Il passaggio da una visione mitologico-religiosa a una
visione filosofico-scientifica segna il passaggio dal mondo antico, dall’ancien
régime al mondo moderno. Ciò era evidente già a Hegel che nell’esporre le forme
dello spirito assoluto, ossia le forme attraverso cui le civiltà si sono
comprese, ha indicato per il mondo antico la forma artistico-mitologica, per il
mondo cristiano la forma religiosa, per il mondo moderno, posteriore alla
Rivoluzione francese, la forma filosofico-scientifica.
Tale Rivoluzione aveva coinvolto solo in modo marginale la
Prussia e, soprattutto, con la sconfitta di Napoleone si era aperta una fase di
Restaurazione, per molti versi analoga a quella della nostra epoca storica, in
cui si era cercato di reimporre con la forza la visione del mondo religiosa.
Anzi la Nato del tempo, ossia la più potente alleanza militare volta a impedire
ogni tentativo di mettere in discussione l’ordine imposto dalla Restaurazione,
prendeva il nome di Santa Alleanza. Quest’ultima, di cui la Prussia era una
pedina fondamentale, aveva represso nel sangue i primi moti rivoluzionari dei
primi anni Venti, ma era riuscita solo parzialmente a contenere i moti
rivoluzionari degli anni Trenta.
Così dopo la morte di Hegel nel 1831, la Restaurazione
dominava ancora la Prussia, e tuttavia i giovani intellettuali progressisti che
alle sue lezioni si erano formati, si battevano per l’affermazione, in primo
luogo nel loro paese, della modernità. Tale lotta passava, dunque, per la lotta
alla visione del mondo mitologico-religiosa in nome di una visione del mondo
scientifico-filosofica.
Proprio questo sarà uno dei cavalli di battaglia della
sinistra hegeliana, all’interno della quale Marx ed Engels si erano formati.
Perciò anche essi fanno proprie le critiche esplicite alla visione del mondo
mitologico-religiosa di Feuerbach, che aveva non solo radicalizzato la
riflessione hegeliana, superandone la prudenza cartesiana, ma avevano colto i
limiti della stessa concezione idealista in nome di quella concezione materialistica
a partire della quale si era sviluppata la stessa rivoluzione scientifica.
Come è noto secondo Feuerbach come non è dio ad aver creato
l’uomo, ma al contrario è l’uomo che storicamente si è rappresentato il proprio
dio, attribuendogli le proprie caratteristiche genetiche, allo stesso modo non
sono le idee astratte ad aver forgiato gli uomini reali, ma sono un prodotto
del loro sviluppo storico.
Il disvelamento dell’origine antropologica della religione
aveva dato nuovo vigore alla lotta dei giovani hegeliani contro la visione del
mondo mitologico-religiosa che consideravano il fondamento dello Stato
confessionale prussiano e, dunque, il principale ostacolo al sorgere dello
Stato moderno. Marx al contrario, sviluppando la concezione materialistica,
essenziale alla emancipazione dall’idealismo hegeliano, si sforza di
comprendere come possa risorgere la visione del mondo religiosa anche nel mondo
post rivoluzionario, dove era stato abbattuto l’ancien Régime. Ciò dimostrava
che la battaglia sul piano delle idee, e dunque la stessa lotta contro una
visione mitologico-religiosa, non costituiva l’aspetto determinante per la
realizzazione dello Stato moderno liberal-democratico. Tanto più che
l’affermazione di quest’ultimo non comportava affatto il superamento della
concezione religiosa del mondo, dal momento che lo stesso prototipo dello Stato
liberal-democratico, gli Stati uniti d’America, era caratterizzato da un
profondo e capillare sviluppo della concezione religiosa del mondo.
Dunque anch’essa non era in primo luogo il prodotto di un
modo di ragionare ancora non filosofico-scientifico, ma tale modo inadeguato di
pensare nasceva da una realtà storica che non aveva ancora consentito di
risolvere, per la maggioranza della popolazione, quelle contraddizioni reali da
cui risorgeva la concezione religiosa. Dunque non era tanto quest’ultima la
causa della miseria reale, ma era piuttosto quest’ultima a far sorgere la
religione come un bisogno reale.
Anzi, come chiarisce Marx, nella introduzione a Per
la critica della filosofia del diritto di Hegel [1844], «la miseria religiosa»
non è solo «l'espressione della miseria reale», ma è al contempo
una forma, per quanto immediata e, quindi inadeguata, di «protesta contro
la miseria reale». Essa non è infatti il grido di battaglia contro la miseria
reale, ma è piuttosto «il sospiro della creatura oppressa». La religione dunque
non nasce da un errato modo di ragionare, né semplicemente da un inganno dei
preti funzionale al potere costituito, ma da un «sentimento» reale, che sorge e
risorge “spontaneamente” in «un mondo senza cuore».
Da qui la celeberrima definizione della religione come «oppio del
popolo», ossia come fuga e alienazione in un paradiso artificiale dinanzi a un
inferno reale contro il quale non si ha la forza, né il coraggio di combattere.
Tale metafora origina, fra l’altro, dal ricorso purtroppo ancora oggi diffuso
nel proletariato moderno di ricorrere a stupefacenti per poter resistere a
ritmi e orari di lavoro sempre più disumani, a occupazioni sempre più
alienanti, ripetitive e precarie, a un tempo libero ridotto a dover soddisfare
quei bisogni primari, necessari per potersi riprodurre come forza lavoro
ridotta a merce alle dipendenze del capitale. Altra probabile origine della
metafora è l’abitudine, purtroppo ancora oggi presente negli strati più
arretrati della popolazione, di ricorrere a oppiacei per tenere buona una prole
i cui bisogni reali non si è in grado di soddisfare.
Negli strati meno arretrati delle classi popolari tale
funzione è oggi sostituita dalla televisione, anche perché lo sviluppo del
fordismo e delle più recenti forme di organizzazione della produzione, come il
toyotismo, richiedono dei lavoratori non debilitati dall’uso degli oppiacei.
In ogni caso eliminare tutte queste forme illusorie di
«felicità del popolo», non può ridursi al far comprendere che si tratta di
forme di evasione, ma comporta la necessità di battersi per la sua «felicità reale»,
ossia per una società in cui non sarà proprietario unicamente della propria
forza lavoro ridotta a merce da svendere a prezzi di saldo, per un’occupazione
precaria e alienante. Per poter «abbandonare le illusioni sulla sua
condizione», la massa popolare deve essere formata e organizzata per potersi
battere per superare «una condizione che ha bisogno di illusioni».
D’altra parte Marx considera necessario un superamento
dialettico delle posizioni della sinistra hegeliana e di Feuerbach, non una
loro semplice negazione. Perciò continua a ritenere che «la critica della
religione, dunque, è, in germe», contiene in potenza, «la critica
della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola»,
ossia di un mondo che non ha ancora superato compiutamente il rapporto fra
servo e padrone, visto che il proletario moderno è riconosciuto solo come
portatore della merce forza lavoro da sfruttare attraverso la sua necessaria
alienazione. In altri termini la critica alla religione condotta dalla sinistra
hegeliana «ha strappato dalla catena i fiori immaginari», ossia le illusioni e
le evasioni dall’inferno reale in cui vivono i subalterni, ma non affinché
questi ultimi portino «la catena spoglia e sconfortante», come pretenderebbero
i radicali, ma affinché possano cominciare a comprendere la necessità di
organizzarsi e battersi per gettare «via la catena» e cogliere così «i fiori
vivi», ossia conseguire una reale emancipazione da sfruttamento e alienazione.
La critica alla visione del mondo mitologico religiosa – in
particolare oggi in cui quest’ultima è considerata dai reazionari la più
semplice e immediata soluzione alla crisi della società capitalista – deve
divenire funzionale affinché il subalterno non ricerchi delle ingannevoli
evasioni dalle contraddizioni reali e storicamente determinate, «affinché egli
pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla
ragione». Ma non si tratta però di una semplice ripresa dell’illuminismo, di
una pura battaglia culturale, come credono gli odierni eredi della sinistra
hegeliana. L’acquisizione di una visione del mondo scientifico-filosofica da
parte dei subalterni, deve portare questi ultimi a prendere coscienza della
propria condizione reale di oppressione, sfruttamento e alienazione.
È infatti compito dell’azione storica, e non della mera
riflessione teorica, che si limita a interpretare in modo diverso il mondo,
«una volta scomparso l’al di là della verità», ossia qualsiasi tentativo
di evasione dalle contraddizioni reali della società capitalista, «ristabilire la
verità dell’al di qua», ossia una realtà non più reificata e alienante in
cui ogni cosa è ridotta a merce.
Dunque una volta che il sapere critico ha smascherato «la
figura sacradell'autoestraneazione umana» e la teoria marxista ha
smascherato «l'autoestraneazione nelle sue figure profane» – in
modo che «la critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la
critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia
nella critica della politica» – è necessario che la teoria torni «al
servizio della storia», della prassi. Proprio perché per superare
dialetticamente la posizione della sinistra hegeliana e dello stesso Feuerbach,
è indispensabile ricordare che non è più sufficiente limitarsi a interpretare
il mondo in modo diverso, in modo critico, ma è ormai indispensabile
trasformarlo radicalmente.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina