*Da: http://appelloalpopolo.it/ http://www.badiale-tringali.it/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/hegel-scienza-della-logica-1812.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html
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Due
paragrafi dai ‘Lineamenti di filosofia del diritto’ di Hegel
Il
fascismo e il liberalismo concordano nel presupporre l'esistenza
di un contrasto insanabile tra persona e potere. Il fascismo sceglie
il potere ed esclude il pluralismo dalla società annullando la
persona; il liberalismo sceglie la persona, minimizza il potere e
dissacra le leggi: come la sua epistemologia nega che esse
determinino la prima natura così la sua etica rifiuta il valore
della tradizione. È però destino delle ideologie contrastanti
confluire l'una
nell'altra: Popper non ha
nascosto la sua simpatia per l'imperialismo,
in particolare per quello anglo-sassone, von Mises, von Hayek e
Friedman non hanno negato la loro vicinanza alla versioni liberali
del fascismo. Il rifiuto liberale del potere dello Stato diventa
condiscendenza ai poteri fattuali, proprio come nel fascismo lo
svanire della persona conferisce alla gestione del potere un
carattere personalistico.
Nell'avvicinarsi
all'imperialismo e al
fascismo, il liberalismo si allontana dalla realtà e sceglie la via
della calunnia dello Stato e dei suoi teorici – Platone,
Aristotele, Hegel. Così gli Stati-nazione sono ridotti ad inizi
tribali della civiltà, mentre questa è identificata con la forma di
impero. La minima informazione storica mostra però che gli Stati
sorgono contro gli imperi, contro i
privilegi che una etnia vi gode rispetto alle altre. Gli Stati
moderni sorgono dall'estinguersi
dell'impero medievale; gli
ultimi Stati nazionali europei sorgono contro l'impero
austro-ungarico, gli Stati nei continenti non europei si formano
liberandosi dagli imperi coloniali. È dunque falso retrocedere lo
Stato-nazione al tribalismo e credere che l’impero sia garanzia
della persona; proprio nella sua società multiculturale si radica il
razzismo che i liberali cercano di attribuire allo Stato-nazione.
La
parola ‘nazionalismo’ li aiuta a creare l'equivoco:
essa non indica la formazione degli Stati-nazione, non il sottrarsi
di un popolo alla dipendenza imperiale, come sarebbe lecito
attendersi, ma concerne il periodo del tardo Ottocento, in cui alcuni
Stati concorsero a costituirsi come imperi procurandosi un retroterra
coloniale. ‘Nazionalismo’ è dunque sinonimo di ‘imperialismo’;
proiettando però sulla natura dello Stato-nazione ciò che è
proprio della natura dell'impero,
questa parola toglie all'imperialismo
liberale il suo impresentabile fardello e lo addossa allo
Stato-nazione. Per un analogo equivoco oggi accade che l'umanitarismo
anti-razzista sia uno degli strumenti con cui l'oligarchia
liberale padrona dell'impero
anglo-americano destabilizza gli Stati europei.
Lo
Stato è la soluzione del contrasto tra potere e persona, dalla cui
pretesa insuperabilità si generano il fascismo e il liberalismo. La
concezione fascista del primato del potere contro la persona e la
concezione liberale del primato della persona contro il potere sono
però entrambe inconsistenti: come la polemica contro la persona per
il potere ha per risultato il potere tirannico di una persona,
così la polemica contro il potere per la persona porta alla stessa
tirannia della persona privata sulle altre persone. In questa
mutevolezza logica delle due concezioni opposte è contenuta, in
forma negativa, la vera conciliazione tra potere e persona; la teoria
hegeliana dello Stato, esposta nei due seguenti paragrafi
dei Lineamenti
di filosofia del diritto[1],
ne determina il significato positivo.
§
260
Lo
Stato è l’effettività della libertà concreta[2].
La libertà
concreta consiste
in ciò:
che
la singolarità personale e i suoi interessi particolari, mentre
hanno lo sviluppo completo e il riconoscimento per
sé del loro diritto (nel sistema della famiglia e
della società civile),
in
parte si
convertono per
natura propria nell'interesse dell'universale, in parte lo
riconoscono col sapere e col volere come proprio spirito
sostanziale,
e sono attivi in
suo favore come per il loro scopo
finale[3]; in
modo che l'universale non valga e non sia attuato senza l'interesse,
il sapere e il volere particolari, e che gli individui non vivano,
come persone private, soltanto per l'interesse particolare, senza
avere volontà anche nell'universale e per l'universale, e operosità
consapevole di questo fine[4].
Il
principio degli Stati moderni ha questa forza e profondità
formidabili: lascia che il principio della soggettività si compia
nell'estremo
indipendente della
particolarità personale e insieme lo riconduce nell'unità
sostanziale,
e in quell'estremo conserva questa unità[5].
§
261
Verso
le sfere del diritto privato e del benessere privato, della famiglia
e della società civile, lo Stato è, da un lato, una
necessità esterna e
la potenza loro superiore: le loro leggi e i loro interessi sono
subordinati alla sua natura e ne sono dipendenti[6];
d'altro
lato, lo Stato è il loro fine immanente e
la sua forza è nell'unità
tra il suo scopo finale universale e l'interesse
particolare degli individui, è in ciò: che gli individui
hanno doveri nei
suoi confronti in quanto hanno anche diritti[7].
Come
si è già osservato sopra, soprattutto Montesquieu, nella sua
celebre opera Lo
spirito delle leggi,
ha preso in considerazione ed ha anche cercato di rappresentare in
dettaglio il pensiero che le leggi, in particolare quelle del diritto
privato, dipendono dal carattere determinato dello Stato, e la
prospettiva filosofica che considera la parte solo in riferimento al
tutto[8].
–
Poiché
il dovere è
innanzitutto il rapporto verso qualcosa
di sostanziale per
me, mentre il diritto è l'esistere in
generale di questo sostanziale, quindi l'aspetto
della sua particolarità e
della mia libertà particolare,
nei gradi formali dovere e diritto appaiono distribuiti su diversi
lati, su diverse persone[9].
Essendo etico, essendo compenetrazione del sostanziale e del
particolare, lo Stato implica che la mia obbligazione rispetto al
sostanziale è, insieme, l'esistere
della mia libertà particolare; cioè che dovere e diritto vi
sono riuniti
in uno stesso riferimento[10].
Poiché però nello Stato i momenti differenti giungono anche alla
configurazione e realtà proprie, e si ripropone quindi la differenza
tra diritto e dovere, allora questi sono diversi
per il loro contenuto,
pur essendo identici in
sé,
cioè formalmente. Nell’ambito del diritto privato e della morale
manca la necessità effettiva del
riferimento, c'è
quindi soltanto l'uguaglianza astratta del
contenuto; in queste sfere astratte, ciò che è diritto per uno deve
essere diritto anche per l'altro,
e ciò che è dovere per uno deve essere dovere anche per l'altro.
Quell'identità
assoluta di dovere e diritto ha luogo solo come uguale identità
di contenuto, nella determinazione che questo stesso contenuto è il
contenuto del tutto universale, cioè il principio unico del dovere e
del diritto, la libertà personale dell'uomo.
Gli schiavi non hanno doveri perché non hanno diritti e viceversa –
(qui non si parla di doveri religiosi). – Ma nell'idea
concreta in sviluppo interno, i suoi momenti si differenziano, e la
loro determinatezza diventa, insieme, un contenuto diverso; nella
famiglia il figlio non ha diritti dello
stesso contenuto dei
doveri che ha verso il padre, e il cittadino non ha diritti dello
stesso contenuto dei
doveri che ha verso il principe e l'autorità[11].
–
Quel
concetto di unione di dovere e diritto è una delle determinazioni
più importanti e contiene l'intima forza degli Stati[12].
– Il lato astratto del dovere si ostina a trascurare e a bandire
l'interesse particolare, come se fosse un momento inessenziale, anzi
indegno[13].
La considerazione concreta, l'idea[14],
mostra come altrettanto essenziale il momento della particolarità e
come assolutamente necessaria la sua soddisfazione; bisogna che,
nell'adempiere il suo dovere, l'individuo trovi in qualche modo anche
il proprio interesse, la soddisfazione o tornaconto, e che dal suo
comportamento nello Stato gli maturi un diritto per cui la cosa
pubblica diventa la cosa sua
particolare[15].
In verità l'interesse particolare, anziché dover essere messo da
parte e addirittura represso, deve essere armonizzato con
l'universale, un'armonia che conserva l'interesse particolare e
l'universale. L'individuo, suddito per i suoi doveri, nel loro
adempimento trova come cittadino la protezione della sua persona e
della sua proprietà, l'attenzione al suo benessere particolare e la
soddisfazione della sua essenza sostanziale, la coscienza e il
sentimento intimo di essere membro di questo tutto, e
nell'adempimento dei doveri come prestazioni e attività per lo
Stato, lo Stato si conserva e sussiste. Secondo il lato astratto
l'interesse dell'universale sarebbe soltanto che le sue attività, le
prestazioni che richiede, siano compiute come doveri[16].
[1] La
traduzione dei due paragrafi è nostra.
[2] Astratto e concreto sono
nella relazione di monofonico e polifonico: il pathos hegeliano per
il concreto nasce dalla consapevolezza della natura non semplice, ma
articolata della verità (adaequatio
rei et intellectus).
– ‘Libertà’ è indipendenza assoluta; essa ha un significato
innanzitutto negativo, semplice: è la capacità del singolo di
elevarsi su tutto, di preferire la morte alla vita; ‘libertà
effettiva’ ha invece significato positivo, polifonico, quello del
riconoscimento dell’altro non come un estraneo ma come un identico
a sé. Nel riconoscimento l'io
intuisce nell'altro
la stessa assolutezza che si riconosce, dunque lo rispetta.
Paradigma del riconoscimento, della libertà concreta effettiva, è
dunque l'amicizia.
Lo Stato è lo sviluppo di un legame di amicizia.
[3] Lo
Stato è l’armonia di particolare e universale. Particolare e
universale sono determinazioni opposte: ‘particolare’ significa
infatti ciò che si differenzia, che è in contrasto, ‘universale’
è invece l’omogeneità, la comunanza. Nel senso della politica,
‘particolare’ è l'individuo
esclusivo, la persona privata con
i suoi interessi; ‘universale’ è il potere pubblico che
fa valere l’interesse comune.
L’interesse della persona privata è la felicità, il benessere
per sé e per chi sente vicino; perseguirla può comportare una
collisione con l'interesse
comune. Due sono i casi più eclatanti di collisione: l’imposizione
fiscale, per cui il privato deve rinunciare a parte del suo
patrimonio in favore del patrimonio pubblico; il servizio militare,
per cui il privato deve mettere in pericolo la vita e l'integrità
fisica in favore della conservazione dello Stato. – La concretezza
della libertà dello Stato implica che vi è riconciliato ciò che
al di fuori di esso è contrastante: da una parte il diritto del
singolo alla realizzazione di sé e al godimento dei suoi diritti,
dall'altra
il suo dovere, la sua soggezione, nei confronti della sfera
pubblica. Questa conciliazione del contrasto tra privato e pubblico
si svolge su due piani, il primo inconsapevole, il secondo
consapevole. Sul piano inconsapevole:
gli stessi interessi privati hanno un implicito carattere
pubblico, in quanto si realizzano attraverso l'attività
essenzialmente sociale del lavoro e
dello scambio;
perseguire i propri interessi nel contesto degli interessi altrui
implica l’agire secondo le leggi, quindi dare esistenza alle
leggi; questo far esistere l’universale è il convertirsi
dell'interesse
particolare nell'interesse
comune per
natura propria.
Sul piano consapevole:
gli individui, non solo quelli che si dedicano agli affari pubblici
ma anche i privati in generale, per lo meno nella lealtà fiscale e
nella disposizione a mettersi in pericolo per la patria,
assumono esplicitamente l'interesse
pubblico come proprio interesse.
[4] Solo
in quanto vi sono soddisfatti l’interesse privato e l'interesse
pubblico lo Stato è libero. Nello Stato libero le leggi non sono
attuate per paura, ma in quanto l'individuo
vi scorge il proprio interesse; viceversa, lo Stato libero non è
fatto di persone estranee alla dimensione pubblica e chiuse nel loro
interesse privato, è fatto invece di cittadini, di individui che si
pongono come fine del loro agire la produzione e la conservazione
della sfera pubblica. Spesso si parla di ‘persona’ e dei suoi
‘diritti naturali’ per indicare la dignità estrema dell’uomo.
La persona senza lo Stato è però un dover-essere, un diritto a cui
può non corrispondere la realtà; solo in quanto c’è lo Stato il
diritto è reale, il torto un'eccezione,
e in quanto è impegnata nella realizzazione del diritto comune, la
persona non è soltanto persona, è cittadino.
Essere cittadino è dunque la dignità più profonda dell'uomo.
[5] Hegel
riassume quanto ha appena esposto. A differenza dello Stato antico,
quello ellenico, che si corrompe con l'emergere
della particolarità individuale – per esempio Alcibiade –, lo
Stato moderno,
risultato di una dura educazione dell'individuo
e di una altrettanto lunga articolazione architettonica dello Stato,
è questo equilibrio tra l'estremo
particolarizzarsi dell'individuo
e il suo essere produttore dell'interesse
universale, del bene comune.
[6] Le
leggi dello Stato prevalgono sulla coscienza individuale, i suoi
interessi prevalgono sugli interessi privati – questa è la
ragione dell'odio
che il liberalismo gli riserva. È però una prevalenza dettata non
da una irrazionale ‘sete di potere’, ma dalla natura delle cose.
Da una parte, infatti, nella concorrenza tra gli interessi privati
non si produce alcuna armonia involontaria, nessuna ‘mano
invisibile’, ma si genera un conflitto effettivo che è regolato
da un potere esterno alla concorrenza stessa; dall'altra
lo Stato non è sospeso nel vuoto, ma costretto entro i rapporti con
gli altri Stati. I rapporti internazionali sono un insuperabile
stato di natura, nel senso della possibilità della
guerra di tutti contro tutti. Nel contesto internazionale uno Stato
può ottenere il riconoscimento della sua libertà, un
riconoscimento comunque precario, se
e solo se si
difende. La necessità di difesa, la necessità che lo Stato sia
libero, essendo condizione della stessa libertà privata, pone
l’interesse dello Stato al di sopra dell'interesse
privato.
[7] Lo
Stato e le sue leggi sono una limitazione dell'arbitrio
degli individui. La forza dello Stato è la sua capacità di unire
il suo interesse universale all'interesse
particolare dell'individuo,
di rendere evidente la connessione tra dovere del cittadino e suo
diritto. Su questo punto torna la nota di Hegel.
[8] Questa
osservazione è a commento del primo periodo del paragrafo: la
dipendenza del diritto privato, quindi delle sfere della famiglia e
della società civile, dal diritto pubblico è stata già la
prospettiva dello ‘Spirito delle leggi’ di Montesquieu.
[9] La
sostanza è il permanente nella fluidità dell'accidentale.
Rapportandosi a un sostanziale l'individuo
si riconosce come accidentale: nell'individuo
il dovere è
il riconoscimento della propria accidentalità, dunque è
sottomissione al sostanziale. Ma nel sottomettersi al sostanziale,
riconoscendo il dovere, l'individuo
fa esistere in
lui questo
sostanziale, e in quanto nella sua particolarità è sostanziale
egli acquisisce il diritto; il diritto è dunque il dovere riflesso
nella particolarità. Per questa loro differenza di universalità e
particolarità, nei
gradi formali –
prosegue Hegel – diritto e dovere si distribuiscono su persone e
soggetti differenti. I gradi formali sono il diritto
astratto e
la moralità;
in questi gradi al mio dovere
corrisponde un diritto altrui,
e viceversa: di per sé il mio diritto di proprietà non implica
doveri per me, implica per
gli altri il
dovere di rispettarlo; il principio morale consiste addirittura nel
dovere per il dovere, quindi nel concedere un diritto agli altri
senza aspettarsi che gli altri lo concedano.
[10] A
differenza dei gradi formali del diritto astratto e del dovere
astratto (della moralità), determinati dalla separazione tra
diritto e dovere, l'eticità
(cioè le sfere della famiglia, del lavoro e dello Stato) è
determinata dall'unità di
diritto e dovere: educare i figli è diritto e
insieme dovere
dei genitori, lavorare è diritto e insieme dovere
del cittadino, legiferare, decidere, giudicare è diritto e
insieme dovere
dell'autorità.
Che lo Stato sia etico significa
in Hegel non che l'individuo
sia assoggettato alla totalità, che gli manchi cioè la personalità
– come nel fascista Gentile, ma esattamente il contrario: che
nell'adempiere
il dovere il cittadino sente di esercitare nello
stesso tempo un
diritto.
[11] Poiché
il diritto astratto e la morale hanno come attori enti in rapporto
soltanto casuale, quello la persona, questa il soggetto, nel loro
ambito il diritto e il dovere, spartiti su persone e soggetti
irrelati, non vi hanno un riferimento effettivo e così il loro
legame è il dover-essere di
uno stesso contenuto: le persone e i soggetti devono avere
gli stessi diritti. Nello Stato il diritto e il dovere sono connessi
ai rapporti concreti tra attori presi nella loro differenza
essenziale; quindi all'interno
della famiglia l'identico
diritto-dovere dell'educazione
è per il figlio connesso al dovere di obbedire, per i genitori al
dovere di dirigere, all'interno
dello Stato l'identico
diritto-dovere della legalità è per il cittadino il
dovere di obbedire alle leggi, è per l'autorità il
dovere di promulgare e far rispettare le leggi; si tratta cioè di
doveri identici per la forma (l'educazione
nel primo caso, la legalità nel secondo), differenti per il
contenuto, in quanto sono differenti gli attori che partecipano
della stessa forma.
[12] Che
Hegel abbia pensato la storia come il teatro della brutalità è una
calunnia che ha avuto l'effetto
di scoraggiare a tal punto la lettura dei suoi testi da non poter
essere smentita. Per Hegel la forza di uno Stato non è nella
pervasività della propaganda o nell'onnipotenza
della sua polizia o nel numero delle baionette, risulta invece dal
grado di immediatezza in cui sono legati diritti e doveri dei
cittadini, dalla misura in cui il cittadino sente di fare il proprio
interesse facendo l'interesse
dello Stato. È questa libertà concreta che decide la superiorità
di una forma di Stato sull’altra e determina i verdetti
del tribunale
della storia.
[13] Questo
è il punto di vista della moralità kantiana, per la quale
l'azione deve essere
compiuta non in vista del suo risultato per l'agente,
ma solo in quanto la massima che la ispira può essere elevata a
legge universale.
[14] ‘Idea’
per Hegel ha significato derivante da Platone, dunque non di
determinazione del pensiero soggettivo,
ma di verità,
cioè di corrispondenza tra pensiero e realtà: il concetto
realizzato nella particolarità. Poiché è unità di due lati,
del concetto e della realtà, per questa sua polifonia, l'idea
è concreta.
[15] La
stessa moralità kantiana, benché centrata sulla sublimità del
dovere per il dovere, non può infine permettersi di infrangere
l'unità
di dovere e diritto: l'indifferenza
in cui, secondo la ragione pratica, si trovano nel mondo empirico
contraddice la ragione pratica stessa; essa dunque postula un Dio
che al dovere (alla virtù) fa corrispondere il diritto (la
felicità). Non occorreva però un salto metafisico per trovare
l'unità
di diritto e dovere: l'opera
del Dio kantiano è in realtà già svolta dallo Stato.
[16] L'idea
di Stato, cioè il suo concetto e la sua esistenza in qualche modo
conforme al concetto, implica che l'attuazione
dei doveri a cui il suddito è assoggettato sia immediatamente il
godimento dei diritti del cittadino, e non soltanto di quelli
relativi alle sue soddisfazioni particolari, ma il rispetto della
sua essenza, della sua dignità.
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