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sabato 3 aprile 2021

Dall’essere all’idea. Le articolazioni decisive della "Logica" di Hegel - Paolo Vinci

Da: AccademiaIISF - Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. 

                                Prima parte: 
                                                     


                                                                                                                Seconda parte: 
                                                                  

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sabato 20 febbraio 2021

RIVOLUZIONE DIGITALE - Roberto Finelli e Pietro Montani in dialogo.

Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Univ. Roma Tre e dirige la rivista “Consecutio  temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana”  (http://www.consecutio.org). 
Pietro Montani è un filosofo, critico cinematografico e accademico italiano.
Vedi anche: "De Motu" - CARLO SINI 

                                                      Prima parte: 
                                                                          

                                                     Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=jO6NUZP_oq0 


mercoledì 17 febbraio 2021

L’ineffabile, l’anima e l’origine. Una riflessione sul Geist hegeliano - Carla Maria Fabiani

 Da: https://mondodomani.org/dialegesthai - Carla Maria FabianiUniversità del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI 

Leggi anche: Il tema hegeliano del "riconoscimento". - Stefano Garroni

Studio su Hegel: Filosofia, Storia, Etica - Stefano Garroni 

HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812)

Vedi anche: Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei



- La conversazione cadde sulla dialettica. “In fondo — disse Hegel — la dialettica non è altro che lo spirito di contraddizione [Widerspruchsgeist], regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uomo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione tra il vero e il falso [Unterscheidung des Wahren vom Falschen].” “Purché — intervenne Goethe — questa capacità e queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero.” “Certo — ribatté Hegel — questo succede, ma soltanto ad uomini che hanno lo spirito malato [die geistig krank sind].” -                                     [J.P. Eckermann, Colloqui con Goethe, 18 ottobre 1827].


1. Ineffabile e Anima in alcuni testi di Hegel

Consideriamo qui alcuni testi ‘anomali’ della produzione hegeliana: l’Antropologia, la prima parte dello spirito soggettivo della Grande Enciclopedia del 18301 e le Vorlesungen über die Ästhetik, raccolte e pubblicate da H. Gustav Hotho (1836-38 e poi 1842).2 L’anomalia consiste nel prendere come base filologica del nostro intervento testi in gran parte non pubblicati dall’autore: l’Estetica, per es., è frutto di una sistemazione da parte di Hotho di appunti e manoscritti di Hegel e dei suoi allievi senza distinzione e con forzature (ormai ampiamente riconosciute) operate sui testi di lezione per garantire un impianto organico dell’opera a stampa; l’Antropologia è un testo corposo e degno di nota solo a patto che si leggano le Aggiunte, cioè quelle note ai singoli paragrafi, non pubblicate dall’autore, ma frutto anch’esse di appunti e/o manoscritti di lezione.3

Lavorare principalmente su testi non pubblicati da Hegel, tuttavia, non può essere considerato anomalo, visto che la maggior parte della critica più recente sta operando proprio in questa direzione.4 L’anomalia allora si sposta dal piano strettamente filologico a quello filosofico e di contenuto. Come e perché tenere insieme e leggere insieme l’Estetica e l’Antropologia.

La nostra proposta, al riguardo, è quella di articolare una nozione hegeliana che compare nell’incipit della Logica: unsagbar, tradotto come indicibile o ineffabile:

S’intende, o si opina [Man meint], che l’essere sia anzi l’assoluto Altro che il nulla, e niente è più chiaro che la loro assoluta differenza, e niente sembra più facile, che di poterla assegnare. Ma è altrettanto facile convincersi che ciò è impossibile e che cotesta differenza è ineffabile [unsagbar].5

È qui che Hegel pone il problema del Cominciamento, a cui è connessa tutta la trattazione della monotriade Essere-​Nulla-​Divenire.

martedì 22 dicembre 2020

L'ipocondria dell'impolitico. La critica di Hegel ieri e oggi. - Carla Maria Fabiani

Da: http://www.filosofia.it - Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI 

Leggi anche: Renato Caputo  - 1 https://www.lacittafutura.it/recensioni/losurdo-vs-limpolitico - 

https://www.lacittafutura.it/recensioni/losurdo-hegel-e-l-apologia-della-vita-attiva - 

https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-centralita-della-politica-in-losurdo-e-hegel - 

https://www.lacittafutura.it/recensioni/le-critiche-conservatrici-e-reazionarie-alla-filosofia-di-hegel - 

https://www.lacittafutura.it/recensioni/hegel-vs-schelling-schopenhauer-e-la-scuola-liberale


Domenico Losurdo, L'ipocondria dell'impolitico. La critica di Hegel ieri e oggi, Milella, Lecce, 2001

"L'odierno panorama filosofico è largamente caratterizzato dall'ipocondria dell'impolitico; non sembra trovare ascoltatori attenti il monito di Hegel, per il quale la filosofia dovrebbe guardarsi bene dal 'voler essere edificante'. Ai suoi tempi, Kierkegaard non nascondeva il suo fastidio per 'quest'odio per l''edificante' che fa capolino dappertutto in Hegel. Ma oggi il dominio dell'edificazione è così incontrastato, che si ritiene superfluo polemizzare contro quel monito. La raccolta di saggi, che qui propongo, vorrebbe provare a richiamare l'attenzione su una grande lezione oggi largamente rimossa, ma forse più che mai attuale" ( p. XV) 
Che cosa abbia mai a che fare l'ipocondria - una forma di infondata preoccupazione per la propria salute ed esasperata melanconia rivolta al proprio interno - con la politica e soprattutto con la filosofia potrebbe non risultare immediatamente chiaro a tutti. 

Essa è la fuga dalla realtà, certo, ma ancor di più l'esasperazione di un'interiorità sentita come potenza negativa, e diremmo patologica, di fronte a tutto il resto, l'insostenibilità di ogni contenuto esterno, l'assenza di contenuti da cui affiora, e dove anzi sprofonda, il puro Io. 

Tutto questo potrebbe avere risvolti filosofici, anche politici; certo potrebbe, ma non necessariamente. 

Ma è a questo proposito che il testo di Losurdo, la raccolta di saggi che qui presentiamo, ci mostra invece una modernità necessariamente attraversata dal pensare, oltre che dal sentire, affetto da ipocondria. 

La coscienza vive nell'ansia di macchiare con l'azione e con l'esserci la gloria del suo interno; e, per conservare la purezza del suo cuore, fugge il contatto dell'effettualità e s'impunta nella pervicace impotenza di rinunziare al proprio Sé affinato fino all'ultima astrazione e di darsi sostanzialità, ovvero di mutare il suo pensiero in essere e di affidarsi alla differenza assoluta. in questa lucida purezza dei suoi momenti, una infelice anima bella, come la si suol chiamare, arde consumandosi in se stessa e dilegua qual vana caligine che si dissolve nell'aria. (Hegel, Fenomenologia dello spirito, VI, IIIC, c, § 222) 

Il riferimento filosofico dell'A. è la critica circostanziata di Hegel alla figura fenomenologica dell'anima bella, ma anche alle concezioni morali del mondo, al dover essere kantiano, alla inopportuna commistione fra sentimento e filosofia e, non da ultimo, alla irresponsabilità di chi concepisce la contraddizione solo come un impaccio del dire e dell'agire. 

martedì 15 dicembre 2020

"La filosofia del dialogo di Guido Calogero" - Roberto Finelli

Da: Filosofia Unisalento Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org)

Globalizzazione, postmoderno e “marxismo dell’astratto” - Roberto Finelli

Materialismo “contra” spiritualismo. - Roberto Finelli

TRAME DEL RICONOSCIMENTO IN HEGEL - Roberto Finelli

Vedi anche: La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli 

Carla Maria Fabiani intervista Roberto Finelli: "DAL PROBLEM SOLVING AL THEORY BUILDING" - https://www.youtube.com/watch?v=oxNB7HjEsTc 

                                                                           
                                                                                       Purtroppo l'audio si interrompe dal minuto 1:34,08 al m. 1:42,01

sabato 28 novembre 2020

“CRITICA” TRA HEGEL E MARX - Roberto Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Articolo originariamente apparso su "Revista dialectus", n. 18, 2020, pp. 189-201. - Roberto Fineschi ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo le monografie Ripartire da Marx (Napoli 2001), Marx e Hegel (Roma 2006) e Un nuovo Marx (2008). Vincitore del premio Rjazanov 2002, è curatore di una nuova versione del 1 libro del Capitale dopo la nuova edizione storico-critica MEGA2 (Napoli 2011), nonché membro del comitato scientifico dell'edizione italiana delle opere complete di Marx ed Engels e dell’International Symposium on Marxian Theory. I suoi saggi sono tradotti in varie lingue. r.fineschi@sienaschool.com

Leggi anche: Pensare con Hegel - Vladimiro Giacché

Critica alla religione e realizzazione della filosofia, nella tradizione dialettica - Stefano Garroni

FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani

Studio su Hegel: LA RELIGIONE - Stefano Garroni

Debolezze e potenzialità negli argomenti anti-hegeliani del giovane Marx*- Carlo Scognamiglio

ESSENZA E FORMA NELL'INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA HEGELIANA - Stefano Garroni

Il Capitale come Feticcio Automatico e come Soggetto, e la sua costituzione. - Sulla (dis)continuità Marx-Hegel. - Riccardo Bellofiore -

Hegel e Feuerbach. - Stefano Garoni-

A partire dal sottotitolo del 'Capitale': Critica e metodo della critica dell’economia politica - Tommaso Redolfi Riva

Vedi anche: La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci

" Hegel "- Vittorio Hosle

La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli

Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei

"La civetta e la talpa, il concetto di filosofia in Hegel" - Remo Bodei 


Marx fa largo uso del termine “critica”, che è presente nel titolo di varie sue opere. In questo articolo cercherò di ricostruire lo sviluppo e i cambiamenti di significato di questo termine nelle diverse fasi dell’indagine di Marx. Mi concentrerò sulle fonti dirette, come il dibattito “critico” tedesco durante il Vormärz, e su autori come Strauß, Bruno Bauer, Feuerbach. Certamente Hegel è un punto di riferimento privilegiato dell’approccio filosofico di Marx. Mostrerò come Marx si sia spostato lentamente da un significato specifico del termine “critica” che era predominante durante il Vormärz per approssimarsi alla posizione hegeliana.



"CRITIQUE" FROM HEGEL TO MARX

È noto che Marx fa largo uso del termine “critica”. Esso è presente nel titolo di varie sue opere e non è quindi un caso che l’attenzione si sia concentrata su di esso. In questo articolo si cercherà di contribuire alla ricostruzione della sua storia interna e della sua origine nella tradizione filosofica anteriore. Essendo Hegel uno dei filosofi di riferimento privilegiati di Marx, si indagherà anche in questo autore il significato del termine per vedere a quale uso specifico di critica Marx si avvicini di più. Si vedrà del resto come il ruolo e la funzione della critica cambino nel corso della sua maturazione teorica. 

1. Critica è un termine dall’uso diffusissimo nel dibattito intellettuale dall’illuminismo in poi. Qui fa da generale ed emblematico punto di riferimento la ricca, articolata e programmatica voce “Critique” nella Encyclopédie di Diderot e D'Alembert scritta da Marmontel (1754, vol. IV, pp. 490a–497b). Riviste critiche, biografie critiche, approcci critici, per non parlare ovviamente del criticismo kantiano, inondano la produzione letteraria e pubblicistica al punto che non è affatto semplice individuare un significato univoco del termine. Il tema è così complesso che non può certo essere oggetto di questo saggio; ci si limiterà in questa sede a indicarne alcune interpretazioni specifiche che reputo rilevanti per Marx ed il suo rapporto con Hegel. 

venerdì 11 settembre 2020

A partire da Hegel - G. Cantillo - F. Li Vigni

Da: AccademiaIISF - giuseppe cantilloProfessore Emerito di Filosofia Morale nell’Università di Napoli Federico II. - florinda-li-vigni, Segretario Generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dove svolge, inoltre, la sua attività didattica e di ricerca. 
Leggi anche:  Aspetti della "società civile" hegeliana - Francesco Valentini 
                        Carla Maria Fabiani: Aporie del moderno. Riconoscimento e plebe nella Filosofia del diritto di G.W.F. Hegel* - Georgia Zeami 
                        FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani  
                        Da Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla Maria Fabiani 

                                                                             

martedì 26 maggio 2020

"Da Marx al post-operaismo" - Marco Cerotto

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Giovanni Sgrò, Irene Viparelli (a cura di), Da Marx al post-operaismo. Soggettività e pensiero emergente, Napoli, La Città del Sole, 2018 -
Marco Cerotto (Università di Napoli Federico II, Scienze Storiche)
Leggi anche:   Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento*- Carla Maria Fabiani 
                         Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredità dell’operaismo italiano*- Cristina Corradi 
                         La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli 
                         Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70* - Roberto Finelli 
                         Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento - Riccardo Bellofiore  
Vedi anche:    I marxismi in Italia - Roberto Finelli


Il testo Da Marx al post-operaismo[1] offre una lettura teorico-politica che ripercorre circa un secolo di riflessioni filosofiche variegate tra loro, ma che esaminando gli sviluppi della società capitalistica contemporanea adoperano la metodologia marxiana come chiave di lettura del presente, estrapolando però contenuti e concetti ereditati dalle diverse tradizioni del pensiero politico moderno che l’opera di Marx ha generato. Si tratta di un lavoro svolto da «giovani leve», come scrive Giovanni Sgro’ nell’Introduzione, le quali però si orientano decisamente verso la comprensione di determinati filoni teorici che hanno tentato di plasmare la prassi politica, cioè delle organizzazioni operaie, dal momento che posero all’attenzione delle loro analisi gli sviluppi politici della stessa classe operaia.
Dall’analisi degli sviluppi filologici su L’ideologia tedesca, dalla quale però emerge un’accesa diatriba teorico-politica scatenatasi in un periodo storico particolare (quello degli anni Venti e Trenta del secolo scorso) tra gli interpreti marxisti sovietici e quelli tedeschi socialdemocratici per l’affermazione indiscussa dell’eredità marxiana, allo studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e all’elaborazione del concetto marxiano di «uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane» (p. 53), si giunge ai tedeschi Benjamin e Marcuse, influenzati dal clima di devastazione totale provocato dalla Prima guerra mondiale e dal consolidarsi dei regimi nazi-fascisti che condussero l’Europa al suo secondo suicidio. Ciò che accomuna i due pensatori tedeschi è la considerazione dello svilimento del soggetto rivoluzionario, vale a dire la discontinuità della riflessione della classe operaia nei termini delineati da Marx, come classe capace di emancipare tutta la società emancipando sé stessa. La socialdemocrazia, secondo Benjamin, ha «corrotto i lavoratori tedeschi» (p. 89) mistificando la funzione storica del proletariato «di creare la propria storia nel tempo vivo e cosciente dell’attualità» (p. 90), come scrive Morra, interpretando accuratamente quelle riflessioni benjaminiane che costituiscono gli scritti inediti sulla storia a partire dal frammento giovanile teologico-politico e giungendo fino alle tesi di filosofia della storia.

mercoledì 22 aprile 2020

Sul debito pubblico - Karl Marx

Da: K. Marx – il Capitale Libro I Sezione VII Cap. 24.6 -
Leggi anche:  IL CAPITALE, LIBRO I* - Karl Marx 
                        Sull'accumulazione originaria di Karl Marx , Il Capitale Libro I, Capitolo 24 - Ermanno Semprebene - 
                        IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI 
                        Daniel Defoe: La vera storia di Jonathan Wilde - Ermanno Semprebene*


[…]
ll sistema del credito pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di tutta l’Europa durante il periodo della manifattura, e il sistema coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali gli servì da serra. Così prese piede anzitutto in Olanda. Il debito pubblico, ossia l’alienazione dello Stato — dispotico, costituzionale o repubblicano che sia — imprime il suo marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. E col sorgere dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico.

Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti. Ma anche fatta astrazione dalla classe di gente oziosa, vivente di rendita, che viene cosi creata, e dalla ricchezza improvvisata dei finanzieri che fanno da intermediari fra governo e nazione, e fatta astrazione anche da quella degli appaltatori delle imposte, dei commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale piovuto dal cielo, il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna.

Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato. A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale. In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote. Gli scritti di quell’epoca, per esempio quelli del Bolingbroke, dimostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di quella genìa di bancocrati, finanzieri, rentiers, mediatori, agenti di cambio e lupi di Borsa.

Con i debiti pubblici è sorto un sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle fonti dell’accumulazione originaria di questo o di quel popolo. Così le bassezze del sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della ricchezza di capitali dell’Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti somme di denaro. Altrettanto avviene fra l’Olanda e l’Inghilterra. Già all’inizio del secolo XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e l’Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante. Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte concorrente, l’Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e Stati Uniti: parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati Uniti senza fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri è stato capitalizzato in Inghilterra.

Poiché il debito pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i pagamenti annui d’interessi, ecc., il sistema tributario moderno è diventato l’integramento necessario del sistema dei prestiti nazionali. I prestiti mettono i governi in grado di affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta immediatamente, ma richiedono tuttavia in seguito un aumento delle imposte. D’altra parte, l’aumento delle imposte causato dall’accumularsi di debiti contratti l’uno dopo l’altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno, il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della progressione automatica. Dunque, il sovraccarico d’imposte non è un incidente, ma anzi è il principio. Questo sistema è stato inaugurato la prima volta in Olanda, e il gran patriota De Witt l’ha quindi celebrato nelle sue Massime come il miglior sistema per render l’operaio sottomesso, frugale, laborioso e... sovraccarico di lavoro. Tuttavia qui l’influsso distruttivo che questo sistema esercita sulla situazione del l’operaio salariato, qui ci interessa meno dell’espropriazione violenta del contadino, dell’artigiano, in breve di tutti gli elementi costitutivi della piccola classe media, che il sistema stesso porta con sé. Su ciò non c’è discussione, neppure fra gli economisti borghesi. E la efficacia espropriatrice del sistema è ancor rafforzata dal sistema protezionistico che è una delle parti integranti di esso.

La grande parte che il debito pubblico e il sistema fiscale ad esso corrispondente hanno nella capitalizzazione della ricchezza e nell’espropriazione delle masse, ha indotto una moltitudine di scrittori, come il Cobbett, il Doubleday e altri a vedervi a torto la causa fondamentale della miseria dei popoli moderni.

Il sistema protezionistico è stato un espediente per fabbricare fabbricanti, per espropriare lavoratori indipendenti, per capitalizzare i mezzi nazionali di produzione e di sussistenza, per abbreviare con la forza il trapasso dal modo di produzione antico a quello moderno. Gli Stati europei si sono contesi la patente di quest’invenzione e, una volta entrati al servizio dei facitori di plusvalore, non solo hanno a questo scopo imposto taglie al proprio popolo, indirettamente con i dazi protettivi, direttamente con premi sull’esportazione, ecc., ma nei paesi da essi dipendenti hanno estirpato con la forza ogni industria; come per esempio la manifattura laniera irlandese è stata estirpata dall’Inghilterra. Sul continente europeo il processo è stato molto semplificato, sull’esempio del Colbert. Quivi il capitale originario dell’industriale sgorga in parte direttamente dal tesoro dello Stato. «Perché», esclama il Mirabeau, «andar a cercar così lontano la causa dello splendore manifatturiero della Sassonia prima della guerra dei Sette anni? Centottanta milioni di debito pubblico!»


martedì 21 aprile 2020

- Breve introduzione ai Lineamenti della Filosofia del Diritto di Hegel - Carla Maria Fabiani

Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - www.ilgiardinodeipensieri.eu - Questa Introduzione accompagna la Sintesi dei Lineamenti della Filosofia del Diritto di Hegel, condotta sulla edizione italiana curata da V. Cicero (Rusconi, Milano 1996). -
Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI
Leggi anche: Da Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla Maria Fabiani 
                       IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI 
                       La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli 


Tutta la Filosofia del diritto è Scienza del diritto. Come dice Hegel, è l’Idea del Diritto; cioè è la realtà oggettiva (i rapporti oggettivi quali la proprietà, l’azione morale, la famiglia, la società civile, lo Stato) che lo Spirito (di un popolo) produce nella Storia ed è al contempo l’esposizione adeguata di questa realtà che si mostra intimamente razionale (arrivati alla fine del suo sviluppo storico possiamo esporne tutte le tappe, cogliendo il senso di questa totalità ormai dispiegata). Il cammino dello Spirito nel mondo è un cammino di Libertà; la realizzazione e la comprensione della Libertà è il contenuto filosofico della scienza del diritto.

E’ una parte del sistema filosofico hegeliano collocata all’interno della filosofia dello Spirito (è lo spirito oggettivo); è il cammino etico intrapreso dallo Spirito oggettivo.

Si articola in tre parti: Diritto astratto, Moralità ed Eticità. Per Hegel il vero è l’intero; dunque la verità dell’eticità è tutto il percorso etico, dall’astratto al concreto, articolato in momenti, ognuno dei quali si presenta autonomo dall’altro, ma, secondo il metodo dialettico, si toglie e si conserva nell’altro.

E’ importante considerare i tre momenti della filosofia del diritto (diritto astratto, moralità, eticità) come momenti organici, i quali hanno ognuno un loro particolare diritto, che venendo a un certo punto in contraddizione con se stesso passa in quello successivo, logicamente più esplicativo e realmente più elevato.

L’ordine che Hegel dà all’esposizione d’altra parte non coincide - e ce lo dice lui fin da subito - con l’ordine che si presenta nella realtà: è anzi l’esatto opposto. I concetti (le categorie del diritto) vengono esposti a partire da quelli più astratti fino ad arrivare a quelli più concreti e organici; viceversa nella realtà le figurazioni (le forme reali che il diritto assume nella storia) più astratte e semplici esistono e sussistono solo all’interno di quelle più concrete. Il compito della filosofia del diritto è quello di comprendere l’oggettività che lo Spirito produce nella storia; comprenderla come prodotto dello Spirito e come realtà oggettiva massimamente sensata e razionale. La forma della comprensione, per così dire, percorre la strada inversa rispetto a quella della realtà. Beninteso, secondo Hegel, le due strade (una all’insù e l’altra all’ingiù) sono la stessa.

Il principio essenziale della sfera del Diritto astratto è la ‘persona’; la realtà più concreta in cui si trova ad operare la persona è il contratto di proprietà. La persona si trova in rapporto con altre persone proprio per via della proprietà esercitata sulle cose. L’arbitrio è il massimo grado di libertà presente in questa prima sfera etica, che, al dunque, si rivela fortemente contraddittoria. Così come il contratto viene stipulato arbitrariamente, così arbitrariamente può essere rotto e non rispettato da uno dei due contraenti.

Si passa dialetticamente alla Moralità (c’è una negazione del contratto rappresentata dall’arbitrio-illecito e c’è la negazione della negazione, rappresentata dalla punizione dell’illecito-delitto). Nel momento del Diritto astratto la punizione della persona piega il diritto sulla soggettività, ma lo piega in modo non completamente positivo (la punizione ristabilisce l’intero etico, però punisce proprio l’arbitrio); da questa condizione non pienamente stabile si passa a una categoria etica più alta e più comprensiva: la Moralità. La soggettività prende coscienza di sé diventando il principio motore dell’etica. L’azione morale del soggetto è il centro della discussione ed è, a questo livello, il nodo etico-kantiano fondamentale. Il giudizio morale, il rapporto tra il soggetto e il Bene, tra il soggetto e il Male, l’interiorità del soggetto, la realtà con cui quest’interiorità viene a scontrarsi, sono il contenuto fondamentale della trattazione morale del Diritto.

Come si passa e perché si passa all’Etica? E cioè perché si passa alla scienza dello Stato?

Lo Stato, secondo Hegel, è la realtà etica realizzata. E’ il rapporto dello Spirito di un popolo con sé stesso, è la produzione consapevole della vita del popolo. Il vero soggetto perciò è lo Spirito, non il soggetto morale, tutto chiuso in sé stesso ed estraniato da una realtà - quella storica - che non riesce proprio a comprendere, che lo mette anzi in difficoltà, stravolgendo la sua azione morale che tende a un Bene considerato come un dover essere, che, per definizione, non è essere.

Lo Stato è invece l’ESSERE dello Spirito oggettivo; la sua più alta produzione reale e razionale insieme.

Lo Stato è Sistema organico. E’ un’articolazione viva, nella quale sono presenti e si riproducono la famiglia (con la sua etica della riproduzione), la società civile (con la sua etica del lavoro) e lo Stato stesso con la sua etica ricomprensiva delle altre due. Un’etica che riproduce e sa di riprodurre un Bene comune reale; lo sistema, mediando le sue interne articolazioni, creando la moderna società politica (la costituzione, i rapporti fra i poteri, etc.), la quale sa e vuole essere un organismo reale, pieno di vita, ma anche un sistema, ossia una realtà razionale e sensata, una totalità concreta che abbia come principio interno la realizzazione del bene comune, saputo e voluto da tutti, in quanto cittadini.

L’etica dello Stato (singolo) però si rivolge necessariamente nei confronti dell’etica degli altri Stati, dando luogo alla storia del mondo, a un teatro etico-politico mondiale; necessariamente superiore a quello nazionale.

venerdì 10 aprile 2020

Il marxismo e lo Stato. Un dibattito italiano 1975-1976 - Carla Maria Fabiani

Da: CARLA MARIA FABIANI. TESI DI LAUREA, A.A. 1997-1998, UNIVERSITà DEGLI STUDI DI ROMA “LASAPIENZA”, TITOLO: IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX. - APPENDICE - http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.academia.edu/1424146/Il_problema_dello_stato_in_Karl_Marx?email_work_card=view-paper 
Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities 

                        "DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio 


 Il marxismo e lo Stato.

Il dibattito aperto nella sinistra italiana sulle tesi di Norberto Bobbio1.


In questa appendice vorremmo dar conto di una polemica aperta alla fine degli anni settanta da Norberto Bobbio, a proposito della mancanza in Marx e nei marxisti contemporanei di una dottrina articolata e compiuta sullo Stato. Gli interventi in risposta a Bobbio sono numerosi e non tutti prendono direttamente in considerazione la questione teorica se e in che modo Marx abbia criticato lo Stato capitalistico e soprattutto fino a che punto nei suoi testi sia rintracciabile una costruzione positiva di uno Stato ‘altro’ da quello borghese. Tutti invece (Bobbio compreso)discutono del rapporto democrazia-socialismo, incalzati dalle “dure repliche della storia” che l’hanno reso assai problematico, anche e soprattutto in una prospettiva di modificazione politica della realtà capitalistica dell’Occidente europeo e italiano nella fattispecie2.

Certamente l’accenno marxiano - presente già nell’Ideologia tedesca, in Miseria della filosofia, poi nel Manifesto, e nel saggio sulla Comune, oltre che in misura minore nel Capitale -al necessario superamento dell’ordinamento sociale borghese, delle sue classi e quindi della sovrastruttura statale che gli corrisponde, viene da tutti citato, ma al contempo considerato solo come un accenno e non come una vera e propria teoria politica di Marx. D’altra parte il Marx del1843 – la Critica a Hegel - non viene ricordato, e nemmeno viene presa in considerazione la concezione sostanzialmente etica che quel Marx aveva del sistema statale; non viene altresì considerato il passaggio alla critica dell’economia politica, o meglio, viene visto come un’esclusione da parte di Marx di una riflessione che sia tutta incentrata sullo Stato, sulle istituzioni politiche borghesi e su quelle ad esse tendenzialmente opposte.

La critica marxiana allo Stato capitalistico borghese non si presenta perciò - secondo la tesi di Bobbio e pure secondo quei marxisti sollecitati dalla polemica - connessa a una costruzione teorica che dia conto delle diverse forme in cui si organizza il dominio della borghesia(soprattutto la forma democratica di Stato che dovrebbe poi mantenersi all’interno di quello Stato socialista che Marx non ha comunque articolato), ma prende di mira l’essenza violenta - lo Stato come “violenza concentrata e organizzata della società” - di quel sistema di dominio di una classe sull’altra, della borghesia sul proletariato, che potrà superarsi solo attraverso una rivoluzione strutturale della società, all’indomani della quale si porrà allora il problema concreto di come organizzare praticamente la transizione al comunismo. Alla nuova società senza classi esenza Stato si dovrà arrivare comunque attraverso un processo politico, rispetto al quale, dicono Bobbio e gli intellettuali marxisti, nei testi di Marx non c’è un riferimento particolareggiato, non ci sono indicazioni in proposito.

L’urgenza politica che Bobbio manifesta è quella di concentrarsi da una parte sul concetto di democrazia - rappresentativa e/o diretta - e comunque sulle forme e gli istituti democratici che l’ordinamento borghese ha prodotto, e dall’altra sulla compatibilità fra questa e il ‘socialismo’,visto al di fuori della sua realizzazione pratica nell’Unione Sovietica, ma al di dentro di una prospettiva teorico-politica vicina al marxismo italiano, che deve prendere atto però dell’insufficienza teorica marxiana sulla questione dello Stato (seppure realisticamente definito come dominio basato sulla forza di un interesse sull’altro) e tentare di riempire il vuoto lasciato dal teorico della “rivoluzione sociale”, con uno studio finalmente incentrato sui rapporti, sulle istituzioni e sulle forme alternative possibili a quelle specificamente borghesi.

Considereremo in margine anche un intervento di Antonio Negri3 sull’argomento discusso da Bobbio e i marxisti ; l’interesse che può suscitare è dato dal fatto che Negri riporta la discussione sullo stretto nesso economico-politico, individuato da Marx, fra Stato e capitale, ma,curiosamente, tende a interpretare e ricostruire il pensiero marxiano utilizzando essenzialmente i Grundrisse ed escludendo invece proprio l’opera principale di Marx, il Capitale, nella quale – già nel 24° capitolo del I libro - è rintracciabile una trattazione non accidentale di quel nesso4.

Si vuole inoltre precisare che non daremo conto di tutti gli interventi di risposta a Bobbio,ma solo di quelli che esplicitamente fanno riferimento ai testi o al pensiero di Karl Marx. 

Le Tesi di Bobbio  

mercoledì 18 marzo 2020

CHE COS'È IL VALORE? - Giorgio Gattei*

Da: http://www.palermo-grad.com - Giorgio Gattei è docente di Storia del pensiero economico all’Università di Bologna dal 1980, membro della Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico (AISPE).
Vedi anche: Das Kapital nel XXI secolo* - Giorgio Gattei 
                      Augusto Graziani e la Teoria Monetaria della Produzione*- Giorgio Gattei** 
                      Il Capitale dopo 150 anni. C'è vita su Marx? - Riccardo Bellofiore 
                      Sulla “Nuova lettura di Marx”*- Riccardo Bellofiore 
                      Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore 
                      Corso sul "Il Capitale" di Karl Marx (1) - Riccardo Bellofiore 
                      Quale attualità di Claudio Napoleoni: il contributo di Politica Economica


Oggi inauguriamo una nuova rubrica, in cui l’ ’ospite’ di turno ci indica 3 – e non più di 3 ! – libri leggendo i quali ci si può fare un’idea precisa dell’argomento di cui l’ospite stesso è un grande competente. Abbiamo l’onore di iniziare con GIORGIO GATTEI

Giorgio Gattei è docente di Storia del pensiero economico all’Università di Bologna dal 1980, membro della Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico (AISPE). Tra i suoi principali riferimenti teorici: Karl Marx, Nikolaj Dmitrievič Kondrat'ev, Joseph Schumpeter, John Maynard Keynes e Piero Sraffa. I suoi interessi di ricerca spaziano dall'analisi dei cicli economici, alla teoria dal valore, dei prezzi e della distribuzione di derivazione classico-marxiana. (Palermograd) 
 
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La teoria del valore non è un argomento che sia molto frequentato dagli economisti. E’ troppo astratto per i loro gusti più portati alle tematiche del governo dell’economia, con quella sua ancella statistica, che oggi va di moda, che è l’econometria. E dire che una volta non era affatto così e si dibatteva ferocemente se fosse più valida la determinazione del valore-lavoro degli economisti classici oppure quella del valore-utilità marginale dei neoclassici. Esemplare è stato il libretto di Claudio Napoleoni, Valore (Isedi, Milano, 1976) allora religiosamente compulsato ed oggi ormai fuori commercio. 
 
Comunque per quel che mi riguarda, dico subito che la teoria del valore è teoria del valore-lavoro oppure non è! Lo so bene che nell’accademia continua a dominare l’alternativa del valore-utilità, ma con tali difficoltà di costruzione logica da ridursi nei fatti al più comodo ed innocuo apparato di mercato della Domanda e dell’Offerta, che insieme stabiliscono (sono le «lame della forbice» di marshalliana memoria) il prezzo di una merce come quanto ci costa comperarla.

La teoria del valore-lavoro dice invece qualcosa di altro, e cioè quanto ci costa produrre quella merce e per questo, quando essa è sorta in piena stagione dei Lumi, ha preso lo spunto dalla maniera storicamente determinata di produzione del tempo, con il Denaro del capitalista che acquista la Merce Forza-lavoro per impiegarla alle proprie dipendenze. Per questo il valore delle merci prodotte non poteva che determinarsi secondo la quantità del lavoro impiegato, dato che allora «nelle manifatture la natura non agisce affatto ed è l’uomo che fa tutto» (Adam Smith). Nel seguito tuttavia la teoria del valore-lavoro ha vissuto una travagliata esistenza, conclusasi col suo fallimento, che ho ripercorso (mi è giocoforza citarmi, ma  nessun altro di recente l’ha fatto) in:
 
Giorgio Gattei, Storia del valore-lavoro, Giappichelli, Torino, 2011.