Vedi anche: La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
sabato 22 marzo 2025
Confine orientale e identità: foibe e narrazione - Raoul Pupo
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domenica 9 marzo 2025
Il vero significato dell'appello di Michele Serra. Intervista al prof. Angelo D'Orsi
martedì 11 febbraio 2025
L'OCCIDENTE NICHILISTA vuole UCCIDERE la RUSSIA - Angelo D'Orsi
lunedì 10 febbraio 2025
Sulle foibe - Rossana Rossanda
Da: Massimo Zucchetti - Rossana Rossanda (Pola, 23 aprile 1924 – Roma, 20 settembre 2020) è stata una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e cofondatrice de il manifesto.
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L’occupazione italiana nei Balcani - Angelo Del Boca
https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/02/14/von-banditen-erschossen-su-mattarella-e-le-foibe
Da quando è presidente della Camera, Luciano Violante si è investito della missione di riscrivere la storia, che secondo lui non è mai stata giusta. Rifacendola, si potrebbe “riconciliare la nazione” che, come si sa, nel 1943 si divise.
Prima ci ha spiegato che occorre (o sarebbe addirittura occorso l’8 settembre?) capire i giovani che sceglievano Mussolini e Salò. Adesso rimprovera il suo ex partito - o ex suo partito o comunque si voglia chiamare il PCI - di aver nascosto che dal 1943 al 1945 i partigiani jugoslavi giustiziarono sommariamente e cacciarono nelle foibe non solo gli ustascia ma alcune migliaia di istriani che sospettavano d’accordo con loro, sicuramente molti innocenti. Il PCI ha occultato tutto, dice Violante riprendendo il segretario pidiessino di Trieste, per complicità totalitaria con Tito.
Si dà il caso che io sia stata una del PCI, e istriana da diverse generazioni. Conosco quella storia. Ma la conoscono tutti fuorché, forse, la distratta generazione di Violante: dal 1948 in poi le foibe ci vennero rinfacciate a ogni momento, e non solo dai fascisti che rivolevano Trieste (i loro eredi ancora mettono in causa il trattato di Osimo). Se la federazione triestina del PCI, a lungo diretta da Vittorio Vidali, fu dilaniata nel giudizio politico, storicamente non c’era nulla da scoprire.
Non è questione di archivi da portare alla luce, ci sono storie e documenti. Se Violante avesse velocemente consultato la abbastanza buona biblioteca della Camera, si sarebbe risparmiato delle enormità. La prima delle quali è tacere l’essenziale d’una vicenda che si pretende di ricostruire.
Non ci sono due possibili interpretazioni delle responsabilità italiane in Jugoslavia: ce n’è una. Ed è che l’Italia seguì Hitler nell’invasione della Jugoslavia del 1941, pretese un dominio particolare sulla Croazia, appoggiando Ante Pavelic e sovrapponendogli a mo’ di sovrano Aimone di Savoia Aosta, duca di Spoleto. Per due anni i corpi d’armata italiani, soprattutto la Pusteria, e i generali Cavallero, Ambrosio e Roatta attuarono operazioni orrende contro la guerriglia partigiana, la più lunga e coraggiosa d’Europa, gli ebrei, i musulmani, i serbi ed altre minoranze; le fonti di Renzo De Felice calcolano in oltre duecentomila gli uccisi.
Mentre una nobile gara si instaurava, teste indiscusso Luigi Pietromarchi, fra Roma e Berlino su come spartirsi le spoglie dei Balcani. In capo a due anni, con l’8 settembre, l’esercito italiano si disgrega e per l’onore del nostro disgraziato paese diversi soldati e ufficiali raggiungono le formazioni partigiane jugoslave. Ma non perciò esse hanno vinto: i tedeschi non mollano il fronte jugoslavo, se perdono dei territori tentano di riprenderli o li riprendono con ripetute offensive, che tengono impegnata la Wehrmacht come in nessun altro fronte occidentale. La Jugoslavia si può considerare liberata e la guerra quasi conclusa nel tardo 1944 con la presa di Belgrado.
L’unificazione dei comitati partigiani è avvenuta un anno prima. E Tito sarà riconosciuto come interlocutore soltanto alle soglie del 1945, gli inglesi avendogli preferito il governo all’estero di Mihailovic (alleati cetnici inclusi finché non cambiarono bandiera). Quattro anni di guerra di guerriglia, che il variare del fronte e degli esiti rende subito guerra, quattro anni di scontro con un esercito potente e crudele, di massacri, rappresaglie e saccheggi, sono un tempo infinito. L’odio seminato, e meritato, da italiani e collaborazionisti fu grande, e non dimenticato. E le vendette certamente atroci, e non dimenticate.
Ma le responsabilità non sono le stesse.
Non tiriamo in ballo i morti, che sono davvero fuori dalla storia, per far intendere che le colpe sono uguali, e che lo scontro è stato tra due totalitarismi che si equivalevano.
Questa è mistificazione, prima ancora che revisionismo. L’ignoranza e la confusione sono già abbastanza grandi perché un presidente della Camera ex comunista venga ad aumentarle.
domenica 8 dicembre 2024
LETTERA APERTA A EDITH BRUCK E LILIANA SEGRE - Angelo D'Orsi
Da: facebook.com/angelo.dorsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino.
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mercoledì 22 giugno 2022
PARIGI 1871: L'ESPERIMENTO COMUNISTA - LUCIANO CANFORA
La Comune di Parigi e gli intellettuali contemporanei - Alessandra Ciattini
150° anniversario della Comune di Parigi, una memoria capitale – Joseph Confavreux
giovedì 10 febbraio 2022
Italia: una “memoria condivisa” fatta di vittimismo e negazione del conflitto Una conversazione con Davide Conti
Da: https://www.facebook.com/Odradek.edizioni - https://www.odradek.it - https://www.pane-rose.it -
Davide Conti/, storico, è consulente dell'Archivio Storico del Senato della Repubblica, della Procura di Bologna (inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980) e della Procura di Brescia (inchiesta sulla strage del 28 maggio 1974). È inoltre autore della ricerca sulla Guerra di Liberazione a Roma 1943-1944 che ha determinato il conferimento della Medaglia d'oro al Valor Militare alla città di Roma da parte del Presidente della Repubblica.
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Vedi anche: La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi
Spesso, in questi anni, come forze dell’antagonismo sociale e della sinistra di classe abbiamo realizzato iniziative volte a contrastare la rilettura ufficiale della storia italiana. Uno sforzo meritorio, che ha prodotto momenti di discussione utili, anche sul piano della formazione di chi vi ha partecipato. Mai come oggi è necessario rafforzare questo impegno, fondandolo su una piena comprensione delle ragioni che hanno spinto a definire i nuovi criteri di interpretazione della vicenda italiana. In questa intervista, Davide Conti – autore di L’occupazione italiana dei Balcani (2008) e Criminali di guerra italiani (2011) – si sofferma sulle caratteristiche di quella “memoria condivisa” che si è andata delineando a partire dalla fine della Prima Repubblica. E che negli ultimi anni è stata sancita attraverso una precisa, ragionata calendarizzazione, tesa a sottacere le verità più scomode e capace di rifunzionalizzare alle nuove esigenze antichi miti, come quello degli “italiani brava gente”. Per il suo carattere complessivo, il discorso di Conti deve essere preso in considerazione da chiunque voglia contrastare la narrazione storica oggi dominante. Anche per superare quella frammentarietà – legata alla necessità di intervenire volta per volta su singoli aspetti del dibattito pubblico sulla memoria – che ha inevitabilmente segnato la nostra azione su questo terreno.
Naturalmente le ragioni che hanno permesso una sostanziale impunità per i presunti criminali di guerra italiani (adotto questa formula proprio perché non sono stati fatti i processi), non vanno rintracciate nella dimensione giuridica.
Semmai le motivazioni sono state in primo luogo di carattere geopolitico ed in second'ordine legate a questioni interne. Dal punto di vista geopolitico - cioè dell'asse portante del paradigma dell'impunità dei criminali di guerra italiani - sicuramente la collocazione del nostro paese nell'ambito del dispositivo internazionale della NATO ha prodotto, per gli alleati, la necessità di evitare processi contro i vertici ed i quadri medio-alti e medi del Regio Esercito. Si voleva impedire quella decapitazione di fatto del nostro corpo militare, che sarebbe stata la naturale conseguenza di una seria procedura di epurazione in seno all'esercito. L'idea era invece quella di riarmarlo e di reintegrarlo in un nuovo dispositivo bellico, perciò gli alleati rinunziarono a processare quei criminali di guerra che loro stessi avevano indicato in liste apposite, consegnate alle Nazioni Unite. Parliamo della Francia, degli USA e dell'Inghilterra. Per quanto riguarda gli altri paesi, fummo aiutati dalle stesse ragioni geopolitiche: la contrapposizione col blocco orientale consentì all'Italia, appoggiata dagli alleati, di non consegnare gli accusati di pratiche e condotte militari illecite soprattutto in Unione Sovietica ed in paesi balcanici come Jugoslavia ed Albania. Un discorso a parte andrebbe fatto per la Grecia, che fa parte dell'area dei Balcani ma trovandosi nello stesso schieramento geopolitico dell'Italia, quello occidentale, rinunciò con un accordo segreto siglato nel 1948 a vedersi consegnati i presunti criminali di guerra. Di più, essa sbloccò di fatto delle procedure che permisero il progressivo rientro anche di quei militari italiani che, essendo stati già processati e condannati, stavano scontando la pena nelle carceri greche.
Questo è il quadro generale. Il risultato, sul piano interno, fu la possibilità sostanziale per i governi a maggioranza conservatrice di mantenere quella continuità dello Stato che è stato il tratto caratteristico del dopoguerra italiano.
martedì 30 novembre 2021
“Storia e Politica”: un dialogo tra Angelo d'Orsi e Alessandro Barbero
mercoledì 8 settembre 2021
La guerra civile francese - Alessandro Barbero
sabato 26 giugno 2021
La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi
Leggi anche: “E allora, le foibe?!”
venerdì 21 maggio 2021
La Comune di Parigi (1871) - Angelo d'Orsi
MARX E LA RIVOLUZIONE DEL 1848 - Irene Viparelli*
La Comune di Parigi e gli intellettuali contemporanei - Alessandra Ciattini
giovedì 22 aprile 2021
Viva la guerra! La seduzione bellica tra '800 e '900
venerdì 19 marzo 2021
"I partiti e la massa"* di Antonio Gramsci – a cura di Giorgio Gattei
Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna.
Leggi anche: Il nostro Marx*- Antonio Gramsci
Cadaveri e idioti - Antonio Gramsci
CHE FARE? - Antonio Gramsci
«Capo» - Antonio Gramsci
L'Università popolare*- Antonio Gramsci
La via maestra*- Antonio Gramsci
Operai e contadini - Antonio Gramsci
Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi - Antonio Gramsci
Perché studiare il latino e il greco?*- Antonio Gramsci
La Rivoluzione contro il Capitale*- Antonio Gramsci
Su Gramsci e la fondazione del Pci - PIERO GOBETTI
L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone
Gramsci e gli intellettuali
GRAMSCI E LA “RIVOLUZIONE IN OCCIDENTE”* - Renato Caputo
Vedi anche: Antonio Gramsci. Ritratto di un rivoluzionario - Angelo D'Orsi
Dopo la scissione del Partito Socialista Italiano, che a Livorno nel gennaio 1921 aveva portato alla fondazione del Partito Comunista d’Italia, Antonio Gramsci s’interroga a settembre, sulla rivista “L’Ordine Nuovo” che era passata da settimanale a quotidiano ufficiale del nuovo partito, sulle prospettive politiche che si potevano aprire ai comunisti sulla base di un ragionamento che aveva introdotto l’anno prima, e cioè la dipendenza della sorte dei partiti politici dalle classi sociali di riferimento. Allora aveva spiegato che «i partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali» e sorgono, si sviluppano e si decompongono secondo le variazioni d’esistenza che subiscono le classi rispettive quando «acquistano una maggiore e più chiara consapevolezza di sé e dei propri vitali interessi» (O.N., 9 ottobre 1920).
Le classi dunque, che sostanzialmente sono tre: la borghesia fondiaria e industriale, che detiene il controllo dello Stato; il proletariato di fabbrica e di campagna, che sta all’opposizione; e un coacervo di “ceti medi” in cui confluiscono piccoli borghesi, sia agrari che urbani, impiegati privati e pubblici e ceti professionali e intellettuali. Data la sua eterogeneità sociale, questa “classe media” è politicamente ondivaga, costantemente pencolando tra l’adesione agli interessi della borghesia oppure a quelli del proletariato.
Invece i partiti politici nelle elezioni del maggio 1921 erano stati sostanzialmente cinque: un Blocco Nazionale di diverse sigle di partiti borghesi che aveva raccolto 105 seggi; i due partiti del proletariato con il vecchio PSI che, nonostante la confusione d’indirizzo dimostrata nella convulsione del dopoguerra, aveva guadagnato 123 seggi, mentre il neonato PCdI si era fermato a 15 seggi; e infine le classi medie che si erano presentate con le due novità del Partito Popolare, d’ispirazione cattolica e d’espressione soprattutto contadina, che aveva ottenuto 108 parlamentari ed il Partito fascista, di estrazione più cittadina e d’ispirazione dichiaratamente eversiva, che aveva preso solo 35 parlamentari (peraltro eletti all’interno del Blocco Nazionale che aveva dato loro ospitalità).
martedì 2 febbraio 2021
«Il Principe» di Niccolò Machiavelli - Angelo d'Orsi
Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)
Considerazioni sul "Principe" - Gennaro Sasso
sabato 30 gennaio 2021
Introduzione a "Scritti politici di Rosa Luxemburg". La Rivoluzione - Lelio Basso
Da: http://latradizionelibertaria.over-blog.it - Lelio Basso è stato un avvocato, giornalista, antifascista, politico e politologo italiano. [Tutti gli scritti di Lelio Basso li trovate su http://www.leliobasso.it/]
Leggi anche: Socialismo e rivoluzione nella concezione di Rosa Luxemburg - Lelio Basso
Il voto alle donne e la lotta di classe (1912) - Rosa Luxemburg
Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919)
Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918)
Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"
Vedi anche: Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi
LINK al post originale: Introduzione
La rivoluzione
Le difficoltà del compito non stanno nella forza dell’avversario, nella resistenza della società borghese. (...) La difficoltà sta nel proletariato stesso, nella sua immaturità, o piuttosto nell’immaturità dei suoi capi, dei partiti socialisti. ROSA LUXEMBURG
Il metodo e la strategia di Rosa Luxemburg, che abbiamo sin qui delineato, si riferiscono in generale alla lotta di classe che si combatte nel quadro della società capitalistica con lo scopo di preparare e affrettare l’urto decisivo: vediamo ora come si articolasse questa strategia nel corso della lotta rivoluzionaria vera e propria.
Abbiamo già rilevato che uno dei più importanti contributi di Rosa Luxemburg alla teoria rivoluzionaria fu il legame stabilito fra rivoluzione e guerra piuttosto che fra rivoluzione e crisi. Abbiamo pure segnalato, come un’altra importante caratteristica della posizione luxemburghiana, il suo sforzo di operare una sintesi delle esperienze russa e occidentale: se quest’ultima poteva offrire l’esempio di una classe operaia più matura, e più direttamente partecipe alla lotta politica moderna, quindi più dotata delle qualità necessarie per diventare classe dirigente, la classe operaia russa doveva invece offrire l’esempio di un maggior vigore combattivo, di un più ricco slancio rivoluzionario, soprattutto di una minore integrazione allo Stato capitalistico e quindi di una maggiore possibilità di rottura radicale con il sistema. In altre parole, pur riconoscendo alla classe operaia tedesca e al suo partito una funzione dirigente quanto a capacità politica in vista di una futura gestione del potere e quanto a metodi di lotta in una società capitalistica avanzata, Rosa Luxemburg attendeva più facilmente dalla Russia una spinta rivoluzionaria. Nelle sue tenaci polemiche con il Partito socialista polacco, che aveva nel suo programma l’obiettivo della ricostituzione dello Stato polacco, e contro i socialisti occidentali che lo sostenevano in nome dell’antica avversione al regime zarista, essa aveva sempre affermato che era ormai un errore considerare la Russia come baluardo della reazione perché, al contrario, stavano maturando in seno alle masse russe germi rivoluzionari capaci di dare frutti copiosi [165].
lunedì 25 gennaio 2021
Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi
Leggi anche: Il voto alle donne e la lotta di classe (1912) - Rosa Luxemburg
Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919)
Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918)
Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"
La luxemburg, Lenin e la democrazia. - Stefano Garroni. 14/06/2006 -
ROSA LUXEMBURG: RIVOLUZIONARIA, DONNA, FEMMINISTA* - Antonella Marazzi
Rosa Luxemburg e Hannah Arendt sulla rivoluzione*
Il capitale «apre» i confini: accumulazione e crisi del globale in Rosa Luxemburg - MICHELE CENTO e ROBERTA FERRARI
Rosa Luxemburg e la Quarta Internazionale - Lev Trotsky*
Rosa Luxemburg e la teoria del capitalismo*- Una recensione di Paul M. Sweezy
Rosa Luxemburg critica dell’economia politica - Marco Palazzotto
ROSA LUXEMBURG. COSCIENZA, PASSIONE, AZIONE - Sebastiano Isaia
Vedi anche: "Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht
domenica 17 gennaio 2021
"LA PARABOLA DEL COMUNISMO" - Angelo D'Orsi
Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano
"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi
Leggi anche: STORIA DEL MARXISMO - Andras Hegedus -
Sull' URSS - Marcello Grassi
ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin
La missione morale del Partito comunista - György Lukács
Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)
La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni
Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.
L'A.B.C. del Comunismo* - Bucharin-Preobrazenskij (1919)
nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma si opposizione al capitalismo...- Hans Heinz Holz
L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala
Il ricordo vivo del grande Ottobre - Andrea Catone
Qual’è la tua idea di comunismo? Riccardo Bellofiore risponde …
Dov'è il comunismo?* - Gianfranco Pala
mercoledì 9 dicembre 2020
Il Futurismo - Angelo d'Orsi
Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)