Marco Cerotto (Università di Napoli Federico II, Scienze Storiche)
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Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70* - Roberto Finelli
Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento - Riccardo Bellofiore
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Il testo Da Marx al post-operaismo[1] offre una lettura teorico-politica che ripercorre circa un secolo di riflessioni filosofiche variegate tra loro, ma che esaminando gli sviluppi della società capitalistica contemporanea adoperano la metodologia marxiana come chiave di lettura del presente, estrapolando però contenuti e concetti ereditati dalle diverse tradizioni del pensiero politico moderno che l’opera di Marx ha generato. Si tratta di un lavoro svolto da «giovani leve», come scrive Giovanni Sgro’ nell’Introduzione, le quali però si orientano decisamente verso la comprensione di determinati filoni teorici che hanno tentato di plasmare la prassi politica, cioè delle organizzazioni operaie, dal momento che posero all’attenzione delle loro analisi gli sviluppi politici della stessa classe operaia.
Dall’analisi degli sviluppi filologici su L’ideologia tedesca, dalla quale però emerge un’accesa diatriba teorico-politica scatenatasi in un periodo storico particolare (quello degli anni Venti e Trenta del secolo scorso) tra gli interpreti marxisti sovietici e quelli tedeschi socialdemocratici per l’affermazione indiscussa dell’eredità marxiana, allo studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e all’elaborazione del concetto marxiano di «uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane» (p. 53), si giunge ai tedeschi Benjamin e Marcuse, influenzati dal clima di devastazione totale provocato dalla Prima guerra mondiale e dal consolidarsi dei regimi nazi-fascisti che condussero l’Europa al suo secondo suicidio. Ciò che accomuna i due pensatori tedeschi è la considerazione dello svilimento del soggetto rivoluzionario, vale a dire la discontinuità della riflessione della classe operaia nei termini delineati da Marx, come classe capace di emancipare tutta la società emancipando sé stessa. La socialdemocrazia, secondo Benjamin, ha «corrotto i lavoratori tedeschi» (p. 89) mistificando la funzione storica del proletariato «di creare la propria storia nel tempo vivo e cosciente dell’attualità» (p. 90), come scrive Morra, interpretando accuratamente quelle riflessioni benjaminiane che costituiscono gli scritti inediti sulla storia a partire dal frammento giovanile teologico-politico e giungendo fino alle tesi di filosofia della storia.