimento reale può essere esposto in maniera conveniente.” (K. Marx, Il capitale, cit., p. 44). I due scritti comunque non sono confrontabili neanche per il contenuto, poiché nel primo lo Stato viene presentato da un punto di vista sostanzialmente etico e nel secondo invece viene ricostruito con categorie strettamente economico-politiche.

4 Sul rapporto struttura-sovrastruttura diremo meglio nel corso dell’analisi dell’Ideologia tedesca.

5 Il riferimento è all’Inghilterra che, come si vedrà, è presa a esempio da Marx per la ‘purezza’ logica con la quale ha visto instaurarsi sul suo territorio il rapporto capitalistico di produzione.

6 Il Manifesto può essere certo considerato un programma pratico, ma sicuramente non dettagliato del passaggio dal capitalismo al comunismo.



Nessun commento:

Posta un commento