*Da QUADERNO
FREUDIANO, Stefano Garroni, Ed. BIBLIOPOLIS
Secondo Jung, il livello più profondo dell'inconscio si
rivela, quando le interpretazioni autorizzate dalla teoria freudiana non
riescono a liberare il soggetto da quel disagio, da quella sofferenza, che lo
hanno condotto in analisi. In altre parole, si rivela, quando l'approccio causalistico al disturbo psichico, pur
avendo sprigionata la sua intera potenza ed ottenuto quanto è alla sua portata,
tuttavia, non è riuscito ad assicurare quella, relativa, pace e tranquillità,
che hanno da caratterizzare la personalità emancipata dalla nevrosi.
Due sono le cose che Jung vuol dire: in primo luogo, che la
teoria psicoanalitica è costruita nel rispetto del principio di casualità; in
secondo luogo, che quel rispetto rinvia ad una concezione vetusta della
scienza, come anche ad una visione dell'uomo, unilateralmente centrata sulla
ragione e sulla diffidenza - intellettualistica, atea - per tutto ciò che
sappia di misticismo, di religione, di irrazionalità.
Per Freud la partita dell'ordinamento della personalità si
gioca, tutta, sotto la "dittatura della ragione".
Non esiste un mondo inconscio che possa, per principio,
guidare la ragione, produrre senso per l'uomo.
Il senso è dell'uomo;
la personalità è una sua costruzione, la sua più alta opera d'arte.
Allora è chiaro che l'obiettivo della terapia (per Freud) sarà,
certo, in accordo con Jung, la costruzione d'una personalità integrata,
equilibrata; sapendo, però, che ciò non significa mediare (né tantomeno sottomettere
la prima al secondo) fra ragione ed irrazionale fondo psichico, misticamente
produttore di senso; ma sì, al contrario, significherà l'impegno a forgiare una
ragione ordinatrice, che continuamente tessa quella tela che è la personalità,
intrecciando fili diversi, secondo forme che dovranno continuamente esser
ritoccate, reinventate. Significherà, insomma, giungere ad una personalità
"artisticamente" plasmata dalla ragione.
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