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mercoledì 27 aprile 2022

Discussione intorno al senso della guerra - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi -  Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

Vedi anche: Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.



Sabato 9 aprile, il Centro Casa Severino e l'Associazione di Studi Emanuele Severino hanno promosso un incontro interdisciplinare sul tema della guerra. Qui sotto la trascrizione minimamente rivista del mio intervento. 

Da una parte vorrei tentare di fare un discorso più generale diciamo di quadro. Facendo questo inevitabilmente ci si presta alla critica di non cogliere la drammaticità del presente: quando muoiono persone, si distruggono città è difficile distogliere lo sguardo; ovviamente si tenta di farlo non per ignorare il dramma ma per proporre una riflessione più ampia, inquadrata in un contesto di sistema, in questo caso relativo al concetto di guerra e violenza nella modernità e, a fortiori, anche al caso ucraino. 

La guerra non è certo una novità contemporanea; da quando esistono società complesse l'uomo ha sempre fatto guerre; da sempre i filosofi se ne sono occupati, ma più recentemente è nata una disciplina che in modo più politically correct ha cercato di affrontarla in maniera ancora più esplicita: le relazioni internazionali. In esse si cerca di sciogliere il nodo della guerra non per giustificarla da un punto di vista morale, ma per spiegarne la necessità fattuale nel mondo politico (i rapporti di potere producono degli equilibri che non si tratta di giudicare perché belli o brutti, ma semplicemente in quanto instaurano un ordine) o nel tentativo di evitarla proprio per le caratteristiche che ha. 

Tanto gli approcci realisti e neorealisti, quanto quelli che hanno invece cercato una via diplomatica, non violenta alla soluzione delle controversie internazionali di stampo liberale o neoliberale (Bobbio ad esempio), a mio modo di vedere hanno una questione filosofica di fondo che consiste nel partire da una concezione che dal punto di vista di Marx è criticabile, vale a dire il contrattualismo: considerare la formazione dell'istituzione statuale come un contratto sociale, che naturalmente si risolve poi diversamente in diversi filosofi. Il tratto comune è che se si instaura una società che in qualche modo argina la violenza anarchica dello stato di natura a livello interno, il problema si ripropone a livello esterno nelle relazioni internazionali in cui, di nuovo, i singoli funzionano come atomi anarchici. Secondo alcuni la loro interazione porta naturalmente a un equilibrio tra forze contrapposte e, alla fine, stabilisce un ordine che non è necessariamente giusto o bello, ma è un ordine. Invece secondo altri quest'ordine va costruito in qualche modo replicando la dimensione contrattualistica attraverso istituzioni terze che riescano, da una posizione super partes, a riconciliare e ricomporre il dissidio atomico dell'anarchia. 

lunedì 21 marzo 2022

Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.


Per fare la pace bisogna ovviamente volerlo; e lo devono volere tutti i soggetti in campo. La domanda è dunque se essi vogliano effettivamente fare la pace. A questo punto bisogna ulteriormente chiedersi chi sono gli attori in campo. 

Per rispondere è necessario da subito mettere da parte tutta la retorica diritto-umanista: parlare della questione accettando questo terreno di confronto significa da subito omettere le cause reali, gli obiettivi reali, le strategie reali. Del resto tutti i soggetti in causa hanno dato ampia dimostrazione in un passato recente e remoto di quanto stiano loro a cuore i diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli: sono tutti delle belve sanguinarie. 

Ma chi sono? Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra. Chi sono coinvolti? Cina e Stati Europei ricchi.
Qual è l’oggetto del contendere? Prima ancora della concretezza geopolitica, lo sfondo su cui tutto ciò accade è la difficile valorizzazione del capitale tipica del capitalismo crepuscolare. 

Grandi Stati Europei, Russia e soprattutto Cina stanno da anni sviluppando delle importanti convergenze di sviluppo economico. Il grande progetto della via della seta prospetta all’orizzonte un’integrazione di sistema che va dalla Spagna alla Cina e passa anche dall’Africa dove gli interessi cinesi sono crescenti. I cinesi non arrivano con i carri armati, ma con una montagna di investimenti, coi soldi, insomma: comprano per produrre ricchezza. La loro è un’egemonia strutturale che si insinua con una rete capillare possibile solo grazie al sistema di investimento che include la collaborazione tra grande capitale pubblico e privato che agiscono in maniera coordinata. Per questo riescono a mettere in piedi investimenti che il capitalismo “disordinato” occidentale non può realizzare. In questa lotta *l’oggetto del contendere è l’Europa occidentale*, sia come mercato di assorbimento, sia come sistema produttivo. 

Gli Stati europei, al di là dei loro timidi, miopi e maldestri tentativi di organizzarsi in proprio, sono stati vassalli degli US. Questa condizione di vassallaggio è stata garantita sia manu militari con la vittoria della II guerra mondiale e tutte le trame della guerra fredda, sia per via economica con ricchi investimenti, la linfa su cui si è costruito il loro benessere. Alcuni di questi stati ora mordono il freno, anche perché il benessere (ma in realtà il benessere è solo riflesso della valorizzazione del capitale) non pare più così garantito e si cercano nuove strade che includono vantaggiosi rapporti (già esistenti e in via di ulteriore sviluppo) con Cina e Russia. 

Gli Stati Uniti, con un’economia in difficoltà, non possono permettere che ciò accada, ma non riescono a vincere sul piano economico. La valorizzazione del grande capitale a stelle e strisce (non degli “americani”: molti “americani” sia negli Stati Uniti che nel resto del continente non hanno nulla da guadagnare dalla politica dei loro amministratori) è incline a percorrere vie non strettamente economiche. Per esempio, per far sì che si consumino i propri prodotti, si può agire in modo che i prodotti degli altri non riescano ad arrivare per la distruzione delle reti commerciali, oppure semplicemente per costrizione: dovete comprare i nostri anche se non vi converrebbe. D’altro canto si può creare consenso affinché avvenga un consumo forzoso di beni particolari (armamenti) comprati dallo Stato; creare dunque una domanda altrimenti inesistente e cospicua per uno dei settori trainanti dell’economia nazionale (la vecchia corsa agli armamenti). Questo anche a svantaggio dei ceti popolari nazionali di cui ovviamente all’amministrazione centrale interessa il giusto. 

Insomma, staccare l’Europa ricca dall’Asia e tenerla, a suo svantaggio, dentro il meccanismo di valorizzazione del capitale a stelle e strisce. Secondo me è questa la posta in gioco. Se è questa, si capisce bene la politica NATO (che significa classi dirigenti degli Stati Uniti) di allargamento a est sviluppata da decenni e la creazione della trappola ben congegnata che, tenendo conto delle mire di Putin, non poteva non scattare. L’obiettivo è insomma *tirare su un nuovo muro*, che divida l’Europa non solo dalla Russia, ma anche dalla Cina. 

Se tutto questo ha un senso, la guerra c’è perché fa parte di un piano strategico a stelle e strisce. Loro vorranno fare la pace (non certo Zelensky che è solo uno strumento; e per l’amministrazione a stelle e strisce gli ucraini solo carne da cannone) solo quando questo obiettivo sarà consolidato. Quindi vogliono che il pantano raggiunga un livello di fangosità a ciò idoneo e che, allo stesso tempo, le industrie militari e del gas lucrino abbastanza. Divide et impera. 

Il capitalismo crepuscolare mette in campo meccanismi di accumulazione “irrazionali” dal punto di vista del vantaggio economico, nel senso che certi capitali egemoni si valorizzano ponendo condizioni coercitive allo sviluppo del sistema di produzione e consumo affinché si valorizzino loro a discapito di altri che invece si valorizzerebbero senza quelle condizioni “artificiali”. È una sorta di neocolonialismo di rapina. Ci si può chiedere quanto possa stare in piedi nel lungo periodo, ma i fantomatici “decisori” ragionano in base alla possibilità di sopravvivenza di se stessi, non del sistema. Che loro non siano necessari al sistema (venir meno dopo un’eventuale sconfitta con i competitors) o che il sistema non esista (venir meno perché non si gioca più), messa in questi termini è per loro la stessa cosa: verrebbero meno. 

La speranza è che il buon senso, nel senso dello stabilire in maniera non violenta nuove regole globali del processo di valorizzazione, prevalga. A questo fine gli US devono accettare che non ci sono più solo loro e che sono in declino e gli altri devono accettare di pagare un bel dazio affinché stiano buoni. 

sabato 22 maggio 2021

Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)


IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA 
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca 


                                               Seconda lezione:
                                                                           

Per una lettura di Marx - Stefano Garroni 


martedì 20 aprile 2021

La schiavitù, radici antiche di un male moderno - Francesco Gamba

 Da: https://terzapaginavida.edublogs.org -

Leggi anche: LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE - Karl Marx 

IL PAESE DELLE LIBERTÀ: stermini, repressione e lager nella storia degli Usa. - Maurizio Brignoli 

RAZZISMO E CULTURA” - Frantz Fanon 

Razzismo e capitalismo crepuscolare - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi 

Persona, Razzismo, Neo-schiavismo: tendenze del capitalismo crepuscolare. - Roberto Fineschi 

Colonialismo, neocolonialismo e balcanizzazione: tre epoche di una dominazione* - Saïd Bouamama

Vedi anche: Libertà e schiavitù – Luciano Canfora



È vietata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dalla Convenzione Onu del 1956 eppure esiste tuttora. “Si calcola, che oggi ci siano più di 27 milioni di persone – donne e uomini ma anche bambini – che vivono in uno stato di assoggettamento non dissimile, nelle forme e nelle pratiche, da quello conosciuto in età antica e nei secoli della modernità”: questo stato è la schiavitù e le parole sono quelle del Prof. Giuseppe Patisso, docente di storia moderna dell’Università del Salento.


La schiavitù ha un passato che affonda le radici nella preistoria e che ha lasciato diverse cicatrici nella storia dell’umanità: una di queste viene ricordata il 25 marzo con la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi. La tratta è stata la più imponente migrazione forzata della storia, durata dal 1526 al 1867 e ha interessato tra i 10 ei 12,5 milioni di uomini, donne e bambini africani che furono rapiti dalle loro terre d’origine e spediti attraverso l’Oceano Atlantico alle Americhe; qui, se sopravvissuti al viaggio, venivano torturati e costretti a lavorare senza paga per schiavisti europei e americani. La giornata istituita dalle Nazioni Unite, ricordando questa pagina drammatica della storia dell’umanità, vuole anche sensibilizzare sulle cause che hanno portato l’uomo a compiere un gesto simile: non solo motivazioni economiche, ma anche e soprattutto pregiudizi, discriminazione e razzismo che sono state in antichità e sono ancora adesso causa di schiavitù.

sabato 12 settembre 2020

Persona, Razzismo, Neo-schiavismo: tendenze del capitalismo crepuscolare. - Roberto Fineschi

                        LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE - Karl Marx 
                        Razzismo e capitalismo crepuscolare - Roberto Fineschi  
                        RAZZISMO E CULTURA” - Frantz Fanon


Numerosi stratagemmi sono volti a disgregare e contrapporre gli sfruttati fra di loro, favorendo la guerra fra poveri che distrae dall’unica guerra realmente liberatoria per tutti: la guerra agli sfruttatori. 


Come ho argomentato altrove, lo sviluppo strutturale del modo di produzione capitalistico nella sua fase “crepuscolare” porta alla crisi della vigenza del concetto di “persona”, vale a dire dell’universale uguaglianza e libertà degli esseri umani. A onor del vero, il processo di universalizzazione nello stesso contesto borghese della persona non è mai stato poi così lineare. Lasciando stare le colonie, dove la barbarie schiavistica non è mai cessata, sacche di schiavitù formalmente legittime sono esistite a lungo in seno ai più liberali dei paesi anche fino a tempi relativamente recenti.
L’esempio più facile sono i super liberi Stati Uniti: essi nascono con la schiavitù degli afroamericani addirittura nella Costituzione. Non viene menzionata esplicitamente, ma compare indirettamente attraverso la clausola dei 3/5. La questione era come contare gli schiavi che nel sud erano una parte cospicua della popolazione: come “esseri umani” per avere più rappresentanti o come cosa per pagare meno tasse (che erano basate sul numero di persone). La “soluzione” fu contarli per 3/5: uno schiavo, senza che la parola fosse menzionata, valeva 3/5 di un bianco (articolo 1, sez. 2, comma 3). La parola Schiavitù compare esplicitamente solo nel XIII emendamento approvato tra il 1864 e 1865 dove si dice che, finalmente, è bandita. È del resto noto come la tratta degli schiavi fosse gestita largamente dalla liberalissima Inghilterra. Non bisogna tuttavia stupirsi; sempre altrove ho ricordato come tutto ciò non sia in contraddizione con la filosofia del padre fondatore del liberalismo, John Locke, che addirittura la contempla nella Stato di natura accanto a libertà, uguaglianza e proprietà.

martedì 25 gennaio 2022

Controversie sull’Ideologia tedesca. Dalla filologia all’interpretazione - Roberto Fineschi

Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.


Circa un anno fa, su “Historia Magistra”[1] ho cercato di presentare al lettore italiano lo stato filologico corrente del testo noto come Ideologia tedesca dopo la sua ri-pubblicazione nella nuova edizione storico-critica[2]. Gli editori della MEGA2, provocatoriamente, hanno dichiarato che il testo non esiste e questo ovviamente ha dato adito a discussioni e dibattiti perché nella ricezione grande peso è stato dato a questo testo come luogo di origine del “materialismo storico”. A mio modo di vedere, le dichiarazioni degli editori sono fattualmente vere, ma presentano il rischio di fuorviare la comprensione effettiva di che cosa fosse quel testo per gli stessi Marx ed Engels. Riprendo qui alcune delle conclusioni che avevo svolto nel suddetto articolo che sintetizzano il discorso. In una prima parte spiego in che senso gli editori della MEGA hanno sicuramente ragione; in una seconda cerco però di chiarire i rischi che si corrono prendendo troppo alla lettera le loro affermazioni. I fatti sono:

"1) Marx ed Engels non hanno mai scritto un libro dal titolo L’ideologia tedesca. Volevano invece dare alle stampe il primo numero di una rivista trimestrale alla quale dovevano contribuire diversi autori. L’impossibilità di pubblicarlo portò a ipotizzare la realizzazione, pure mai concretizzata, di un volume a sé che includesse solo i loro contributi.

2) A parte che [in una nota occasionale di Marx], nessuno dei due autori ha mai utilizzato “Ideologia tedesca” come titolo generale. In tutte le altre occasioni - lettere, articoli, opere, faldoni in cui il testo era conservato - tanto nel periodo giovanile che maturo non utilizzarono alcun titolo.

3) Mentre gli altri articoli erano pronti per la stampa, non esisteva un capitolo su Feuerbach. Il tradizionale capitolo su Feuerbach è una compilazione editoriale; come tale esso non fu mai scritto né da Marx né da Engels. I tentativi effettivi di scrivere il capitolo in bella si riducono a poche pagine.

4) La parte più corposa del testo, il cosiddetto “incartamento su Feuerbach” (H5), è costituita da tre sezioni: la prima è un articolo su Bauer, la seconda e la terza sono parti del saggio su Stirner. Questi testi, scritti originariamente non pensando a un capitolo su Feuerbach ma rispettivamente su Bauer e su Stirner, furono successivamente estrapolati e messi l’uno accanto all’altro con numerazione progressiva.

5) Marx ed Engels mai considerarono questi manoscritti (H2-H8) pezzi di una esposizione unitaria del capitolo su Feuerbach. Si tratta di manoscritti separati, a livelli di elaborazione estremamente diversi[3]".

Gli editori delle MEGA hanno quindi ragione nel sostenere che l’edizione tradizionale è inaccettabile, soprattutto nella versione di Adoratskij apparsa nella prima MEGA, e che il capitolo su Feuerbach è una compilazione editoriale, completamente arbitraria nella versione Adoratskij ma comunque filologicamente inaccettabile pur nella più corretta versione Riazanov[4].

sabato 1 maggio 2021

Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi

https://www.sinistrainrete.info - Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) -  Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies). 


 1. Pare che le epidemie siano un qualcosa di tipicamente umano, un tutt’uno con la vita associata. Quando nell’antica Mesopotamia sono nate le prime civiltà si è creato il contesto ideale perché esse prosperassero e si diffondessero. La vita comune di ingenti masse di individui che mangiano, bevono, espletano le proprie necessità fisiologiche, producono nello stesso luogo creò presupposti mai esistiti in precedenza per cui condizioni igieniche estreme e contiguità massiccia favorirono malattie e contagi; a ciò va aggiunta la convivenza promiscua con animali di vario tipo dai quali e ai quali trasmettere germi, bacilli ed ogni altra forma di vita potenzialmente nociva. La domesticazione umana, animale e ambientale va all’unisono con infezioni e malattie. Si calcola che, anche al tasso naturale di crescita, la popolazione mondiale dal 10.000 a.C al 5.000 a.C avrebbe dovuto almeno raddoppiare, invece, alla fine del periodo, essa era aumentata di appena un 25%, passando da 4 a 5 milioni, nonostante condizioni che in teoria avrebbero dovuto implicare anche più di una duplicazione (rivoluzione neolitica). Nei cinquemila anni successivi aumentò invece di una ventina di volte. Si ipotizza che, proprio a causa di epidemie e di un plurimillenario processo di adattamento della specie alle nuove condizioni di vita, l’espansione della popolazione sia stata drasticamente rallentata. Epidemiologicamente, si trattò con tutta probabilità del periodo più mortifero della storia umana. Sembra che le popolazioni mesopotamiche avessero già l’idea del contagio per trasmissione e che adottassero misure analoghe a quella della quarantena. 

Con la vita urbana, l’aumento di densità abitativa fu dalle dieci alle venti volte superiore a quanto mai fosse stato sperimentato dall’homo sapiens. Le malattie storicamente nuove, conseguenza della nuova pratica sociale, furono: colera, vaiolo, orecchioni, morbillo, influenza, varicella e, forse, malaria. Sono tutte collegate all’urbanizzazione e all’agricoltura. Dei millequattrocento agenti patogeni umani conosciuti, ottocento-novecento circa hanno avuto origine in organismi non umani ed hanno visto nell’essere umano l’ospite finale. La lista di malattie che condividiamo con vari animali, da polli a maiali, da cani a pecore è impressionante. Alcune delle trasformazioni biologiche furono conseguenza di trasformazioni intenzionali, come la coltivazione, ma altre semplicemente frutto dell’istituzione della domus e della vita associata1.

martedì 18 agosto 2020

Domenico Losurdo e la comune umanità tra categorie del pensiero e conflitto sociale. - Salvatore Favenza

Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - Recensione di Salvatore Favenza a: S. G. Azzarà, La comune umanità. Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo, La Scuola di Pitagora, Napoli 2019.
Vedi anche:   L'idea di socialismo: ritornare all'utopia o completare il percorso che conduce dall'utopia alla scienza? - Domenico Losurdo  
                       Hegel e la rivoluzione - Domenico Losurdo 
                       Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo
                       Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi
Leggi anche:  Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica*- Stefano Garroni 
                         Marx, Hegel ed il metodo. Note introduttive - Roberto Fineschi 
                         Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo - Emiliano Alessandroni 
                         Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà  
                         Per una nuova tematizzazione della dialettica - Stefano Garroni 
                         Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni 
                         Su Hegel politico. - Stefano Garroni -

La comune umanità. Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo, di Stefano G. Azzarà, precedentemente edito dalle Editions Delga di Parigi nel 2012 ed ora pubblicato da La Scuola di Pitagora in edizione italiana riveduta, ampliata ed aggiornata dalle corpose integrazioni di Emiliano Alessandroni, costituisce una privilegiata chiave d’accesso all’itinerario di pensiero di Domenico Losurdo. 

I tre capitoli di cui si compone il libro riguardano il confronto storico e filosofico di Losurdo con la storia del liberalismo, con la filosofia classica tedesca e con il materialismo storico. 

Secondo le narrazioni oggi in Occidente più gettonate, il liberalismo, nato tra Sei e Settecento presso le più illuminate intellettualità europee, lottò e vinse contro l’assolutismo monarchico facendo acquisire centralità al valore dell'individuo e realizzando lo stato di diritto. Dopodiché, una volta conferita una più o meno solida struttura alla sua propensione democratica, si trovò ad affrontare nemici ancora più temibili. Un parto gemellare di natura totalitaria diede infatti vita a nazismo e comunismo che, affratellati dalla comune natura dispotica, hanno tentato entrambi di contendere al mondo liberale la guida del Novecento. Fortunatamente, tuttavia, il liberalismo vinse anche quest’ultima battaglia e a tutt'oggi si candida a prosperare sull'intero globo, esportando il proprio modello sociale e politico, garanzia di serenità e di pace. 

Domenico Losurdo ha mostrato l’inconsistenza di una simile narrazione, opponendo a questa storia sacra (la cui credibilità è stata favorita dalla sconfitta dei tentativi di costruzione del socialismo in Europa orientale) una storia profana, finora abilmente schivata dalla luce dei riflettori. La narrazione corrente sembra infatti ignorare come il liberalismo abbia costituito non già un impulso ma un ostacolo alla realizzazione della democrazia moderna, essendo stato soltanto il sopraggiunto confronto con la tradizione rivoluzionaria ad aver condotto al superamento delle tre grandi discriminazioni che contraddistinguevano le società occidentali ancora all'inizio del Novecento: la discriminazione di censo, quella di razza e quella di genere. Non si trattava tuttavia, secondo Losurdo, di opporre al “Libro nero del comunismo” di Courtois e colleghi, un “libro nero” del liberalismo, bensì di contestare al liberalismo stesso la «sua autoidentificazione con la centralità dell’individuo e con la storia della libertà moderna». 

Il liberalismo, che pure aveva formulato questi concetti, appariva contraddistinto da notevoli clausole di esclusione che ne boicottavano la portata universale: la tradizione che aveva innalzato la bandiera della libertà della società civile e su questa base aveva condotto la battaglia contro il dispotismo delle monarchie assolute, venne ad imporre a sua volta, con la propria ascesa, un potere assoluto nei confronti delle classi subalterne e dei popoli coloniali. Si trattava di un processo di de-umanizzazione su scala globale: solo per la razza dei signori, sulla base delle severe discriminazioni di razza, di genere e di censo, veniva a costituirsi una comunità di liberi e uguali. 

Losurdo ha evidenziato come il superamento di questi limiti sia stato possibile soltanto attraverso l'incontro/scontro con il movimento operaio e si sia verificato nonostante la struttura portante del discorso liberale. Questo conflitto da un lato ha mostrato la “duttilità” e la “modernità” del liberalismo, la sua capacità di adattamento e il suo realismo; dall’altro ha generato una spaccatura nell’ambito del liberalismo stesso, tra una componente che è andata saldandosi con le tendenze apertamente reazionarie e un’altra che, ripensandosi interamente a partire dal compromesso antifascista, è divenuta parte del processo di costruzione della democrazia moderna. 

venerdì 13 marzo 2020

Pensare con Hegel - Vladimiro Giacché

Da: https://www.lettera43.it - Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche (CER), è un filosofo ed economista italiano.
Leggi anche: NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché 
                       "Totalitarismo", triste storia di un non-concetto* - Vladimiro Giacché 
                        DIALETTICA E TEMPORALITÀ, l’immagine di Hegel nella Dialettica della natura di Engels* - Vladimiro Giacché
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 
                        Note sulla polisemia di «dialettica»: dal quotidiano alla riflessione formale Stefano Garroni 
                        Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi
Vedi anche:   La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci 
                       La dialettica tra Stato e società civile. A partire da Hegel e Marx - Paolo Vinci 
                       Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli



Nel libro Hegel. La dialettica (Diarkos 2020, 2018 pagine, 18 euro) il pensiero del filosofo tedesco è spiegato in termini chiari e accessibili, ripercorrendone lo sviluppo attraverso i contenuti delle opere principali, per poi offrire un rapido quadro d’insieme della fortuna delle teorie hegeliane presso i filosofi successivi. 


Il capitolo conclusivo (Pensare con Hegel) propone una lettura originale delle principali caratteristiche della filosofia hegeliana, con particolare riferimento ai concetti di “dialettica” e “contraddizione”, ed esamina alcuni importanti utilizzi successivi delle categorie hegeliane. Il testo è accompagnato da un’ampia antologia di pagine di Hegel e dei suoi critici, che consentono un confronto diretto con la filosofia del pensatore tedesco. Di seguito l’estratto. 


UNA FINE E UN INIZIO

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio.

HEGEL E NOI

giovedì 18 febbraio 2021

Engels editore del Capitale - Roberto Fineschi

Da: Engels 200 - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies).

                                                                          


domenica 5 maggio 2024

La filosofia hegeliana del diritto è ancora attuale? - Roberto Fineschi ne discute con Giorgio Cesarale

Da: Laboratorio Critico - Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. - 
Giorgio Cesarale è Professore Ordinario di Filosofia Politica presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali di Ca’ Foscari - Università di Venezia.


Alcuni dei temi: 
1) Hegel e la sua Filosofia del diritto in particolare vengono ancora in certa manualistica associati al romanticismo, al pensiero conservatore, ecc. Che cosa pensi di questo accostamento alla luce degli studi oramai decennali che hanno messo in luce i suoi legami con la Rivoluzione francese, o addirittura possibili posizioni più radicali fino a ipotizzare una carica diciamo "eversiva" rispetto allo stesso concetto borghese di "proprietà"? 
2) In particolare nella sua teoria della società civile, sulla scia di autori classici dell'economia politica come Steuart, Smith, Ricardo, Hegel discute filosoficamente alcune delle questioni tuttora centrali della vita economica e sociale, come il concetto di proprietà, di denaro, divisione del lavoro, macchinismo, o questioni sociali come la pauperizzazione, la crisi, ecc. Che cosa è vivo di questa analisi? Ha dei limiti? Che vie di uscita prospetta? 
3) Sembra a me che un aspetto moderno, progressivo e critico della modernità e post-modernità borghese sia il rifiuto dell'individualismo metodologico, l'approccio correntemente dominante in tutti gli ambiti del sapere sociale e umanistico. Che cosa pensi delle contro-accuse di organicismo totalitaristico che vengono in genere mosse in questo contesto? Non è quello di Hegel piuttosto un tentativo complesso di articolare sia sincronicamente che diacronicamente la dinamica uno-molti fuori da un asettico vuoto senza storia, caricandola invece di storicità determinata?  
                                                               

venerdì 6 gennaio 2012

Roberto Fineschi, Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma, Carocci, 2006


Marx ed il marxismo non possono essere la stessa cosa ed è inevitabile che si debba parlare di “marxismi”, al plurale. Questi hanno la loro dignità storica e, nel bene e nel male, rappresentano un momento importante – se non imprescindibile in certi casi – della storia recente, ma si stia attenti a non operare fuorvianti appiattimenti. Gli oggetti d’indagine sono, infatti, due. Non si deve d’altronde compiere l’errore opposto, ossia credere che non sia lecito stabilire quanto i vari marxismi siano stati fedeli alle indicazioni date da Marx: che non ci sia identità fra forma e figura non significa neppure che ogni tentativo di applicazione politica vada bene. Come sempre occorre mostrare le mediazioni (o eventualmente l’assenza di esse)                                                                                

venerdì 25 agosto 2017

Karl Marx. Ritorno al futuro*- Roberto Fineschi

 rete dei comunisti Pisa 
Attualità di Marx:


La Rete dei Comunisti propone a Pisa un ciclo d’incontri di formazione sull’opera di Karl Marx.

Data per superata più volte nella storia recente, l’opera di Marx torna “in auge” ogni qualvolta, nell’evoluzione del processo storico, emergono le intrinseche contraddizioni del modo di produzione capitalistico, così come furono analizzate, nelle sue forme generali, dal teorico tedesco. Analisi che evidenziano la lungimiranza e la potenza di quella costruzione analitica, dandoci strumenti per la comprensione delle attuali crisi di sistema, che conducono le società contemporanee su di vie senza uscita, se non quelle della barbarie e della guerra.

Molti “Maître à penser” del sistema di comunicazione/formazione dominante hanno recentemente “riscoperto” il valore e l’attualità di quelle folgoranti analisi. Dotti editoriali e profonde riflessioni, ospitati su organi d’informazione economica e finanziaria di prim’ordine, hanno “sezionato” la teoria marxiana estrapolando da essa passaggi utili a comprendere alcune contraddizioni del sistema, soprattutto nel settore finanziario, additato come padre di tutti i malanni che affliggono l’economia internazionale.

Esercizio utile a esorcizzare lo “spettro” che continua ad aggirarsi per L’Europa, attraverso la sua disarticolazione e riduzione a una tra le tante “teorie economiche” presenti sul mercato delle idee.

Avvalendoci del contributo di Roberto Fineschi, studioso dell'autore tedesco apprezzato a livello internazionale, cercheremo di introdurre un pubblico più ampio a un pensiero che può essere compreso solo nella sua complessità, iniziando con i primi quattro incontri un percorso che ci porterà ad analizzare parti importanti dell'opera di Marx.

I temi saranno i seguenti:

Attualità di Marx:  https://www.youtube.com/watch?v=E147rVAa65E

Una teoria della storia (oltre Hegel):  https://www.youtube.com/watch?v=qr1UVHF0QCo

Soggetti storici e lotta di classe:  https://www.youtube.com/watch?v=yKDt180j1ac

Marx “economista”:  https://www.youtube.com/watch?v=L6NfgubLzK0


martedì 23 agosto 2016

domenica 14 giugno 2015

Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi




         Lo studio che presento è la continuazione organica di una ricerca iniziata da alcuni anni che ha dato i suoi primi frutti nel volume apparso alcuni anni fa dal titolo Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”. Tenendo conto del legame esplicito valgono qui le stesse tre premesse di carattere generale allora introdotte.

          Nella voce Karl Marx per il dizionario enciclopedico Granat Lenin scriveva: «Il Marxismo è il sistema delle concezioni e della dottrina di Marx» [Lenin (1914): 9], proseguendo poi con un’esposizione dei principi generali e concludendo con un capitolo sulla tattica del proletariato. Non intendo certo pronunciarmi qui su Lenin come personaggio storico, politico o come pensatore; limitandosi però a questa affermazione, mi pare si possa sostenere che egli operi una forzatura che è stata poi propria di tutta una tradizione, alla quale sono appartenuti anche gli oppositori di Lenin. Definirei, infatti, più propriamente il marxismo come “una prassi politica ispirata alle concezioni ed alla dottrina di Marx”. La teoria del modo di produzione capitalistico elaborata da Marx non è infatti – né può essere – immediatamente una teoria politica; si tratta piuttosto della ricostruzione, ad un altissimo livello di astrazione, del funzionamento “epocale” della società borghese, che implica delle linee di tendenza, delle forme di movimento, ma immediatamente non una politica. Ciò non per negare le esplicite prese di posizione di Marx, né che si possa utilizzare questa teoria con finalità politiche, ma per stabilire: (i) che la politica, collocandosi ad un livello di astrazione molto più basso, per essere raggiungibile ha innanzitutto bisogno di una serie di teorie cuscinetto che il Moro non ha sviluppato, (ii) che quindi la politica non ha a che fare solo con le forme – che rappresentano l’oggetto essenziale della teoresi di Marx – ma anche con le “figure”, che sono via via quei soggetti che in sottoperiodizzazioni della fase epocale si trovano ad incarnarne la forma di moto. Così, per fare un esempio, lo “operaio massa” è stato legittimamente ritenuto una figura di movimento della società capitalista, ma la forma di tale movimento funziona in altre fasi anche con altre figure, proprio perché non c’è identità fra forma e figura. Così, se facendo politica Marx si rivolgeva giustamente all’operaio nella fabbrica, ciò non esaurisce lo spettro d’applicabilità della sua teoria. Se da una parte si guadagna in ampiezza, dall’altra si perde in precisione (necessità di teorie cuscinetto).[1] Più in generale, si può sostenere che a livello politico si agisce inevitabilmente con le figure, ma una cosa è la tattica ed altra la teoria del modo di produzione come fase epocale.

         Così, Marx ed il marxismo non possono essere la stessa cosa ed è inevitabile che si debba parlare di “marxismi”, al plurale.[2] Questi hanno la loro dignità storica e, nel bene e nel male, rappresentano un momento importante – se non imprescindibile in certi casi – della storia recente, ma si stia attenti a non operare fuorvianti appiattimenti. Gli oggetti d’indagine sono, infatti, due. Non si deve d’altronde compiere l’errore opposto, ossia credere che non sia lecito stabilire quanto i vari marxismi siano stati fedeli alle indicazioni date da Marx: che non ci sia identità fra forma e figura non significa neppure che ogni tentativo di applicazione politica vada bene. Come sempre occorre mostrare le mediazioni (o eventualmente l’assenza di esse).