Vedi anche: Il moto violento della storia - Luciano Canfora (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/12/il-moto-violento-della-storia-luciano.html)
Il moto della storia non è ciclico, né rettilineo, né ottimisticamente progressivo, si dispiega sinuosamente come una spirale.
- Luciano Canfora è un instancabile produttore di libri, con i quali analizza il passato e il presente, cercando anche di individuare i passi, i ritmi, i movimenti attraverso cui dal primo si passa tormentosamente e tortuosamente al secondo, nel quale persistono elementi antichi, ma senz’altro profondamente trasmutati e rielaborati secondo un modo di procedere che sembra accomunare fasi storiche assai diverse nel loro dipanarsi.
Nella
sua più recente pubblicazione La
scopa di Don Abbondio. Il moto violento della storia [1](Laterza
2018), richiamandosi
a Guerra
e pace di Lev
Tolstoj,
Canfora sottolinea che per il grande scrittore russo ogni divisione
del corso storico in eventi discreti costituisce un’operazione
arbitraria, giacché a suo parere quest’ultimo si caratterizza per
“l’assoluta continuità del moto”, inconcepibile per la mente
umana. Questa concezione della storia è radicata nella convinzione
che essa sia un prodotto collettivo creato dall’azione delle grandi
masse che si va a concretare in episodi o personaggi precisi, come la
Grande Rivoluzione o Napoleone.
Questo
flusso continuo non si dispiega in maniera rettilinea [2] né segue
il monotono ritmo dell’eterno ritorno; assomiglia piuttosto ad una
spirale, figura
metaforica di sapore certamente hegeliano,
che descrive un processo irreversibile che non ritorna mai su se
stesso, ma che nell’avanzare si trasmuta senza liberarsi
completamente delle scorie precedenti.
Secondo
lo storico italiano un buon esempio di questa tendenza è
rappresentato dalle forme
di fascismo contemporaneo che,
avvantaggiatosi dal totale sbriciolamento della cosiddetta sinistra
non più sensibile ai bisogni delle masse popolari, si fonda sul
predominio del capitale finanziario esercitato dai funzionari non
eletti che governano la Unione
Europea.
Come molti eventi mostrano (per esempio la Brexit), la fatidica
unione suscita odio e riprovazione ed è considerata causa del
peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse
popolari; sentimenti che essa si merita se – come ci ricorda
Canfora – Claude Juncker, ex primo ministro di un paradiso fiscale
(Lussemburgo), passato per tutte le più importanti istituzioni
finanziarie, è arrivato al punto di dichiarare che, durante la crisi
del 2015, le potenze europee, in
primis la
Germania, hanno oltraggiato la dignità del popolo greco, non
rispettando “democraticamente” la sua volontà e ingoiandosi gran
parte delle sue risorse.
Per
l’insipienza, per l’opportunismo della cosiddetta sinistra la
questione delle disuguaglianze sociali,
divenuta ormai un motivo centrale delle “gravi e serie”
riflessioni di famosi analisti politici (sempre i soliti), si è
trasformata in un cavallo di battaglia della destra, sia quella
nostrana, che difende i piccoli imprenditori del Nordest, che quella
francese, tedesca etc., le quali non esitano a richiamarsi allo
spregevole nazi-fascismo.
E
paradossalmente su questo punto vi sono convergenze con forze di
sinistra più autentiche come il Partito comunista francese e
Jean-Luc Mélenchon [3], che però hanno tutto un altro atteggiamento
verso il problema dei migranti da quello assunto dalla destra risorta
in tutta Europa.
Un
altro elemento visibile e tangibile irrita le masse adeguatamente
indirizzate in questo senso: il
fenomeno migratorio provocato
nelle varie regioni del mondo dalle dinamiche dell’accumulazione
capitalistica, che possono fondarsi sulle guerre, sul saccheggio
delle risorse ambientali oppure provocando l’inabitabilità di un
territorio. Le vere cause di esso sono taciute, anche se per
comprenderle, basterebbe accostare notizie forniteci una a breve
distanza dall’altra dalla televisione (fonte primaria di
informazione per la maggioranza della popolazione); mentre grande
rilievo è dato al pericolo che
i migranti-invasori rappresenterebbero
per gli europei, per il loro livello di vita e per il loro stesso
retaggio culturale (soprattutto la religione).
Se
a questo proposito la cosiddetta sinistra (Minniti) ora si mostra
buonista, in
passato non ha fatto politiche molto diverse da
quelle di bloccare l’accesso ai migranti decise dal tragicamente
ridicolo Salvini, il quale non sa che ci sono milioni di persone che
premono alle nostre porte e che i suoi divieti costituiscono solo un
fragile muro di carta. Solo la fine delle politiche di pervicace
spoliazione di questi popoli può ridimensionare la migrazione, ma
questo significherebbe la fine dell’imperialismo,
evento arduo solo a pensarlo. Per evitare tale rischio un tal
Goffredo Buccini – ricorda Canfora analizzando gli articoli apparsi
sulla stampa, che Émile Zola al tempo dell’affare Dreyfus, aveva
definito “immonda” – ha riproposto il capitalismo
solidale;
quello poi che i
missionari cattolici, complici dei colonizzatori, hanno sempre
dichiarato di perseguire, collaborando non poco allo sterminio dei
popoli extraeuropei.
Paradossalmente
l’Europa, eterno aggressore e distruttore, sarebbe oggi costretta a
rinserrarsi in una fortezza,
in cui chi viene da fuori non è un cittadino e in cui domina –
come auspicava il Fürher – la Germania, sia pure con il fraterno
appoggio della Francia, come mostra il recente trattato di
Aquisgrana.
Attraverso
queste contorsioni – nella lettura di Canfora – si è
affermato il
fascismo contemporaneo ed
ha fatto breccia tra gli sfruttati additando loro le
false cause della
loro miserabile condizione, da cui esso stesso trae un vantaggio
immediato, innescando la possibilità di esiti catastrofici. Tale
comportamento è inquadrabile nelle celebri leggi
della stupidità individuate
da Carlo M. Cipolla, per il quale i nostri feroci padroni sarebbero
dei banditi,
perché ci danneggiano per ricavare un vantaggio personale, ma al
contempo sarebbero degli stupidi (le
persone più pericolose al mondo) perché arrecandoci un danno alla
lunga fanno del male anche a loro stessi, acuendo i conflitti sino
alla massima tensione, forse sperando in qualche modo di salvarsi.
Credo
valga anche per i governi populisti europei quanto è stato osservato
a proposito delle recenti manifestazioni di protesta nel Nicaragua
di Ortega:
il rifiuto delle misure neoliberali e antipopolari finisce con
l’essere orientato e alimentato dalla destra locale e dal Vaticano.
Ragione per la quale se
la protesta spontanea ha un contenuto progressivo, la sua direzione
le imprime un carattere regressivo.
Questo
duplice aspetto della vicenda politica ne fa qualcosa di assai
complesso da decifrare ed apre alle possibilità che la realizzazione
dei progetti politici abbia esiti del tutto diversi da quelli
prefigurati, come del resto già osservava nel 1767 Adam Ferguson
individuando la
legge delle conseguenze involontarie.
Legge di cui si dovrebbe sempre tenere conto se si ha in mente un
progetto trasformativo.
La
validità di questa legge può esser ben documentata dagli eventi ben
analizzati da Canfora nel suo breve libro (lui direbbe “libricino”),
ma assai denso, che certo non possiamo menzionare tutti nel
dettaglio. Si tratta, per esempio, del conflitto esploso nella Grande
Guerra,
il cui scopo era quello di consentire alle potenze europee di
spartirsi il mondo, consolidando il loro potere su tutte le sue
regioni, anche le più marginali. Nel far questo, però, attizzarono
una rivoluzione pericolosissima per la loro stessa sopravvivenza,
quella bolscevica. Allo stesso tempo, i bolscevichi, che con il loro
sommovimento si auguravano di sollecitare un’analoga rivoluzione in
Europa, furono disillusi, ma riuscirono a dare impulso al processo di
decolonizzazione, che però purtroppo è stato ribaltato dal
neocolonialismo.
Un
altro fenomeno storico ben analizzato da Canfora è rappresentato
dalle rivoluzioni,
che scaturirebbero dalla costante ricerca dell’applicazione
effettiva del principio
di uguaglianza,
di cui era già cosciente un personaggio centrale della nostra storia
come Erodoto. Si tratta di un tema su cui lo storico italiano ha già
riflettuto, utilizzando in particolare il sottile metodo
dell’analogia
storica,
come quella relativa al parallelo tra Rivoluzione francese e
Rivoluzione russa, che dopo la fase radicale sprofondano entrambe nel
Termidoro, per sfociare poi in forme diverse di autoritarismo: il
primo impero di Napoleone e la dittatura degli operai e dei
contadini, caratterizzata dalla fusione tra il capo dello Stato e il
segretario del partito e alimentata dall’originaria matrice
bizantina.
Secondo
Canfora la complicata storia degli ultimi decenni e il conseguente
cambiamento di scenario internazionale ci obbligano a ripensare a
fondo le dinamiche soggiacenti al movimento storico. Su questo tema
scrive:
"Tra il cupo fatalismo assertore dell’eterno ritorno degli stessi fenomeni, sia pure con mutati protagonisti, e il pervicace ottimismo degli assertori delle inarrestabili ‘sorti progressive’, la lezione epocale della fine del Novecento può – come avvenne anche in altre epoche – aprire una prospettiva critica e realistica”.
Prospettiva che deve fondarsi sulla consapevolezza che le sconfitte nella battaglia per l’uguaglianza non costituiscono e non possono costituire un autentico “ritorno al punto di partenza e nessuna restaurazione è davvero tale”. E ciò perché ogni rivoluzione introduce cambiamenti radicali nell’esistenza dei singoli, che vengono assorbiti, digeriti e sedimentati fino a costituire quella “struttura profonda” di un certo contesto storico, che persiste però sempre venendo a patti con il mutamento. Se così si dipana il percorso a spirale della storia nella riflessione di Canfora, nonostante le brucianti débacles forse abbiamo fatto un altro passo per riprendere l’instancabile battaglia per l’affermazione dell’uguaglianza.
"Tra il cupo fatalismo assertore dell’eterno ritorno degli stessi fenomeni, sia pure con mutati protagonisti, e il pervicace ottimismo degli assertori delle inarrestabili ‘sorti progressive’, la lezione epocale della fine del Novecento può – come avvenne anche in altre epoche – aprire una prospettiva critica e realistica”.
Prospettiva che deve fondarsi sulla consapevolezza che le sconfitte nella battaglia per l’uguaglianza non costituiscono e non possono costituire un autentico “ritorno al punto di partenza e nessuna restaurazione è davvero tale”. E ciò perché ogni rivoluzione introduce cambiamenti radicali nell’esistenza dei singoli, che vengono assorbiti, digeriti e sedimentati fino a costituire quella “struttura profonda” di un certo contesto storico, che persiste però sempre venendo a patti con il mutamento. Se così si dipana il percorso a spirale della storia nella riflessione di Canfora, nonostante le brucianti débacles forse abbiamo fatto un altro passo per riprendere l’instancabile battaglia per l’affermazione dell’uguaglianza.
Note
[1]
Per Don Abbondio la peste, descritta da A. Manzoni, è stata come una
scopa che ha avuto anche il merito di spazzare via gente malvagia.
[2]
Come alcuni sostennero durante la fase espansiva del capitalismo.
[3]
Ricordiamoci che proviene dall’ala sinistra del Partito socialista,
strettamente legato a François Mitterand e ministro del governo
Jospin.
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