“la produzione capitalistica sviluppa la tecnica e la combinazione del
processo di produzione sociale solo minando al tempo stesso le fonti primigenie
di ogni ricchezza: la terra e il lavoratore” (K. Marx, Capitale)
"la lotta operaia è venuta assumendo caratteri tali per cui essa
non è stata più né semplicemente redistributiva né semplicemente normativa, ma
è diventata politica in un senso più stretto, in quanto cioè ha indebolito
spesso profondamente, una delle condizioni necessarie alla realizzazione del
rapporto capitalistico, ossia la subordinazione, la mancanza di autonomia,
della classe operaia all'interno del processo produttivo . . . la crisi
economica, e sociale, è dovuta essenzialmente a questa spinta operaia, nel
senso che il processo accumulativo, già colpito dai successi ottenuti, al
principio degli anni Sessanta, sul terreno della distribuzione, è stato poi
ancor più duramente colpito da quella conquista di autonomia operaia che ha
fortemente limitato la possibilità di risposta del capitale in termini
tradizionali, in termini cioè di aumento del grado di sfruttamento"
(C. Napoleoni)
"Io voglio spiegare i punti decisivi di queste lotte: gli scioperi
selvaggi, la lotta contrattuale che la Fiat ha cercato di fermare sospendendo
30 mila operai. Il padrone con il salario crede di comprare un operaio come si
compra un chilo di mele. Tu ti vendi e io ti pago. Poi ti consumo come voglio.
La mela la tagliuzzo, la faccio cuocere, la lascio marcire [...] la mordo. Il
destino della merce è infatti quello di lasciarsi consumare [...] Ma l'operaio
è una merce un poco speciale, non basta vendersi ad un buon prezzo, non vuole
più lasciarsi consumare come piace ai padroni. E' una merce questa che vuole
avere il potere di controllare ogni giorno il modo del suo consumo, per questo
ora si fanno le lotte interne sul lavoro per il controllo operaio"
(S. Gaudenti, brano tratto da un'intervista del "Corriere della sera"
ad alcuni operai, registrata durante l'autunno caldo del '69 e mai pubblicata
su quel quotidiano. Fu resa disponibile vent'anni fa da Pino Ferraris che la
aveva nel suo archivio, e comparve sul "manifesto")
Introduzione
Nell’attuale dibattito sulla crisi due sono i filoni
interpretativi principali che si richiamano a Marx e che proclamano una sua
rinnovata attualità. Il primo, proposto da quegli autori che si vogliono
marxisti “ortodossi”, è quello che legge la finanziarizzazione come conseguenza
della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in quest’ottica individua
una lunga tendenza alla stagnazione che comincia negli anni Settanta del
Novecento. L’altra interpretazione, prevalente per lo più in quei marxisti influenzati
dal keynesismo e dal neoricardismo, fa riferimento alla tendenza alla crisi da
realizzazione, ovvero da insufficienza da domanda. Questo secondo filone
evidenzia come, dopo la controrivoluzione monetarista degli anni Ottanta del
Novecento, siano avvenuti profondi mutamenti nella distribuzione del reddito con la caduta della quota dei
salari, e sostiene che in un mondo di bassi salari la ragione di fondo della
crisi sia l'insufficienza della domanda di consumi: una prospettiva più o meno
dichiaratemente sottoconsumista. In entrambi i casi, la crisi attuale coverebbe
da molto tempo, e sarebbe la crisi di un capitalismo che si può ben definire
asfittico, sostanzialmente e (ormai) perennemente stagnazionistico.
Ritengo che un’interpretazione marxiana della crisi non
possa essere sganciata dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, ma che
questa vada interpretata come una sorta di meta-teoria della crisi, che ingloba
al suo interno le altre e diverse teorie della crisi che si possono trovare o derivare
dal Capitale. In quel che segue, procederò in prima battuta ad una ricognizione
delle diverse teorie della crisi riconducibili a Marx, e che sono di solito
esposte come filoni alternativi e incompatibili.
In secondo luogo, cercherò di
integrare i diversi spunti che si trovano in Marx in un discorso unitario,
dentro una lettura non meccanicistica della caduta del saggio di profitto.
Questo discorso si prolunga in uno schizzo storico della dinamica lunga del
capitale: dalla Grande Depressione di fine Ottocento, alla Grande Crisi degli
anni Trenta del secolo scorso, alla Crisi Sociale nei processi immediati della
valorizzazione degli anni Sessanta-Settanta. Infine, leggerò su questo sfondo
la dinamica capitalistica di fine Novecento e la crisi che si è materializzata
in questo ultimo decennio, sottolineando il legame tra finanziarizzazione e
frammentazione del lavoro, e cercando di individuare le novità più
significative nella morfologia del sistema economico e sociale.
[...] In effetti, sostiene Marx, le crisi hanno luogo a partire da
una caduta degli investimenti, e questa deriva da una crisi della
profittabilità. La questione, dunque, si trasforma, e diviene quella di
comprendere la ricorrenza delle crisi, riconducendola a una compressione del
saggio del profitto, e spiegandone le ragioni. Su questo, Marx propone nei suoi
manoscritti una serie di prospettive diverse, di cui è dibattuta la possibilità
di riconduzione a un quadro unitario e coerente.
Leggi tutto: http://wwwdata.unibg.it/dati/persone/46/3905-Marx%20e%20la%20crisi%20-%20Bellofiore.pdf
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