venerdì 3 settembre 2021

“Gli Usa finanziarono la Jihad e oggi vivono la nemesi della storia”, intervista allo storico Luciano Canfora - Umberto De Giovannangeli

Da: https://www.ilriformista.it - Umberto De Giovannangeli, esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

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«Le lancette del tempo non vanno riportate indietro di vent’anni. Ma di altri venti ancora. Quando gli Stati Uniti pur di eliminare un governo liberamente eletto dagli afghani ma che aveva la “colpa” di essere vicino all’Unione Sovietica, decisero di finanziare, addestrare, armare i miliziani fondamentalisti di Osama bin Laden. Quarant’anni dopo, l’America fa i conti con la rivincita della Storia, molto più di un fallimento politico e militare». E di Storia il nostro interlocutore è un maestro. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista. Una voce libera, cosa sempre più rara nell’Italia d’oggi. Professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni).


D. In questi giorni, tanto più alla luce del sanguinoso doppio attacco terroristico di giovedì a Kabul, in tanti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo in Afghanistan: fuga, resa, tradimento dell’America e dell’Occidente. Lei come la vede? 

L.C. Direi che in tutta questa grande riflessione collettiva in corso, c’è una piccola, si fa per dire, ma vistosa lacuna: come mai quaranta e passa anni fa, gli Stati Uniti d’America hanno aiutato in tutti i modi la guerriglia islamica antisovietica in Afghanistan? Nel 1978, l’Afghanistan aveva avuto elezioni politiche e il partito popolare democratico, di fatto una specie di partito comunista, aveva stravinto le elezioni. L’intervento sovietico in appoggio di questo governo laico-giacobino, chiamiamolo così, scandalizzò l’Occidente, le Olimpiadi di Mosca furono boicottate, e cominciò la lunga guerriglia afghana alimentata in Pakistan, Paese all’epoca fedelissimo dell’America, e gli Stati Uniti pensarono di avere trovato, e in parte era vero, il modo di logorare la super potenza ostile, avversaria, con un Vietnam sovietico, che fu l’Afghanistan. Dieci anni di guerriglia, ben finanziata, armata. Gli Stati Uniti hanno una buona esperienza in questo campo perché, per esempio, addestrarono in California i guerriglieri kosovari dell’Uck, i quali dopo aver contribuito allo sfasciamento della Jugoslavia, hanno poi dato manforte all’Isis nel califfato siro-iracheno, contribuendo alla sua nefasta consacrazione. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. I nostri giornalisti, studiosi, commentatori politici si sono dimenticati i primi vent’anni di questa storia. E la incominciano dal 2001. Così non si capisce niente. Come mai improvvisamente il talebano antisovietico, musulmano, da coccolare è diventato un nemico? La loro teoria è che l’attacco alle Torri Gemelle sarebbe partito dall’Afghanistan. Non so se si sia mai potuto dimostrare in maniera seria, oggettiva, tutto questo, ma mettiamo che sia vero, a quel punto diventa piuttosto stravagante l’idea che per punire l’attentato del 2001 ci stiamo vent’anni in Afghanistan, fino al 2021. Una punizione che sembra proprio di quelle descritte nell’inferno dantesco, di quelle che non finiscono mai. Al termine di questa mendace presentazione dei fatti, succede che, di botto, gli americani mollano tutto.

D. Perché, professor Canfora? 

L.C. Perché hanno tentato di fare quello che avevano fatto in Iraq, dove hanno inventato un governo amico, ma la lezione non gli è bastata, perché dopo aver piazzato il governo amico al posto di Saddam, dopo la guerra del 2003, per anni e anni abbiamo avuto attentati a Baghdad con centinaia e centinaia di morti, dei quali evidentemente non importava a nessuno, perché ormai la democrazia era stata portata a compimento in una scatola e depositata a Baghdad. Con tutto il coro della stampa prono, in ginocchio, a dire che sono i portatori di libertà e “che peccato ora che se ne sono andati, ci hanno fatto un brutto scherzo da prete”, però poi c’è sempre qualcuno che si affretta a dire con toni burberi e con l’indice accusatorio puntato, che non è vero, smettetela con questo anti americanismo, che certo non è uno dei peccati principali del giornalismo italiano. Dopodiché, ora la situazione è interessante da un altro punto di vista… 

D.  Quale?

L.C. Come sempre nella Storia, nulla rimane immobile. Questo nuovo gruppo, molto aggressivo, che si è impadronito del potere a Kabul, è alle prese, in una situazione di contrapposizione più o meno forte, con al-Qaeda e, soprattutto, con la ramificazione afghana dell’Isis. Il duplice attentato a Kabul, una mattanza vera e propria, indica proprio questo: lo sviluppo di uno scontro di potere nel variegato universo jihadista.

D. Una sfida anche all’amministrazione Biden… 

L.C. Assolutamente sì. D’altro canto, l’attuale presidente degli Stati Uniti non può cavarsela dicendo che “gli accordi li aveva presi il mio predecessore”. Biden poteva magari rendersi conto della realtà concreta, cioè che il governo amico era inconsistente, l’esercito addestrato da loro si è sciolto come neve al sole. La fuga precipitosa ha messo nei guai tutti quanti, americani compresi. A tutta la storia che abbiamo raccontato, di responsabilità remote che vengono al pettine, va aggiunta anche l’incapacità, l’imperizia, il non essere all’altezza del ruolo che ricopre l’attuale presidente degli Stati Uniti. Ci ha liberato da Trump, ma non per questo Biden va santificato.

D. Dentro questa avventura iniziata vent’anni fa non c’erano solo gli Stati Uniti, c’era anche l’Europa, e c’era l’Italia. 

L.C. So bene che questa è quasi una domanda d’obbligo, ma la risposta d’obbligo è dolente, e cioè, come ho cercato di scrivere più volte – non perché mi senta un profeta ma perché è una verità di immediata evidenza – l’Unione Europea non ha una sua politica estera, non ha una sua politica militare, è subalterna della Nato e a totale disposizione degli Stati Uniti d’America. L’Unione Europea fa la politica voluta da Washington: mette le sanzioni a Putin, s’indigna per i musulmani oppressi in Cina, salvo poi prendersela con i musulmani che vincono a Kabul. Io ho scritto che l’Europa è un “gigante incatenato”. Incatenato perché la politica militare, diplomatica ed estera la fa la Nato, il comandante militare nominato dagli Stati Uniti, il Segretario generale che deve avere il placet degli Stati Uniti. Infatti Stoltenberg è immediatamente sceso in campo dicendo fermi tutti, l’America ha fatto la mossa giusta. Lui ha quel compito lì. Finché l’Europa non alza la testa dalle spalle e agisce in proprio, continuerà a subire i contraccolpi di questo asservimento vergognoso.

D. Dietro l’idea di portare dall’esterno la democrazia e la modernizzazione, al di là degli effetti destabilizzanti che ha provocato in tutto il Grande Medio Oriente, non c’è anche una sorta di neocolonialismo culturale dell’Occidente, che vede tutto ciò che è diverso da sé come qualcosa di arretrato, minaccioso, oscurantista? 

L.C. Il tema è molto appassionante ed è stato studiato da grandi storici. Ne cito uno soltanto, del quale ho una grande considerazione: Arnold Joseph Toynbee. Lo storico inglese , uno dei maggiori del ‘900, scrisse tantissimo in vita sua, e quello che a me pare più ficcante è un piccolo libro che all’origine era un ciclo di conferenze alla radio inglese, The World and The West, Il Mondo e l’Occidente. Toynbee ha studiato questo fenomeno in maniera profonda e semplice al tempo stesso. E il concetto centrale di quel bellissimo libretto è che l’Occidente armatissimo ha sfidato il Mondo. Lo ha aggredito. Parliamo di secoli, come documentato da Carlo Cipolla nel suo bel libro Vele e cannoni. Quando le flotte delle grandi potenze coloniali dell’epoca – l’Inghilterra, la Spagna, l’Olanda – conquistarono il mondo, queste potenze se ne impadronirono. La sfida lanciata al mondo è durata secoli. Ha creato gli imperi coloniali, che erano strumenti non solo di potenza ma anche di arricchimento non solo dei ceti forti ma, sia pur in dimensioni estremamente più ridotte, pure di quelli meno forti, che si avvantaggiarono del colonialismo. La copertura di tutto questo era “portiamo la civiltà”. Anche Mussolini ha fatto lo stesso giochino quando ha aggredito l’Etiopia. Tutta la nostra stampa, che anche allora era molto devota al Governo, non faceva altro che raffigurare quell’impero etiopico come il regno del peggiore oscurantismo, dove vigeva ancora la schiavitù, e quindi noi andavamo lì a liberarli. La verità storica è che noi in Nord Africa abbiamo perpetrato immani massacri di civili utilizzando i gas, abbiamo fatto di tutto. Col senno del poi, uno ritiene grottesco che l’Italia fascista porta la libertà all’Impero d’Etiopia. Fatto sta che molti, moltissimi italiani, colti, molti colti, responsabili di giornali e non solo l’hanno scritto ma lo hanno anche creduto. Il fatto che gli Stati Uniti, dove tutt’ora il problema razziale non è risolto, siano portatori di valori superiori in casa altrui fa sorridere, però è considerato un’eresia dirlo, perché tutto il meccanismo informativo è, secondo la linea dell’Unione Europea subalterna, prono a osannare la grande, come si usa dire, democrazia americana, di cui vediamo i comportamenti interni ed esterni, e non di meno con gli occhi bendati continuiamo a dirlo. Questa è una storia che dura da secoli. Ed è la sfida dell’Occidente al Mondo che ogni tanto trova contro di sé un corpo resistente che a sua volta lancia una sfida. Quello che si sottovaluta è che più questa storia va avanti e più si imbarbarisce, per cui dalla controparte hai reazioni sempre più feroci dinanzi alla ferocia che tu hai praticato. In questo “film” non esistono i “nostri” che accorrono per salvare le sorti dell’umanità. Attenti ai “travestimenti” e al fuoco amico, quello a volte fa ancora più male.

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