lunedì 2 novembre 2015

ESTIRPATORI DI OGGI, ESTIRPATORI DI IERI - Alessandra Ciattini

             Premessa

Grande scandalo e turbamento ha suscitato nella grande stampa e nei canali televisivi internazionali la devastazione e distruzione portata avanti dai tanto vituperati terroristi dell'Isis o Daesch, che dir si voglia. Esecrazione ovviamente del tutto condivisibile, giacché comporta la distruzione di monumenti che costituiscono un patrimonio di valore inestimabile, che documenta il lato migliore della purtroppo drammatica storia dell'umanità, e che ci consente di ricostruire criticamente fasi storiche ormai appartenenti al passato, anche se, in molti casi, la loro influenza è ancora operante nel presente. 
Per esempio, La Stampa del 5 ottobre 2015 descrive, anche con l'ausilio di un video, la distruzione dell'arco di trionfo a Palmira [1], costruito circa 2.000 anni fa e letteralmente polverizzato con l'esplosivo.
Ma come spiegare tanta ferocia iconoclasta e tale carica di assurda distruttività, in un mondo che, almeno a parole, predica il valore della differenza e la necessità di rispettarne le manifestazioni? Ci viene in soccorso Il Fatto quotidiano del 23 giugno 2015, il quale sottolinea che, in realtà, i jihadisti non abbattono con la loro furia devastatrice tutti i monumenti del passato, ma scelgono solo i simboli legati a figure divine o sacre considerate in contraddizione con la loro fede, come per esempio due mausolei islamici, situati sempre nel sito di Palmira, o le statue dei due Budda di Bamiyan, distrutte nel 2001 in Afghanistan dai Taliban. A tale osservazione Il Fatto quotidiano aggiunge che tale “modus operandi nasce da una degenerazione delwahabismo, corrente islamica di origine saudita che predica un ritorno alla “purezza” e al rigore originale riguardo ai testi sacri, in opposizione alla “cultura corrotta” contemporanea, e che ha ispirato la distruzione di simboli di culto da parte di gruppi fondamentalisti”. 

Per formulare un giudizio più equilibrato su tali fatti certamente sconcertanti e per evitare di suscitare un semplicistico e puramente emotivo rigetto di queste condannabili pratiche, mi sembra opportuno citare un celebre passo tratto dal saggio che Michel de Montaigne (1533-1592) dedica ai cannibali brasiliani, i cui costumi compara acutamente alle pratiche di tortura impiegate dagli europei nel clima arroventato delle guerre di religione, a lui contemporanee. Scrive Montaigne: “Non sono contrario a che si sottolinei l'orrore barbarico contenuto in una tale azione [2], ma mi oppongo decisamente al fatto che noi, mentre giudichiamo dei loro difetti,siamo ciechi nei confronti dei nostri” (cit in Gliozzi G., La scoperta dei selvaggi. Antropologia e colonialismo da Colombo e Diderot, Milano, p. 128; corsivo mio). Ed è precisamente questo l'aspetto che mi preme sottolineare (siamo ciechi nei confronti dei nostri difetti), articolando il mio ragionamento in più punti e mostrando che ci siamo dimenticati di come abbiamo fatto assai spesso tabula rasa di tutte quelle pratiche e credenze, nelle quali le potenze coloniali si sono imbattute, perché considerate del tutto contrarie ai “fondamenti” della (nostra) civiltà.

In primo luogo, anche se tale atteggiamento “radicale” era concretamente esistente ed operante in alcune correnti delle religioni monoteistiche ed universalistiche [3], mi sembra opportuno ricordare che si comincia a parlare di fondamentalismo (termine che si impiega assai spesso per indicare talune tendenze dell'islamismo), tra le fine del XIX e l'inizio del XX secolo in ambito protestante, nel quale si individuano una serie di elementi fondamentali dai quali non si può derogare, in primis l'inerranza della Bibbia [4]. E ciò in opposizione alle correnti teologiche liberali e critiche che auspicavano ed auspicano un'interpretazione modernizzante della tradizione religiosa e il suo adeguamento alle trasformazioni sociali subite dalla società nel corso del tempo. Questi gruppi fondamentalisti protestanti combatterono e combattono tuttora la concezione evoluzionistica della specie umana, giacché la ritengono in contraddizione con la dottrina della creazione presente nella Bibbia. Come si vede, dunque, è proprio in ambito cristiano che il fondamentalismo si trasforma da atteggiamento inconsapevole e acritico in attitudine cosciente e belligerante.

Accanto a questa accezione più ristretta e tecnica, si parla di fondamentalismo anche in senso lato [5] per indicare tutti quei movimenti che hanno basi culturali e religiose ma che presto si sviluppano anche sul piano sociale e politico (si pensi aineocon statunitensi), che propongono e cercano di imporre anche ai non credenti o agli appartenenti di altre religioni, spesso con la forza, quei principi e quelle pratiche che considerano come fondative della loro fede e dottrina. In questo senso, per esempio la Enciclopedia Treccani on line alla voce “fondamentalismo” menziona anche il fondamentalismo ebraico [6] e quello islamico, oltre a quello cristiano.

Nel caso della Chiesa cattolica - che, come vedremo, per certi aspetti in epoche passate ha adottato atteggiamenti assai simili a coloro che distruggendo gli “idoli” si sono proposti di estirpare con la violenza le fedi ritenute impure - si parla più comunemente di integrismo; con questo termine ci si riferisce a quell'atteggiamento proprio di alcuni settori cattolici, che operano affinché i principi della loro fede siano applicati a tutte le sfere della vita sociale, come abbiamo potuto sperimentare in Italia nel caso del divorzio e dell'aborto.

D'altra parte, la Chiesa cattolica si differenzia dal protestantesimo fondamentalista per la posizione che assume nei confronti delle Sacre Scritture, i cui contenuti letterali non accetta come indiscutibili in tutte le loro parti, ma allo stesso tempo affida al magistero del Papa, supportato dallo Spirito Santo, la corretta e veritiera interpretazione del testo ispirato dalla divinità.

Quello che voglio mettere in risalto con tale breve premessa è che il fondamentalismo religioso, che caratterizza in forma violenta e aggressiva l'Isis, ahimè, non è estraneo alla nostra cultura e tradizione; ossia non è qualcosa d'altro rispetto a noi, non è una bestia bizzarra e mostruosa, ma è profondamente radicato in molti settori della nostra cultura e della nostra stessa strategia politica, se utilizziamo “nostro” nel senso di società euro-americana.
Ma entrerò più nel dettaglio nella parte seguente dedicata alla cosiddetta “estirpazione dell'idolatria”, di cui probabilmente discutono solo gli storici e gli antropologi, descrivendo le strategie dell'evangelizzazione cattolica in America Latina [7], ma che è bene rendere nota ad un pubblico più vasto.

              Estirpazione dell'idolatria

I tribunali dell'Inquisizione vengono istituiti in Perù e in Messico rispettivamente nel 1570 e nel 1571, per combattere anche nel Nuovo Mondo – come era avvenuto nella penisola iberica - l'eresia nelle sue manifestazioni sia aperte che occulte. In particolare, quella messicana comincia a funzionare con uno spettacolare autodafénel 1574. Prima dell'istituzione dell'Inquisizione era compito dei vescovi, cui era attribuito il ruolo di inquisitori, di perseguitare gli eretici, consegnandoli al braccio secolare per essere castigati, nel caso non si fossero pentiti. Vale la pena ricordare un caso celebre: il cacicco di Texcoco Carlos Ometochtzin che fu accusato e poi condannato al rogo nel 1539, per l'attivismo mostrato dal primo vescovo della Nuova Spagna il francescano Juan de Zumárraga nello scoprire e punire gli eretici e gli idolatri. Tale vicenda suscitò all'epoca molto scalpore per una serie di ragioni tra le quali la confisca dei beni del condannato, che diventavano di proprietà dell'inquisitore (il quale era dunque direttamente interessato all'esito del processo), e la riflessione sull'effettiva cristianizzazione degli indigeni. In effetti, dopo le distruzioni dei templi, degli oggetti rituali, la depredazione dei manufatti religiosi in oro e argento – di cui ci parlano sia i cronisti spagnoli che gli stessi autori indigeni [8] -, dopo la somministrazione del battesimo a migliaia di nativi americani, cominciava a venire alla luce con sempre maggiore evidenza che l'evangelizzazione era stata superficiale e che i nuovi sudditi continuavano le loro pratiche, conservavano con rispetto i loro idoli, e addirittura mescolavano forme rituali cristiane con “abominevoli” liturgie tradizionali. Insomma, gli stessi missionari scoprirono che l'incontro e lo scontro tra la fede cristiana e le religioni tradizionali aveva dato vita in molti casi al sincretismo religioso, il quale aveva permesso la sopravvivenza, sia pure in forma alterata e transculturata, di queste ultime.

È proprio in seguito a questa presa di atto che viene costituita un'altra istituzione, parallela all'Inquisizione, ma le cui “cure” sarebbero state rivolte esclusivamente ai nativi, i quali più che eretici vengono ora considerati neofiti, e quindi più inclini alla cattiva interpretazione del messaggio evangelico. Sto facendo riferimento a quella che Pierre Duviols (La lutte contre les religions autochtones dans le Pérou colonial. L'extirpation de l'idolâtrie entre 1532 et 1660, Toulouse 2008), uno studioso francese che si è occupato in maniera profonda e dettagliata dell'attività evangelizzatrice svolta in epoca coloniale nel vicereame del Perù, chiama la “figlia bastarda dell'Inquisizione”, ossia l'estirpazione dell'idolatria, praticata sin dalla conquista, ma istituzionalizzata nel XVII secolo in quelle regioni in cui la presenza indigena era ancora consistente.

Ma in cosa consisteva questa istituzione? Quali erano le sue modalità operative? In primo luogo, possiamo dire che al centro del suo interesse stava l'idolatria, intesa come una forma perversa di culto, stimolata addirittura dall'azione del demonio, all'interno della quale veniva venerato e quindi considerato pari a Dio un oggetto inanimato (montagne, laghi etc.), un essere subumano o umano, un manufatto (si pensi al famoso vitello d'oro costruito dagli ebrei nella Bibbia); adottando tale pratica, nella prospettiva cattolica, i nativi americani scambiavano qualcosa che poteva funzionare tutt'al più come simbolo con la stessa dimensione sovrannaturale, mescolando così indebitamente la sfera celeste e quella terrena, e mostrando così la loro preferenza per una lettura immanentistica della relazione mondo / divinità.

Gli estirpatori organizzavano “visite” periodiche in quei territori dove, in seguito a denunce e confessioni spontanee o estorte, si aveva sentore della persistenza dell'idolatria, conducevano indagini, procedevano ad interrogatori ed utilizzavano la tortura e l'incarceramento per scoprire i colpevoli di tale nefando delitto. Naturalmente, una volta scoperti gli idoli e i parafernalia rituali, che magari venivano conservati in qualche luogo isolato, procedevano alla loro distruzione, organizzata pubblicamente in presenza delle autorità civili e religiose, soprattutto per mostrare l'impotenza delle divinità autoctone, che certamente non avrebbero potuto impedire il dispiegarsi dell'azione dei missionari.
L'estirpazione contemplava anche attività preventive come il concentramento di indigeni in appositi centri, in modo da poterli tenere sotto controllo, l'istituzione delle scuole per i figli dei cacicchi, che sarebbero stati così investiti del ruolo di messaggeri della buona novella tra i loro antichi sudditi, l'elaborazione di catechismi nelle lingue indigene in modo da superare le inevitabili barriere linguistiche e culturali. Accanto a tali pratiche distruttive, tuttavia, alcuni missionari adottarono anche un altro atteggiamento: si posero il problema di quali credenze e pratiche tradizionali potevano essere accettate e inserite nel contesto cristiano, dando avvio alla cosiddetta inculturazione della fede. 

Questa seconda strategia, molto discussa in seno alla Chiesa cattolica, non equipara le religioni autoctone al cristianesimo, giacché considera le prime tutt'al più depositarie dei “semi del verbo”, che debbono essere fecondati dall'incontro vivificante con il messaggio cristiano.
Come mostrano le imponenti rovine di siti archeologici dell'America Latina, il processo di estirpazione si concludeva con la costruzione di una Chiesa cattolica nel medesimo luogo dove erano stati venerati gli dei ancestrali; si pensi, per esempio, al famoso tempio del sole (Corichanca), situato al Cuzco (Perù) sopra il quale è stata costruita la solenne chiesa di San Domenico.

Si potrebbe osservare che tali pratiche estirpative appartengano al passato, e che assai diverso è il volto della Chiesa cattolica incarnato dal bonario papa Francesco. Ma di fatto non è così, giacché l'inculturazione della fede cattolica, da cui è scaturita la teologia india – una lettura del cattolicesimo attraverso la lente della dolorosa esperienza storica dei popoli amerindi –, incontra molte opposizioni e suscita la preoccupazione di eliminare gli elementi spuri che potrebbero contaminare i contenuti autentici della religione rivelata. Del resto, la contraddizione tra la pretesa di essere portatrice di un messaggio universale, i cui contenuti sono custoditi e trasmessi dal magistero che la stessa Chiesa cattolica si attribuisce, e il desiderio di aprirsi alle altre esperienze religiose, anche per ampliare e consolidare il proprio “gregge”, costituisce un elemento strutturale e costitutivo di questa istituzione millenaria.

Un esempio di tale contraddizione si palesa tra due diversi processi di canonizzazione: quello di Martino de Porres, deciso da Giovanni XXIII nel 1962, e quello di Junipero Serra, portato a termine dall'attuale papa, nel corso del suo ultimo viaggio negli Stati Uniti. Oltre ad essere il primo santo di colore della Chiesa cattolica, in quanto figlio di una ex-schiava africana, Martino si distingue per il suo stretto rapporto con le masse popolari, alla cura delle cui sofferenze si sarebbe sempre dedicato a cavallo tra il XVI e XVII secolo. Invece, Junipero, che operò come missionario nella Bassa California nel XVIII secolo, è considerato responsabile da molti storici e dagli stessi discendenti degli indigeni dello sterminio delle popolazioni native di quella regione, da lui sottomesse ad una evangelizzazione aggressiva e devastante. Grazie a tale attività, egli è annoverato tra i fondatori della nazione statunitense.

NOTE
  1. Città di grande importanza commerciale, le cui origini risalgano al II millennio a. C., situata a circa 240 km da Damasco.
  2. Si riferisce all'usanza delle tribù brasiliane di catturare prigionieri tra i loro nemici, di tenerli a vivere con loro durante un certo tempo, per poi ammazzarli e divorarli, con un gesto la cui finalità era la vendetta.
  3. Molto più tolleranti sono sempre state le religioni politeistiche, anche se non immuni da forme repressive.
  4. Ossia l'idea che la Bibbia, essendo ispirata da Dio, che quindi ne sarebbe l'autentico autore, non può contenere errori di nessun tipo, né di carattere fattuale, storico o geografico; per tanto essa deve essere interpretata letteralmente.
  5. Si parla e si è parlato anche di fondamentalismo economico per indicare quelle correnti neo-liberiste che prospettano misure restrittive e fondate sul ridimensionamento se non sulla scomparsa dello Stato sociale, occultando la prospettiva politica che le ispira e che pertanto le relativizzerebb
  6. Risale e qualche tempo fa la notizia della distruzione, insieme ad altri edifici, di un'antica moschea da parte dell'esercito israeliano, situata nel villaggio cisgiordano di Khirbet Yarza, appartenente ad un zona posta sotto il suo controllo (http://notizie.tiscali.it/articoli/esteri/10/11/25/israele_distrugge_moschea_palestinese.html). Notizia che non mi pare abbia sollevato tanto scalpore. Che dire, poi, dei continui attacchi ai fedeli palestinesi scatenati dall'esercito israeliano nella Spianata delle moschee di Grerusalemme est e denunciati dal presidente Mahmoud Abbas? (http://www.ilfarosulmondo.it/ambasciatore-palestinese-denuncia-la-passivita-dellonu-di-fronte-alle-continue-violazioni-israeliane/). Sembra che l'obiettivo del governo israeliano sia la distruzione di tali luoghi sacri per procedere alla giudaizzazione di questa parte della città.
  7. Strategie che furono adottate ben presto anche dai protestanti, soprattutto per quanto riguarda il loro aspetto devastante e distruttivo.
     8.  Al riguardo si può leggere il prezioso libro curato da M. L. Portilla, La memoria dei vinti, Milano,1962.                                                                                                                    

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