martedì 5 gennaio 2016

Moneta, finanza e crisi. Marx nel circuito monetario* - Marco Veronese Passarella

*Da:    http://www.marcopassarella.it/it/omaggio-ad-augusto-graziani/


 “valorizzazione del capitale, per i capitalisti come classe, può derivare unicamente da scambi che i capitalisti effettuino al di fuori della propria classe, e quindi nell’unico scambio esterno possibile, che consiste nell'acquisto di forza-lavoro. Soltanto nella misura in cui i capitalisti utilizzano lavoro e si appropriano di una parte del prodotto ottenuto, essi possono realizzare un sovrappiù e convertirlo in profitto” (A. Graziani)

Circuito monetario, mercati finanziari e valore: una messa in ordine logica**

Il principale punto di contatto dell’opera di Marx con la TCM (Teoria Circuito Monetario) è la concezione del sistema economico quale economia monetaria di produzione, ossia quale sequenza temporale di rapporti monetari concatenati di scambio e di produzione intercorrenti tra classi sociali portatrici di interessi contrapposti. In estrema sintesi, tale successione viene aperta dalla decisione delle banche (la classe dei capitalisti monetari) di accordare un’apertura di credito a favore delle imprese (la classe dei capitalisti industriali), per le quali tale flusso di liquidità (il capitale monetario) costituisce, al contempo, il potere d’acquisto necessario ad acquistare la forza-lavoro (nonché, ad un minor livello di astrazione teorica, gli altri fattori produttivi) da impiegare nel processo produttivo e un elemento non riproducibile internamente.

Tale sequenza (o circuito) si chiude soltanto allorché le imprese, una volta realizzato in forma monetaria il valore sociale della produzione, estinguono il debito verso le banche, suddividendo il sovrappiù sociale (corrispondente al plusvalore) tra profitti d’impresa e interessi bancari.(7) È questa, si badi, non la rappresentazione di una particolare configurazione storica o geografica del capitalismo. Non si tratta, cioè, della manifattura inglese di inizio Ottocento, ovvero del sistema di fabbrica italiano del secondo dopoguerra. Si tratta, invece, dell’esplicitazione dei nessi monetari necessari intercorrenti tra gruppi sociali contrapposti all’interno dello spazio capitalistico.
Il livello di astrazione a cui i teorici del circuito si muovono è, infatti, se non quello massimo del capital en général (Primo Libro de Il Capitale), quello assai elevato della circolazione, rotazione e riproduzione del capitale (Secondo Libro de Il Capitale).(8)  Proprio l’adozione di tale livello di astrazione consente, inter alia, di mettere a fuoco il ruolo peculiare giocato dal sistema bancario, da un lato, e dai mercati finanziari, dall’altro, nell’ambito di un’economia monetaria di produzione. Spetta al primo, identificabile con la sotto-classe dei capitalisti monetari, il ruolo di “eforo” del sistema capitalistico.(9)

È, infatti, l’erogazione del finanziamento bancario che consente alle imprese di dare il via al processo di produzione e di scambio. Si noti, al riguardo, che in un’economia compiutamente capitalistica le banche non si limitano a trasferire risorse monetarie dai propri depositi ai capitalisti industriali, in forma di prestiti alle imprese.(10) Ciò che contraddistingue le banche dalle altre unità socio-economiche è la loro capacità esclusiva di creare moneta-credito, mediante semplice annotazione contabile (ovvero mediante impulsi elettronici). 11 Da un punto di vista logico, in assenza di tale atto di creazione ex nihilo, lo scambio “salario monetario verso forza-lavoro” non potrebbe darsi, e dunque l’intero processo di produzione e di scambio non potrebbe nemmeno essere avviato.

Per contro i mercati finanziari rappresentano il luogo in cui le imprese, mediante emissione e collocamento di “titoli”, recuperano in tutto o in parte la liquidità (moneta bancaria) precedentemente immessa nel sistema in forma di massa salariale. Si tratta di due funzioni logicamente e temporalmente distinte, dato che l’una (la creazione di moneta bancaria) è precondizione per l’avvio del circuito dei pagamenti e, in presenza di razionamento del suo ammontare, concorre a determinare la scala della produzione, mentre l’altra (il rastrellamento dei risparmi dei lavoratori salariati tramite i mercati finanziari) segue logicamente tale processo ed è condizione per la chiusura del circuito.(12)

È questa la ragione per cui il flusso di moneta creato dalle banche a favore delle imprese in avvio di circuito viene solitamente denominato “finanziamento iniziale” (e corrisponde al “capitale monetario” di Marx), mentre la liquidità veicolata dai mercati finanziari alle imprese costituisce, assieme ai consumi dei lavoratori salariati, il “finanziamento finale” alle imprese (e costituisce la base del cosiddetto “capitale fittizio”). Quest’ultimo concorre a definire il grado di realizzazione monetaria, ossia di “validazione sociale” del valore creato nella produzione.( 13)

In effetti, la TCM consente di far luce su alcuni aspetti controversi della teoria marxiana del valore. In primo luogo, tale approccio distingue chiaramente il momento dell’acquisto della forza-lavoro, quale prerequisito necessario per l’avvio del processo di produzione, da quello dell’acquisizione degli altri fattori produttivi che, come ogni acquisto di merci capitalisticamente prodotte, segue sempre logicamente tale processo. Si noti che è proprio nel procedimento di contabilizzazione dei fattori produttivi diversi dalla forza-lavoro (il cosiddetto “capitale costante” o, nel gergo degli economisti, i “beni capitale” o “intermedi”) nel valore delle merci prodotte che si annida quell’“errore”, imputato a Marx, che ha dato storicamente il via all’annosa diatriba sulla trasformazione.

Eppure la TCM vale a chiarire che l’acquisto iniziale di beni capitale è appena un’“illusione ottica” generata, nella realtà, o comunque ad un minor livello di astrazione teorica, dalla concatenazione dei cicli produttivi. La parte di prodotto destinata a rimpiazzare i beni capitali consumati, ovvero ad investimento addizionale, viene sempre acquistata al termine di ciascun ciclo (per essere impiegata nel ciclo successivo). Ne deriva che il prezzo dei beni capitali corrisponde sempre al loro “prezzo di riproduzione”, e non al loro “costo storico”.(14) Il problema della misura della quantità di “lavoro morto” cristallizzato negli elementi del capitale costante viene, dunque, svuotato di significato.

In secondo luogo, la TCM dà sostegno alla teoria di Marx sull’origine del plusvalore dallo “scambio ineguale” tra capitale e lavoro nella sfera della produzione, ove tale teoria venga correttamente intesa in termini macro-monetari. Il fatto è che, se si considera l’insieme delle imprese come un unico settore consolidato e aggregato (la classe dei capitalisti industriali), è evidente che nessuno scambio che avvenga al suo interno può contribuire alla valorizzazione del capitale anticipato. Detto diversamente, la compravendita di beni capitali rappresenta un gioco a somma zero, dal quale nessun plusvalore può derivare per le imprese (nel loro insieme).

Come ribadito da Graziani, sulla scia di Marx, la “valorizzazione del capitale, per i capitalisti come classe, può derivare unicamente da scambi che i capitalisti effettuino al di fuori della propria classe, e quindi nell’unico scambio esterno possibile, che consiste nell'acquisto di forza-lavoro. Soltanto nella misura in cui i capitalisti utilizzano lavoro e si appropriano di una parte del prodotto ottenuto, essi possono realizzare un sovrappiù e convertirlo in profitto”. Ecco perché, per Graziani, come per Marx, il profitto dei capitalisti “può nascere soltanto dalla differenza fra quantità di lavoro totale impiegato e quantità di lavoro che torna al lavoratore sotto forma di salario reale”. Come poi il plusvalore sociale creato (in potenza) nella produzione si distribuisca tra le imprese dipenderà, di volta in volta, dallo specifico sistema di fissazione dei prezzi relativi “che riguarda esclusivamente i capitalisti nei loro rapporti reciproci”. (15) 


Note

7 Lo schema base del circuito della moneta è riportato in Fig. 1 nell’Appendice al presente articolo liberamente scaricabile all’indirizzo web: http://www.marcopassarella.it/didattica/. Per una descrizione dettagliata delle fasi del circuito si rinvia, inoltre, a A. Graziani, La teoria monetaria della produzione, op. cit., e A. Graziani, The Monetary Theory of Production, op. cit. Si veda, infine, M. Passarella, Finance Matters! Genesi e sviluppo della Teoria del circuito monetario in Italia, op. cit.

8 In questo senso, lo schema del circuito può essere riguardato come un meta-modello teorico, assimilabile agli schemi di riproduzione marxiani o al Tableau économique di François Quesnay.

9 La metafora si deve all’economista austriaco Joseph Schumpeter, il quale, assieme a Knut Wicksell e a Nicholas Kaldor (oltre che allo stesso Keynes, naturalmente) è, in genere, considerato il maggior precursore (o “padre nobile”) della TCM.

10 Una volta valutata la solvibilità della clientela, e stabilito un congruo ricarico sul tasso di interesse di riferimento fissato dalla banca centrale, le banche commerciali non sono mai vincolate (nella concessione di prestiti) dal rapporto tra riserve immediatamente disponibili e depositi. Laddove necessario, le riserve vengono sempre costituite ex post mediante ricorso a prestiti elargiti da altre banche ovvero tramite cessione di titoli alla banca centrale (la quale non può far altro che assecondare le necessità del sistema bancario). In effetti, in un sistema compiutamente capitalistico non soltanto la quantità di mezzi monetari è fuori dalle possibilità di controllo della banca centrale, essendo creata endogenamente dal sistema, ma la moneta perde anche qualsivoglia agganciamento metallico. È, per contro, possibile stabilire un’equivalenza tra valore aggiunto monetario della produzione in un dato periodo e la quantità di lavoro vivo erogato nel processo produttivo. Su quest’ultimo punto, cfr. G. Duménil e D. Foley, “The Marxian transformation problem”, in S.N. Durlauf e L.E. Blume (a cura di), The New Palgrave Dictionary of Economics, Seconda Edizione, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2008; e M. [Veronese] Passarella, “Marx in the matrix. L’algebra del ‘lavoro vivo’”, op. cit.

11 Il maggiore problema in cui si incorre allorché si tenta di conciliare lo schema del circuito monetario con la teoria marxiana del valore è la diversa concezione della moneta che vi è sottesa. In effetti, il testo del Primo Libro de Il Capitale avalla l’idea del “denaro” come merce, e sia pure di una merce “molto speciale”, in quanto “equivalente generale” di tutti i beni capitalisticamente prodotti. Eppure, laddove Marx analizza in dettaglio il funzionamento del mercato del credito, il capitale fittizio ed il ruolo del sistema bancario, ossia nella quinta sezione del Libro Terzo de Il Capitale, egli accenna anche ad una visione della moneta come “simbolo sociale” (cfr. K. Marx, Il Capitale. Libro Primo, Editori Riuniti, Roma, 1964[1867], capp. 1-3; e K. Marx, Il Capitale. Libro Terzo, Editori Riuniti, Roma, 1965[1894], capp. 21-33). Del resto, già nei Grundrisse Marx oscilla tra una concezione della moneta come merce ed una come simbolo (cfr. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1976[1857-58], Quaderno I, pp. 39-179). Su questo aspetto controverso, si rinvia, tra gli altri, a: R. Bellofiore R., “A monetary labour theory of value”, Review of Radical Political Economics, 1989, 21(1-2), pp. 1-25; e R. Bellofiore et al., “Marx Inside the Circuit: Discipline Device, Wage Bargaining and Unemployment in a Sequential Monetary Economy”, op. cit.

12 L’erogazione di credito bancario determina il grado di indebitamento iniziale del sistema delle imprese verso le banche, mentre il collocamento di titoli determina un debito puramente figurativo delle imprese verso i loro sottoscrittori. Si noti, però, che, nella misura in cui questi ultimi trattengono in forma di scorte liquide inattive parte degli interessi (o altri flussi di reddito) maturati sui titoli, le imprese rimangono corrispondentemente indebitate verso il sistema bancario al termine del circuito.

13 In un modello ad un solo bene, utilizzabile sia come bene di consumo che come bene intermedio, il “prezzo di produzione” di tale bene è pari al suo costo unitario (dato dal rapporto tra il salario monetario unitario e il prodotto per unità di lavoro) maggiorato di un saggio di profitto lordo. Si dimostra facilmente che tale saggio riflette le decisioni autonome di investimento delle imprese, data la propensione al consumo dei salariati (cfr. A. Graziani, La teoria monetaria della produzione, op. cit., e A. Graziani, The Monetary Theory of Production, op. cit.). Esso, peraltro, corrisponde al rapporto tra tempo di lavoro speso per la porzione di prodotto appropriata dalle imprese e tempo di lavoro necessario a produrre la quota destinata ai salariati, ossia corrisponde al “saggio di sfruttamento” della forza-lavoro per l’economia nel suo insieme (cfr. R. Bellofiore et al., “Marx Inside the Circuit: Discipline Device, Wage Bargaining and Unemployment in a Sequential Monetary Economy”, op. cit.).

14 Il loro “valore-lavoro” corrisponde, dunque, al rapporto tra il prezzo di riproduzione e la cosiddetta “espressione monetaria del tempo di lavoro” (Monetary Expression of Labour Time, MELT), per una definizione rigorosa della quale si rinvia a G. Duménil e D. Foley, “The Marxian transformation problem”, op. cit.

15 Le tre citazioni sono tratte da: A. Graziani, “Riabilitiamo la teoria del valore”, in Graziani A., I conti senza l'oste, Bollati Boringhieri, Torino, 1983, pp. 235-240.

https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_circuito_monetario 

Nessun commento:

Posta un commento