Vedi anche; http://marxdialecticalstudies.jimdo.com/videos-1/roberto-fineschi/
Abbiamo spiegato cos'è la MEGA2 e perché è importante (http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/01/la-marx-engels-gesamtausgabe-mega2.html).
Vogliamo ora ragionare con Fineschi sull'attualità di Marx e sull'approfondimento teorico necessario per rilanciare una prospettiva comunista.
Marx inizia il Capitale con l'analisi della merce come “cellula elementare” del modo di produzione capitalistico e, pian piano, da questo elevato livello di astrazione, introducendo ulteriori variabili, svolge la sua teoria in maniera sempre meno astratta. In diversi tuoi lavori parli diffusamente di 4 livelli di astrazione. Che poi si riferiscono solo al contenuto dei tre libri del Capitale noti, mentre il piano originario dell'opera, che Marx non ha avuto il tempo di sviluppare, era più vasto (comprendeva per esempio lo Stato e il Mercato mondiale). Immagino che per giungere a illustrare tali aspetti, e quindi per avvicinarsi ulteriormente alla complessità della realtà, fosse necessario scendere a livelli ancora meno astratti, e avvicinarsi così anche a una teoria meglio spendibile nella lotta politica. Condividi questa opinione e in che misura, secondo te, il marxismo è stato all'altezza di questo compito?
La domanda è molto complessa. Si può partire dai problemi
storici della ricezione del Capitale. Soprattutto nella prospettiva politica,
un punto chiave era la teoria dello sfruttamento. Dimostrando che nella teoria
del capitale ci sono problemi strutturali insuperabili si distruggeva anche la
teoria dello sfruttamento.
Nel dibattito tradizionale, a questo proposito, i due punti
più caldi sono stati la trasformazione dei valori in prezzi di produzione,
soprattutto, e la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto.
L'idea era che la teoria del valore, per come era formulata nel primo libro,
presentasse una contraddizione insanabile con la teoria dei prezzi di
produzione del terzo libro. Con ciò tutta la teoria non funzionerebbe e
andrebbe buttata a mare, compresa la teoria dello sfruttamento.
Anche il dibattito successivo e il contributo di coloro che
offrivano una soluzione sulla base della teoria sraffiana [1], i quali
pensavano di dimostrare che esiste lo sfruttamento a prescindere dalla marxiana
teoria del valore, centrando il grosso della discussione sul presupposto della
presunta contraddizione, ha fatto perdere molti aspetti della teoria del
capitale.
Credo che, per le modalità con cui la disputa fu impostata ab
origine, il dibattito successivo sia stato in fondo coerente e corretto.
Secondo me la Mega2 permette non tanto di rispondere diversamente, ma di
comprendere che la questione era posta male. Il problema di Marx non è quello
supposto in questo dibattito. Quindi è mal formulato il punto di partenza. Non
sto qui a scendere nei dettagli ma lo snodo consiste nel comprendere che quella
di Marx non è una teoria del cosiddetto “valore-lavoro”, espressione mai usata
da Marx, ma di merce e denaro; il problema di “sostanza”, “grandezza” e “forma”
di valore si pone all'interno di questo orizzonte teorico.
Nel terzo libro – in realtà un manoscritto in larga parte
incompiuto, un work in progress – si affrontano questioni dove
Marx stesso mostra la complessità della trattazione dei problemi strutturali
della sua teoria nell'articolazione dei vari livelli di astrazione. A mio modo
di vedere, nella distinzione di questi livelli, esiste una impostazione e una
soluzione alternativa alla trasformazione che non presenta contraddizione tra
valori e prezzi, basata fondamentalmente sulla nuova categoria dei “prezzi di
mercato”.Fra l'altro questa soluzione permette di considerare questo problema
come un capitolo di una teoria più complessa che poi va avanti.
Nell'ultima sezione del terzo libro, “Credito e capitale
fittizio”, Marx si pone il difficile compito di pensare la superficie del
movimento nel suo complesso (forme del credito, del capitale fittizio, del
capitale azionario, dell'interesse e della dinamica del tasso di interesse) che
sono terreno fertile per scendere a livelli di analisi più concreti.
Nell'edizione di Engels – questo è un altro grande limite
del suo lavoro – la parte finale non è una sezione. “Credito e capitale
fittizio” viene presentato come un capitolo, mentre in realtà è il titolo di
un'intera sezione, nel manoscritto molto complessa, in cui Marx sembra
delineare la dinamica del rapporto tra accumulazione reale e accumulazione
fittizia e come le due determinino problemi complessi – quali la variazione del
tasso di interesse e la crisi – che oggi considereremmo “macroeconomici”. In
più, rispetto alle teorie ortodosse, offre una teoria del ciclo produttivo, in
cui il movimento fenomenico non viene analizzato semplicemente in base
all'analisi empirico-fenomenica di che cosa cambia a uno stato dato se si
modifica una delle variabili.
L'analisi del cambiamento si inquadra in una processualità
reale che ha una tendenza determinata dal processo obiettivo di produzione e
riproduzione del capitale. Per esprimerla in termini più semplici, se
riusciamo, grazie a questa ricostruzione attraverso i manoscritti, ad avere una
teoria del capitale articolata in livelli di astrazione, possiamo trovare una
chiave per spiegare fenomeni attuali che hanno la loro causa in tendenze di
fondo che però alla superficie non appaiono come tali.
Questo è il punto: nella teoria di Marx il valore non appare
mai alla superficie, ma scava sotto e si manifesta in moltissime forme diverse
che sono in larga parte inaccessibili all'economia ortodossa in quanto
quest'ultima rifiuta completamente questa dimensione. Essa, avrebbe detto Marx,
si aggira nel fenomeno senza cogliere i nessi essenziali e scambia la
descrizione del movimento apparente per la sua essenza.
A mio modo di vedere, attraverso la ripresa della teoria
marxiana e lo studio dei suoi diversi livelli di astrazione, si può fare molto.
Ma ancora prima di scendere al livello dello Stato e del Mercato mondiale, è la
stessa teoria del capitale che necessita di essere ripensata. Non abbandonata o
trasformata, perché secondo me la ricostruzione che si può fare attraverso i
manoscritti mostra che la sostanza c'è; ma è una teoria è incompiuta e va
quindi sviluppata, completata, integrata anche alla luce dei nuovi fenomeni che
sono emersi nel secolo successivo alla vita di Marx che egli non aveva potuto
osservare. Però questo è un altro segno dell'estrema forza di questa teoria
perché essa è stata scritta quando il modo di produzione capitalistico era
tutt'altro che ben sviluppato: esisteva solo in alcune parti del mondo, la
parte finanziaria non aveva ancora assunto la dimensione gigantesca odierna. Ma
ciò nonostante Marx prevede e spiega la sostanza di questi fenomeni.
Sei venuto proprio all'altra domanda che volevo farti,
alla quale in parte hai già risposto. Il capitalismo odierno si è trasformato
profondamente rispetto a quello osservato da Marx. Siamo di fronte a una fase
transnazionale dell'imperialismo, al dominio dei poteri finanziari, alla
frammentazione del mondo del lavoro, non concentrato, nella stessa misura di
diversi decenni fa, in grosse strutture produttive. Perché serve ancora Marx
per capirne la struttura e le dinamiche? In che misura ci può essere di aiuto
per poter costruire una prospettiva comunista teoricamente ben fondata?
Anche a questo proposito, se si distinguono i diversi
livelli di astrazione possiamo avere, non certo le risposte concrete a queste
domande, ma una buona partenza per poterci lavorare.
Un'interpretazione non adeguata nella tradizione marxista,
che si ripercuote anche nei vari “post” che abbiamo adesso, è l'idea che
l'unico soggetto antagonista sia l'operaio della fabbrica. Questo è giusto in
parte, ma non esaurisce la potenzialità della teoria delle classi di
Marx. In particolare mi riferisco alla lettura dei capitoli su cooperazione,
manifattura e grande industria che erano evidentemente una descrizione dei
rapporti in essere all'epoca, una sorta di fenomenologia del processo
lavorativo dell'Inghilterra del XIX secolo.
Sembravano descrizioni molto promettenti perché pareva che
le tendenze di fondo si muovessero in quella direzione. Il limite è confondere
queste “figure” storiche dell'organizzazione del lavoro con le “forme” che il
processo lavorativo assume, non nel capitalismo, ma nel modo di produzione
capitalistico. Perché se dico capitalismo, intendo una forma storico concreta
specifica di questo, e se dico manifattura e grande industria, ci metto
un'etichetta ancora più specifica. Il punto che sollevo è che Marx non sta solo
parlando di queste figure storiche ma in realtà sta sviluppando una teoria
delle forme del processo lavorativo all'interno del modo di produzione
capitalistico, delle modalità attraverso le quali si realizza il processo
lavorativo.
Tali modalità non sono necessariamente la manifattura o la
grande industria, ma sono determinazioni che sono esemplificate da queste
forme, ma non solo da queste. Mi riferisco in particolare alla dimensione
cooperativa del lavoro, alla dimensione parziale del soggetto che lavora e
realizza solo una parte dell'opera, alla dimensione subordinata del lavoratore
e addirittura alla sua estromissione, all'automatizzazione completa, fino al
ruolo di semplice supervisore del lavoratore.
Se guardiamo a cooperazione, manifattura e grande industria
come a “figure” storiche in cui quelle “forme” specifiche del produrre in modo
capitalistico sono apparse, abbiamo che la perdita di importanza di alcune
figure non fa scomparire le forme come tali.
Nell'organizzazione contemporanea del processo lavorativo
non abbiamo solo queste figure – che tuttavia, a dispetto delle varie
“scomparse” esistono ancora – ma abbiamo altre organizzazioni del lavoro per
cui quelle forme, la dimensione della parzializzazione, della subordinazione e
del carattere cooperativo, che avviene magari attraverso il computer fra
individui che lavorano in tutte le parti del mondo, sono la struttura del modo
si produrre. Inoltre esse sono salariate allo stesso modo di prima, cioè
subordinate a un processo di valorizzazione del capitale.
Il risultato complessivo della loro attività non è da loro
posta. Essi sono sussunti da questa. La realizzano per il capitale,
ricevono un salario che può essere in varie forme, quale per esempio il
corrispettivo della partita Iva.
Identificare il lavoro salariato guardando solamente alla
forma contrattuale, giuridica che assume, non è il punto. Posso avere la
partita Iva e lavorare come finto salariato. In questo senso i potenziali
soggetti antagonisti vanno moltiplicandosi perché tutti gli individui che si
trovano a lavorare in varie forme in processi eterodiretti dal capitale per il
quale lavorano in forma diretta o indiretta di salario, si trovano
completamente sussunti a queste modalità. Il loro modo di lavorare è
sostanzialmente cooperativo, parziale, subordinato, di supervisione etc.
Questo permette di superare vari “post” come il
post-operaismo, perché se limito il soggetto antagonista all'operaio della
fabbrica, è una cosa, se invece ho la fabbrica come una figura storica
legittima, mantengo tutte e due le parti: una spiegazione e una legittimazione
del periodo in cui l'operaio era effettivamente il soggetto storico
privilegiato; ma allo stesso tempo ho una teoria che funziona anche in assenza
di questa figura.
Uno degli obiettivi della lotta politica è trovare il modo
di unire queste forze che adesso non sono più fisicamente nello stesso posto,
non si vedono, non si parlano, sono sparse in tutto il mondo, magari parlano
lingue diverse, apparentemente appartengono a gruppi sociali diversi. Metterli
in dialogo è molto più complesso ma è uno degli obiettivi. Occorre sviluppare
forme di lotta internazionali in quanto la sfida del capitale è a livello
internazionale.
Parlavi anche della globalizzazione. Anche questo è un punto
interessante. Perché Marx è il primo teorico della globalizzazione, la prevede
come esito di lungo termine del modo di produzione capitalistico già nella
seconda metà dell' '800, quando appena si adombrava. La situazione attuale non
è contro il Capitale di Marx ma ne è chiaramente la verifica,
l'evidenza che egli aveva ragione. Ma vale anche per la finanziarizzazione. Non
a caso l'ultima parte del Capitale si intitola “Credito e
capitale fittizio”, perché Marx, grazie alla sua teoria, aveva ben presente
dove si andava a parare.
Per concludere, mi sento di poter dire che la teoria di
Marx, se adeguatamente intesa, continua ad essere l'analisi più corretta ed
efficacie delle dinamiche di fondo, epocali, del modo di produzione
capitalistico. Questa teoria è, però, da un lato incompleta, dall'altro molto
astratta, ovvero identifica le tendenze e le dinamiche di lungo periodo.
Riuscire a riprendere il filo interrotto alla luce degli sviluppi teorici e
storici a lui successivi e scendere ad un livello di astrazione in cui tale
teoria diventi “applicabile”: queste sono le sfide teoriche e politiche che ci
stanno di fronte.
Note
[1] Il testo a cui si rifanno tutti questi numerosi
contributi è P. Sraffa, Produzione di
merci a mezzo di merci. Premessa a una critica della teoria economica,
Giulio Einaudi Editore, Torino, 1960 [nota dell'intervistatore].
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