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venerdì 29 aprile 2022

Note su “Il Mediterraneo” di Fernand Braudel - Andrea Baldazzini

 Da: https://www.pandorarivista.it - Fernand Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Bompiani, Milano 2008, p. 43. - Andrea Baldazzini Ricercatore Senior presso AICCON, centro di ricerca dell’Università di Bologna dedicato alla promozione della cultura della cooperazione e del non profit, dove si occupa di imprenditoria sociale, innovazione e trasformazioni dei sistemi di welfare territoriale. Svolge inoltre attività di formazione e consulenza per organizzazioni di terzo settore e pubbliche amministrazioni. Per «Pandora Rivista» è membro della Redazione. 

Leggi anche: A che serve la storia?*- Luciano Canfora  

FILOSOFIA DELLA STORIA - G. G. Federico Hegel  

Storia del pensiero scientifico e filosofico* – Ludovico Geymonat  

Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni 

Vedi anche:  Marc Bloch - Alessandro Barbero  

"che scienza è la Storia?" - Aldo Giannuli 



Quest’opera, pubblicata per la prima volta nel 1949, ha rappresentato un vero e proprio momento di rottura nella storiografia contemporanea. Fernand Braudel è stato il principale rappresentante della cosiddetta seconda generazione dell’École des Annales, fondata da Lucien Febvre e Marc Bloch alla fine degli anni Venti a partire dalla rivista «Annales d’histoire économique et sociale», una rivista dalla quale nascerà un modo totalmente nuovo di studiare la storia, probabilmente il più rivoluzionario di tutto il Novecento.

Quali sono dunque i tratti distintivi di questo approccio storiografico? Perché il libro di Braudel sul Mediterraneo fornisce ancora oggi molti spunti imprescindibili, non solo per leggere la storia, ma anche per riflettere, ad esempio, sulla geopolitica di questo spazio? Perché la storia è necessaria a immaginare un futuro aperto e potenziale?

Andiamo con ordine, per quanto riguarda la prima domanda si può rispondere affermando che sono almeno quattro le caratteristiche peculiari dell’École des Annales:

  • L’interdisciplinarietà, ovvero, l’idea che la storia debba fuoriuscire dal suo «immobilismo accademico» aprendosi alle altre discipline, e lo stesso titolo della prima rivista Annales d’histoire économique et sociale mostra chiaramente come essa venga fin da subito pensata nelle sue strette correlazioni che la legano all’economia e al sociale. Non a caso infatti, soprattutto Febvre e Bloch guardano con interesse al marxismo e alla psicanalisi intendendoli entrambi come nuove modalità di presentare la pluralità dell’esperienza umana. Da qui poi l’interesse storico per le «dimensioni viventi della persona», come il lavoro o gli stili di vita, segni di una pratica storiografica radicalmente differente rispetto a quella ottocentesca classica.
  • Oggetto della storia può così diventare lo stesso mondo contemporaneo e non solo ciò che è temporalmente lontano. Lo storico può finalmente cominciare a occuparsi anche di fatti che lo coinvolgono in prima persona, e rispetto ai quali non vi deve essere per forza quel distacco solitamente richiesto in nome di un presunto oggettivismo epistemologico.
  • Nasce allora il desiderio di scrivere una «storia totale», non limitandosi più ai meri aspetti politici, militari o diplomatici.
  • Il racconto storiografico passa dunque dallo studio degli ‘eventi’ (l’histoire événementielle come la chiamano Bloch e Febvre che schiaccia la storia sulla storia-politica) a quello delle strutture, delle ricorrenze, delle interconnessioni, guardando al passato come ad un «flusso» e non come ad una somma di epoche o manifestazioni di qualche Spirito.

giovedì 21 aprile 2022

Dalle OLIGARCHIE alla VOLONTÀ di POTENZA - dialogo con Luciano CANFORA

Da: DARSI PACE · MARCO GUZZI - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni) 


DALLE OLIGARCHIE ALLA VOLONTÀ DI POTENZA - DAVIDE SABATINO IN DIALOGO CON LUCIANO CANFORA


Una delle parole che è stata sdoganata in questi giorni dai giornali mainstream è la parola “oligarchie”. Peccato però che con questo termine si è voluto indicare esclusivamente i ricchi affaristi russi, i quali - dicono i giornaloni - sono rei non solo di essere nababbi, ma anche di essere di nazionalità russa. Una discriminazione razziale che non sembra avere eguali nel resto d’Europa. 

Insieme al noto Professor Luciano Canfora abbiamo voluto scavare a fondo su questo tema del “governo dei pochi” (“oligoi” = pochi e “archè” = governo), perché siamo convinti che solo comprendendo la differenza fra democrazia e oligarchia anche il nostro orizzonte contemporaneo potrà risultare meno oscuro e ambiguo. Infatti, è inutile continuare a credere di essere i paladini della democrazia quando - di fatto - molti diritti fondamentali stanno progressivamente venendo meno. E non basta neppure paragonare il nostro sistema di relativa libertà di stampa con quello di censura più o meno dichiarata che vige da anni in Russia per poterci sentire migliori. Al massimo possono essere magre consolazioni, ma niente di più. 


L’ultimo libro di Luciano Canfora si intitola “La democrazia dei signori”, ed è proprio partendo da questo testo che abbiamo deciso di attraversare le criticità del nostro tempo, evitando in ogni modo di scadere in commenti di bassa propaganda politica che tanto vanno di moda sui quotidiani e nelle televisioni generaliste. Il quadro disegnato dal pensiero di Canfora durante il nostro dialogo mostra linee di carattere filologico fondamentali per capire la storia di oggi, senza le quali tutte le contraddizioni che questa guerra sta facendo emergere non possono che insabbiarsi. 

Per comprendere lo scenario geopolitico attuale non possiamo solo impressionarci di fronte alle immagini criminali e di devastazione che vengono trasmesse ventiquattro ore su ventiquattro da tutte le reti televisive. Occorre saper leggere quelle immagini con le lenti d’ingrandimento della filosofia e della storia politica. Ciò che fa da sfondo alle raffigurazioni drammatiche della tragedia in atto sono infatti le (in)coscienze delle classi dirigenti globali che - come insegna Luciano Canfora - oltre ad essere molto più “internazionalistiche” e “solidaristiche” del popolo che vorrebbe insorgere, sono anche governate da quella “volontà di potenza” rispetto alla quale ci mise in guardia nel secolo scorso la filosofia del profetico Friedrich Nietzsche. 


Chissà se in queste ore turbolente e vertiginose riusciremo, come popolo, a recuperare la lezione del secolo appena trascorso, provando ad affrontare il futuro con un’ottica meno bellica e più serenamente relazionale. Noi siamo qui per provarci. 
Davide Sabatino - L'Indispensabile 

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domenica 27 marzo 2022

venerdì 18 marzo 2022

“Zelensky salito al potere con un colpo di Stato, guerra è tra Russia e Nato”, intervista a Luciano Canfora - Umberto De Giovannangeli

Da: https://www.ilriformista.it - Umberto-De-Giovannangeli Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni)




Una voce fuori dal coro. Per “vocazione”. Controcorrente, anche quando sa che le sue considerazioni si scontrano con una narrazione consolidata, mainstream. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni), è così. Sempre stimolante, comunque la si pensi. E le sue riflessioni sulla guerra d’Ucraina ne sono una conferma.




Professor Canfora, in queste drammatiche settimane, in molti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo ad Est. Qual è la sua di definizione? 

Punto uno, è un conflitto tra potenze. È inutile cercare di inchiodare sull’ideologia i buoni e i cattivi, le democrazie e i regimi autocratici… Ciò che sfugge è che il vero conflitto è tra la Russia e la Nato. Per interposta Ucraina. Che si è resa pedina di un gioco più grande. Un gioco che non è iniziato avanti ieri ma è cominciato almeno dal 2014, dopo il colpo di Stato a Kiev che cacciò Yanukovich. È una guerra tra potenze. Quando i vari giornaletti e giornalistucoli dicono ecco gli ex comunisti che si schierano…Una delle solite idiozie della nostra stampa. Io rivendico il diritto di dire che le potenze in lotta sono entrambe lontane dalla mia posizione e dalle mie scelte, perché le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere. E né gli uni né gli altri sono apprezzabili. Nascondere le responsabilità degli uni a favore degli altri è un gesto, per essere un po’ generosi, perlomeno anti-scientifico.

C’è chi sostiene che per Putin la vera minaccia non era tanto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato o la sua adesione all’Ue, quanto il sistema democratico che in quel Paese ai confini con la Russia si stava sperimentando. Lei come la pensa? 

Usiamo un verso del sommo Leopardi: “Non so se il riso o la pietà prevale” dinanzi a schemi di questo tipo…

domenica 27 febbraio 2022

Intervista a Sergio Romano: “L’Ucraina sia neutrale come la Svizzera” - Umberto De Giovannangeli

Da: https://www.ilriformista.it - Umberto De Giovannangeli, è esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente. - Sergio Romano è uno storico, scrittore, giornalista e diplomatico italiano. 


Se c’è una persona che conosce come le proprie tasche la realtà russa come quella americana, questa persona è l’ambasciatore Sergio Romano. Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. E stato visiting professor all’Università della California e a Harvard, e ha insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla Bocconi di Milano. Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo Merkel. La cancelliera e i suoi tempi (con Beda Romano, Longanesi, 2021); Processo alla Russia. Un racconto (Longanesi, 2020); Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018); Il rischio americano (Longanesi, 2003); Il declino dell’impero americano (Longanesi, 2014); Trump e la fine dell’American dream (Longanesi, 2017). E da poco è nelle librerie il suo libro Il suicido dell’Urss edito da Sandro Teti con prefazione di Luciano Canfora e introduzione di Ezio Mauro.

«Negli ultimi anni l’indipendenza della Ucraina ha un paladino nella persona di Volodymyr Oleksandrovych Zelensky, un attore, regista e comico televisivo, che è presidente dalla Repubblica dal 20 maggio 2019 e ha fatto una campagna elettorale in cui il tono dominante era quello nazionalista. In queste circostanze i Paesi dell’Ue stanno a guardare con sentimenti diversi, dalla prevedibile amicizia per l’Ucraina della Polonia, lieta di accoglierla nella Nato, alla maggiore prudenza di quelli che non vogliono pregiudicare i loro rapporti con la Russia e avevano sperato che l’Ucraina divenisse una Svizzera centroeuropea fra Paesi che hanno appartenuto per molti anni a blocchi contrapposti. È una occasione definitivamente perduta? Neutrale, l’Ucraina sarebbe molto più rispettata e autorevole di quanto sarebbe se la sua politica estera continuasse a essere un interminabile e inutile bisticcio con la sorella maggiore». È un passaggio di uno scritto dell’ambasciatore Romano sul Corriere della Sera del 19 settembre 2021. Cinque mesi dopo, la sua riflessione acquista una valenza drammatica alla luce di ciò che sta accadendo.

Con una mossa a sorpresa Vladimir Putin ha dapprima annunciato il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, per poi ordinare l’invio di truppe nella regione del Donbass. Ambasciatore Romano, cos’ha in testa lo “Zar” del Cremlino? 

venerdì 3 settembre 2021

“Gli Usa finanziarono la Jihad e oggi vivono la nemesi della storia”, intervista allo storico Luciano Canfora - Umberto De Giovannangeli

Da: https://www.ilriformista.it - Umberto De Giovannangeli, esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

Leggi anche: Afghanistan: «Fallimento politico-militare ma anche ideologico» - Alberto Negri

Vedi anche: Verso un mondo senza guerra (2018) - Gino Strada


«Le lancette del tempo non vanno riportate indietro di vent’anni. Ma di altri venti ancora. Quando gli Stati Uniti pur di eliminare un governo liberamente eletto dagli afghani ma che aveva la “colpa” di essere vicino all’Unione Sovietica, decisero di finanziare, addestrare, armare i miliziani fondamentalisti di Osama bin Laden. Quarant’anni dopo, l’America fa i conti con la rivincita della Storia, molto più di un fallimento politico e militare». E di Storia il nostro interlocutore è un maestro. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista. Una voce libera, cosa sempre più rara nell’Italia d’oggi. Professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni).


D. In questi giorni, tanto più alla luce del sanguinoso doppio attacco terroristico di giovedì a Kabul, in tanti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo in Afghanistan: fuga, resa, tradimento dell’America e dell’Occidente. Lei come la vede? 

L.C. Direi che in tutta questa grande riflessione collettiva in corso, c’è una piccola, si fa per dire, ma vistosa lacuna: come mai quaranta e passa anni fa, gli Stati Uniti d’America hanno aiutato in tutti i modi la guerriglia islamica antisovietica in Afghanistan? Nel 1978, l’Afghanistan aveva avuto elezioni politiche e il partito popolare democratico, di fatto una specie di partito comunista, aveva stravinto le elezioni. L’intervento sovietico in appoggio di questo governo laico-giacobino, chiamiamolo così, scandalizzò l’Occidente, le Olimpiadi di Mosca furono boicottate, e cominciò la lunga guerriglia afghana alimentata in Pakistan, Paese all’epoca fedelissimo dell’America, e gli Stati Uniti pensarono di avere trovato, e in parte era vero, il modo di logorare la super potenza ostile, avversaria, con un Vietnam sovietico, che fu l’Afghanistan. Dieci anni di guerriglia, ben finanziata, armata. Gli Stati Uniti hanno una buona esperienza in questo campo perché, per esempio, addestrarono in California i guerriglieri kosovari dell’Uck, i quali dopo aver contribuito allo sfasciamento della Jugoslavia, hanno poi dato manforte all’Isis nel califfato siro-iracheno, contribuendo alla sua nefasta consacrazione. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. I nostri giornalisti, studiosi, commentatori politici si sono dimenticati i primi vent’anni di questa storia. E la incominciano dal 2001. Così non si capisce niente. Come mai improvvisamente il talebano antisovietico, musulmano, da coccolare è diventato un nemico? La loro teoria è che l’attacco alle Torri Gemelle sarebbe partito dall’Afghanistan. Non so se si sia mai potuto dimostrare in maniera seria, oggettiva, tutto questo, ma mettiamo che sia vero, a quel punto diventa piuttosto stravagante l’idea che per punire l’attentato del 2001 ci stiamo vent’anni in Afghanistan, fino al 2021. Una punizione che sembra proprio di quelle descritte nell’inferno dantesco, di quelle che non finiscono mai. Al termine di questa mendace presentazione dei fatti, succede che, di botto, gli americani mollano tutto.

domenica 16 maggio 2021

Luciano Canfora, "Fermare l'odio"

Da: AccademiaIISF - Intervista di Alessia Araneo a Luciano Canfora, a proposito del volume "Fermare l'odio" (Laterza 2019) - 
Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
 

                                                                                       

giovedì 29 aprile 2021

martedì 20 aprile 2021

La schiavitù, radici antiche di un male moderno - Francesco Gamba

 Da: https://terzapaginavida.edublogs.org -

Leggi anche: LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE - Karl Marx 

IL PAESE DELLE LIBERTÀ: stermini, repressione e lager nella storia degli Usa. - Maurizio Brignoli 

RAZZISMO E CULTURA” - Frantz Fanon 

Razzismo e capitalismo crepuscolare - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi 

Persona, Razzismo, Neo-schiavismo: tendenze del capitalismo crepuscolare. - Roberto Fineschi 

Colonialismo, neocolonialismo e balcanizzazione: tre epoche di una dominazione* - Saïd Bouamama

Vedi anche: Libertà e schiavitù – Luciano Canfora



È vietata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dalla Convenzione Onu del 1956 eppure esiste tuttora. “Si calcola, che oggi ci siano più di 27 milioni di persone – donne e uomini ma anche bambini – che vivono in uno stato di assoggettamento non dissimile, nelle forme e nelle pratiche, da quello conosciuto in età antica e nei secoli della modernità”: questo stato è la schiavitù e le parole sono quelle del Prof. Giuseppe Patisso, docente di storia moderna dell’Università del Salento.


La schiavitù ha un passato che affonda le radici nella preistoria e che ha lasciato diverse cicatrici nella storia dell’umanità: una di queste viene ricordata il 25 marzo con la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi. La tratta è stata la più imponente migrazione forzata della storia, durata dal 1526 al 1867 e ha interessato tra i 10 ei 12,5 milioni di uomini, donne e bambini africani che furono rapiti dalle loro terre d’origine e spediti attraverso l’Oceano Atlantico alle Americhe; qui, se sopravvissuti al viaggio, venivano torturati e costretti a lavorare senza paga per schiavisti europei e americani. La giornata istituita dalle Nazioni Unite, ricordando questa pagina drammatica della storia dell’umanità, vuole anche sensibilizzare sulle cause che hanno portato l’uomo a compiere un gesto simile: non solo motivazioni economiche, ma anche e soprattutto pregiudizi, discriminazione e razzismo che sono state in antichità e sono ancora adesso causa di schiavitù.

mercoledì 24 marzo 2021

Lucrezio e la repubblica imperiale romana - Luciano Canfora

Da: Fondazione Circolo dei lettori - Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.

Diversamente da quel che suggerisce il cliché sulla lontananza dei seguaci di Epicuro rispetto alla politica, Lucrezio esprime apertamente la sua critica dei metodi feroci della lotta politica nella Roma del suo tempo. Questo avviene nel libro terzo del poema, ma anche nella seconda parte del quinto libro. Lì l’autore, nel tratteggiare un profilo dell’evoluzione storica delle società umane, condanna con forza la pratica dell’imperialismo. 

                                                                             

domenica 21 febbraio 2021

" Togliatti " - Aldo Giannuli

Da: Aldo Giannuli - Aldo Giannuli è uno storico e saggista italiano, direttore del centro studi Osservatorio Globalizzazione. - http://www.aldogiannuli.it -

Vedi anche: Aldo Giannuli: Storia del Partito Comunista Italiano - https://www.youtube.com/playlist?list=PLfzLPJKVwoKJ2rxTOwTsgZE7ZmTUJ6Yap 

Ascolta anche: Luciano Canfora - 1956 L'anno spartiacque - https://www.youtube.com/watch?v=7hAntzlHD4s&feature=youtu.be

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi - Roberto Fineschi 

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 

CENNI STORICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA - Stefano Garroni  


                                                                              

mercoledì 3 febbraio 2021

Il Pci durante l’occupazione alleata nel quadro dell’affermazione del dominio statunitense - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.

Leggi anche: La battaglia delle idee: come è stata costruita l’egemonia statunitense - Alessandra Ciattini

Vedi anche: Verso il centenario del PCI - Incontro con Luciano Canfora

Comunisti, fascisti e questione nazionale 



La politica del Pci negli anni che vanno dal 1943 ai primi anni del dopoguerra, quando si afferma il dominio statunitense.


Mi porrò in questo breve scritto una questione cui non è facile dare una risposta, anche perché in genere alcuni di coloro che hanno tentato di darne una hanno spesso adottato una prospettiva unilaterale e schematica, che non ci consente di comprendere a fondo come stavano le cose dopo la caduta di Benito Mussolini, l’inizio dell’occupazione alleata e la resistenza armata condotta in larga parte dai comunisti.

Un articolo del 2018 di Corrado Ocone ritorna sul mito della Rivoluzione “tradita”, ben radicato tra i sessantottini, i quali avevano ripreso il motivo della Rivoluzione non portata a termine dalla guerra di liberazione. A loro parere, se si fosse stati conseguenti con le premesse della Resistenza, questa avrebbe dovuto condurre il proletariato italiano alla sconfitta del nazifascismo e poi all’instaurazione di una società socialista. Motivo che era già stato agitato, tra l’altro, dal celebre romanzo di Carlo Cassola La ragazza di Bube (1958-1959), il cui protagonista, reo di aver ucciso un militare italiano in uno scontro, finisce in prigione benché nutra la speranza di essere salvato dai suoi compagni. Nonostante la lettura politica del romanzo, in cui si esprimeva una forte insoddisfazione per gli esiti della guerra di liberazione, sia stata messa in discussione, preferendole un’interpretazione psicologica e intimistica, a me pare che il suo messaggio politico permanga intatto e manifesti un grande malessere per la situazione politica creatasi con l’occupazione alleata, che non si è trasformata in protettorato proprio per la resistenza dei comunisti.

Per esaminare le prospettive politiche della Resistenza mi limiterò a ricordare alcuni fatti, presenti in molti libri quali per esempio Storia del PCI di Paolo Spriano (vol. V, 1975), che mettono in evidenza che la liberazione è avvenuta in stretto collegamento con un duro periodo di occupazione da parte degli alleati. 

Ricorda Spriano che “i condizionamenti generali, anche internazionali, peseranno notevolmente a rendere più faticoso e incerto il cammino di quella che Togliatti chiamerà nel 1945 … «la prima tappa della rivoluzione democratica»” in Italia (387). Il nuovo partito comunista della classe operaia e del popolo non si propone di “fare come in Russia”, ma di “creare in Italia un regime democratico progressivo… che metterà al bando qualsiasi residuo di fascismo”, che avvierà “una profonda riforma agraria” e che i grandi gruppi economici, responsabili della guerra, saranno colpiti e “messi nelle condizioni di non nuocere” (389). 

domenica 17 gennaio 2021

"LA PARABOLA DEL COMUNISMO" - Angelo D'Orsi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Leggi anche: STORIA DEL MARXISMO - Andras Hegedus -

Sull' URSS - Marcello Grassi

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.

                                                                           

martedì 5 gennaio 2021

Guerra e guerra civile: il caso italiano - Luciano Canfora

Da: Fondazione Circolo dei lettori -  Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano. 

                                                                               

venerdì 6 novembre 2020

La Rivoluzione d'Ottobre - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Come funziona il Soviet*- John Reed 

LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA 1917–1923. Il comunismo di guerra - Edward H. Carr

DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel

La donna, la nuova morale sessuale e la prostituzione*- Joseph Roth

Rivoluzione d’Ottobre e democrazia*- Domenico Losurdo

Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel 

La terra della rivoluzione d'Ottobre: un paese di donne in cammino verso l'emancipazione - Armağan Tulunay

Vedi anche: La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora 

Il ricordo vivo del grande Ottobre - Andrea Catone


                                                                           

Davanti al grottesco spettacolo che ci giunge dalla patria della democrazia (già lodata da Tocqueville nel secolo XIX), davanti ai conteggi del voto, alle minacce di riconteggio, alla prospettiva di una Corte di nomina governativa che decide l'esito del "libero voto" (come del resto già accadde nello scontro fra Al Gore e Bush junior, decretato vincitore pur essendo stato sconfitto nelle urne) mi viene una nostalgia di Vladimir Ili'c, detto Lenin capace di bruciare i vascelli alle sue spalle, metttere fine alla farsa della Costituente, e ordinare l'assalto al Palazzo d'Inverno, il 7 novembre 1917. 

Del resto la rivoluzione non è un pranzo di gala (questo lo disse Mao Zedong); ma in quell'assalto praticamente non ci furono vittime, se non qualcuna fra gli assalitori. Le vittime, a centinaia di migliaia, giunsero dopo, in seguito alla guerra civile scatenata dalle forze reazionarie interne con l'aiuto delle potenze imperialistiche esterne. 

Certo, oggi è difficile pensare, in Occidente, come spiegava Gramsci, a una rivoluzione secondo il modello bolscevico, ossia l'assalto frontale; e ci si deve attrezzare per lavorare sul piano culturale e ideologico per conquistare l'egemonia, una controegemonia delle classi subalterne da contrapporre a quella delle classi borghesi. I proletari potranno così diventare prima classe dirigente, ossia egemonica ideologicamente e culturalmente, per poi diventare dominante, ossia capace di esercitare il potere nella società, avviandola al socialismo. 
 
Eppure ci sono fasi e momenti in cui una bella rivoluzione, una rivoluzione "come si deve", appare come la sola soluzione alla crisi. 

Naturalmente, non è all'ordine del giorno, mancano i soggetti, l'organizzazione, persino la cultura rivoluzionaria. Se non a chiacchiere. E proprio Lenin ci ha insegnato che è molto più dilettevole e utile provare a fare una rivoluzione che non teorizzare o discutere su di essa. Perciò chiudo qui il discorso. E invito a seguire l'ultima mia "lectio brevis" dedicata appunto alla Rivoluzione d'Ottobre.  (A. d'Orsi)