**Roberto_Fineschi ist ein italienischer Philosoph, der sich mit der Dialektik der Waren- und Kapitaltheorie bei Karl Marx befasst.
(https://marxdialecticalstudies.jimdo.com/) (http://marxdialecticalstudies.blogspot.it/)
“Ei
fu, siccome immobile, / dato il mortal sospiro”, e via dicendo.
Così inizia la celeberrima ode manzoniana, Il
cinque maggio,
che tutti gli studenti italiani, molti di essi obtorto
collo,
hanno studiato se non addirittura imparato a memoria durante gli anni
scolastici. La stessa data in cui nel 1821 a Sant’Elena morì
Napoleone era stata, tre anni prima, la data in cui un altro gigante
della storia era nato a Treviri: Carlo
Enrico Marx.
Con una qualche ironia della sorte, proprio Napoleone, insieme al
nipote Napoleone III, è il personaggio storico che Marx dichiara di
amare di meno rispondendo alle domande di un “album di famiglia”
della figlia Jenny.
Date
a parte ed in attesa delle grandi celebrazioni del prossimo anno per
i 200 anni, dedicherò un paio di riflessioni all’attualità del
pensiero del vecchio “Moro”, come lo chiamavano amici e
familiari. Sin da subito tuttavia, è bene dire chiaramente che la
teoria di Marx non ha tutt’oggi
eguali per la sua capacità di comprensione e spiegazione delle
tendenze di fondo del modo di produzione capitalistico,
quindi della struttura della società in cui viviamo. Questo non
significa ovviamente che sia perfetta, che non necessiti di essere
criticata, approfondita o continuata ove necessario, come del resto
il suo stesso autore auspicava; ma non significa neppure che essa non
funzioni più. Anzi, nessuna meglio di essa ha delle risposte - non
tutte sfortunatamente - a molti dei processi
storico-economico-sociali tutt’ora in corso.
Le
teorie mainstream di
economia e di politica ci spiegano come il mondo dovrebbe
essere:
senza conflitto sociale, senza crisi economiche, senza sopraffazione
e sfruttamento. Ci spiegano a chiare lettere in celebrati manuali
come siano illegittime le rivendicazioni sociali, errori passeggeri
le crisi e via dicendo, perché così è nel mondo armonico ed
idilliaco che i loro autori costruiscono (e che ahimè gli studenti
sono costretti a studiare). Per la teoria di Marx, invece, non è una
sorpresa che ci siano crisi, sfruttamento, conflitto, ecc. Marx non è
così banale da dire al mondo ed alle persone come dovrebbero essere,
questo già lo fanno i “preti” di tutte le parrocchie, religiose
o laiche; Marx spiega le cose per quello che sono. Insomma, la
scienza contro l’ideologia.
La
borghesia ha ancora paura del vecchio Moro. Per questo motivo, considerato il momento favorevole, si cerca di
eliminarne l’eredità politica ed intellettuale ove possibile:
scomparso dalle università, scomparso dal dibattito pubblico,
superstite in poche cerchie. Ciononostante il maledetto non sparisce,
perché? Perché è uno dei pochi ad avere delle risposte e, al
bisogno, pure l’intellettualità borghese, bontà sua, gli dà
ragione. La sua forza ha fatto diventare alcuni dei suoi concetti
fondamentali senso comune, cultura. Queste le solide fondamenta su
cui ricostruire.
Tocchiamo
alcune delle questioni più attuali ed interessanti. La prima, su cui
non vorrei soffermarmi a lungo ma che non si può almeno non
menzionare, è che Marx è un autore nuovo.
Pare incredibile ed è forse paradossale, ma solo oggi, a così
grande distanza dalla sua morte, è possibile leggere per intero la
sua opera per quella che è stata. Ciò grazie alla nuova edizione
storico-critica delle sue opere, la Marx-Engels-Gesamtausgabe.
Nonostante sia in corso di pubblicazione dal 1975, molti, inclusi
vari esperti di Marx, non ne sanno niente; non si sa neppure che
molte delle opere “classiche” letteralmente non
esistono nella
forma in cui le si sono lette storicamente. Non si tratta di opere
marginali ma di scritti come i Manoscritti economico-filosofici,
l’Ideologia tedesca, il secondo ed il terzo libro de Il
Capitale…come
dire, l’ossatura di moltissime interpretazioni tradizionali.
Prenderne atto è difficile, ma è anche il primo, necessario, passo
per ripartire.
Uno
dei punti chiave della ricostruzione critica della teoria di Marx è
che essa si colloca ad un livello
di astrazione molto alto,
epocale. L’altro punto chiave è che questa teoria è
incompiuta, un
grande torso.
Se intesa in questi termini, essa è tutt’altro che contraddetta
dalle tendenze di fondo del capitalismo contemporaneo da una parte,
ed aperta a integrazioni e ampliamenti dall’altra. Questa la
prospettiva in cui, mi pare, abbia senso muoversi.
Quali
sono i risultati epocali su cui Marx ci ha preso? Uno, fondamentale,
la cosiddetta globalizzazione,
ovvero la
tendenza dell’economia
mondiale ad integrarsi tanto sul piano produttivo che distributivo.
Marx la prevede quando tale sviluppo era praticamente embrionale. Il
secondo, altrettanto decisivo, l’incremento esponenziale
della produttività del
lavoro,
anch’esso sotto gli occhi di tutti. Terzo, la trasformazione in
salariato, non necessariamente solo in operaio, di chi
lavora; l’estensione
del rapporto lavoro salariato/capitale a
rapporto di produzione dominante, un processo progressivo tutt’ora
in atto (ciò ovviamente a prescindere dalla parvenza giuridica di
tale rapporto, che quasi sempre, sotto la parvente “autonomia”
del lavoratore contraente, solo nasconde forme di inasprimento del
rapporto salariale). La finanziarizzazione dell’economia;
questo aspetto appare drasticamente ridimensionato nell’edizione
engelsiana del terzo libro, dove ciò che nel manoscritto era
l’ultima sezione - “Credito e capitale fittizio” -, vale a dire
il culmine dello sviluppo della teoria del capitale, viene
trasformato in un mero capitolo ed annacquato in mezzo ad altri,
facendo sostanzialmente perdere di vista come si trattasse del più
concreto grado di sviluppo della teoria complessiva del modo di
produzione capitalistico. Ancora? La crisi
come elemento strutturale,
organico e necessario dello sviluppo del sistema. Non
basta? La scienza e l’automazione
come esito inevitabile della sussunzione del lavoro sotto il
capitale; proprio il contrario di quanto vogliono farci credere Marx
avrebbe pensato: il capitale, contraddittoriamente, allo
stesso tempo tende
a ridurre asintoticamente a zero il lavoro necessario (attraverso
l’aumento della produttività e quindi l’estromissione del lavoro
vivo) e, contemporaneamente,
basa su di esso la propria valorizzazione. Il
capitale è questa contraddizione in processo.
Una endemica e, progressivamente, non riassorbibile disoccupazione
di massa sono
conseguenza necessaria di tutto ciò. Mi fermo qui, ma si potrebbe
andare oltre.
Dove
non ci ha preso e perché? Consapevole dell’alto livello di
astrazione della sua teoria, Marx si rese conto che mai sarebbe
riuscito a svilupparla organicamente e coerentemente fino a giungere
ad una concretezza che permettesse un immediato uso politico di essa.
Quindi, lui per primo, saltò
le mediazioni.
Ciò spiega le sue fallaci previsioni sugli sviluppi politici in
occidente e oriente. Il grado di avanzamento dell’articolazione
della sua teoria non gli permetteva, scientificamente, di spiegare il
concretissimo, ma solo le linee di fondo del generale. La mancata
articolazione di molti passaggi
intermedi, di teorie cuscinetto che aggiungessero lo Stato, il
Commercio internazionale, il Mercato mondiale, e probabilmente altro
ancora spiegano la fallacia delle sue previsioni politiche. Per le
stesse ragioni, molti, sbagliando, hanno cercato la teoria delle
classi nel primo libro; essa vi trova sicuramente un importante
fondamento, ma mai bisognerebbe scordare che un capitolo dal titolo
“classi” lo si trova, incompiuto,
solo alla fine del manoscritto del terzolibro.
Altre
questioni teoriche chiave, da sempre controverse, sono quella
della trasformazione
dei valori in prezzi e la caduta tendenziale del saggio del profitto.
Sarebbe troppo lungo e complicato anche solo accennare a tali
complessi dibattiti; quello che mi preme dire però è che una
rilettura dei manoscritti per quello che sono, ovvero articolati
abbozzi incompiuti, permette di rivedere in una prospettiva assai
diversa non solo la soluzione, ma l’impostazione tradizionale,
fortemente influenzata dalla ricezione che ne dette Boehm-Bawerk con
la sua trasformazione della teoria marxiana di “Merce e denaro”
in “teoria del valore-lavoro”; una definizione così influente
che quasi tutti, erroneamente, pensano essere di Marx. Anche la
questione della caduta tendenziale, riletta nei manoscritti, appare
più complessa e legata alla loro incompiutezza nel contesto dello
sviluppo di diversi livelli di astrazione.
Insomma,
per farla breve, problemi complessi e in parte da risolvere di una
teoria che, ciononostante,
spiega molto
meglio il
mondo contemporaneo di quanto non facciano quelle mainstream.
Un
ultimo accenno a Marx ed il marxismo: non sono la stessa cosa.
Quale marxismo poi? ce ne sono a bizzeffe ed assai variegati. Questo,
ovviamente, non per dire la banalità che Marx è buono ed il
marxismo cattivo. Il marxismo è stato ed è, nella misura in cui
ancora esiste, il tentativo di utilizzare la teoria di Marx con
finalità politiche. Talvolta il legame con Marx è assai labile,
puramente ideale; in altri casi è più concreto, tangibile. In ogni
caso ci sono delle mediazioni e dei passaggi che aggiungono,
interpretano, estendono, ecc. I successi ed i fallimenti dei marxismi
storici non sono immediatamente imputabili a Marx, tanto nel bene
quanto nel male. Del resto, come si sa, il Moro, essendo uno
scienziato e non un mistico veggente, ha detto assai poco della
società futura e si è sostanzialmente espresso in termini assai
vaghi. Ciò
di cui si è occupato scientificamente è l’analisi del modo
di produzione capitalistico (non
del capitalismo o dei capitalismi); tale analisi, a suo modo di
vedere, pone le premesse di una possibile società futura; ma Marx
non costruisce castelli in aria, modelli di società perfette da
mettere in piedi facilmente… dall’utopia
alla scienza si
diceva da qualche parte.
Ciò
non significa neppure, ovviamente, sostenere che Marx non avesse
espliciti interessi politici o che, scrivendo le sue opere, non
intendesse contribuire ed incidere sostanzialmente nella lotta
politica. È infatti proprio per la forza e per l’effetto sulla
borghesia del Capitale, il “missile” che egli le scagliò contro,
che ancora parliamo di lui. Ciò però non deve condurre a fallaci
semplificazioni del suo pensiero in chiave politicistica, a lasciarsi
schiacciare dall’ossessione dell’agire immediato, del trovar
risposte pronte al qui e ora dalle singole pagine di quell’opera.
Per trovare le risposte c’è una sola via da percorrere: riprendere
la strada interrotta delle mediazioni,
continuare il lavoro cui Marx ha pazientemente dedicato tutta la vita
senza riuscire a portarlo a termine, scendere
dall’astratto al concreto.
Questo oggi è parte dei nostri compiti rivoluzionari ed il miglior
modo per festeggiare il centonovantanovesimo compleanno del vecchio
Moro.
Nessun commento:
Posta un commento