mercoledì 22 ottobre 2025

Viaggiare è capire, anche nel Socialismo - Nicolò Monti

Da: Nicolò Monti - Nicolò Monti - Nicolo-Monti già segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI).
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Affermare che l’Unione Sovietica e tutte le esperienze socialiste nell’Europa dell’Est siano state unicamente un “incubo” di “dittature senza scrupoli” senza alcun beneficio o aspetti positivi, è pura propaganda condita da malafede. Affermare altresì che siano state un paradiso senza difetti e problemi, è altrettanto problematico, in un certo senso anche più grave, e denota una incapacità di essere lucidi e analitici. Un aspetto su tutti che ha determinato, tra le tante concause, la caduta del socialismo reale e anche la velocità con cui accadde, è senza dubbio l’impossibilità per i cittadini di viaggiare liberamente.

In tutti i paesi socialisti, soprattutto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio della Guerra Fredda, la possibilità per i cittadini di viaggiare era fortemente limitata, soprattutto verso l’estero, in particolare verso l’occidente. Ottenere il permesso di espatrio verso un paese esterno non socialista era un’impresa di non poco conto e la maggior parte delle concessioni erano per motivi lavorativi o istituzionali, quasi mai per turismo. Sarebbe quantomeno puerile definire questi limiti come risultato della “malvagità” dei governi socialisti, anche se è stato fatto e senza ironia (sic!). 

Eppure i motivi di tale politica sugli espatri ha basi reali, seppur molto problematiche e dettate da logiche con i paraocchi. L’Unione Sovietica, come tutto il Patto di Varsavia, durante la Guerra Fredda venne investita da una paranoia sullo scontro diretto con gli Stati Uniti che ne influenzò alcune politiche interne. Se aggiungiamo a questa paranoia la paura che l’Unione Sovietica aveva di subire umiliazioni di qualsiasi tipo, la ricetta del peccato è completa. Ogni limite imposto al viaggiare era quindi determinato dal terrore che il nemico potesse indottrinare i cittadini. 

Come la storia ha dimostrato, questo tipo di misure, soprattutto se adottate per lunghi periodi di tempo, che le rende ancor più incomprensibili e odiose agli occhi delle persone, hanno sempre avuto effetti estremamente negativi. Su tutti l’effetto più immediato che nacque da tale politica fu l’utilizzo da parte dell’occidente in ottica propagandistica antisovietica e anticomunista. Gli USA soprattutto utilizzarono le limitazioni di viaggio ad Est per dichiararsi “superiori”, in quanto da loro queste limitazioni non esistevano. Almeno formalmente. 

Essendo propaganda non considerava minimamente il fatto che sebbene non fosse limitato da alcuna legge, il diritto a viaggiare in occidente per la gran parte della popolazione (ancora oggi) era un diritto formale e non sostanziale, se non con sacrifici economici non di poca importanza. Se oggi, con le compagnie low cost, per moltissimi rimane comunque difficile viaggiare, figuriamoci ai tempi della Guerra Fredda dove prendere l’aereo era un vero e proprio lusso. Nonostante questa realtà insindacabile, ad Est vedere questo confronto idealmente impietoso comportò un certo livello di risentimento e rabbia. 

Per molti cittadini il fatto che il proprio governo, dichiaratamente socialista e impegnato per il raggiungimento della massima felicità e benessere per tutti i popoli, impedisse loro di potersi muovere liberamente significava una mancanza di fiducia insormontabile. Molti infatti furono portati a pensare, non senza ragione, che lo Stato diffidasse del popolo e che la realtà descritta dal Partito fosse un inganno. Questa erosione di fiducia nel corso degli anni ha indebolito sempre di più la forza ideologica che il socialismo era riuscito a infondere nel popolo e con grandi risultati economici, sociali e civili, nonché di benessere per i singoli e la collettività. 

Con i primi scricchiolii dell’economia sovietica e la mancanza di una prospettiva di riforme sostanziali, in seno al popolo sovietico crebbe quello che per l’URSS e i suoi paesi fratelli divenne un vero incubo, causato dalle proprie politiche securitarie. Un vero boomerang politico e culturale. Venne chiamato “mito dell’altrove”. Una idealizzazione patologica di tutto ciò che si trovava fuori da quei confini così chiusi. l’Occidente veniva conosciuto quasi solo tramite la propaganda nemica o attraverso racconti frammentari. Questo generava un’immagine deformata e positiva, mentre si tendeva a sottovalutare le disuguaglianze, la disoccupazione e la precarietà tipiche del capitalismo. 

Lo racconta molto bene Laura Salmon nel suo libro (capolavoro ndr) “C’era una volta l’URSS”, dove nella sua via a Leningrado rimane stupefatta da quante credenze ultrapositive ci fossero verso l’occidente da parte dei sovietici. Molti credevano che tutti fossero ricchi, che non ci fossero problemi di sorta e che la libertà fosse totale e assoluta, garantita per tutti. L’autrice narra di come cercasse di far capire che la realtà era assai diversa e che ciò che sapevano era falsato sia dalla propaganda, sia da una sfiducia verso il PCUS che contribuiva a deformare l’idealizzazione di un occidente che sembrava così affascinante. 

C’è da aggiungere un altro fattore a questa idealizzazione così forte e a tratti quasi religiosa: ciò che i sovietici avevano. Soprattutto negli anni 80 intere generazioni di sovietici non avevano vissuto nè la Guerra Civile, nè la Grande Guerra Patriottica e sono cresciuti dagli anni 60 in poi, con un benessere assai maggiore e in crescita. Tutte le garanzie sociali e i diritti che avevano ed esercitavano ogni giorno, venivano considerati acquisiti, consolidati e impossibili da smantellare. Credevano davvero che il capitalismo avrebbe portato i soldi e le belle cose senza perdere nulla di ciò che il socialismo aveva conquistato. Oggi sappiamo, sanno, che il capitalismo si è preso tutto e anche di più, restituendo nulla.
Ai tempi però non potevano saperlo e non si fidavano di chi, anche se occidentale, glielo confermava a più riprese. Era inconcepibile per loro che un occidentale parlasse male dell’occidente, doveva essere per forza un comunista e quindi mentiva sicuramente. In molti nel Dicembre 1991 sorrisero vedendo ammainare la bandiera rossa dal Cremlino, pensando davvero che la loro idealizzazione dell’occidente stesse diventando realtà. La terapia shock dell’ubriacone Eltsin e le politiche ultraliberiste annichilirono questo occidente ideale nelle menti dei sovietici, ma era troppo tardi. Se qualcuno cercava i colpevoli, non dovevano che guardarsi allo specchio i dirigenti del PCUS. 

È assai legittimo pensare che le cose sarebbero potute essere molto diverse se invece di misure così restrittive, si fossero implementate leggi che garantivano la possibilità di poter visitare il mondo, soprattutto quello capitalista. È molto plausibile che, se i cittadini dei paesi socialisti avessero potuto viaggiare liberamente, molte illusioni sarebbero cadute. La differenza tra la propaganda occidentale e la realtà quotidiana vissuta direttamente – sfruttamento sul lavoro, baraccopoli, razzismo, povertà diffusa – avrebbe probabilmente raffreddato quell’idealizzazione e di conseguenza la forza ideologica del socialismo non sarebbe venuta meno con conseguenze così disastrose. 

Già nei casi in cui i cittadini socialisti avevano più contatti con l’estero (studenti, tecnici inviati nei paesi del Terzo Mondo o nei paesi non allineati) si nota che spesso tornavano con una visione più critica e non innamorati del capitalismo. La possibilità di toccare con mano una realtà che non si conosce porta nella maggior parte dei casi ad eliminare ogni tipo di idealizzazione, che per sua natura è malsana e rende ciechi. Questo non significa che al contrario avrebbero implementato un “amore cieco” e acritico per il socialismo, ma di certo si sarebbe potuto avere popoli consapevoli, incentivati a migliorare il processo di transizione al socialismo iniziato con la Rivoluzione d’Ottobre, non masse disilluse e impazienti di buttare tutto a mare. 

Per spezzare una lancia nei confronti del governo sovietico e del Patto di Varsavia, è necessario ricordare che le operazioni di sabotaggio da parte della NATO e degli USA nei paesi e nelle città socialiste non erano fantasia, né tantomeno una paranoia insensata. C’è l’intera storia della Guerra Fredda che testimonia quanto gli USA e vassalli vari portarono avanti operazioni sporche e violente segrete ai danni dei popoli dell’Est socialista. La paura era reale, come erano reali i pericoli che la causavano. Eppure scegliere, per contrastare i nemico, di tenere chiuse il più possibile i confini si è rivelato ancor più dannoso di molte operazioni infami e criminali della CIA. Che sia di lezione, perché il socialismo non è affatto finito nel 1989

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