giovedì 31 gennaio 2013

CENNI STORICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA - Stefano Garroni -



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Un’ osservazione da cui vale la pena di partire è questa: recentemente uno storico inglese marxista (Hobsbawm), ha pubblicato un libro dal titolo “IL SECOLO BREVE”. Il secolo breve sarebbe quello arco di tempo che va dalla prima guerra mondiale e quindi dalla rivoluzione d’ottobre arriva fino alla dissoluzione del campo socialista. Perché secolo breve? Perché, secondo Hobsbawm è un secolo che è durato meno di quanto il termine dica, e che è caratterizzato da una fondamentale ambiguità. Se per un verso è stato vissuto, inteso, interpretato dai contemporanei come il momento del grande scontro e contrasto tra i due sistemi sociali contrapposti (quello capitalistico e quello socialistico), nella realtà invece il periodo indicato è stato caratterizzato da una grande gigantesca opera di modernizzazione e industrializzazione a livello mondiale condotta in tempi rapidissimi, certamente all’interno di regimi sociali diversi, da una parte regimi capitalistici e dall’altra i regimi nati dalla rivoluzione d’ottobre, i quali ultimi però non avevano le caratteristiche fondamentali di regimi socialisti. Erano piuttosto regimi non capitalistici basati sulla proprietà statale degli strumenti di produzione e sulla direzione politica fortemente centralizzata e burocratizzata, che tendevano a ottenere appunto una rapida modernizzazione e industrializzazione dei loro paesi rispettivi. Internazionalmente questo contrasto è stato inteso (ecco il problema di fondo), come il grande contrasto tra i due regimi capitalistico e socialistico che si confrontavano a livello internazionale. In realtà si trattava di una rappresentazione propriamente ideologica, autorizzata certo dai regimi dei paesi dell’est europeo poniamo, dalla rivoluzione d’ottobre, ma che non teneva conto di una realtà fondamentale e cioè che l’ipotesi di fondo su cui la rivoluzione d’ottobre era iniziata (ovvero che fosse possibile operare la rottura dell’anello più debole della catena imperialistica, ma che questo avrebbe comportato un’ulteriore rottura in anelli forti, in particolare la Germania, della catena imperialistica), questa ipotesi fondamentale in realtà non si realizzò e, per dirla seccamente, invece della rivoluzione proletaria in Germania come è noto, vinsero i nazisti. Già per Lenin era chiarissimo che se la rivoluzione fosse stata costretta a limitarsi alla Russia, allora la Russia sarebbe stata invasa dall’arretratezza e dalla barbarie asiatica, mentre invece se la rivoluzione si fosse potuta estendere fino a zone di capitalismo avanzato (ripeto in particolare la Germania), lo scettro del comando della rivoluzione mondiale doveva passare appunto alla Germania operaia e la Russia avrebbe offerto il proprio sostegno di uomini e di materie prime, però a questo, diciamo questo paese guida perché più sviluppato, più evoluto dalle più grandi tradizioni politiche, democratiche e dotato di una classe operaia esperta, numerosa e combattiva. Il fallimento di questa ipotesi ha cambiato il quadro internazionale e ha costretto l’unione sovietica appunto nei limiti della sua arretratezza. Ciò ha comportato una serie di conseguenze, politiche e sociali, tra cui (vale la pena di ricordarlo) la necessità per l’unione sovietica di accelerare i tempi, non solo della propria industrializzazione ma specificatamente dell’industrializzazione dal punto di vista dello sviluppo delle industrie pesanti, degli armamenti e delle industrie che producono strumenti di produzione, questo in tempi assai rapidi, sulla base di uno sforzo lavorativo molto intenso e quindi sulla base di una disciplina ferrea all’interno del paese. Ovviamente tutto questo non ha favorito lo sviluppo della democrazia sovietica o operaia e ha contribuito invece a creare le condizioni perché i vecchi strati privilegiati della burocrazia zarista potessero tornare in sostanza al potere coperti dall’adesione apparente al nuovo partito comunista e quindi in sostanza ha contribuito a che si determinasse un’evoluzione burocratica in unione sovietica e la sostituzione progressivamente al potere del proletariato al potere di una burocrazia che governava in nome del proletariato. Dal punto di vista dell’interpretazione del marxismo, della chiarificazione del significato del marxismo tutto ciò ha avuto delle conseguenze notevoli. 


Sostanzialmente si è soliti indicare queste trasformazioni con il termine dogmatizzazione. In altre parole, mano a mano che il regime interno all’unione sovietica e poi dei paesi socialisti, andava assumendo toni fortemente burocratizzati e autoritari, contemporaneamente il marxismo tendeva a perdere la propria carica critica e dialettica per diventare una nuova forma di scolasticismo di sistematicità negatrice delle esigenze della diversità delle ricerche, della diversità degli ambiti su cui si va strutturando l’esperienza sociale. Questo marxismo dogmatizzato per lunghi decenni è stato da tutti in sostanza assunto come il marxismo ortodosso. Da tutti intendo dire sia sostenitori che da avversari del marxismo. Poche voci isolate si sono presentate nel mondo a proporre modi diversi di interpretare Marx dove sottolineassero maggiormente il carattere critico-dialettico, ma sono restate voci isolate esattamente perché in sostanza avrebbero potuto avere spazio se la situazione obiettiva del mondo fosse stata diversa, se lo scenario internazionale fosse stato quello dell’attacco rivoluzionario operaio a livello internazionale, mentre invece sappiamo era quello di un intenso sforzo di modernizzazione rapida che sacrificasse quindi anche le ragioni profonde della democrazia operaia. Ora, questo marxismo così dogmatizzato e inteso come il marxismo ortodosso, in sostanza è stato accolto dalla totalità dei partiti comunisti tra cui anche il partito comunista italiano. A questo dobbiamo aggiungere che un modo di descrivere la strategia politica dell’unione sovietica, (nell’epoca di Stalin, diciamo grosso modo dalla morte di Lenin fino ad arrivare agli ultimi anni) è questo: 
1)preoccupazione di allontanare pericoli di guerra dal confine prima dell’unione sovietica e poi del campo socialista, preoccupazione quanto mai sensata perché effettivamente le potenze imperialistiche hanno tentato di tutto per scatenare la guerra contro l’unione sovietica e distruggerla. Per ottenere questo risultato cioè di allontanare i pericoli di guerra, l’unione sovietica ha promosso una politica internazionale che andasse alla ricerca del compromesso, della mediazione, della coesistenza pacifica in definitiva, anche se il termine all’epoca di Stalin non era tanto diffuso come poi con Krushov, e quindi una politica estera tesa a evitare lo scontro con i settori forti del capitalismo, ma al contrario trovare momenti di convergenza. Ovviamente il momento più alto di questo compromesso con l’imperialismo si ha nella lotta antifascista quando sul piano internazionale l’unione sovietica si allea alle potenze imperialistiche anti-nazi e in tutto il mondo si sviluppa un movimento di unità popolare antifascista, in cui i comunisti combattono assieme a componenti capitalistiche ma appunto antifasciste. 

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Il partito comunista italiano è stato sicuramente uno degli alfieri di questa politica, così come Togliatti è stato uno degli elaboratori principali di quella strategia che con un termine non adeguato viene indicata come la strategia stalinista. Un momento chiave sicuramente fu quello della guerra di Spagna in cui i comunisti legati all’unione sovietica si batterono in realtà certo contro i fascisti ma anche per impedire una conclusione, una trasformazione della lotta antifascista in lotta rispettivamente per il socialismo ritenendola non opportuna a livello politico internazionale per le conseguenze che avrebbe potuto avere. Un altro momento importante fu sicuramente il modo in cui i comunisti, in particolare i comunisti italiani, condussero la lotta di resistenza al fascismo. Sappiamo che il partito comunista italiano difese ad esempio le fabbriche italiane dai tentativi dei nazisti di portar via i macchinari, ma difese le fabbriche italiane anche dai tentativi, per così dire, stigmistici di quei gruppi di operai che spingevano per una immediata socializzazione degli strumenti di produzione e cioè per impedire che tornassero i padroni nelle grandi fabbriche. 

In generale il comportamento del partito comunista italiano fu quello di chi sosteneva la linea politica dell’unione sovietica tesa a trovare una forma di coesistenza pacifica internazionale con le potenze imperialistiche, non solo per battere i fascisti, ma, una volta battuti i fascisti, per impedire che si tornasse ad un clima di tentativi di guerra contro l’unione sovietica. In termini nazionali questo significò in quel grande compromesso realizzato dal partito comunista italiano con la costituzione repubblicana. Un altro aspetto fondamentale della strategia internazionale, a dir così stalinista ma nel senso che ho chiarito prima, fu quello di limitare il più possibile gli scontri diretti dall’imperialismo a zone marginali del mondo (in sostanza i paesi del terzo mondo), laddove cioè fosse possibile evitare uno scontro diretto con l’imperialismo. Questo comportò mano a mano che una serie di paesi ex coloniali, liberatisi con l’appoggio dell’unione sovietica e del movimento comunista internazionale, poi diventassero paesi “a carico” , per così dire, dell’unione sovietica. Dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale, culturale ecc... Vietnam, Cuba, Etiopia possono essere esempi di tutto ciò. Ovviamente anche in questo caso il movimento comunista non fece altro che ribadire la centralità dell’unione sovietica, dell’interesse dello stato sovietico e dunque anche la centralità del marxismo elaborato dall’unione sovietica come marxismo valido per tutti quanti. Ultima caratteristica fondamentale della politica sovietica è quella di avviare un processo di sviluppo interno, prima centrato sullo sviluppo dell’industria pesante ma poi progressivamente, quando la situazione internazionale diviene più distesa e quando i lavoratori sovietici dopo anni e anni di sacrificio cominciano a richiedere con urgenza anche altre cose, l’unione sovietica propose a quel punto ai lavoratori un tipo di modello di vita che venne espresso molto bene da Krushov quando indicò il modo di vita americano come l’obiettivo da raggiungere e superare. Da un punto di vista sia internazionale sia propriamente italiano, tutto ciò comportò anche il fatto che si pensasse la democrazia, in rapporto democrazia-socialismo, in termini sostanzialmente di conservazione ed esaltazione della tradizione borghese. La stessa esaltazione della costituzione repubblicana in Italia non è altro che espressione del fatto che per democrazia si intendeva la radicalizzazione delle caratteristiche proprie della democrazia borghese. Voglio dire che la tematica della democrazia basata sui soviet, e quindi dell’autogoverno dei lavoratori, venne lasciata cadere; e inevitabilmente, non poteva non essere lasciata cadere perché questa è una problematica strettamente legata a una fase di attacco del proletariato internazionale, mentre dobbiamo ben capire che dalla seconda guerra mondiale fino alla fine del mondo socialista l’unione sovietica e il mondo socialista è sempre stato in condizione di inferiorità tecnologica rispetto ai paesi imperialisti e sappiamo che lo sviluppo tecnologico è prevalentemente legato allo sviluppo militare, dunque l’inferiorità tecnologica dei paesi socialisti significava in realtà inferiorità militare (e stiamo parlando di uno scenario militare basato sull’armamento atomico, quindi di cose particolarmente pericolose). Ora, in questo quadro appunto si colloca quel tipo di marxismo che si andò mano a mano cristallizzando come marxismo ortodosso e che in realtà è una dogmatizzazione del marxismo e una perdita della sua valenza critica e dialettica. Quando, con il crollo del mondo socialista, da parte italiana in modo particolare, si è rivendicata la qualità particolare specifica del marxismo italiano, si è cercato di portare avanti un vero e proprio imbroglio, nel senso che il marxismo italiano non ha caratteristiche di particolare rilievo. Presumibilmente l’unico nome rilevante del marxismo italiano appunto è Antonio Labriola, che è per altro uno degli autori meno studiati tra i marxisti italiani. Dobbiamo fare un altro riferimento molto rapido alla vicenda che si apre con il 1968, perché è una vicenda che si presenta immediatamente come grande ripresa e rilancio del marxismo a livello di massa, e che invece presenta caratteristiche abbastanza diverse da queste raffigurazioni di ….. 

Punto 1°: noi dobbiamo ricordare che il periodo ’67-’68 che è quello del lancio di grandi movimenti studenteschi di massa in Europa, è preceduto, dall’inizio degli anni ’60 da alcuni episodi di grandi lotte operaie. Questo è importante perchè bisogna comprendere bene che lo stesso movimento studentesco in realtà non è all’inizio di un processo di trasformazione profonda, ma è una tappa di un processo iniziato con la lotta operaia in Belgio, in Inghilterra, in Germania e in Italia stessa. 
In realtà però l’incontro tra il movimento operaio e il movimento studentesco, non riuscì mai ad avvenire in modo consistente nel corso degli anni che iniziano dal ’67- ’68. Non perché la classe operai non abbia dimostrato volontà di lotta radicale così come la dimostravano gli studenti. È emblematico in questo senso l’episodio del maggio francese del ’68 quando, se dalle fabbriche occupate c’era una tendenza ad andare dagli studenti e gli studenti in lotta andavano alle fabbriche, in mezzo c’era il servizio d’ordine del sindacato della societè, legato al partito comunista francese, che impediva questo incontro. È un episodio tipico, così come più abilmente il sindacato della CGL in Italia riuscì progressivamente ad assorbire le richieste radicali che venivano dal movimento studentesco e da certi settori operai riassorbendole all’interno della propria strategia e questo in particolare sotto la direzione di Trentini. 

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In realtà quello che dobbiamo comprendere bene è che il ’68 studentesco e giovanile (qui è importante una precisazione: quando noi in Italia diciamo movimento studentesco diciamo effettivamente un movimento in prevalenza di studenti. Ma basta pensare all’Inghilterra per comprendere che il movimento studentesco significa in realtà movimento e degli studenti e di quei settori lavorativi che avevano un più alto grado di scolarizzazione.), ha una fondamentale ambiguità: cioè per un verso esprime effettivamente momenti di radicalizzazione anticapitalistica che erano gia stati espressi dalle lotte operaie dei primi anni del ’60, come ricordavo; dall’altro lato esprime il disagio di settori di piccola-media borghesia, la cui composizione sociale era ormai messa in discussione dallo sviluppo neocapitalistico, come si diceva in quegli anni. Questa ambiguità significa in definitiva che una figura sociale, la piccola-media borghesia, si è elevata a protestare contro cosa esattamente? Contro qualche cosa di non chiaro che da un lato sembrava essere il regime capitalistico in generale, dall’altro lato però sembrava essere anche la collocazione nuova che questo strato sociale andava assumendo all’interno di questo capitalismo che era cambiato. Quindi per un verso elementi di radicalizzazione anticapitalistica, dall’altro verso il desiderio di un nuovo modo di inserirsi all’interno di un capitalismo ormai moderno. A questa ambiguità ne vanno aggiunte delle altre. Primo: la grande presenza di componenti religiose all’interno del movimento studentesco di sinistra cattolica, o cristiana in generale (qui in particolare il discorso vale per l’Inghilterra, per gli Stati Uniti, ma anche per il nostro paese). Secondo: un radicalismo democratico borghese proprio della piccola borghesia incapace di sottoporsi a disciplina, a ordine e a un lavoro costante che rivendica il tutto e subito. Terzo: elementi effettivi di ripresa della problematica marxista della lotta di classe, dei soviet e della dittatura del proletariato. Tra queste varie componenti si è sviluppata, all’interno del ’68, una lotta. E non è dubbio che mano a mano che gli scenari internazionali tendevano a spostarsi in senso favorevole all’imperialismo (intendo la morte di Che Guevara, la chiusura della guerra nel Vietnam, la rivoluzione culturale Cinese che non dava risultati se non caos, il chiudersi delle lotte rivoluzionarie in africa, in latino-america), ecco mano a mano che lo spostamento avveniva a vantaggio dell’imperialismo, le componenti marxiste o legate al marxismo all’interno del movimento studentesco, vennero sostituite da altre componenti più propriamente piccolo borghesi e legate a una tematica di liberazione radical-borghese. 

È estremamente interessante che i tre punti fondamentali caratteristici di questo radicalismo (difesa della droga, dell’omosessualità e del femminismo) sono tradizionalmente elementi propri dell’ideologia decadente della borghesia, se non altro a partire dalla fine dell’800. Questa mentalità andò progressivamente imponendosi e il marxismo stesso fu vissuto all’interno di questa mentalità. Ora succede che, essendosi sostanzialmente dimostrato il fallimento totale di questo radicalismo borghese, sempre di più impoverito dal punto di vista culturale, sempre di più complice della disumanizzazione capitalistica, essendo dall’altro lato crollato il mito delle così dette “vittoriose rivoluzione democratiche” che avrebbero sostituito i paesi socialisti e avrebbero assicurato un’epoca di pace, libertà e progresso; crollato tutto questo e tornato invece sul davanti della scena la problematica della lotta di classe, i comunisti si trovano questo scenario avendo alle spalle questo processo complesso che ho cercato di delineare e che non è certamente il più adeguato per una comprensione precisa, corretta, della lezione di Marx e di Lenin. 
È del tutto chiaro che noi qui dobbiamo fare due ultime considerazioni. 
Primo: già nel ‘600 ci si rendeva conto che non è vero che gli uomini si battono per il loro utile o per il loro bene, ma che gli uomini si battono per ciò che credono essere il loro utile o il loro bene. Voglio dire che già nel ‘600 si sottolineava come le motivazioni anche utilitaristiche del comportamento umano sono sempre mediate dal modo in cui gli uomini si rappresentano la loro utilità, il loro interesse, il loro bene. Quindi già allora si sottolineava la centralità del momento ideologico della rappresentazione delle credenze condivise. 
Punto secondo: dobbiamo ricordare la battaglia che il leone Marx condusse contro un movimento, quello neo-hegeliano o della sinistra hegeliana o dei giovani hegeliani, e che era caratterizzato sostanzialmente da una forte sfiducia circa la possibilità di una trasformazione politica della Germania e dell’Europa perché vedeva nella dimensione politica sempre la presenza della massa, e quindi in sostanza di quell’uomo comune e ordinario, che condivide i pregiudizi del tempo. 
Movimento, questo dei giovani hegeliani, che, proprio per questa sfiducia nella possibilità di una liberazione politica, tutto puntava sulla possibilità invece di una trasformazione delle coscienze, e ovviamente delle coscienze che si distaccavano dalle masse. Marx combatte questa posizione sottolineando l’impossibilità per la filosofia di operare, di essere viva, di modificare il mondo se non in quanto si lega agli interessi, ai contrasti di classe, ai livelli in sostanza meno puri e finanche meno nobili dell’esperienza umana. 
Da un lato consapevolezza che non esistono lotte per l’utile e il bene, ma lotte per ciò che si ritiene essere l’utile e il bene, quindi centralità dell’ideologico. Dall’altro lato però consapevolezza che l’ideologico da solo non ce la fa se non si lega agli interessi materiali. 
Punto primo: questo è fondamentale perché significa che oggi per esempio puntare a lotte ha senso se e solo se ci si rende conto che gli obiettivi di lotta sono sempre quelli che la mente, la coscienza umana esistente intende. Voglio dire: in un mondo in cui ad es. si sia convinti che non esiste altra democrazia se non la democrazia borghese, qualunque lotta verrà sempre condotta nel limite consentito dalla democrazia borghese.
Punto secondo: qualunque rivendicazione politica, se si è convinti che la democrazia borghese è l’unica democrazia, se di questo si è a livello di massa convinti, allora ogni lotta politica sarà dentro i confini del quadro democratico borghese. Se si è convinti che il socialismo è fallito e il marxismo è stato condannato dalla storia allora qualunque lotta verrà condotta dentro i limiti che non supereranno mai la società capitalistica. 

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Compito nostro evidentemente è quello di riguadagnare una coscienza marxista libera dal processo di dogmatizzazione che dicevo prima, una coscienza marxista libera dagli equivoci incontri con il radicalismo irrazionalistico borghese, ma anche un impegno a far si che questa coscienza marxista, nuova perché legata all’analisi del presente, ma antica in quanto legata a una esatta conoscenza effettiva dei testi di Marx, di Engels, di Lenin……

Lato b
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Questa coscienza che dobbiamo riguadagnare è fondamentale che da un lato sia patrimonio senza dubbio di compagni scelti nel senso di compagni disposti a dedicare effettivamente il loro tempo a studiare, ad approfondire, ad analizzare e a scrivere; ma sia anche contemporaneamente portata ai livelli più larghi. Perché è fondamentale primo: battere l’idea che il socialismo è stato sconfitto facendo capire che cosa realmente è successo nel così detto “secolo breve” per ripetere l’espressione di Hobsbawm (che per altro è un compagno); secondo: per far comprendere come la lotta al sistema capitalistico è appunto una lotta contro un sistema, cioè non solo contro dei rapporti economici, ma contro dei rapporti sociali, contro dei valori, contro una cultura, in nome di un altro quadro generale e quindi di altri rapporti sociali, di altri rapporti politici ma anche di un’altra cultura di altri valori, i quali hanno una lunga, profonda e importante tradizione e che in realtà a uno studio pacato, attento della cultura contemporanea e della società contemporanea in realtà risultano non solo non smentiti, ma confermati e quanto mai necessari per assicurare un passo in avanti nel processo di liberazione umana. 

È possibile ascoltare l’audio originale a questo indirizzo:

http://www.youtube.com/watch?v=y76EjYuGkPI&list=PL730986EE55781074

Stefano Garroni primo ricercatore CNR ed ex docente di filosofia a “La Sapienza” università di Roma: collettivo di formazione marxista “Maurizio Franceschini”. Per partecipare ai collettivi, per avere trascrizioni testuali di alcuni incontri o informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori è possibile contattarci.

1 commento:

  1. Oggi anche i partiti comunisti sono impregnati dell'ideologia piccolo borghese, hanno perso la capacità di interloquire e guidare le masse operaie. Non so se i partiti comunisti siano ripiegati sulle lotte piccolo borghesi, del femminismo, dell'identità di genere e altro, perché abbiano consapevolmente fatto una scelta politica o perché la paura di essere annientati dalla repressione della borghesia li abbia inconsciamente spinti verso queste lotte. A mio parere i partiti comunisti dell'occidente hanno anche una classe dirigente che condivide nella sostanza gli obiettivi delle classi borghesi. Ritengo che queste classi dirigenti comuniste siano In grado di tenere i lorO partiti in tale stato indefinitivamente e curare la loro posizione di rendita politica.

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