Nel numero 5-2010 di Marxistische Blätter, il compagno R.
Steigenwald interviene sulla problematica del mito, con un articolo dal titolo Che
cosa falsi e autentici miti dovrebbero raccontarci?
E’ interessante che il compagno inizi il suo scritto con una
citazione da Thomas Mann, che riecheggia motivi freudiani: “Profondo è il
pozzo del passato. Non si dovrebbe dire che è insondabile?”[1]
Steigenwald si richiama ad Alfredo Bauer[2],
-comunista di estrazione ebraica, che riuscì a sfuggire alla persecuzione
nazi-fascista, rifugiandosi in Argentina-, per affermare che “oggi ed ora,
siamo circondati da miti. Difficilmente ci troveremmo a nostro agio nel mondo,
in mancanza di miti. L’insieme dei miti riporta a noi il passato. Poiché,
appunto questo sono i miti: storie, che ci riportano il passato e, con ciò
stesso, ci rendono comprensibile il nuovo. Le ‘scene del mito’ mostrano i nostri dei, eroi e sapienti come essi sono e
come divennero ciò, che sono per noi”. Ma cosa dobbiamo intendere col termine
<mito>?
“Una pluralità di eventi e di situazioni –difficilmente
riconducibili all’univocità di una definizione- si annoda nelle ramificazioni
dei significati generati dall’uso del termine, la cui comparsa nelle fonti
greche costituisce un avvenimento epocale: l’irruzione di un segno linguistico
capace di mostrare, da una parte, la forza creatrice insita nel processo di
costruzione semantica dei mondi rappresi nelle forme del pensiero orale e,
dall’altra, il delinearsi, nel contesto delle loro articolazioni, di orizzonti
di esperienze emblematiche, che risultano
irriducibili ai paradigmi del pensiero analitico e lineare della civiltà
della cultura alfabetica.” [3]
“I poemi di Omero raccordano così in forma mirabile attorno alla nozione di muqoV parole, discorsi, racconti che trapassano gli uni negli altri, creando narrazioni compatte e poliedriche, che trattengono nel ritmo serrato della modulazione metrica le tracce e gli indizi risalenti ai processi costitutivi ed alle fonti delle creazioni dovute al genio anonimo della trasmissione orale.“… Il pensiero narrativo greco aveva codificato nelle figure e nelle trame di certi suoi racconti i caratteri che definiscono l’identità delle composizioni cui si riconoscevano la dignità e l’autorevolezza proprie dei miti[4] Le storie di Proteo, come accade nel contesto di altri racconti, mettono capo al lato oscuro della ‘parola’ , affondano nel rovescio delle sue impalcature a quello stadio del linguaggio, in cui le labbra si rinserrano e da esse nulla può fuoriuscire. Come suggerisce la radice mu di muqoV, un unico suono, un balbettio, una parola inarticolata … la relazione che il mondo greco ha istituito tra la creazione del mito e la presenza di figure che su di esso esercitano un potere particolare: posto al servizio di Apollo e Dioniso, il mito si fa metafora della stessa vita divina[5].
In qualche significativa consonanza con l’Enciclopedia italiana, che abbiamo citato, troviamo un saggio tedesco: esattamente l’articolo, che, scritto del compagno R. Weimann, svolge il tema “Mytholgie”, nel volume 3 della Ēuropäische Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften.[6]
Anche per Weimann, il termine <mito> ha un significato
ambiguo, perché è inteso sia come costrutto mitologico, sia come mito insieme
alla concezione e il sapere, che questo oggetto implica. Fra mito e dottrina
del mito (cioè mitologia in senso stretto) c’è il percorso dall’appropriazione
preistorica e prescientifica del mondo, alla sua elaborazione e interpretazione
storica e scientifica.
In Europa, dei miti conosciamo solo alcune versioni di
seconda mano e il suo concetto, ma l’oggetto stesso non è accessibile
all’attuale esperienza sociale.
E questo perché il mito presuppone certe forme di coscienza sociale che, a partire da
Marx (ma non dai ‘costruttori’ di miti), cercano di dominare le forze della
natura nella cultura e mediante la cultura.
Il mito vivente può sempre esser ricostruito teoricamente come una forma di pensiero. Il momento sincretistico del mito, che può legarsi con la prassi del rito culturale, consiste nell’affastellamento, oggi non più realizzabile, e nell’anticipare diverse pratiche vitali in una forma fantastica, prelogica e a-razionale. In quanto forma primitiva e totalizzante dell’appropriazione del mondo, il mito riflette sia la debolezza che la forza dell’homo sapiens, il quale dall’unione in unità collettive, può costruire superiori forme di socializzazione. Nello stadio più antico, si elaborò nei miti classici della Grecia un divino mondo olimpico al di sopra dell’inferiore animismo, sciamanesimo e matriarcato dei tempi primitivi, che come l’antico culto fruttifero di Dioniso, fu respinto e soggiogato. Dal mistico propriamente risulta il religioso, che cominciò a separarsi da altre forme di socializzazione e di appropriazione del mondo. Mentre, tuttavia, le più antiche funzioni del rito di iniziazione e del culto di fertilità nei più antichi miti classici cominciavano a perder importanza o, addirittura, venivano rimossi, le arti drammatiche trovarono in entrambi, da un lato, la grandiosità drammaturgica e, dall’altro, la primitiva radice tematica della produttività teatrale.
Al contrario dei miti preistorici, la storia della mitologia può essere compresa solo dalla storia dei suoi teorici. Essa inizia nella sofistica ellenistica, che interpretava le tradizionali saghe e rappresentazioni come espressioni di un percorso naturale. Questa così detta interpretazione del mondo divino, come anche quella morale ed allegorica medievale non vanno oltre il Rinascimento, nel quale la naturalezza glorificata dell’antico mondo vale a giustificare ed esaltare la sensibilità delle arti. Una nuova concezione del mito nasce nel tempo, così come i mutamenti storici nello stesso mondo moderno consente una più profonda penetrazione del mondo antico e della vita dei popoli. Così la interpretazione allegorica del mito si impone assieme all’Illuminismo tedesco ed il mito non viene più inteso come forma primitiva dei pregiudizi antichi, ma sì come la costruzione tra il poetico e il filosofico più bella e densa di contenuti (Herder).
I miti sono, come
tutto ciò che è significativo, come tutto ciò che i popoli creano, un’elevata
dimensione reale. I miti di Prometeo ed
Eracle, di Antigone e Cassandra, di Deucalione e di Noah, di Mosè e Kytro, di
Gesù e Maddalena, di Sigfrido e di re Artù, per fare solo degli esempi, sono
imperituri ed increati. E i sognatori, i poeti, i saggi, i ribelli e gli
innovatori del mondo trovano in essi sempre una nuova ispirazione, un nuovo
senso.
Nel mito,si congiungono vissuti storici, sociali,
geografici, antropologici, equiparati l’un all’altro. Dunque non fa meraviglia
che alcuni miti originari: la storia di Abramo e del figlio Isacco, quello di
Agamennone e della sorella Ifigenia, quello di Caino ed Abele, di Romolo e Remo,
anche se si imposero in regioni tanto lontane, sembrano copia l’uno del’altro.
Ciò vale fin nel particolare: nella storia del tebano Athamante e di Phristo,
il primo –che è il padre- deve sacrificare il proprio figlio, ma appunto nel
momento, in cui Athamente si apprestava al sacrificio, Eracle gridò: “Zeus
padre mio e del cielo condanna con tutto
lo sdegno il sacrificio umano”.
Con la storia di Abramo noi facciamo l’esperienza che il sacrificio umano fu tolto con la pratica della circoncisione: mentre fino ad allora valeva in tutto il Vicino Oriente che venisse sacrificato il primo nato, questa pratica scomparve perché sostituita dalla circoncisione.
In tutti questi miti viene narrata una drammatica rottura nella storia dell’umanità; ma solo chi sa qualcosa dalla storia, comprende cosa vi è raccontato. Questo mi capitò una prima volta, ma non riflettevo, quando Mefistofele nel Faust parlava di Lilith, la prima donna di Adamo. Oggi, io so che in una singola proposizione è contenuto il dramma della distruzione del matriarcato e della sua sostituzione con il patriarcato. Quando la redazione dell’AnticoTestamento escluse dal testo sacro i miti orientali, questa fondamentale rottura si cercò di renderla comprensibile con racconti in parte eccezionalmente appassionati e brutali.
Un esempio di ciò è il serpente del Paradiso, che portò al peccato sia Adamo che Eva. Questa è la causa per cui noi dobbiamo tormentarci con il lavoro e lasciarci affliggere da altre pene (da marxista, Bauer è ben lungi, ovviamente, dal vedere nel lavoro una maledizione; altrettanto nel mito greco il lavoro non è connotato in tal senso).
Per questa Lilith, come per le donne cananee in generale, la promiscuità sessuale è una condizione giusta, la letteratura sacerdotale è ricca di condanna per questa situazione morale. Lilith viene raffigurata come una grande divoratrice di uomini e come un’infanticida, così fondamentalmente opera come uno strumento per liberare il cervello da ogni rimpianto per il matriarcato. Ma tutto ciò non è riuscito bene. Le città ebraiche –e non solo esse- avevano per tradizione nomi femminili.
[1] - Insomma, così
come freudianamente insondabile è l’inconscio, analogamente T. Mann
suggerisce l’insondabilità del passato (e del mito, nella misura n cui
quest’ultimo è una storia che proprio del passato ci parla). Naturalmente non
fa meraviglia che la mitologia –sia nel senso di riflessione sui miti; sia in
quello di complesso di miti- trovi nella psicoanalisi un’eco vasta e profonda.
[2] - Il quale
scrisse Mythen-Szenen e, nel 2009,Mini-Dramen.
[3] - cf. la voce “Mito”, nell’Enciclopeda
filosofica, v. 8, Bologna 2010: 7492.
[4] - L’esempio che l’A. fa è tratto dall’ Odissea ed è illustrato nelle Georgiche d
Virgilio.
[5] - Enciclpedia,
vol. 8: 7494.
[6] - Enciclopedia
europea per la filosofia e le scienze. Anche se composta nella RDT, l’opera
fu pubblicata ad Amburgo presso la Veiner Verlag nel 1990.
Nessun commento:
Posta un commento