martedì 22 giugno 2021

“Je ne suis pas marxiste”? Ovvero Marx citato a sproposito - Roberto Fineschi

Da: https://www.lacittafutura.it
Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. 


La frase sovracitata di Marx si riferiva a Lafargue e ai “collettivisti”, a quel tempo tacciati col termine dispregiativo di “marxisti”, non certo al sistema teorico a cui Marx, insieme a Engels, diede il massimo contributo.

Sempre di nuovo si sente ripetere la celebre affermazione attribuita a Marx che suona “io non sono marxista”. Con essa si intende porre una distanza tra il vecchio Moro e le filiazioni politiche che a lui si richiamano, oggi come ieri. Si tratta però di un uso fuorviante e fuori contesto quindi, nella sostanza, sbagliato; cercherò di spiegarne il perché partendo dai dati.

1) Noi conosciamo la frase grazie a… Engels, sì, proprio colui che secondo alcuni sarebbe addirittura l’inventore del marxismo. La riferisce in una lettera a Bernstein, affermando che Marx l’avrebbe usata con Lafargue per prendere le distanze dal gruppo francese dei “collettivisti” che facevano capo allo stesso Lafargue e Guesde [1].

Dunque la fonte è Engels, il contesto è quello del dibattito francese dei primi anni Ottanta dell’Ottocento.

2) Bisogna avere ben chiaro che in quel momento il senso odierno della parola marxismo non esisteva. Che cosa significava allora? Una cosa ben specifica e, sostanzialmente, dispregiativa. Pare che l’espressione abbia subito lo stesso destino di altre parole poi divenute “normali”, come per esempio “gotico”, “barocco”, cioè di termini nati originariamente con un significato negativo. Già Bakunin aveva introdotto l’uso di “marxiano” e “marxista” in questo senso ai tempi delle polemiche scoppiate in seno alla prima Internazionale. Analogamente, all’interno del dibattito francese all’inizio degli anni Ottanta, il gruppo “vicino” alle posizioni di Marx, attivo intorno al giornale “L’égalité”, veniva etichettato dagli avversari come “marxista”: “la cricca di Marx” per intenderci. Marx stesso menziona questa discussione come un dibattito tra “marxisti” e “anti-marxisti” [2].

Dunque, marxismo era in quel momento un termine denigratorio con cui gli avversari dei collettivisti additavano i loro nemici considerandoli vicini alle posizioni di Marx.

3) Perché il gruppo veniva “apostrofato” così? Semplice, perché Marx ed Engels avevano effettivamente contribuito addirittura alla stesura del programma politico, economico e sociale presentato da quella parte del partito nella sua attività politica. Insomma: era vero. Marx era marxista anche in questo senso ristretto [3].

4) Perché allora Engels e Marx prendono le distanze dal termine? Se evidentemente il gruppo francese era vicino a Marx, certo non rappresentava le sue idee e la sua teoria in maniera completa o adeguata. Con quel termine infatti non si intendeva una visione del mondo complessiva, ma semplicemente un orientamento e una ispirazione alla quale Marx non si sentiva di associare addirittura il proprio nome, in particolare perché essa aveva assunto la forma di una guerra intestina locale, di beghe particolaristiche, in cui del resto il nome aveva connotazione denigratoria.

Per concludere: ammesso che sia stata effettivamente pronunciata, la frase di Marx significa semplicemente che egli, per quanto effettivamente fosse loro vicino e avesse direttamente influenzato le loro idee e i loro programmi, non voleva che il gruppo francese di Guesde e Lagargue, sempre più localistico, fosse identificato con un epiteto (denigratorio) ispirato al suo nome. Questo in sintesi il significato della frase.

Come nasce un senso positivo del termine? Solo dopo la morte di Marx, Engels finì con scarsa convinzione per accettare l’uso dell’espressione in senso positivo avallando l’organizzazione di un “congresso di marxisti” in cui cercava di riunire tutti coloro che, tra i vari gruppi socialisti e comunisti, riteneva più fedeli al pensiero di Marx, proprio per contrastare quelle forze centrifughe e settarie che reputava fossero emerse nei vari schieramenti in vari paesi. Qui il termine cambia decisamente di significato e va a indicare una concezione più generale del mondo basata sul “socialismo scientifico”, alla costruzione della quale Engels evidentemente mirava consapevolmente, come è del resto dimostrato dalla sua instancabile attività negli ultimi anni di vita. Chi comunque spinse più drasticamente, rompendo con le reticenze engelsiane, verso un uso positivo del termine come elemento identificativo di uno schieramento fu sicuramente Kautsky. Al di là delle origini contingenti, è dunque quest’ultimo, ancor più di Engels, che ha incoraggiato l’utilizzo della categoria marxismo nei termini comunemente intesi [4].

Se, in termini estremamente generali, chiamiamo “marxismo” un movimento basato sulla teoria di Marx che abbia l’intento di costruire un’organizzazione internazionale dei lavoratori capace di trasformare la società presente - e che quindi questi lavoratori maturino una consapevolezza del proprio ruolo storico -, Marx era decisamente marxista. La sua vita intera di attivista politico lo dimostra senza ombra di dubbio. Che si voglia chiamare questa prassi politica marxismo o in qualunque altro modo non cambia il contenuto. Non solo: il tentativo di realizzare questo progetto era già stato intrapreso da lui stesso, insieme a Engels, nel corso della sua vita. Pensare che Marx non approvasse l’Anti-Dühring (al quale tra l’altro ha contribuito), non conoscesse e approvasse i libercoli engelsiani sul passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza, ecc. pare onestamente anti-storico.

Marx e il marxismo, anzi i marxismi, non sono la stessa cosa, questo è quasi una ovvietà. Ma non è vero che non siano reciprocamente connessi; il vero tema è, a mio avviso, la ricostruzione di sviluppi, mediazioni, ma anche distanze o contraddizioni tra la galassia dei marxismi storici e la teoria del capitale del vecchio Moro; non certo immaginare un Marx lontano o addirittura sarcastico rispetto alla prospettiva di un’azione politica organizzata connessa alla sua teoria.

Note:

[1] Lettera di Engels a Bernstein del 2/3 novembre 1882: “Ora, ciò che in Francia va sotto il nome di «marxismo» è in effetti un prodotto del tutto particolare, tanto che una volta Marx ha detto a Laf[argue]: «ce qu’il a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste» [quel che è certo è che io non sono marxista]” (K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883 (Marzo), Milano, Edizioni Lotta Comunista, 2008, p. 279). La frase di Marx è riportata in francese nell’originale.

[2] Lettera di Marx a Engels del 30 settembre 1882, in K. Marx, F. Engels, Lettere, cit. p. 266.

[3] Cfr. nota 43 in K. Marx, F. Engels, Werke, Band 35: Briefe Januar 1881 - März 1883, Berlin, Dietz, 1985, pp. 505 s.

[4] Per una ricostruzione complessiva si vedano i classici G. Haupt, Marx e il Marxismo, in Storia del Marxismo Einaudi, vol. 1: Il marxismo ai tempi di Marx, Torino, Einaudi, 1978, pp. 292-314 e M. Manale in “Economie et société”, Aux origines du concept de «marxisme», Octobre 1974, pp. 1397-1430; La constitution du «Marxisme», Avril-Mai 1976, pp. 813-839; L’édification d’une doctrine marxiste, Janvier-Février 1978, pp. 163-215. 

domenica 20 giugno 2021

Las Hurde - Luis Bunuel

Da: Film&Clips - Luis Bunuel (Calanda, 22 febbraio 1900 – Città del Messico, 29 luglio 1983) è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico spagnolo naturalizzato messicano. È stato uno dei più celebri esponenti del cinema surrealista, trovatosi costretto, a causa della dittatura franchista instauratasi in Spagna, a operare tra Messico, Francia e Stati Uniti, spesso con modesti fondi. I temi principalmente trattati nel corso della sua carriera cinematografica sono stati: la natura dell'inconscio, l'irrazionale, la sessualità umana e la critica anti-borghese e anti-clericale. Tra i vari premi ricevuti, la Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1961, il Leone d'oro alla Mostra internazionale d'arte cinematografica nel 1967, l'Oscar al miglior film straniero nel 1973 e il Leone d'oro alla carriera ancora a Venezia nel 1982. 
Vedi anche: - A proposito di Bunuel (https://www.youtube.com/watch?v=IKRS_O9uzC0) -


Terra senza pane (più noto in Italia col titolo originale Las Hurdes) è un documentario diretto da Luis Buñuel nel 1933 e l'unico nella filmografia del regista spagnolo. 

Il film è ambientato a Las Hurdes, una regione contadina poverissima della Spagna, formata da una serie di villaggi al confine col Portogallo e non lontana da Madrid. Las Hurdes mostra le disagiate condizioni della popolazione autoctona, che contrastano con la vistosa ricchezza dell'unica chiesa presente. Buñuel denuncia l'arretratezza di una regione priva di strade ed elettricità e la preoccupante diffusione di malattie come il gozzo e la malaria. 

Las Hurdes in origine era muto, venne sonorizzato solamente nel 1937. La musica di commento (la sinfonia n.4 di Brahms) ha un elevato livello di sublimità, che si contrappone ad una voce dello speaker fredda e distaccata: quest'ultima accompagna lo spettatore alla progressiva scoperta dell'estrema povertà della popolazione. Casi di nanismo e dissenteria sono la triste prova delle precarie condizioni igieniche della regione. 

Il documentario è una testimonianza autentica, anche se influenzata da un certo sentimento antireligioso. Non gradito alla giovane Repubblica spagnola che lo censurò immediatamente, venne poi messo per breve tempo in circolazione dalla Repubblica stessa all'inizio della guerra civile come strumento di propaganda contro Franco. 

                                                                               

sabato 19 giugno 2021

lo sdoppiamento virtuale dello spazio pubblico - Renato Curcio

Da: https://www.citystrike.org - https://sinistrainrete.info - testo ripreso da “Su la testa” di maggio (qui il link) - 

Renato Curcio è un saggista e sociologo italiano. Socio fondatore di Sensibili alle foglie e socioanalista, ha pubblicato per queste edizioni numerosi titoli. Su questo tema, ricordiamo qui: L’impero virtuale; L’egemonia digitale; La società artificialeL’algoritmo sovranoIl futuro colonizzato. - https://www.facebook.com/sensibiliallefoglie - https://www.libreriasensibiliallefoglie.com - http://www.sensibiliallefoglie.it 




Con l’inizio del terzo millennio l’espansione del continente digitale planetario ha investito l’Italia e coinvolto nell’erosione progressiva dello spazio pubblico gran parte dei suoi cittadini. Con “spazio pubblico” non intendo soltanto quell’insieme di luoghi aperti e reali, ovvero non virtuali, entro cui lo Stato dovrebbe garantire a tutti la libertà di esercitare apertamente i diritti di cittadinanza, d’informazione, di attività culturale e politica in tutte le varianti. Ancora prima, infatti, lo si dovrebbe considerare come uno spazio strategico per la maturazione e il consolidamento delle nostre abilità relazionali; delle capacità di progettazione comune, di collaborazione empatica e di operatività condivisa. Come una grande rete di luoghi immaginati, voluti e liberamente istituiti da aggregazioni sociali autonome e autogestite. Luoghi aperti, dunque, in virtù dei quali possano svilupparsi e assumere una forma storica i momenti di confronto e le forme sorgive della creatività e del mutamento sociale. 

Nella seconda metà del Novecento gli spazi pubblici post-bellici avevano vissuto in questo Paese un importante scossone. Le deboli attrezzature associative istituite per via burocratica dallo Stato dovettero cedere il passo a nuove esigenze culturali portate avanti da un fermento generazionale e laico nato in alternativa anche ad altre istituzioni robustamente sostenute da enti religiosi o privati. Negli anni ‘60 e ‘70 si è data infatti una fioritura rigogliosa di energie istituenti e ha preso vita un vasto arcipelago di inedite associazioni culturali, formazioni politiche, fermenti sindacali, centri sociali e movimenti extra-parlamentari accomunati, pur nella loro varietà spesso conflittuale, a forti attese di progresso sociale. 

Negli ultimi vent’anni, gran parte di questo processo si è tuttavia inaridito confluendo nella grande ragnatela di internet e nei suoi incanti; ragnatela che ha saputo presentarsi al mondo come un’offerta di libertà per tutti pur che si fossero dotati di dispositivi mobili e avessero aperto profili e account nelle sue maglie. Abbiamo visto così un grande esodo verso le nuove community disseminate nello spazio virtuale messo a disposizione “gratuitamente” dalle piattaforme e sapientemente mitizzato dalle loro agenzie di marketing prodighe di allettanti inviti ad esplorare le sue meraviglie. Lentamente rispetto ad altre aree del mondo, ma velocemente per i tempi del rinnovamento sociale che caratterizzano i processi storici dell’Italia, molti cittadini hanno così aperto profili social su questa o quella piattaforma e trasferito lì gran parte delle loro pubbliche attività. Non si può dire che questa migrazione, avvenuta in ordine sparso, sia stata accompagnata da una riflessione critica e matura. Al contrario la penetrazione delle imprese digitali planetarie è stata ingenuamente accolta come una gradita ventata di progresso e all’invito a trasferirsi “online” si è obbedito senza aver contezza di ciò che ne sarebbe conseguito. Confondendo il progresso tecnologico con il progresso sociale, sia lo Stato, sia un gran numero di cittadini hanno in tal modo attivamente contribuito al declino e alla degradazione degli spazi pubblici in lande virtuali dove la vita di relazione viene sempre più confusa con le pratiche di connessione. In poco meno di vent’anni, questo sdoppiamento digitale, infine, è riuscito a consolidare un nuovo contesto societario colonizzato dai padroni delle piattaforme entro cui gli attori mentre si illudono di agire vengono invece agiti. 

Dicendolo con un paradosso: ha generato un simil-spazio pubblico radicalmente privatizzato.

giovedì 17 giugno 2021

L’irrazionalismo come fenomeno internazionale nel periodo dell’imperialismo - György Lukács

 Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Prefazione a La distruzione della ragione

Gy6rgy Lukacs (Budapest, 13 aprile 1885 – Budapest, 4 giugno 1971) è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.

Leggi anche: Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács -

Vedi anche: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci



Questo libro non pretende affatto di essere una storia della filosofia reazionaria o addirittura un trattato sul suo sviluppo. L’autore sa bene che l’irrazionalismo, di cui viene qui presentato l’affermarsi e l’estendersi a indirizzo dominante della filosofia borghese, è solo una delle tendenze importanti nella filosofia reazionaria borghese. Benché non vi sia praticamente filosofia reazionaria che non celi un determinato elemento irrazionalistico, il campo della filosofia reazionaria borghese è molto più ampio di quanto non sia quello della filosofia irrazionalistica, nel senso proprio e rigoroso del termine. 

Ma neppure questa limitazione basta a circoscrivere il nostro compito. Anche in quest’ambito più ristretto, non si tratta di fare una storia vasta e particolareggiata dell’irrazionalismo, che aspiri alla completezza, bensì di tracciare la linea principale del suo sviluppo, di analizzare le tappe e i rappresentanti più importanti e più tipici. Questa linea principale va presentata come la risposta più significativa e grave di conseguenze data dalla reazione ai grandi problemi degli ultimi centocinquanta anni.

La storia della filosofia, alla stessa maniera della storia dell’arte e della storia della letteratura, non è mai, come pensano i suoi storici borghesi, semplice storia di idee filosofiche o magari di personalità. I problemi e i modi di risolverli vengono stabiliti per la filosofia dallo sviluppo delle forze produttive, dall’evoluzione sociale, dallo svolgersi delle lotte di classe. Le linee fondamentali e decisive di una qualsiasi filosofia non possono essere scoperte se non in base alla conoscenza di queste primarie forze motrici. Se si fa il tentativo di porre e di spiegare il nesso dei problemi filosofici in base a un cosiddetto sviluppo immanente della filosofia, si ha necessariamente un travisamento idealistico dei nessi più importanti, anche se gli storici possiedono la necessaria cultura e hanno la buona intenzione di essere oggettivi. È evidente che l’indirizzo denominato delle «scienze dello spirito» rappresenta rispetto a questo punto di vista non un progresso, ma un regresso: l’impostazione ideologica deformante rimane, ed è soltanto più confusa, più deformante in senso idealistico. Basti confrontare Dilthey e la sua scuola con la storiografia filosofica degli hegeliani, per esempio con Erdmann.

Da ciò non consegue, come pensano i volgarizzatori, che vengano trascurati i problemi puramente filosofici. Anzi, solo in questo nesso può risultar chiara la differenza fra le questioni importanti, dotate di un significato permanente, e le divergenze professorali fatte di sfumature. Proprio la via che conduce dalla vita sociale alla vita sociale conferisce ai pensieri filosofici la loro vera portata, determina la loro profondità anche nel senso strettamente filosofico. A questo riguardo è del tutto secondaria la questione, in che misura i singoli pensatori siano consapevoli di questa loro posizione, di questa loro funzione storico-sociale. Anche in filosofia si giudicano non le opinioni, ma le azioni, cioè l’espressione obbiettiva del pensiero, la sua efficacia storicamente necessaria. In questo senso ogni pensatore è responsabile di fronte alla storia del contenuto obbiettivo del suo filosofare.

martedì 15 giugno 2021

Hegel e noi - Norberto Bobbio

 Da: https://www.iisf.it/index.php - Norberto Bobbio (Torino, 18 ottobre 1909 – Torino, 9 gennaio 2004) è stato un filosofo, giurista, politologo, storico e senatore a vita italiano. 

Leggi anche: "DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio 

Il marxismo e lo Stato. Un dibattito italiano 1975-1976 - Carla Maria Fabiani 

FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani

HEGEL IN URSS. HEGELISMO E RICEZIONE DI HEGEL NELLA RUSSIA SOVIETICA - Valeria Finocchiaro 

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 


«Parlare di Hegel e soprattutto parlarne a Napoli è sempre e solamente difficile. La filosofia di Hegel […] è una specie di pozzo senza fondo in cui più si scava, più ci si accorge che non si è arrivati al fondo. Proprio in questi giorni, rimettendo a posto molti appunti che ho preso su Hegel in questi anni, centinaia e centinaia di foglietti sparsi, leggendo e rileggendo alcune cose scritte soprattutto in questi ultimi tempi, ho avuto la netta impressione di dover ricominciare dal principio, quasi come se non me fossi mai occupato, quasi come uno scolaretto che deve sempre ricominciare.»

N. Bobbio, "Hegel e noi", lezione tenuta presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici il 19/04/1982.


Trovate qui tutte le lezioni di Bobbio: 

Lezione del 19 aprile 

Lezione del 20 aprile 

Lezione del 21 aprile 

Lezione del 22 aprile

Lezione del 24 aprile

domenica 13 giugno 2021

"Il Sofista da Platone"

Da: Fondazione Collegio San Carlo - "Il Sofista da Platone" è stato realizzato in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione

                                                                             

sabato 12 giugno 2021

Lo Stato, il Pubblico, il Comune: tre concetti alla prova della crisi sanitaria - Etienne Balibar

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020 (vol. IX), a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Questo testo è stato pubblicato per la prima volta in francese con il titolo L’État, le Public, le Commun: trois notions à l’épreuve de la crise sanitairene l volume Dessine-moi  un pangolin, ouvrage coordonné par la revue Regards, Vauvert, Éditions Au diable vau-vert, 2020, pp. 107-29. Esso viene qui riprodotto per gentile concessione dell’editore. La traduzione italiana è di Francesca Borgarello. - 

Etienne Balibar è un filosofo francese. Allievo di Louis Althusser, ha contribuito a sviluppare una nuova interpretazione del pensiero di Karl Marx, con specifiche riflessioni sui concetti di razza, cultura e identità, in vista di una concezione più inclusiva della cittadinanza e della democrazia in Europa. 

Leggi anche: Crisi storiche e naturalismo capitalistico - Stefano G. Azzarà 

Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi 

I fondamenti filosofici della società virale: Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19 - Paolo Ercolani 


Lo scopo di questo breve scritto è abbozzare alcune riflessioni congiunturali, relative all’articolazione di tre concetti che occupano un posto centrale nel dibattito pubblico.  Riflessioni che, lungi dal distoglierci dalla situazione di crisi in cui siamo entrati,  dovrebbero  anzi  permetterci  di comprendere meglio le scelte che la crisi sta imponendo. È tuttavia necessaria qualche osservazione preliminare, affinché la discussione non assuma  un carattere eccessivamente accademico. 

1. Apprendere nella crisi 

Innanzi tutto, voglio sottolineare l’incertezza dei tempi. Sto scrivendo alla metà di maggio (2020), per una pubblicazione che sarà disponibile a luglio... È  molto  presto  per  sviluppare  una  riflessione  compiuta  sul  tema,  e  questo perché vi è l’intenzione di mettere in circolazione una pluralità di proposte nel momento  stesso in  cui  queste  si  rendono necessarie a causa dell’intensità della crisi. Eppure, sarà forse già troppo tardi... Non abbiamo alcuna certezza che ciò che pensiamo oggi potrà essere ancora sostenibile tra due mesi. Non sappiamo se e quando “finiranno” la pandemia e la crisi sanitaria che questa provoca. Non sappiamo quale sarà l’entità e quali gli effetti della crisi economica che ne consegue. Non sappiamo quali saranno le ripercussioni, in termini di sofferenza e distruzione, ma anche di proteste, rivolte, di movimenti sociali e politici. E tuttavia,  è  da  questo  insieme  di  cose  che  dipende  il  referente  di realtà  delle parole di cui ci serviamo e, conseguentemente, il loro senso. 

È una situazione strana, che non presenta però solo inconvenienti. Poiché tale indeterminatezza è la condizione nella quale –purché se ne assumano la misura e i rischi –diventa possibile descrivere una crisi di dimensioni storiche, per ciò che essa è: non una semplice “interruzione” nella vita di una società, o l’occasione di un’inversione di potere, ma un cambiamento forse radicale del modo  di  cambiamento stesso,  che  costringe  dunque  a scommettere su mutamenti sconosciuti, mettendo insieme ciò di cui disponiamo in termini d’esperienza e  analisi,  per  immaginarne  le  possibilità. Tocca  ai  segni  che affiorano  nel tempo  presente suggerirci  a  poco  a  poco  le  buone  domande,  piuttosto  che alle  nostre  teorie  e  alle  nostre  previsioni precedenti la  crisi  proporne  già  la soluzione. 

venerdì 11 giugno 2021

Regolamentare il mercato - Daron Acemoglu, Emiliano Brancaccio


- There Is No Alternative - 

Primo incontro "Tassare i capitali" con Manon Aubry Capogruppo GUE/NGL al Parlamento Europeo e James K. Galbraith University of Texas. - https://www.youtube.com/watch?v=svhlGrngDoo 

Secondo incontro "Programmare lo sviluppo. Missione nuova economia" con Mariana Mazzucato, Professor University College London e autrice di Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo, Editori Laterza 2021 e Paul De Grauwe, London School of Economics. - https://www.youtube.com/watch?v=ocgnq_wH2e8

Terzo incontro "Regolamentare il mercato" con Daron Acemoglu MIT Boston e Emiliano Brancaccio Università del Sannio: 

                                                                           

giovedì 10 giugno 2021

Cosa succederà in Cile? È veramente finito il pinochetismo? . Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it -
Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. Collabora con https://www.lacittafutura.it - https://www.unigramsci.it

Leggi anche: Geraldina Colotti intervista Alessandra Ciattini

Pandemie: cattiva gestione, uso politico della scienza e disinformazione a cura di Alessandra Ciattini e Marco A. Pirrone 



La vittoria dei cosiddetti indipendenti in Cile pone delle questioni: chi sono e come si muoveranno?


Il 15 e 16 maggio passato si è svolta in Cile una votazione cruciale: si trattava di eleggere sindaci, consiglieri, governatori regionali – per la prima volta scelti dalla cittadinanza – e soprattutto i delegati destinati a comporre la Convenzione costituzionale incaricata di scrivere la Costituzione democratica cilena.

Una richiesta fatta a gran voce sin dai primi giorni nelle proteste esplose a partire dal 18 ottobre 2019, poiché negli articoli della Costituzione tuttora vigente, emanata dal regime militare di Pinochet nel 1980, stanno i fondamenti del modello neoliberista sperimentato e applicato in Cile da oltre trent’anni, che ha provocato tanti disastri, come la privatizzazione dell’acqua. Come vedremo più avanti la richiesta della base era l’Assemblea costituente e non la Convenzione costituzionale; una differenza di non poco conto.

Purtroppo si è registrata un’alta astensione (circa il 43% degli aventi diritto ha votato) a causa del ripudio da parte della popolazione dei partiti del regime, e non sono stati superati i 7 milioni e mezzo di votanti che hanno partecipato invece al plebiscito del 2020, altra sonora sconfitta di Piñera e dei suoi sodali. Ricordo che il 25 ottobre 2020 si è celebrato in Cile un referendum, con il quale si invitava la popolazione a esprimersi sulla possibilità di avviare un processo costituente, di cui venivano fissate le regole. Questa decisione è scaturita dall’accordo tra i più importanti partiti cileni, con l’esclusione del Pcch, menzionato come l’Accuerdo per la Paz y la Nueva Constitucion, ed è stato interpretato come un modo di salvare Piñera; fatto cui avrebbe contribuito lo stesso Pcch che non avrebbe intensificato le proteste bloccando sostanzialmente le manifestazioni della Cut (Central Unitaria de los Trabajadores), principale sindacato.

mercoledì 9 giugno 2021

Tre Saggi per un pianeta (intervista a Saggio Massimo). Cronache marXZiane n. 4 - Giorgio Gattei

Da: Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 


I Precedenti:

C’è vita su Marx? Cronache MarXZiane n. 1 -

Che vita su Marx! Cronache MarXZiane n. 2 -

Inside Marx. Viaggio al fondo del pianeta. Cronache marXZiane n. 3 -


Il pianeta Marx è un corpo astrale paradossale perché ad ogni rotazione aumenta nella massa di Valore per la logica della Accumulazione del Profitto (quale Pluslavoro realizzato) che completa le due logiche dello Sfruttamento e della Trasformazione che abbiamo considerato nelle Cronache precedenti. Ciò pone però un interrogativo in merito al suo destino nello spazio: che cosa gli potrà mai accadere a forza di crescere di dimensione? Per saperlo si devono interpellare i tre Saggi che lo abitano (c’è chi, equivocando, li ha declinati al femminile equiparandoli alle Norne, che sono tre divinità nordiche che parlottano fra loro mentre intrecciano la fune del destino attorno all’albero del mondo). Questi tre Saggi non sono poi altro che tre rapporti economici che misurano lo stato di salute e di tendenza del pianeta: essi sono Saggio di Pluslavoro, Saggio di Profitto e Saggio Massimo, che è il più lontano da tutti ma è anche il più importante, con i primi due che sono stati visti al telescopio nel 1867 dal primo “mappatore” del pianeta Karl Marx, mentre il terzo è stato visitato nel 1960 dal grande esploratore Piero Sraffa che ne ha dato conto nella relazione scientifica Viaggio di merci a mezzo di merci.

Stando per lungo tempo sul pianeta Marx, anch’io ho voluto andare a conoscere Saggio Massimo (e sarei stato il secondo dopo Sraffa!) che abita in una località periferica distantissima e con mia grande sorpresa ho visto che esso era il perfetto gemello di quel “Rosseggiante” che Jack London aveva scovato nel 1916, ultimo anno di sua vita, «nell’oscuro cuore di Guadalcanal» al fondo di una giungla fetida e malvagia e che gli indigeni del luogo veneravano col nome di Nato-dalle-stelle perché era precipitato in tempi lontani dalla volta del cielo. Agli occhi di Jack il Rosseggiante si era presentato come «una sfera perfetta di 60 metri comodi di diametro» composta da una sostanza sconosciuta dal colore «più vivace d’un rosso ciliegia acceso» e «crivellata e laccata dal bagno di fuoco di due atmosfere» che al tocco della sua mano «fremette in ritmiche vibrazioni che divennero sussurri, mormorii e brontolii sonori», dopo di che anche il colore si fece suono «finché l’intera superficie visibile della vasta sfera non fu che il brulicare sussultante e nebuloso di ciò che non sapevo stabilire se fosse colore o fosse suono. E in quel momento mio fu il segreto delle connessioni interne alla materia, come le fusioni, le trasfusioni e gli incroci che legano materia ed energia» (lascio poi alla curiosità del lettore andare a leggersi come l’esperienza di Jack sia andata atrocemente a finire …).

martedì 8 giugno 2021

Keynes e le ambiguità della liberazione dal lavoro - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)



IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca




Quarta lezione - Keynes e le ambiguità della liberazione dal lavoro - Riccardo Bellofiore: 

                                                                         
Leggi anche:

Il Capitale come Feticcio Automatico e come Soggetto, e la sua costituzione. - Sulla (dis)continuità Marx-Hegel. - Riccardo Bellofiore -

La socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes - Riccardo Bellofiore -

Le contraddizioni delle soluzioni “keynesiane” al problema della disoccupazione e la sfida del “piano del lavoro” - Riccardo Bellofiore

Marx e la fondazione macro-monetaria della microeconomia - Riccardo Bellofiore

Crisi capitalistica, socializzazione degli investimenti e lotta all’impoverimento - Riccardo Bellofiore, Laura Pennacchi

H.G. Backhaus e la dialettica della forma di valore - Riccardo Bellofiore, Tommaso Redolfi Riva

Tra Schumpeter e Keynes: l’eterodossia di Paul Marlor Sweezy e l'ortodossia di Paul Mattick - Riccardo Bellofiore -

KEYNESISMO E MARXISMO A CONFRONTO SU DISOCCUPAZIONE E CRISI - Domenico Moro

A proposito di Smith, Ricardo, Marx e anche Sraffa. Commento pirotecnico al libro di Riccardo Bellofiore - Giorgio Gattei

CHE COS'È IL VALORE? - Giorgio Gattei* 

Vedi anche: Il Capitale dopo 150 anni. C'è vita su Marx? - Riccardo Bellofiore 

Sulla “Nuova lettura di Marx”*- Riccardo Bellofiore 


domenica 6 giugno 2021

"Covodio" - Aristide Bellacicco


 

Aristide Bellacicco (Medico) fa parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"

Leggi anche: Epidemia e potere - Aristide Bellacicco

IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani

ECON-APOCALYPSE: ASPETTI ECONOMICI E SOCIALI DELLA CRISI DEL CORONAVIRUS* - Riccardo Bellofiore 

Stiamo vivendo la prima crisi economica dell’Antropocene - Adam Tooze 

- Un culto di morte -

"Covodio"

Epidemiologi al secondo posto

al terzo stanno gli infettivologi 

che se la battono con i virologi

e gli statistici

ma chi c'è al primo?

Mascherinistici e distanziologi,

esperti in balistica degli sputi,

amuchinomani, manocuoristi

e ancora i gomitosalutisti

ma chi sta in testa?

No-mask, no-sex, no-vax, 

gli eroi di divani e sofà

e lo sterminio nelle RSA.

Coronascettici e complottomani,

ma chi è che vince tutte le mani?

Xenocinofobi, biopoliticanti, Leviatani,

numeratori, sottrattori, teorici

Covinternazionalisti, sfebbratori,

ristorattori e youtubbastri

ma chi prevale lassù negli astri?

Virusoubrettes, cantabalconi,

zizekkisti, spilloversaggi,

antropocenici puntaindici,

catastrofisti, menefreghisti,

cronometristi contatamponi

ma chi galleggia più su di tutti?

Pseudostatisti, vivatrumponi,

mortalitometri, confrontazionisti,

occhiopennini, necrologiomani,

tuttappostologi e terroristici

ignorantipici

ma chi è chi ride su al piano attico?

Non certo i morti sotto la terra

nè i vivi sopra, poco più in alto,

e sui barconi e sui barchini c'è gente

seria da far paura che anche lo scherzo

non fa più presa. 

Ma resti intesa

la verità la più schifosa:

dei contasoldi, plusvalorofagi,

percentualisti, borsanottambuli,

naziazionisti e finanzmafietti

capitaloschi e bigfarmacisti

e infine gli eurocravattaracci

nessun di questi ci ha perso un dollaro

né il posto fisso né gli altri averi

ed in remoti superquartieri

hanno vissuto puri e sicuri

ma hanno intascato dei gran denari

da questa strage di proletari.



Altri Brevi racconti dello stesso autore:
 

sabato 5 giugno 2021

Vedendo il linguaggio e chi lo usa - Tullio De Mauro

Da: Nuovoeutile - Annamaria Testa -Tullio De Mauro è stato un linguista, lessicografo, accademico e saggista italiano, ministro della pubblica istruzione dal 2000 al 2001. 


                                                                              

venerdì 4 giugno 2021

Hegel, la storia universale della libertà - Salvatore Natoli

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Salvatore Natoli Ha insegnato logica alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano. Attualmente è professore ordinario di Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca

                                                                           


Vedi anche: 
Dall’essere all’idea. Le articolazioni decisive della "Logica" di Hegel - Paolo Vinci 

LA LEGGE LA LIBERTA' LA GRAZIA - Remo Bodei, Antonio Delogu

Hegel: lo Stato perfetto (e la spina di Marx) FILOSOFIA E VITA PUBBLICA - Fulvio Papi 

"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)

Leggi anche: SULLA VORREDE HEGELIANA - Stefano Garroni 

Alexandre Kojéve, Introduzione alla lettura di Hegel (Fenomenologia dello Spirito) - Silvio Vitellaro 

Da Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla Maria Fabiani

Il lato inquieto dello spirito. Osservazioni su alcuni momenti della filosofia dello spirito jenese di Hegel [1] - Carla Maria Fabiani

CRITICA” TRA HEGEL E MARX - Roberto Fineschi

NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché**

HEGEL - IL SISTEMA - Antonio Gargano

Danaro, lavoro, macchine in Hegel - Remo Bodei

mercoledì 2 giugno 2021

Crisi storiche e naturalismo capitalistico - Stefano G. Azzarà


Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020 (vol. IX), a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Riproduciamo qui, con qualche lieve modifica, il primo capitolo del libro di Stefano G. Azzarà Pensare la pandemia. Universalismo astratto e sovranismo particolaristico di fronte allo stato d’eccezione, Mimesis, Milano 2020.
Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo. 



Le crisi acute mettono in evidenza le contraddizioni, le fragilità e linee di faglia di ogni società storica come di ogni sistema politico  e economico. In tutte le epoche, guerre su vasta scala, cadute repentine della produzione, eruzioni rivoluzionarie, terremoti, carestie ma anche epidemie hanno interrotto il normale funzionamento della vita delle nazioni e hanno sottoposto a stress imprevisti i loro assetti, conducendole a volte anche al collasso quando queste tensioni superavano  il livello di soglia e in  particolare quando  potevano  far leva su fratture profonde pregresse che sino a quel momento erano rimaste più o meno celate o erano state in qualche modo suturate. Così che sarebbe interessante completare l’indagine di Walter Scheidel sull’impatto livellatore e redistributivo dei «Quattro Cavalieri» – «guerre di massa, rivoluzioni trasformative,  fallimenti  degli  Stati  e  pandemie  letali» – indagando  «se  e  come»  la presenza di gravi forme di disuguaglianza sociale o altre asimmetrie abbiano potuto «contribuire a generare questi shock violenti»1. 

Sotto questo aspetto, le società capitalistiche, e tanto più quelle avanzate come la maggior parte dei paesi appartenenti alla civiltà occidentale, dovrebbero  comunque  dimostrarsi  in  linea  di  principio  avvantaggiate rispetto  alle società tradizionali o a quelle improntate a una diversa organizzazione della produzione e della riproduzione. Per quanto certamente più complesse delle formazioni sociali precedenti o di quelle concorrenti, come già Gramsci aveva compreso nel cartografare la loro «robusta catena di fortezze e di casematte»2 – una  complessità  che  per  il  suo  pluralismo,  oltretutto, viene  di  solito  fatta valere anche come una caratteristica positiva di fronte a possibili configura-zioni alternative e più centralizzate del legame sociale –, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra queste società hanno in gran parte superato il problema della sussistenza e dei bisogni primari su scala di massa. Inoltre, la razionalità tecnica e scientifica che presiede alla loro organizzazione, progettata vieppiù per adattarsi alle fluttuazioni improvvise dei mercati, dovrebbe essere in grado in linea di principio di reagire in maniera adattiva e persino proattiva ad ogni contingenza: in questo modo quantomeno, come ha fatto notare Richard  Sennet3, è stato con  insistenza promosso  nel corso di troppi  decenni alle nostre spalle il processo di «specializzazione flessibile» del lavoro sociale complessivo, al fine di sconfiggere tramite le «reti  aperte» i «mali della routine». E di rispondere, abituandosi a «cambiamenti improvvisi e decisi», alle esigenze di un’epoca che, si diceva, con la sua continua accelerazione dei ritmi di vita e di consumo e con i suoi problemi ogni giorno più globali imponeva una  sempre  nuova  ridefinizione just  in  time di  tutte  le  funzioni  sociali  man mano che le esigenze della società stessa mutavano, in risposta alla sua prepotente evoluzione interna come agli stimoli esterni (in realtà, per «ridurre il costo diretto e indiretto del lavoro»4 e per «ridurre il rischio d’impresa», avvertiva più prosaicamente Luciano Gallino). 

martedì 1 giugno 2021

Sraffa tra Ricardo e Marx - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)



IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca



Terza lezione "Sraffa tra Ricardo e Marx" - Riccardo Bellofiore: