venerdì 5 maggio 2017

Le origini della crisi*- Paolo Leon**

*Da:  http://www.syloslabini.info/
**Economista italiano  wikipedia 
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/la-crisi-finanziaria-e-la-grande.html 


1.Esiste ormai una biblioteca di scritti sulla crisi, ed estrarne le diverse impostazioni è come rivelare l’ideologia degli autori. Ha scavato in profondo, la crisi iniziata nel 2007, e poiché sconvolge pensieri dominanti da decenni e grandi interessi apparentemente consolidati, chi scrive esprimerà soltanto una propria opinione, che tuttavia considera una base possibile per future politiche.

2.La spiegazione più ingenua è quella che sostiene che tutto ciò che sale, prima o poi deve scendere: illustri economisti seguono questa idea, in particolare quelli che sono stati capaci di anticipare il crollo solo per aver fortunosamente scelto il tempo della pubblicazione della loro previsione.
Altri, in particolare Minsky, avevano anticipato il crollo vent’anni prima e non è per caso che il pensiero di questo economista trova nuove orecchie, dopo decennali silenzi. Semplificando, la tesi di Minsky è che il crollo avviene quando i valori dei mercati finanziari si distaccano eccessivamente dai valori del sottostante e indicava nella distruzione del sistema finanziario costruito dopo la Grande Depressione la causa della divaricazione.
Questa tesi si associa qualche volta all’atteggiamento moralista di chi ha condannato l’”economia di carta” avvenuta con la globalizzazione, dimenticandone i sorprendenti risultati positivi per l’economia mondiale, con lo sviluppo dei paesi emergenti. La tesi veramente più incomprensibile è quella che astrae dalla crisi, la considera una parentesi, e continua a ragionare del sistema economico mondiale come non fosse mai avvenuta: lo dimostra l’uso dei DSGE (Dynamic Stochastic General Equilibrium) da parte delle banche centrali e l’immane letteratura pseudokeynesiana che cerca di ricostruire la sintesi neoclassica alterando questa o quella ipotesi del modello originario.
Recentemente, Davidson ha ripreso la critica della teoria delle aspettative razionali (ergodiche) perché queste sostanzialmente attribuiscono ai singoli agenti e individui la capacità di vedere probabilisticamente il futuro: un tentativo che gli dei ma anche il Dio della Bibbia avrebbero punito con la cecità. Del resto, la cecità è emersa proprio con la crisi, che nessun modello razionale né si attendeva né poteva anche soltanto includere.

3. Senza voler ricostruire la storia economica degli ultimi trentaquattro anni (dal monetarismo di Volcker nel 1979, con Carter, ad oggi), alcune tappe vanno però ricordate, e proprio a partire da quella fondamentale svolta, che più appropriatamente attribuiamo a Thatcher e Reagan.

·  Il divorzio tra le banche centrali e i rispettivi governi ha ridotto
drasticamente la possibilità di finanziare i disavanzi pubblici con
l’emissione di moneta. Questa grande restaurazione fa gravare
interamente su entrate, spese e debito pubblico il peso dell’azione
statale (contrariamente a tante lezioni della storia moderna), e costringe
all’emissione di obbligazioni pubbliche sul mercato, alla vendita dei
patrimoni pubblici, alla privatizzazione e alla liberalizzazione delle
attività statali centrali e locali. Le nuove azioni private e le obbligazioni
pubbliche entrano nel patrimonio di agenti e banche con tassi di
rendimento di mercato, aumentando molto l’offerta di titoli e
consentendo la speculazione sui diversi andamenti dei mercati azionari
e delle economie degli Stati emettitori. Anche se la severità di questo
vincolo è stata talvolta allentata (la crisi delle Savings and Loan
Associations negli USA, la guerra delle Falkland nel Regno Unito, e chi
sa quanti altri episodi – ricordo ad esempio l’affettuosa attenzione di
Greenspan per G.W.Bush), tuttavia il disavanzo pubblico si finanzia sul
mercato, e impone allo Stato un tasso di interesse che non ha alcuna
parentela con il tasso di preferenza temporale della collettività e dello
Stato stesso: Pigou sosteneva che il tasso di sconto per lo Stato dovesse
essere negativo, per tener conto delle generazioni future.

·  Il dollaro diventa moneta fiduciaria nel decennio precedente, e non
perde questa caratteristica successivamente: il resto del mondo deve
procurarsi dollari per finanziare il proprio commercio, e ciò fa
aumentare progressivamente la domanda di titoli espressi in quella
moneta.

·  Poco più tardi, viene abolito negli USA il Glass-Steagall Act, che
separava le funzioni del credito ordinario da quelle del credito di lunga
durata – una legge del periodo rooseveltiano. Le banche diventano così
imprese private, e il sistema bancario, con l’annesso clearing, sparisce,
sostituito dalla concorrenza tra banche, società finanziarie, società di
assicurazione, mescolando tutte queste funzioni e assoggettandole a
regolazioni molto diverse, spesso deboli quando non assenti (come
sugli hedge fund e i derivati). La domanda estera di titoli in dollari
consente alle banche di accrescere il proprio capitale, sulla base del
quale, ora, possono fare prestiti (prima erano gli impieghi che
determinavano i depositi; dopo, non più). Questa restaurazione del
potere bancario si estende al resto del mondo: ciò che era un semplice
servizio pubblico, il credito ordinario, diventa attività finanziaria;
mentre in precedenza era il moltiplicatore del credito che forniva i
depositi necessari agli impieghi, ora le banche debbono far operare il
proprio stato patrimoniale, nel passato poco rilevante. Poiché le banche
si fanno concorrenza sugli impieghi e hanno bisogno di capitale come
“collateral”, il mercato provvede nuovi titoli – quelli strutturati, i
derivati, le sommesse sugli indici, ecc. – che sfuggono alla regolazione.

·  Poiché le politiche monetarie si fondano sulla fissazione di tassi di
interesse per i prestiti alle banche, se queste si finanziano diversamente
(si chiama “shadow banking”), scade il potere monetario delle banche
centrali: sorge potente la moneta endogena, nella forma di titoli liquidi;
in questo caso, a differenza del pensiero di Keynes, la liquidità non è
legata all’incertezza sull’andamento dei tassi di interesse, ma dipende
dal progresso degli indici del mercato finanziario; ogni titolo è liquido
se ci si attende un aumento del suo valore sul mercato e la liquidità lo
rende strumento di pagamento, oltre che di speculazione. Non si tratta
di una legge economica generale, ma della trasformazione,
nell’economia finanziaria deregolata, dei titoli in moneta.

4. Che succede alle economie nazionali in questa restaurazione? La domanda di beni e servizi cresce, come conseguenza dell’emissione di moneta endogena, e non produce inflazione perché mobilita immense riserve di capacità produttiva e di lavoro nei paesi emergenti. Questi, per battere la concorrenza dei paesi industrializzati, debbono mantenere bassi i salari, ciò che rende competitive le merci e spiazza le produzioni altrove. Si formano grandi surplus di bilancia corrente, investiti nei mercati dei capitali e, come visto, in titoli denominati in dollari. Il potere d’acquisto nei paesi industrializzati non diminuisce, sia per i minori prezzi dei beni sia per l’abbondanza di credito per mutui e credito al consumo: le famiglie vedono crescere la propria ricchezza e, al crescere degli indici finanziari, trasformano il maggior valore del proprio capitale in maggiore reddito.

5. Questa è la causa prossima della crisi, visto che tutti gli autori hanno osservato come durante il lungo periodo di boom la distribuzione del reddito peggiora in tutto il mondo industrializzato: ciò conduce inevitabilmente a dire che se l’aumento del valore del capitale delle famiglie è trasformato in reddito, non è però possibile consumare ricchezza e mantenere invariata la quota del capitale delle famiglie sul mercato finanziario. La famiglia è l’anello debole del sistema e quando questa (semplificando) non è più in grado di utilizzare il salario per pagare il proprio mutuo, cadono tutti i valori finanziari che hanno un riferimento al patrimonio delle famiglie.

6. Causa prossima, non causa profonda: questa sta nella restaurazione prerooseveltiana appena descritta. In questa restaurazione, lo Stato non ha più un ruolo sulla domanda effettiva, né può correggere la cattiva distribuzione del reddito. Anzi, la golden rule della produttività, per la quale i salari e la produttività debbono crescere insieme, non è rispettata in nessuna parte del sistema economico internazionale. E’ sufficiente l’assenza di questa regola dell’equilibrio per generare il crollo: un eccesso di profitti e di rendite dura finché qualche parte del sistema fornisce la domanda effettiva utile per vendere beni e servizi. Non possono più farlo le famiglie, come abbiamo visto, né possono farlo le economie emergenti, perché queste sono competitive proprio perché non rispettano la golden rule della produttività.

7. In questo lungo periodo si sono anche sviluppate l’istituzione europea e la moneta unica. E’ stata creata una Banca Centrale, in assenza di uno Stato Europeo, con la conseguenza che il divorzio è diventato totale, e la politica economica europea manca di quella flessibilità che perfino le politiche conservatrici del mondo anglosassone avevano conservato. Esiste l’Euro, ma è solo moneta per transazioni, non per consentire la difesa dall’incertezza o per finanziare l’intervento dello Stato. L’Euro non è una vera moneta, perché la BCE non è un istituto di emissione, e perché non esiste un sistema bancario con separazione tra credito ordinario e credito di medio lungo termine: mentre gli USA si dotano del Dodd-Frank Act, che riprende parzialmente il vecchio Glass-Steagall (ma con tante scappatoie che la speculazione finanziaria ha ripreso il suo tenore precedente la crisi), l’Unione Monetaria non agisce. Solo recentemente interviene la BCE a parare i guasti maggiori della speculazione contro i titoli pubblici, ma non può da sola battere il vortice negativo della speculazione, anche perché tende a sterilizzare gli acquisti di bond cattivi con la vendita di bond migliori, indirettamente ampliando lo spread tra quelli e questi. La speculazione colpisce le banche europee, sottocapitalizzate dopo la crisi, e i titoli pubblici che le stesse banche hanno acquistato per rinvigorire il proprio capitale con carta ad apparente basso rischio. Si tratta di una speculazione che non ha i caratteri (provvisoriamente, ma fortemente) positivi della moneta endogena del periodo pre-crisi: si scommette sul rischio di default, per ridurre il quale gli Stati europei sono costretti a ridurre le spese e aumentare le entrate, riducendo il tasso di crescita e producendo un formidabile circolo vizioso; è su questo che si basa la speculazione, che ad ogni involuzione del circolo guadagnano sulla perdita di valore dei titoli.

8. Poiché lo shock della crisi ha spinto gli organismi di controllo sulle istituzioni bancarie (EBA, Basilea) a rendere più severi i parametri che misurano la protezione dal rischio delle banche, l’attività di impiego di queste si è fortemente ridimensionata. Si è creata una “tempesta perfetta” con crisi di domanda e crisi del credito (di offerta) che operano ciascuna rinforzando l’altra. Il circolo vizioso della speculazione si è ulteriormente allargato. La BCE interviene fornendo liquidità alle banche, che si ricapitalizzano, ma continuano ad operare sul proprio stato patrimoniale, e la fuga dagli impieghi continua.

9. Tutti sanno che la situazione è rimediabile, se la Germania cessasse la propria politica nei confronti dell’Europa, e resta un mistero il perché di tanta rigidità a favore dell’austerità: la spiegazione più semplice, e forse troppo superficiale, è che è meglio per la Germania comandare un coacervo debole di Stati, anziché preoccuparsi del benessere generale, che ne ridurrebbe il potere di decisione. Resta anche un mistero perché i maggiori paesi dell’Unione Monetaria – Italia e Francia – abbiano accettato, fino all’elezione di Hollande, le regole dell’austerità proprio nel pieno della tempesta economica.

10. Non spetta a questa relazione indicare le politiche necessarie per uscire dal cul-de-sac. Tuttavia, è evidente che l’Europa deve riprendere in mano la propria crescita e ciò impone sia la regolazione della speculazione internazionale, sia rapporti schietti ma precisi tra Governo europeo e BCE, sia il finanziamento dei deficit pubblici, sia la ripresa degli investimenti pubblici, sia la ricostruzione del sistema bancario rooseveltiano. L’errore più grande che si possa fare in politica economica oggi, è sostenere che la crisi del debito pubblico nazionale è dovuta allo spreco, all’evasione fiscale, al populismo dei partiti politici, alla noncuranza dei poteri pubblici.
Tutto questo è vero, ma è irrilevante e serve a coprire l’impotenza di chi governa: si pone fine allo spreco, all’evasione, alla noncuranza se c’è ripresa e l’avvio di un processo per la piena occupazione. Altrimenti, tutta la spesa pubblica è spreco: dall’istruzione, alla sanità, alla previdenza, alla ricerca, all’ambiente, alla cultura, al sussidio di disoccupazione, fino ai lavori pubblici. 


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