Da: Materialismo Storico - Sinistrainrete - Giovanni Sgro è professore associato di “Storia della filosofia” presso l’Università eCampus di Novedrate.
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Lenin, Quaderni filosofici - Introduzione di R. Fineschi
Lenin lettore di Hegel*- Stathis Kouvélakis
RICERCHE MARXISTE - Momenti del dibattito sulla Nep - Stefano Garroni
1. I contributi raccolti nel volume che qui si presenta1, ricostruiscono dettagliatamente un incontro “epocale” nella storia della filosofia (e non solo della filosofia!) contemporanea: la recezione e l’influenza della filosofia di Hegel nel e sul pensiero filosofico e politico russo. Questo incontro non inizia però - né, tanto meno, termina - con la Rivoluzione d’Ottobre. Infatti, prima ancora che l’opera di Hegel giungesse in Russia, fu l’intelligencija russa a recarsi a Berlino per conoscere e studiare l’opera di Hegel2. Anzi, come è stato giustamente osservato3, lo stesso incontro tra il pensiero di Hegel e gli intellettuali russi è di tipo dialettico: è avvenuto molto presto ma, allo stesso tempo, anche molto tardi. Molto presto cronologicamente, in quanto i primi contatti si sono avuti già all’indomani della morte di Hegel (1831), negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento ( Vormarz); ma a un livello di elaborazione molto tardo, in quanto l’immagine di Hegel che gli intellettuali russi assimilarono e che poi si adoperarono a diffondere e a propagandare nel loro paese era profondamente formata e mediata dall’interpretazione dei Giovani hegeliani.
Vissarion Grigor’evic Belinskij (1811-1848), Michail Aleksandrovic Bakunin (1814-1876) e Aleksandr Ivanovic Herzen (1812-1870) distinguevano nettamente il metodo rivoluzionario dal sistema conservatore, consideravano quindi la dialettica hegeliana come un’arma rivoluzionaria, offrivano un’interpretazione in chiave dinamica dei rapporti tra reale e razionale e, nel complesso, aderivano pienamente a una lettura in chiave progressista e rivoluzionaria della filosofia hegeliana4.
Questa lettura giovane-hegeliana della filosofia e, in particolare, della dialettica hegeliana sarà poi quasi letteralmente riformulata da Engels, più di quarant’anni dopo, nel suo famoso pamphlet di politica culturale, in cui si sofferma sul rapporto suo e di Marx con Hegel e su quell’“anello intermedio” tra la filosofia hegeliana e la concezione materialistica della storia rappresentato da Ludwig Andreas Feuerbach (1804-1872)5.
Per quanto riguarda i Giovani hegeliani russi, sarà soprattutto Herzen a valorizzare la categoria della mediazione per pensare - insieme a Hegel e oltre Hegel - il fallimento delle rivoluzioni del 1848. Ricorrendo a una filosofia della storia profondamente radicata nel presente, che non ammette romantiche fughe nel passato né anticipazioni anacronistiche del futuro, Herzen rappresenta l’anello di congiunzione tra le diverse esperienze delle rivoluzioni europee del 18486 e l’eredità rivoluzionaria russa del Nachmàrz, ed è il primo a porre il problema della “non-contemporaneità russa”7, che costituirà il nodo teorico e politico del grande dibattito tra populismo e marxismo in Russia.
2. Se già nella contrapposizione tra slavofili e occidentalisti si poteva vedere un riflesso della contrapposizione tra destra hegeliana (slavofili) e sinistra hegeliana (Belinskij, Bakunin, Herzen), il costante riferimento alla filosofia hegeliana della storia diventa sempre più frequente ed evidente nella polemica con i narodniki e con la loro lettura in chiave rigidamente evoluzionista dello sviluppo storico ed economico8.
Contro tale visione unilineare e deterministica della storia ebbe modo di esprimersi esplicitamente lo stesso Marx9. In questa sede sono particolarmente interessanti gli studi di Marx sullo sviluppo capitalistico dell’agricoltura in Russia dopo le riforme del 1860, al cui centro si situa l’interesse per il destino della comunità di villaggio e della proprietà comunitaria della terra10.
In una serie di scritti “minori” (sostanzialmente lettere, abbozzi di lettere e qualche breve contributo), l’ultimo Marx si è occupato intensamente della possibilità di una rivoluzione economico-sociale in Russia, più specificamente della questione postagli da un gruppo di giovani rivoluzionari russi circa la possibilità per la Russia di evitare la fase capitalistica, passando direttamente e immediatamente da condizioni semifeudali con forme di proprietà comunistiche della terra (artel’ mir, oliscici a) a forme superiori di proprietà e di produzione di tipo collettivistico, andando così a “saltare” le conseguenze dell’incipiente sviluppo del capitalismo in Russia.
I giovani rivoluzionari russi - imbarazzati e immobilizzati di fronte al problema della necessità o meno del passaggio attraverso la fase capitalistica da parte di un paese economicamente e socialmente arretrato, quale indubbiamente era la Russia della seconda metà del XIX secolo - furono dunque i primi a porre a Marx, agli inizi degli anni Ottanta dell’Ottocento, il problema dell’“applicazione” concreta a un dato paese, posto in determinate condizioni storico-economico-politiche, dell’analisi teorica del modo di produzione capitalistico da lui condotta nel primo libro de Il capitale, offrendogli così la - per noi importantissima - occasione di esplicitare i limiti, coscienti e voluti, della sua analisi, nonché il suo ambito di “validità” e di “applicabilità”.
In questi scritti dell’ultimo periodo Marx sviluppa la sua analisi della situazione specifica della Russia e della comune contadina secondo tre direttrici.
Innanzitutto, evidenzia i limiti storico-geografici voluti (e dovuti) dell’oggetto della sua analisi (il modo di produzione capitalistico) fornita nel primo libro de Il capitale, dedicata esplicitamente ed esclusivamente alla nascita e allo sviluppo del capitalismo nei paesi dell’Europa occidentale a partire dal XV secolo. Un’analisi che potremmo definire storicamente descrittiva e non normativamente prescrittiva.
In un secondo momento, si sofferma sulla specificità e sulla peculiarità della situazione economico-sociale russa e sulla impossibilità di “applicare” ad essa im-mediatamente (ovvero senza ulteriori mediazioni teoriche) l’analisi, esposta a un elevato livello di astrazione, del primo libro de Il capitale.
Infine, soprattutto nei quattro abbozzi di lettera a Vera Ivanovna Zasulic (1849-1919), che rappresentano in realtà un vero e proprio abbozzo di saggio teorico, Marx analizza e valuta le condizioni di possibilità dello sviluppo della comune contadina russa (obscina) per il “salto” dalla proprietà comune della terra a una forma di proprietà e di produzione sociale di tipo collettivistico, salto - o meglio, contrazione della “fase di transizione” fino a un ideale “punto zero” - che sappia fare tesoro delle competenze tecniche e delle conoscenze scientifiche raggiunte dal modo di produzione capitalistico, andando così a godere del «vantaggio dell’arretratezza», secondo la terminologia introdotta dall’economista russo Alexander Gerschenkron (1904-1978) nella sua teoria dell’industrializzazione tardiva.
3. Nonostante alcuni espliciti passi marxiani sulla propria concezione della dialettica e sulla sua radicale differenza da quella hegeliana, l’interpretazione engelsiana della dialettica hegeliana quale elemento intrinsecamente e costitutivamente rivoluzionario si affermerà e avrà un peso decisivo sul corso ulteriore del marxismo e ne influenzerà profondamente il carattere e la struttura11. L’intenso e diuturno lavoro di diffusione e di divulgazione da Engels consapevolmente condotto in opere quali l’Anti- Diihrng svolgerà un ruolo di importanza decisiva nella fase “paolina” della diffusione del marxismo su scala planetaria. Non sùbito, però. Almeno non per quanto riguarda l’armamentario teorico del marxismo di quella Seconda Internazionale (1889-1914), che Engels tanto aveva contribuito a fondare e a organizzare.
Appena quattro anni dopo la morte di Engels (avvenuta il 5 agosto 1895), Eduard Bernstein pubblicherà in “Die neue Zeit” (nel 1897 e nel 1899) due articoli, che confluiranno poi in versione ampliata nel suo famoso volume I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia (1899), in cui egli sostiene senza remore che la dialettica hegeliana è l’elemento infido della dottrina marxista e aggiunge addirittura che quel che di importante hanno realizzato Marx ed Engels, lo hanno raggiunto non mediante, bensì malgrado la dialettica hegeliana.
In tal modo si era aperta e intrapresa la strada del revisionismo dei fondamenti teorici e politici dell’originaria teoria marxiana, che condurrà di lì a poco all’abbandono tout court della dialettica (hegeliana, marxiana o engelsiana che fosse) e alla “riscoperta” di Kant nel campo della filosofia (più specificamente nel campo della gnoseologia e dell’etica), nonché all’elaborazione della cosiddetta “teoria del crollo” con la relativa linea politica riformistica e moderata della Seconda Internazionale, che mette in secondo piano, fino quasi ad annullare, il momento “soggettivo” dell’azione e dell’organizzazione politica della classe operaia, confidando quasi fideisticamente nelle cause strettamente “endogene”, intrinseche e connaturate al sistema capitalistico stesso, quali ad esempio la caduta tendenziale del saggio di profitto e la continua e progressiva proletarizzazione della società, che dovrebbero condurre inevitabilmente il sistema capitalistico a “crollare” su se stesso12.
4. Proprio contro quegli elementi di materialismo volgare, evoluzionismo darwinista, positivismo scientistico e neokantismo che caratterizzavano il marxismo della Seconda Internazionale si erge Lenin in difesa della dialettica hegeliana13.
Nella sua assimilazione critica e ritrascrizione materialistica della dialettica hegeliana, Lenin valorizza enormemente la categoria di contraddizione, ponendo in particolare l’accento sulla sua “oggettività”, che consente di considerare la realtà storico-sociale come una totalità concreta di forze in conflitto14.
Rispetto a Materialismo ed empiriocriticismo (1909)15, Lenin opera nel 1914 - grazie all’attenta schedatura dei quattro volumi dell’edizione tedesca del carteggio di Marx ed Engels16 e allo studio approfondito della Scienza della logica, in particolare della terza sezione (dedicata alla logica “soggettiva”, alla dottrina del concetto) - una curvatura “prassistica” della precedente teoria gnoseologica del rispecchiamento, che viene ripensata e “dialettizzata” ora alla luce del carattere “ideale” della materia, del suo essere cioè non un semplice “dato”, passivo ed empirico, che la coscienza del soggetto si limiterebbe - altrettanto passivamente - a riflettere nel pensiero, bensì il risultato di un processo storico-sociale che coinvolge attivamente il soggetto che produce, conosce e trasforma la realtà17.
Le altre categorie che Lenin - sulla scorta dell’ultimo Engels18 - pone al centro della propria lettura e rielaborazione della logica hegeliana, sono la compenetrazione degli opposti (l’azione reciproca) e il salto qualitativo (l’interruzione di gradualità), da lui contrapposte al pensiero dogmatico, rigidamente ancorato alle antinomie kantiane, che non è in grado di cogliere gli intimi intrecci e i costanti mutamenti della realtà19.
Nel complesso, la battaglia filosofica e politica condotta da Lenin in nome della (e grazie alla) logica dialettica riformula all’altezza dei problemi e delle priorità dei suoi tempi la polemica condotta da Hegel contro la logica dell’intelletto astratto e contro le sue caratteristiche genericità e unilateralità20.
5. Nella Russia sovietica, negli anni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre e per tutti gli anni Venti del Novecento, si accende un ampio dibattito tra i dialettici (la scuola di Abram Deborin), che affidavano alla filosofia il compito di fornire una fondazione teorica della linea politica del partito e di guidare in modo unitario i vari campi delle scienze sociali e naturali, e i meccanicisti (Stepanov, Aksel’rod, Timirijazev), che negavano alla filosofia lo statuto di disciplina autonoma ed unificante, sostenendo che essa dovesse limitarsi a chiarire i concetti e le leggi della scienza senza interferire nelle sue ricerche sulla base di principi stabiliti a priori, andando così a identificarsi essenzialmente con i risultati delle scienze naturali. La fine della controversia tra dialettici e meccanicisti - entrambi accusati di revisionismo filosofico, di mancata ortodossia leninista e di scarsa attenzione per la lotta di classe - coincise con la fine della NEP (1921-1929) e con la definitiva bolscevizzazione della filosofia21.
6. Nel “marxismo occidentale”, invece, si cerca in quegli stessi anni di valorizzare in modo fecondo e produttivo la lezione del leninismo. Mentre il Lukàcs dei primi anni Venti del Novecento, tra Storia e coscienza di classe (1923) e Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero (1924), sostiene la necessità di ricollegare Marx direttamente a Hegel, ovvero di riattualizzare l’aspetto rivoluzionario del pensiero di Marx mediante il rinnovamento e lo sviluppo della dialettica hegeliana al fine di pensare la mediazione tra classe e politica, tra parte e tutto22, Gramsci elabora il paradigma della “traducibilità” dei linguaggi per esprimere la possibilità di convertire la sintassi politica in termini filosofici e viceversa. In tal modo Gramsci concepisce il leninismo come l’equivalente sul piano pratico e politico di ciò che la dialettica costituisce sul piano filosofico23.
Un’ulteriore tappa dell’influenza di Hegel sulla storia filosofica e politica del Novecento è rappresentata dall’analisi della Rivoluzione bolscevica condotta da Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969) nei termini di un ritorno alla lettura leniniana della Scienza della logica al fine di poter articolare teoricamente la prassi possibile24.
Completano il volume due contributi che, rileggendo la hegeliana Fenomenologia dello spirito (in particolare il capitolo La libertà assoluta e Ì terrore) tracciano una linea di continuità - strettamente concettuale - tra gli esiti della Rivoluzione francese e gli esiti della Rivoluzione d’Ottobre25, e una postfazione, che ricostruisce il “momento hegeliano” nella fondazione del partito comunista russo (bolscevico), inteso come un’esperienza collettiva di autocoscienza, che costituisce al tempo stesso la difesa e la messa in pratica di una concezione profondamente hegeliana della politica26.
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