Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
DELL’ESSERE INUMANO. – MODESTE ESIGENZE. - DELLA SCUOLA. –
HERRNREITTER.
Ziffel andava quasi ogni giorno al ristorante della
stazione, perché nel vasto locale c’era un piccolo chiosco di tabacchi, e ogni
tanto, a periodi irregolari, compariva una ragazza, con un paio di scatole
sotto il braccio, apriva e poi per dieci minuti vendeva sigari e sigarette.
Ziffel aveva già in tasca un capitolo delle sue memorie e spiava l’arrivo di
Kalle. Poiché questi per una settimana non venne, Ziffel già cominciava a
pensare di avere scritto quel capitolo inutilmente, e abbandonò il lavoro. A H.
non conosceva nessuno, tranne Kalle, che parlasse tedesco. Ma al decimo o
undicesimo giorno Kalle ricomparve e non mostrò alcun segno particolare di
spavento quando Ziffel tirò fuori il suo manoscritto.
ZIFFEL
Incomincio con una introduzione nella quale faccio presente, in tono dimesso,
che le opinioni ch’io intendo esporre erano ancora, almeno fino a poco tempo
fa, le opinioni di milioni di uomini, sicché è impossibile che siano proprio
del tutto prive di interesse. Salto l’introduzione, e anche un altro pezzetto,
e passo subito all’analisi dell’educazione di cui ho goduto. Questa analisi, infatti,
mi sembra assai istruttiva, e qua e là veramente eccellente. Si chini un po’
verso di me, in modo da non essere disturbato dal baccano che c’è qui. (Legge)
“So che la bontà delle nostre scuole viene spesso messa in dubbio. Il mirabile
principio su cui si fondano non viene riconosciuto o apprezzato. Esso consiste
nell’introdurre immediatamente il giovane, in tenerissima età, nel mondo così
com’è. Senza tanti preamboli, senza fargli molti discorsi, viene gettato in un
sudicio stagno: nuota o ingoia fango!
“Lo scolaro impara tutto ciò che è necessario per andare
avanti nella vita. E’ lo stesso di ciò che è necessario per andare avanti nella
scuola. Si tratta di appropriazione indebita, di simulare di sapere quel che
non si sa, di capacità di vendicarsi impunemente, di rapida assimilazione di
luoghi comuni, adulazione, servilismo, prontezza a tradire i propri simili con
i superiori, ecc., ecc.
“Ma la cosa principale è la conoscenza degli uomini. La si conquista sotto forma di conoscenza dei maestri. Lo scolaro deve saper
riconoscere e sfruttare le debolezze del maestro, altrimenti non potrà mai
impedire che lo si imbottisca di quel guazzabuglio assolutamente privo di
valore che si chiama patrimonio cerebrale. Il nostro miglior maestro era un
uomo alto, sorprendentemente brutto, il quale in gioventù, si diceva, aveva
aspirato a una cattedra universitaria, ma non c’era riuscito- Questa delusione
provocò il pieno sviluppo di tutte le forze sonnecchianti in lui. Si compiaceva
di sottoporci, senza preavviso, ad un esame, ed emetteva gridolini di voluttà
quando noi non sapevamo rispondere. Quasi ancora più odioso lo rendeva
l’abitudine di andare, due o tre volte in un’ora, dietro la lavagna per pescare
dalla tasca della giacca un pezzo di formaggio non incartato, che poi masticava
continuando a insegnare. Insegnava chimica, ma non avrebbe fatto alcuna
differenza se si fosse trattato dell’arte di dipanare un gomitolo. Aveva
bisogno della materia di insegnamento per mettere in mostra se stesso, come gli
attori hanno bisogno di un intreccio. Il suo compito era di fare di noi degli
uomini. E questo non gli riusciva male. Da lui non imparammo la chimica, ma
come ci si vendica. Ogni anno veniva un ispettore scolastico che, si diceva,
voleva vedere come apprendevamo. Ma noi sapevamo che voleva vedere come
insegnavano i maestri. Una volta cogliemmo l’occasione per rovinare il nostro
maestro. Non rispondemmo a una sola domanda e restammo seduti come idioti. Quel
giorno egli non mostrò nessuna gioia per il nostro fiasco. Gli venne
l’itterizia, giacque molto ammalato, e una volta ritornato non fu più il
vecchio voluttuoso ruminatore di formaggio.
“L’insegnante di lingua francese aveva un’altra debolezza.
Rendeva omaggio a una malvagia dea che esige terribili sacrifici: la Giustizia.
Il mio compagno B. ne traeva vantaggio nel modo più intelligente. Nella
correzione dei compiti scritti, dalla cui bontà dipendeva la promozione,
l’insegnante usava segnare su un foglio a parte, accanto a ogni nome, il numero
degli errori. A destra di questo numero scriveva il voto, in modo da avere
insieme tutti gli elementi. Diciamo: zero errori davano dieci, il voto più
alto; dieci errori, sei, ecc. Dei compiti stessi gli errori erano sottolineati
in rosso. Ora qualche volta i somari tentavano di grattare con un temperino un
paio di segni rossi, si alzavano e andavano dal maestro a fargli notare che
aveva sbagliato in eccesso nel fare la somma degli errori. Allora il maestro
metteva il foglio contro luce e individuava i punti lisci rimasti là dove il
ragazzo aveva ripassato con l’unghia del pollice la parte grattata. B.
procedeva diversamente. Sul suo compito già corretto egli sottolineava con
inchiostro rosso qualche punto del tutto esatto e andava alla cattedra con aria
offesa a chiedere che cosa mai ci fosse di sbagliato. Il maestro doveva
riconoscere che non c’era niente di sbagliato, cancellare i segnacci rossi,
rettificare il numero degli errori e, naturalmente, anche il voto. Si ammetterà
che questo scolaro a scuola ha imparato a pensare.
“Lo Stato assicurava la vivacità dell’insegnamento in un
modo molto semplice. Costretto ad esporre solo una determinata porzione di
sapere, anno per anno sempre la stessa, l’insegnante diveniva del tutto
indifferente alla materia d’insegnamento, né veniva più distratto dal suo scopo
principale, che era quello di sfogarsi davanti agli scolari. Tutte le sue delusioni
provate, preoccupazioni finanziarie, disgrazie familiari, egli le liquidava
durante le ore di insegnamento facendone così partecipi gli alunni. Non essendo
traviato da alcun interesse per la materia, poteva concentrarsi sulla
formazione delle anime dei giovani e insegnar loro tutte le forme della frode.
Così li preparava all’ingresso in un mondo dove avrebbero incontrato persone
fatte appunto come lui, storpiate, rovinate, rotte ad ogni malizia. Sento che
le scuole, o almeno alcune di esse, sono fondate oggi su principi diversi da
quelli dei miei tempi. I bambini verrebbero ora trattati in modo giusto e
comprensivo. Se così fosse, lo deplorerei molto. Noi, per esempio, imparavamo a
scuola cose come le differenze di classe, perché ciò faceva parte delle materie
di studio. I figli di gente perbene venivano trattati meglio dei figli dei
lavoratori. Tolta questa materia dagli odierni programmi scolastici, i giovani
imparerebbero soltanto nella vita questa differenza di trattamento, che è
infinitamente importante. Tutto ciò che imparerebbero a scuola, nel rapporto
con gli insegnanti, li dovrebbe indurre nella vita extrascolastica, che è tanto
diversa, alle azioni più ridicole. Verrebbero artificiosamente ingannati sul
comportamento che il mondo assumerà nei loro confronti. Essi si attenderebbero
fair play, benevolenza, interessamento, e verrebbero dati in pasto alla società
assolutamente sprovveduti, impreparati, disarmati.
“Io fui preparato in modo ben diverso! Entrai nella vita ben
fornito di solide cognizioni circa la natura degli uomini.
“Quando la mia educazione fu in qualche modo conclusa, avevo
ragione di aspettarmi che, essendo fornito di alcuni mediocri vizi e in
procinto di imparare ancora qualche non troppo grave mostruosità, sarei
riuscito a cavarmela decentemente nella vita. Era un’illusione. Un bel giorno
improvvisamente, si pretesero delle virtù”. E con ciò smetto per oggi, perché
credo d’aver destato la sua curiosità.
KALLE
Il suo indulgente giudizio sulla scuola è insolito e rivela un enorme distacco.
Comunque mi accorgo solo ora che anch’io ho imparato qualcosa. Mi ricordo che
subito, il primo giorno di scuola, ricevemmo una buona lezione. Quando
arrivammo in aula, ben lavati e muniti di zaino, e i genitori furono mandati
via, fummo allineati contro il muro, e poi il maestro comandò: “Ognuno si
cerchi un posto”, e noi via, ai banchi! Siccome c’era un posto in meno, uno
scolaro rimase senza, in piedi tra i banchi; ed il maestro gli appioppò un bel
ceffone. Questo fu per noi un ottimo insegnamento: non è ammesso aver scalogna.
ZIFFEL
Quel maestro era un genio. Come si chiamava?
KALLE
Herrnreitter.
ZIFFEL
Mi meraviglio che sia rimasto un semplice maestro elementare. Doveva avere un nemico al Provveditorato.
KALLE
Abbastanza buona era anche un’usanza introdotta da un altro maestro. Voleva
suscitare il senso del decoro, diceva. Quando uno…
ZIFFEL
Mi scusi, ma sto pensando a Herrnreitter. Con mezzi tanto semplici, una comune
aula con troppo pochi banchi, vi ha fornito un ottimo modello in scala ridotta,
sicché avete avuto subito chiaro davanti agli occhi il mondo che vi attendeva.
Per delinearlo gli bastarono un paio di tratti arditi, eppure esso si dispiegò
plasticamente davanti ai vostri occhi, evocato da un grande artista! E ci
scommetto che ci arrivò istintivamente, per pura intuizione! Un semplice
maestro elementare!
KALLE
In ogni modo egli ottiene così un tardivo riconoscimento. L’altro era molto più
comune. Era per la pulizia. Quando uno usava un fazzoletto sporco, perché la
sua mamma non ne aveva un altro pulito, doveva alzarsi, sventolare il fazzoletto
e dire: “Ho un moccichino che fa schifo!”
ZIFFEL
Anche questa è buona, ma non superiore alla media. Lei stesso dice che quello
voleva suscitare il senso del decoro. Era un ingegno comune. Herrnreitter aveva
la scintilla. Non dava soluzioni. Si limitava soltanto a porre in bella vista
il problema, a rispecchiare la realtà. Le conseguenze le lasciava trarre tutte
a voi! Un simile procedimento dà ben altri frutti. Le sono profondamente grato
di avermi fatto conoscere questo notevole ingegno.
KALLE
Ma le pare!
Poco dopo i due si separarono e se ne andarono, ciascuno
per la propria strada.
Seconda parte: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/02/dialoghi-di-profughi-ii-bertolt-brecht.html#more
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