*Da: https://www.lacittafutura.it/
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=RrHoiAMNE54
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/liberta-e-schiavitu-luciano-canfora.html
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=RrHoiAMNE54
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La
schiavitù non è un rottame del passato, ma un’istituzione
riportata in auge dal capitalismo del Terzo Millennio.
La
schiavitù del capitale (Bologna
2017) è il nuovo libro di Luciano
Canfora,
che stupisce sempre per l’ampiezza della sua cultura e per la
lucidità delle sue analisi, le quali delineano un quadro complessivo
e sintetico delle prospettive storiche che abbiamo davanti a noi.
Inoltre, si può cogliere tra le righe il piacere che prova lo
studioso italiano, svolgendo il suo attento lavoro di ricerca, anche
se da esso emerge un disegno drammatico.
La
schiavitù del capitale è
un saggio breve (111 pagine), nel quale vengono individuati in
maniera precisa i gravissimi
problemi della società contemporanea,
che sarebbe caratterizzata dal “ritorno in grande stile del
fenomeno della schiavitù come
anello indispensabile del ‘cosiddetto capitalismo del Terzo
Millennio’” (p. 69). Questo ritorno non deve meravigliarci,
giacché conferma quanto sosteneva Aristotele: “la necessità e
l’eternità della schiavitù” (p. 68).
Secondo
Canfora la partita che è stata giocata nel corso del Novecento,
iniziata con la Grande Guerra, è stata vinta da chi sfrutta e gli
sconfitti sono stati gli sfruttati, ma è stato un grave errore
credere che questa vicenda abbia posto fine alla storia. Che non
fosse così ce lo ha fatto capire il “crollo del lungo, ostinato,
alla fine insostenibile esperimento di ‘socialismo’”, evento
dal quale possiamo ricavare una serie di osservazioni. Prima di
tutto, che la partita è appena cominciata e che il modello
capitalistico si è espanso in tutto il pianeta, conquistando anche
la Russia e la Cina. A ciò dobbiamo aggiungere che solo oggi il
capitalismo ha il dominio del mondo debolmente contrastato dai
residui delle organizzazioni sindacali non collegate a livello
internazionale, giacché gli sfruttati non sono in grado di
compattarsi per ragioni religiose, etniche etc. Inoltre, per rendere
efficace la sua espansione e seguendo la sua logica del profitto e
dell’acquisizione di nuovi mercati, il capitalismo
ha reintrodotto “forme
di dipendenza di tipo schiavile”
sia nel mondo sviluppato che in quello arretrato (pp. 10-11), in cui
probabilmente – aggiungo io – non ha mai cessato di esistere.
Tale reintroduzione ha comportato la perdita dei ‘diritti
del lavoro’,
ottenuti in Occidente grazie all’esistenza del blocco socialista,
che costringeva il capitalismo ad essere più benevolo. Infine,
Canfora sottolinea il ruolo determinante della malavita organizzata
nella gestione delle varie forme di dipendenza oggi esistenti (pp.
11-12).
Un
altro aspetto interessante della dinamica storica esaminato da
Canfora è costituito da quella che chiama “svolta
occidentalista”
che ha portato l’ex Unione Sovietica ad adottare uno stile di vita
americaneggiante, abbandonando la linea politica internazionale
perseguita fino agli anni Settanta-Ottanta. Quest’ultima consisteva
nell’appoggio anche materiale ai paesi ex coloniali per
indirizzarli verso una prospettiva politica nazionalista-socialista,
che si è dissolta provocando la fine del socialismo arabo e il
trionfo del fondamentalismo religioso (pp. 20-21). Tale osservazione
conferma quello che pochi hanno pensato prendendo atto della caduta
del muro
di Berlino,
mentre i più esultavano: quali sconvolgimenti provocherà la
dissoluzione del “socialismo reale”?
Che
l’Unione Sovietica dovesse puntare sulla rivoluzione delle colonie,
dopo che questa era stata sconfitta in Europa, lo aveva
scritto Lenin,
il quale attribuiva la causa di tale disastroso evento al
comportamento delle “aristocrazie operaie” che avevano
patteggiato con le rispettive borghesie. A suo parere solo la fine
della colonizzazione e dello scambio ineguale avrebbe determinato un
cambio di atteggiamento nelle prime non più privilegiate dalle
briciole della rendita coloniale (pp. 25-26).
Il
trionfo attuale del capitalismo è legato all’occidentalizzazione
del mondo,
anche se Canfora ci avverte che la parola “Occidente” non ha un
significato univoco e per questa regione è anche di difficile
localizzazione. Assai spesso – scrive – è stato identificato dai
vari autori con una delle tendenze in esso presenti secondo un
criterio arbitrario, ossia ciascuno ha scelto l’Occidente che
preferiva (p. 35). La complessità delle relazioni che hanno unito e
contrapposto i diversi paesi occidentali, rendono inaccettabili
le sbrigative equazioni, che identificano l’Occidente con la
democrazia e il cristianesimo (p.
37). Inoltre, bisogna tenere conto che l’Occidente affonda le sue
radici nelle terre feconde della Mesopotamia, dalla quale ebrei e
greci hanno attinto molti aspetti, integrandoli nella loro tradizione
(p. 39). D’altra parte, la Grecia,
ritenuta la culla della civiltà occidentale, è da tempo stata
espulsa da questa comunità e considerata, invece, un paese
“orientale”. Un destino diverso è toccato al Giappone,
che è stato a pieno titolo incorporato dall’Occidente (pp. 38-39),
ormai dominato dall’estremo Occidente, identificato invece con
gli Stati
Uniti,
che impongono attraverso la NATO i
loro voleri ai paesi europei, i quali li accettano masochisticamente.
Un esempio di questo atteggiamento supino sta nell’imposizione
delle sanzioni alla Russia,
che danneggiano l’economia europea, solo per allinearsi con gli
Stati Uniti, che mirano all’inserimento dell’Ucraina nella
NATO (p. 25).
Secondo
Canfora oggi non ha più senso la contrapposizione Oriente /
Occidente, che deve essere sostituita da quella tra Nord e Sud del
mondo, tenendo
presente,
tuttavia, che
il secondo è presente anche da noi nelle zone marginali.
Pertanto, a causa del massiccio fenomeno migratorio, Nord e Sud del
mondo si penetrano reciprocamente ed inevitabilmente si scontreranno,
giacché il Sud non può che richiedere una diversa distribuzione
della ricchezza attualmente monopolizzata dal Nord (pp. 44-45). Lo
studioso italiano cita alcuni documenti sul traffico degli esseri
umani, che produce la costante violazione dei diritti umani e che è
un fenomeno transnazionale, da cui scaturiscono le nuove modalità
del lavoro schiavile, nel quale si ricicla il “denaro sporco”
(71).
Riprendendo
la riflessione di Arnold
Toynbee,
sviluppata in un piccolo libro intitolato Il
mondo e l’Occidente,
di cui Canfora ha curato la traduzione italiana per Sellerio (1991),
egli delinea le tappe percorse da quest’ultimo per estendere il suo
dominio mondiale, a partire dall’epoca delle grandi scoperte
geografiche. Queste ultime, grazie all’evoluzione tecnica nella
costruzione dei velieri e dei cannoni, si trasformarono ben presto
nella costituzione di domini extracontinentali. Ma tale processo non
è stato esente da contraddizioni, che hanno messo l’Occidente
contro se stesso,
come quando vinse la seconda guerra mondiale, nella quale erano state
sconfitte Germania, Italia (e Giappone). Inoltre, aveva vinto a
prezzo di allearsi con l’Unione Sovietica, ossia con il nemico
dell’Occidente, trovandosi di fronte un mondo percorso da moti
rivoluzionari (Cina) e instabile nel suo assetto per la costituzione
di movimenti di liberazione in vari paesi (pp. 42-43).
Rotta
quella scomoda alleanza, nel corso della lunga fase della
cosiddetta Guerra
Fredda,
l’Occidente riprende il suo atteggiamento di sfida verso il mondo
e, in particolare, verso l’Est. Se Toynbee, pur consapevole delle
colpe consumate dall’Occidente verso il mondo, sperava che alla
fine sarebbe di nuovo riuscito vittorioso, Canfora osserva, invece,
che questo “si trova di fronte a controspinte molteplici, tutte
gravide di conflitti e di tensioni” e proprio per questo rischia di
perdere. E ciò perché – come mostra il risorgere
della minaccia islamica -,
le sue vittime non possono sopportare tale spietato dominio senza
rispondere. In particolare, paradossalmente sono stati gli stessi
Stati Uniti a fomentare e a sostenere i nemici dell’Occidente,
schierandosi con l’estremismo islamico in maniera più o meno
aperta e senza preoccuparsi della politica che potrebbe essere
vantaggiosa per l’Europa (p. 44), non in grado di dare una risposta
ai flussi migratori prodotti dalla politica del “caos creativo”
in Medio Oriente. Questa scelta richiama alla mente quella
riflessione contenuta nel “Manifesto”, un’opera non certo
ottimistica, in cui si sviluppa una comparazione tra il potere
trasformatore e distruttore del capitalismo e lo “stregone che non
sa più controllare le potenze sotterranee da lui evocate” (p. 95).
Con
l’abbattimento del muro di Berlino molti avevano vaticinato
l’estensione del “mondo libero”, la fine della Guerra Fredda e
un felice avvenire di pace; purtroppo, abbiamo avuto modo di
sperimentare che le cose non stanno proprio così: il numero
dei muri è cresciuto,
aggiungendosi a quelli già esistenti, mentre altri sono stati
costruiti come quello tra Macedonia e Grecia, tra Ungheria e Serbia e
l’utopia del rinnovamento con il passaggio al nuovo secolo si è
sbriciolata (pp. 85-86).
Ribadendo
con Croce che “la storia è sempre un processo aperto”, Canfora
si chiede cosa è restato delle utopie che si sono scontrate nel
corso dei due ultimi secoli,
da lui identificate con l’utopia
dell’egoismo e con quella della fratellanza (p.
88).
La
prima sarebbe ben espressa dalla politica dell’Unione Europea,
la quale, arroccata su se stessa, persegue il suo disegno di tenere
in piedi “una moneta inutilmente competitiva” e di fare a pezzi i
diritti sociali conquistati nel corso del Novecento. E per conseguire
questi obiettivi non si vergogna di regalare miliardi di euro
al dittatore
turco, perché
crei un cordone contenitivo che difenda la “fortezza Europa” (pp.
89-90).
Purtroppo
l’utopia della fratellanza, anche se ha radici antiche, oggi è
assai debole e non può certo espandersi anche per il dominio
indiscusso dei mezzi di comunicazione di massa, i quali cancellano
dal reale tutto ciò che per loro è scomodo.
Nonostante
ciò le conclusioni di Canfora non sono pessimistiche, giacché egli
ritiene che “la
storia procede a spirale. Dà l’impressione di tornare indietro
anche quando, faticosamente, procede” (p.
97). Da questo punto vista, tutti gli eventi che hanno scandito la
vittoria dell’utopia della fratellanza (dalla presa della
Bastiglia, all’Ottobre rosso, alla liberazione di Saigon e di Cuba
etc.) non sono occorsi invano (P. 97). Nonostante ciò, bisogna
tenere conto del fatto che – come sta scritto nel “Manifesto” –
la lotta tra le due classi in lotta, che si richiamano alle due
diverse ideologie su menzionate, può anche generare la rovina di
entrambe.
In
appendice lo storico italiano pone il discorso radiofonico tenuto
l’11 settembre 1973 da Salvador
Allende,
mentre il Palazzo presidenziale veniva bombardato, nel quale egli
afferma di non morire invano e di nutrire speranze per il futuro. Al
discorso di Allende segue quello pronunciato da Alexis
Tsipras il
27 giugno 2015, nel quale si annuncia la prossima celebrazione di un
referendum sulle misure imposte alla Grecia dalla UE. Come è noto,
le misure vennero respinte con una larga maggioranza, ma l’esito
del referendum non fu rispettato.
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