Circuito monetario,
mercati finanziari e valore: una messa in ordine logica**
Il principale punto di contatto dell’opera di Marx con la
TCM (Teoria Circuito Monetario) è la concezione del sistema economico quale economia monetaria di
produzione, ossia quale sequenza temporale di rapporti monetari concatenati di
scambio e di produzione intercorrenti tra classi sociali portatrici di
interessi contrapposti. In estrema sintesi, tale successione viene aperta dalla
decisione delle banche (la classe dei capitalisti monetari) di accordare
un’apertura di credito a favore delle imprese (la classe dei capitalisti
industriali), per le quali tale flusso di liquidità (il capitale monetario)
costituisce, al contempo, il potere d’acquisto necessario ad acquistare la
forza-lavoro (nonché, ad un minor livello di astrazione teorica, gli altri
fattori produttivi) da impiegare nel processo produttivo e un elemento non
riproducibile internamente.
Tale sequenza (o circuito) si chiude soltanto allorché le
imprese, una volta realizzato in forma monetaria il valore sociale della
produzione, estinguono il debito verso le banche, suddividendo il sovrappiù
sociale (corrispondente al plusvalore) tra profitti d’impresa e interessi
bancari.(7) È questa, si badi, non la rappresentazione di una particolare
configurazione storica o geografica del capitalismo. Non si tratta, cioè, della
manifattura inglese di inizio Ottocento, ovvero del sistema di fabbrica
italiano del secondo dopoguerra. Si tratta, invece, dell’esplicitazione dei
nessi monetari necessari intercorrenti tra gruppi sociali contrapposti
all’interno dello spazio capitalistico.
È, infatti, l’erogazione del finanziamento bancario che
consente alle imprese di dare il via al processo di produzione e di scambio. Si
noti, al riguardo, che in un’economia compiutamente capitalistica le banche non
si limitano a trasferire risorse monetarie dai propri depositi ai capitalisti
industriali, in forma di prestiti alle imprese.(10) Ciò che contraddistingue le
banche dalle altre unità socio-economiche è la loro capacità esclusiva di
creare moneta-credito, mediante semplice annotazione contabile (ovvero mediante
impulsi elettronici). 11 Da un punto di vista logico, in assenza di tale atto
di creazione ex nihilo, lo scambio “salario monetario verso forza-lavoro” non
potrebbe darsi, e dunque l’intero processo di produzione e di scambio non
potrebbe nemmeno essere avviato.
Per contro i mercati finanziari rappresentano il luogo in
cui le imprese, mediante emissione e collocamento di “titoli”, recuperano in
tutto o in parte la liquidità (moneta bancaria) precedentemente immessa nel
sistema in forma di massa salariale. Si tratta di due funzioni logicamente e
temporalmente distinte, dato che l’una (la creazione di moneta bancaria) è
precondizione per l’avvio del circuito dei pagamenti e, in presenza di
razionamento del suo ammontare, concorre a determinare la scala della
produzione, mentre l’altra (il rastrellamento dei risparmi dei lavoratori
salariati tramite i mercati finanziari) segue logicamente tale processo ed è
condizione per la chiusura del circuito.(12)
È questa la ragione per cui il flusso di moneta creato dalle
banche a favore delle imprese in avvio di circuito viene solitamente denominato
“finanziamento iniziale” (e corrisponde al “capitale monetario” di Marx),
mentre la liquidità veicolata dai mercati finanziari alle imprese costituisce,
assieme ai consumi dei lavoratori salariati, il “finanziamento finale” alle
imprese (e costituisce la base del cosiddetto “capitale fittizio”).
Quest’ultimo concorre a definire il grado di realizzazione monetaria, ossia di
“validazione sociale” del valore creato nella produzione.( 13)
In effetti, la TCM
consente di far luce su alcuni aspetti controversi della teoria marxiana del
valore. In primo luogo, tale approccio distingue chiaramente il momento
dell’acquisto della forza-lavoro, quale prerequisito necessario per l’avvio del
processo di produzione, da quello dell’acquisizione degli altri fattori
produttivi che, come ogni acquisto di merci capitalisticamente prodotte, segue
sempre logicamente tale processo. Si noti che è proprio nel procedimento di
contabilizzazione dei fattori produttivi diversi dalla forza-lavoro (il
cosiddetto “capitale costante” o, nel gergo degli economisti, i “beni capitale”
o “intermedi”) nel valore delle merci prodotte che si annida quell’“errore”,
imputato a Marx, che ha dato storicamente il via all’annosa diatriba sulla
trasformazione.
Eppure la TCM vale a chiarire che l’acquisto iniziale di
beni capitale è appena un’“illusione ottica” generata, nella realtà, o comunque
ad un minor livello di astrazione teorica, dalla concatenazione dei cicli
produttivi. La parte di prodotto destinata a rimpiazzare i beni capitali
consumati, ovvero ad investimento addizionale, viene sempre acquistata al
termine di ciascun ciclo (per essere impiegata nel ciclo successivo). Ne deriva
che il prezzo dei beni capitali corrisponde sempre al loro “prezzo di
riproduzione”, e non al loro “costo storico”.(14) Il problema della misura
della quantità di “lavoro morto” cristallizzato negli elementi del capitale
costante viene, dunque, svuotato di significato.
In secondo luogo, la TCM dà sostegno alla teoria di Marx
sull’origine del plusvalore dallo “scambio ineguale” tra capitale e lavoro
nella sfera della produzione, ove tale teoria venga correttamente intesa in
termini macro-monetari. Il fatto è che, se si considera l’insieme delle imprese
come un unico settore consolidato e aggregato (la classe dei capitalisti
industriali), è evidente che nessuno scambio che avvenga al suo interno può
contribuire alla valorizzazione del capitale anticipato. Detto diversamente, la
compravendita di beni capitali rappresenta un gioco a somma zero, dal quale
nessun plusvalore può derivare per le imprese (nel loro insieme).
Come ribadito da Graziani, sulla scia di Marx, la
“valorizzazione del capitale, per i capitalisti come classe, può derivare
unicamente da scambi che i capitalisti effettuino al di fuori della propria
classe, e quindi nell’unico scambio esterno possibile, che consiste
nell'acquisto di forza-lavoro. Soltanto nella misura in cui i capitalisti
utilizzano lavoro e si appropriano di una parte del prodotto ottenuto, essi
possono realizzare un sovrappiù e convertirlo in profitto”. Ecco perché, per
Graziani, come per Marx, il profitto dei capitalisti “può nascere soltanto
dalla differenza fra quantità di lavoro totale impiegato e quantità di lavoro
che torna al lavoratore sotto forma di salario reale”. Come poi il plusvalore
sociale creato (in potenza) nella produzione si distribuisca tra le imprese
dipenderà, di volta in volta, dallo specifico sistema di fissazione dei prezzi
relativi “che riguarda esclusivamente i capitalisti nei loro rapporti
reciproci”. (15)
**Leggi tutto: https://mpra.ub.uni-muenchen.de/68507/1/MPRA_paper_68507.pdf
Note
7 Lo schema base del circuito della moneta è riportato in
Fig. 1 nell’Appendice al presente articolo liberamente scaricabile
all’indirizzo web: http://www.marcopassarella.it/didattica/. Per una
descrizione dettagliata delle fasi del circuito si rinvia, inoltre, a A.
Graziani, La teoria monetaria della produzione, op. cit., e A. Graziani, The
Monetary Theory of Production, op. cit. Si veda, infine, M. Passarella, Finance
Matters! Genesi e sviluppo della Teoria del circuito monetario in Italia, op.
cit.
8 In questo senso, lo schema del circuito può essere
riguardato come un meta-modello teorico, assimilabile agli schemi di
riproduzione marxiani o al Tableau économique di François Quesnay.
9 La metafora si deve all’economista austriaco Joseph
Schumpeter, il quale, assieme a Knut Wicksell e a Nicholas Kaldor (oltre che
allo stesso Keynes, naturalmente) è, in genere, considerato il maggior
precursore (o “padre nobile”) della TCM.
10 Una volta valutata la solvibilità della clientela, e
stabilito un congruo ricarico sul tasso di interesse di riferimento fissato
dalla banca centrale, le banche commerciali non sono mai vincolate (nella
concessione di prestiti) dal rapporto tra riserve immediatamente disponibili e
depositi. Laddove necessario, le riserve vengono sempre costituite ex post
mediante ricorso a prestiti elargiti da altre banche ovvero tramite cessione di
titoli alla banca centrale (la quale non può far altro che assecondare le
necessità del sistema bancario). In effetti, in un sistema compiutamente
capitalistico non soltanto la quantità di mezzi monetari è fuori dalle
possibilità di controllo della banca centrale, essendo creata endogenamente dal
sistema, ma la moneta perde anche qualsivoglia agganciamento metallico. È, per
contro, possibile stabilire un’equivalenza tra valore aggiunto monetario della
produzione in un dato periodo e la quantità di lavoro vivo erogato nel processo
produttivo. Su quest’ultimo punto, cfr. G. Duménil e D. Foley, “The Marxian
transformation problem”, in S.N. Durlauf e L.E. Blume (a cura di), The New
Palgrave Dictionary of Economics, Seconda Edizione, Palgrave Macmillan,
Basingstoke, 2008; e M. [Veronese] Passarella, “Marx in the matrix. L’algebra
del ‘lavoro vivo’”, op. cit.
11 Il maggiore problema in cui si incorre allorché si tenta
di conciliare lo schema del circuito monetario con la teoria marxiana del
valore è la diversa concezione della moneta che vi è sottesa. In effetti, il
testo del Primo Libro de Il Capitale avalla l’idea del “denaro” come merce, e
sia pure di una merce “molto speciale”, in quanto “equivalente generale” di
tutti i beni capitalisticamente prodotti. Eppure, laddove Marx analizza in
dettaglio il funzionamento del mercato del credito, il capitale fittizio ed il
ruolo del sistema bancario, ossia nella quinta sezione del Libro Terzo de Il
Capitale, egli accenna anche ad una visione della moneta come “simbolo sociale”
(cfr. K. Marx, Il Capitale. Libro Primo, Editori Riuniti, Roma, 1964[1867],
capp. 1-3; e K. Marx, Il Capitale. Libro Terzo, Editori Riuniti, Roma,
1965[1894], capp. 21-33). Del resto, già nei Grundrisse Marx oscilla tra una
concezione della moneta come merce ed una come simbolo (cfr. K. Marx,
Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino,
1976[1857-58], Quaderno I, pp. 39-179). Su questo aspetto controverso, si
rinvia, tra gli altri, a: R. Bellofiore R., “A monetary labour theory of
value”, Review of Radical Political Economics, 1989, 21(1-2), pp. 1-25; e R.
Bellofiore et al., “Marx Inside the Circuit: Discipline Device, Wage Bargaining
and Unemployment in a Sequential Monetary Economy”, op. cit.
12 L’erogazione di credito bancario determina il grado di
indebitamento iniziale del sistema delle imprese verso le banche, mentre il collocamento
di titoli determina un debito puramente figurativo delle imprese verso i loro
sottoscrittori. Si noti, però, che, nella misura in cui questi ultimi
trattengono in forma di scorte liquide inattive parte degli interessi (o altri
flussi di reddito) maturati sui titoli, le imprese rimangono
corrispondentemente indebitate verso il sistema bancario al termine del
circuito.
13 In un modello ad un solo bene, utilizzabile sia come bene
di consumo che come bene intermedio, il “prezzo di produzione” di tale bene è
pari al suo costo unitario (dato dal rapporto tra il salario monetario unitario
e il prodotto per unità di lavoro) maggiorato di un saggio di profitto lordo.
Si dimostra facilmente che tale saggio riflette le decisioni autonome di
investimento delle imprese, data la propensione al consumo dei salariati (cfr.
A. Graziani, La teoria monetaria della produzione, op. cit., e A. Graziani, The
Monetary Theory of Production, op. cit.). Esso, peraltro, corrisponde al
rapporto tra tempo di lavoro speso per la porzione di prodotto appropriata
dalle imprese e tempo di lavoro necessario a produrre la quota destinata ai
salariati, ossia corrisponde al “saggio di sfruttamento” della forza-lavoro per
l’economia nel suo insieme (cfr. R. Bellofiore et al., “Marx Inside the
Circuit: Discipline Device, Wage Bargaining and Unemployment in a Sequential
Monetary Economy”, op. cit.).
14 Il loro “valore-lavoro” corrisponde, dunque, al rapporto
tra il prezzo di riproduzione e la cosiddetta “espressione monetaria del tempo di
lavoro” (Monetary Expression of Labour Time, MELT), per una definizione
rigorosa della quale si rinvia a G. Duménil e D. Foley, “The Marxian
transformation problem”, op. cit.
15 Le tre citazioni sono tratte da: A. Graziani,
“Riabilitiamo la teoria del valore”, in Graziani A., I conti senza l'oste,
Bollati Boringhieri, Torino, 1983, pp. 235-240.
https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_circuito_monetario
https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_circuito_monetario
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