Il processo del Geist come Soggetto in Hegel può essere
letto dunque non come un divenire che dall’Uno trapassa nel Due ricomponendosi
nel Tre, non come un transitare che dall’interno va all’esterno per poi
ritornare dentro di sé, bensì come un processo che dall’esterno va all’interno,
dall’indeterminato al determinato, dal vuoto al pieno, attraversando tutte le
autorappresentazioni parziali e inadeguate – tutte le opposizioni – che rendono
esterna al Sé la coscienza di Sé. E proprio per questo il conoscere in Hegel è
sempre un riconoscere, giacché il conoscere è sempre un ritrovare il Sé
nell’Altro.
Il fatto è che Hegel a Jena, anche attraverso la sua frequentazione,
iniziata da tempo, dell’economia politica, è ormai ben consapevole che il
privato, sia nel senso della proprietà che nel senso della profondità della
coscienza e della libertà individuale, costituisce una caratteristica
irrinunciabile del moderno, dato che egli mira a una socializzazione che, pur
rifiutando l’impianto atomistico del contrattualismo giusnaturalistico, non può
non includere in sé anche la libertà e l’autonomia della persona. E
l’«Anerkennung», il riconoscimento, deve appunto valere come un nesso di
socializzazione che possa concrescere con l’approfondirsi dell’autocoscienza
del singolo. Ossia come l’articolarsi di istituti che scandiscano con la loro
diversa tipologia di relazioni lo spirito oggettivo ma che corrispondano
contemporaneamente alla maturazione verticale del singolo quanto alla sua
natura non naturalistica bensì autenticamente spirituale e universale. Questo
significa che per Hegel v’è un profondo parallelismo, anzi un nesso intrinseco,
tra la molteplicità delle forme delle istituzioni sociali e la molteplicità
delle forme dell’autocoscienza personale. A forme diverse, secondo gradi
distinti di profondità e di maturità dell’autocoscienza individuale,
corrispondono luoghi e logiche istituzionali di socializzazione diverse. A gradi diversi dell’autoriconoscimento
corrispondono modalità diverse dell’essere riconosciuto.
Nel mondo del diritto la presa di «possesso» si trasforma in
«proprietà» e il «bene-di-famiglia», la proprietà d’ognuno, viene riconosciuto
universalmente, viene riconosciuto e fatto valere attraverso la volontà di
tutti. Il singolo qui, non più riferito e conchiuso nell’intero familiare, si
rapporta, attraverso l’universale della legge, a tutti gli altri singoli. È
persona giuridica, soggetto di diritti e di dovere. È cittadino, riconosciuto
come libero e autonomo nel suo volere quanto giuridicamente responsabile per i
suoi beni e le sue azioni e penalmente perseguibile. Solo che la liberazione
del singolo dalla chiusura familiare attraverso l’universalizzazione messa in
atto dal diritto è una liberazione astratta. Nel senso che il diritto deve
trattare tutte le singolarità come ciascuna eguale alle altre, senza che si dia
differenza alcuna tra di loro, perché ammettere la differenza significherebbe
far regredire il diritto all’istituzione del privilegio. Il diritto considera
solo la forma dei rapporti tra i singoli, senza occuparsi del loro contenuto.
Si occupa sì della proprietà ma senza mai porre la questione della sua genesi,
della sua storia, della sua utilizzazione e destinazione, insomma delle
determinazioni concrete. Il riconoscimento giuridico riconosce dunque ciascuno
come «persona», identica alle altre: senza accogliere, possiamo noi aggiungere,
proprio quella concretezza d’individualità che fa ciascuno diverso e
incomparabile rispetto agli altri e che pure era l’oggetto del riconoscimento
nel chiuso del mondo familiare.
Con parole dei nostri giorni, e con termini che derivano
dalla relazione di trasfert e controtrasfert che connota una seduta di
psicoanalisi, possiamo dire che non posso accogliere, riconoscere veramente
l’altro fuori di me, intenderlo e comprenderlo nella sua specificità e
complessità di vita, se contemporaneamente non riconosco, ritrovo e rivivo
dentro di me le medesime movenze, contraddizioni e complessità emozionali, se
non attingo cioè quell’alterità interiore che costituisce il fondo della mia
egoità presuntivamente più certa e identificata in un incontraddetto sapere.
Così come reciprocamente io posso essere riconosciuto nella mia più propria
esperienza e identità di vita, nel progetto e nei desideri più personali e
individuali del mio esistere, solo se un altro mi accoglie e mi contiene,
mettendo in atto verso se medesimo quello stesso sfondamento interiore
dell’identità più apparente e di superficie che io ho compiuto rispetto a me
stesso. La mia individuazione, la coincidenza con il mio piano più individuale
dell’esistere, possono derivare solo dall’essere, a mia volta, riconosciuto da
un altro fuori di me, ossia accolto secondo la medesima interiorizzazione e
pensato dal suo pensiero. Il conoscere come riconoscere in Hegel, al suo
livello più elevato di compimento, è dunque sempre l’insieme del riconoscimento dell’altro, del riconoscersi e dell’essere riconosciuto.
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