“Se scoppia la guerra, facciamo la rivoluzione”. Le rivoluzioni non vengono “fatte”, e grandi
movimenti popolari non vengono inscenati con ricette tecniche tratte pronte
dalle istanze di partito. Piccoli circoli di congiurati possono “preparare” per
un determinato giorno e ora un putsch, possono dare al momento buono alle loro
due dozzine di aderenti il segnale della “zuffa”. Movimenti di massa attivi in
grandi momenti storici non possono essere guidati con questi stessi metodi
primitivi. Lo sciopero di massa “meglio preparato” in certe circostanze può
miserevolmente fallire proprio nel momento in cui una direzione di partito gli
da “il segnale di via”, o afflosciarsi dopo un primo slancio. L'effettivo
svolgimento di grandi manifestazioni popolari e azioni di massa in questa o in
quella forma, è deciso da tutta una serie di fattori economici, politici e
psicologici, dal livello di tensione del contrasto di classe, dal grado di
educazione, dal punto di maturazione raggiunto dalla combattività delle masse,
elementi tutti imponderabili e che nessun partito può artificialmente
manipolare. Ecco la differenza tra le grandi crisi storiche e le piccole azioni
di parata che un partito ben disciplinato può in tempi di pace pulitamente
eseguire con un colpo di bacchetta delle “istanze”. Ogni ora storica esige
forme adeguate di movimento popolare: essa stessa se ne crea delle nuove,
improvvisa mezzi di lotta in precedenza sconosciuti, vaglia e arricchisce
l'arsenale popolare, incurante di qualsivoglia prescrizione di partito.
[Rosa Luxemburg, “Juniusbroschüre” Scritto nell’aprile 1915,
Pubblicato a Zurigo nel febbraio 1916]
[…] L’aspetto più sconcertante dei consigli era che essi
attraversavano non solo tutte le linee dei partiti, e riunivano membri di
diversi partiti, ma che questa appartenenza partitica non aveva alcuna
importanza. Erano insomma gli unici organi politici aperti ai cittadini che non
appartenevano a nessun partito. Perciò entravano inevitabilmente in conflitto
con tutte le assemblee, coi vecchi parlamenti non meno che con le “nuove
assemblee costituenti”, per la semplice ragione che queste ultime, anche nei
loro settori più estremisti, erano pur sempre figlie del sistema partitico. In
questa fase, ossia nel bel mezzo della rivoluzione, erano i programmi di
partito che più di qualsiasi altra cosa dividevano i consigli dai partiti;
perché questi programmi, per rivoluzionari che fossero, erano tutti “formule
preconfezionate” che non richiedevano azione, ma esecuzione – “di essere messe
energicamente in pratica”, come puntualizzava Rosa Luxemburg, con la sua
straordinaria chiarezza di idee sulla posta in gioco. [Hannah Arendt, Sulla Rivoluzione (1963), Edizioni di
Comunità, Milano 1983, pp. 305-306].
Nessun commento:
Posta un commento