*Recenti dibattiti teorici su Marx nel mondo anglosassone:
una introduzione, Karl Marx 2013 (Il
Ponte) a cura di Roberto Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Giovanni Sgrò.
Per Marx, il lavoro astratto è “
l’erogazione della forza lavoro umana in astratto” (Marx, 1967a, p. 200). Esso è l’erogazione di energia umana indipendentemente da, e cioè astraendo da, le forme specifiche che esso prende (il lavoro specifico, o concreto, secondo la terminologia di Marx). Esso è la sostanza del valore. invece il lavoro concreto crea “
il carattere specifico” delle merci e “
le trasforma in concreti valori d’uso distinti da altri” valori d’uso. (Marx, 1967b, p.92). Siccome il lavoro è sempre e allo stesso tempo sia astratto che concreto, il valore delle merci è contenuto nei loro valori d’uso. Il valore quindi è generato durante la produzione delle merci nella loro specificità, e quindi prima del loro scambio (compra/vendita) sul mercato.
Se il lavoro astratto è comune a tutte le società, è solo nel capitalismo che esso acquisisce una rilevanza sociale perché esso crea il valore contenuto nelle merci prodotte sotto relazioni di produzione capitaliste e quindi serve per misurarne il valore come suo tempo di erogazione. Esso è quindi sia materiale che sociale. Il “valore delle merci è una realtà puramente sociale” perché è una realtà solo nel capitalismo ma “le merci acquisiscono tale realtà solo nella misura in cui esse sono l’espressione, perché incorporano, una identica sostanza sociale, cioè il lavoro umano” (Marx, 1967a, p.47, enfasi mia, G.C.). Questa identica sostanza sociale è una sostanza materiale che diventa socialmente rilevante solo nel capitalismo.
Per Marx, i lavoratori sono i protagonisti perché il loro lavoro, sotto coercizione, produce sia i valori d’uso delle merci che il valore in essi contenuto.
Sia c il capitale
investito in mezzi di produzione in senso lato e v il capitale investito in forza lavoro. Marx chiama il primo
capitale costante e il secondo capitale varabile. Avendo investito c e v,
il capitalista fa produrre dai suoi lavoratori una merce che incorpora un plusvalore
(un valore al di sopra di c e v) uguale a s. Il valore contenuto (V) è quindi V=c+v+s. Se la merce si vende a un prezzo, (P) uguale a V, cioè se
essa realizza il valore incorporato in essa, il suo prezzo è uguale al suo
valore (P=V). Questo è il caso più semplice di trasformazione di valori in
prezzi. Tuttavia, la diatriba riguarda il caso (che è la regola) in cui il
valore realizzato (prezzo) non è uguale al valore incorporato. L’assunto
fondamentale è che solo il lavoro produce valore e quindi plusvalore. In tal
caso, ceteris paribus i vari capitali producono plusvalore in quantità
differenti e cioè secondo il capitale variabile investito. Se ragioniamo in
termini percentuali, più alta è la percentuale di capitale constante, più bassa
è quella del capitale variabile, minore è il lavoro impiegato e quindi minore è
il (plus)valore generato. Marx chiama il rapporto c/v la composizione organica del capitale. In breve, tanto più alta
è la composizione organica, tanto più basso è il plusvalore generato che a
questo livello di astrazione possiamo ipotizzare sia uguale al profitto. Il
tasso di profitto generato da ciascun capitale è s/(c+v). Percentualmente, tanto maggiore è la composizione
organica, tanto minore è il plusvalore generato e tanto minore è il tasso di
profitto.
La competizione tecnologica riduce percentualmente la forza
lavoro e aumenta la proporzione dei mezzi di produzione. Dato che solo il
lavoro genera valore, il TMP (Tasso medio del Profitto) cade. Tuttavia, gli
innovatori, producono più output (valori d’uso, nella terminologia di Marx).
Essi, potendo vendere un numero maggiore di prodotti allo stesso prezzo dei
concorrenti ad altri settori, si appropriano attraverso il sistema dei prezzi
del plusvalore di chi non ha innovato. Aggiungiamo ora che questa è la
tendenza. Essa, si manifesta nonostante le controtendenze che ne ritardano il
manifestarsi ma che non possono ritardala indefinitivamente.
Se i mezzi di produzione aumentano relativamente alla forza
lavoro mentre il TMP (e quindi il plusvalore relativamente al capitale
investito) cade, i primi non possono produrre plusvalore. Ma allora non possono
produrre neanche valore. Dato che ci sono solo due fattori di produzione, i
mezzi di produzione e il lavoro, è il lavoro e solo il lavoro che produce
valore e plusvalore. La legge del valore è empiricamente supportata.
Consideriamo ora l’aumento del tasso di sfruttamento. Tra il
1987 e il 2009, nonostante la crescita della composizione organica, il TMP
aumenta a causa dell’aumentato tasso di sfruttamento, cioè che la
controtendenza sopraffa la tendenza.
Per stabilire se l’aumento del tasso di sfruttamento sia
veramente una controtendenza che frena l’aumento della composizione organica e
quindi la caduta del TMP, ho calcolato quale sarebbe stato il TMP nell’assenza
di un incremento del tasso di sfruttamento. Più precisamente, ho calcolato il
tasso medio di sfruttamento. Questa procedura mostra quale sarebbe stato il TMP
nel periodo 1987-2009 se il tasso di sfruttamento non fosse aumentato al di
sopra della media di tutto il periodo precedente e quindi isola il corso del
TMP dall’aumento dello sfruttamento nel periodo 1987-2009. Il grafico 4
evidenzia che il TMP sarebbe caduto drammaticamente. Quindi, il TMP è cresciuto
perché il tasso di sfruttamento è cresciuto di più di quanto non sia cresciuta
la composizione organica, perché la controtendenza ha sopraffatto la tendenza.
Nel 2006 il TMP era del 14% ma sarebbe stato del 8% senza l’aumento del tasso
di sfruttamento.
La causa dell’aumento del TMP dal 1987 è stato un salto
senza precedenti nel tasso di sfruttamento. Ciò indica la grandezza della
sconfitta della classe lavoratrice nell’era neo-liberale. La triste peculiarità
è che la classe lavoratrice non è stata ancora in grado di risollevarsi ed
esigere una fetta maggiore del nuovo valore prodotto da essa stessa. L’attacco
continua.