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sabato 22 maggio 2021

Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)


IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA 
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca 


                                               Seconda lezione:
                                                                           

Per una lettura di Marx - Stefano Garroni 


sabato 5 dicembre 2020

La questione salariale in Italia - Fulvio Fammoni

 Da: https://www.fondazionedivittorio.it - Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio.

Vedi anche : Dinamica dei salari e immiserimento relativo - Maurizio Donato

Come sta andando il salario negli ultimi anni? - Maurizio Donato

Leggi anche: Miserabile accumulazione: Salari, produttività e impoverimento relativo dei lavoratori*- Maurizio Donato

Salario minimo - Gianfranco Pala 

LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala

Salario sociale reale - Gianfranco Pala 

Le classi nel mondo moderno III. Nuove frontiere della produzione e dello sfruttamento* - Alessandro Mazzone

Produttività e salari in Europa - Maurizio Donato 



Il report della Fondazione Di Vittorio, scritto da Nicolò Giangrande (https://www.fondazionedivittorio.), mette a confronto i salari del lavoro dipendente in Italia con quelli di cinque delle maggiori economie dell’eurozona (Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna).

Nel 2019, i salari medi italiani, nella statistica OCSE, sono pari a circa 30 mila euro lordi annui, in lieve crescita rispetto al 2000, ma addirittura in diminuzione rispetto al 2007. 

Il divario rispetto agli altri paesi non solo è molto ampio, ma si è andato ancora allargando tra il 2007 e il 2019, sia in cifra totale che come dinamica. 

I salari annui tedeschi sono infatti cresciuti in modo consistente negli anni più recenti (42.421 euro nel 2019), così come in Francia (39.099 euro) e nelle altre realtà prese in esame; simile a quello italiano si presenta invece il caso della Spagna. 

Questo divario non si riduce neanche nelle retribuzioni nette relative ad alcune tipologie familiari considerate dall’OCSE. 

La pressione fiscale sui salari e il cuneo fiscale sul costo del lavoro non producono alcun riequilibrio per l’Italia. 

lunedì 22 giugno 2020

Come sta andando il salario negli ultimi anni? - Maurizio Donato

Da; Ariano In Movimento - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo. https://mrzodonato.wordpress.com
                       Salario minimo - Gianfranco Pala 
                       LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala
                       Salario sociale reale - Gianfranco Pala 

                                                                                
[...]
La nostra capacità di lavorare, la nostra forza-lavoro, si produce e riproduce grazie ad elementi materiali (cibo, acqua, riposo, cultura) che però a loro volta, in un ambiente dominato dalle forme capitalistiche, hanno bisogno di essere acquistati, dunque ci vuole denaro per sopravvivere e questo denaro i lavoratori se lo possono procurare legalmente solo vendendo a loro volta (a nostra volta se chi legge appartiene alla classe dei lavoratori) l’unica merce di solito in nostro possesso, la forza-lavoro.

Tale merce, specialissima, l’unica nel suo genere, non esaurisce la propria funzione con l’uso; anzi, usandola, cioè lavorando, è capace non solo di creare valore in generale, ma più valore di quanto non occorra a produrla a riprodurla. Questo, per Marx, l’elemento centrale della critica dell’economia politica, e – in quanto tale – un elemento che ha a che fare direttamente con la questione del cambiamento delle forme.

Per vivere o sopravvivere (elemento materiale) abbiamo bisogno del denaro (forma monetaria del valore) che ci procuriamo vendendo (scambiandola con denaro) la nostra forza-lavoro. Attraverso il lavoro cambiamo forma (fisica, materiale) al mondo, creando merci cha hanno un valore superiore a quello delle loro parti costitutive, forza-lavoro compresa. Tale valore comprensivo del plusvalore spetta al proprietario delle imprese; ai lavoratori spetta il corrispettivo in valore della forza-lavoro, il salario. Col salario (trasformazione monetaria del capitale variabile a disposizione del capitalista) i lavoratori possono acquistare merci (fisiche) che ci consentano di riprodurre la forza-lavoro e così di seguito.

Dal momento che la alieniamo, però, la forza-lavoro di cui siamo proprietari (è nostra, non vivendo in schiavitù) diventa – per alcune ore al giorno alcuni giorni la settimana per tot anni della nostra vita – di proprietà di chi ne acquista il diritto all’uso: il capitalista, che ne dispone a suo piacimento cercando di sfruttarla al massimo per poi, se riesce a vendere a prezzo pieno il prodotto del nostro lavoro (la merce), godere del plusvalore realizzato che a sua volta in parte trasforma in beni di lusso e in parte accumula come nuovo capitale, così che il ciclo continui all’infinito. O quasi...

martedì 16 giugno 2020

LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE - Karl Marx

Da: http://www.criticamente.com
Leggi anche:  Il tema del lavoro secondo Karl Marx*- Giulio Di Donato 
                        Karl Marx (una compiuta critica dell’economia politica)* - Emiliano Brancaccio 
                        Una storia complessa. La teoria dell’accumulazione in Marx - Roberto Fineschi 
                        La produzione capitalistica di fabbrica fondata sulle macchine*- Aleksandr A. Kusin 
                        Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica*- Stefano Garroni 
                        IL CAPITALE: CAPOLAVORO SCONOSCIUTO - a mo’ di allegoria da Balzac - per Marx* - Gianfranco Pala 
                        Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte* - Karl Marx (1852)
                        Das Kapital nel XXI secolo* - Giorgio Gattei 


IL CAPITALE (LIBRO I) 
SEZIONE VII IL PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE 
CAPITOLO 25 LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE[253]
L’economia politica fa confusione, in linea di principio, fra due generi assai differenti di proprietà privata, uno dei quali è fondato sul lavoro personale del produttore, l’altro sullo sfruttamento del lavoro altrui. Essa dimentica che questo ultimo genere di proprietà privata non solo costituisce l’antitesi diretta del primo, ma può crescere soltanto sulla tomba di quello.
Nell’Europa occidentale, patria dell’economia politica, il processo dell’accumulazione originaria è più o meno compiuto. Quivi il regime capitalistico o si è assoggettata direttamente tutta la produzione nazionale; o, dove le condizioni economiche sono ancora meno sviluppate, esso controlla per lo meno indirettamente gli strati della società che continuano a vegetare in decadenza accanto ad esso e che fanno parte del modo di produzione antiquato. L’economista politico applica a questo mondo capitalistico ormai compiuto le idee giuridiche e della proprietà del mondo pre-capitalistico con uno zelo tanto più ansioso e con una unzione tanto maggiore, quanto più i fatti fanno a pugni con la sua ideologia.
Nelle colonie le cose vanno altrimenti. Quivi il regime capitalistico s’imbatte dappertutto nell’ostacolo costituito dal produttore che come proprietario delle proprie condizioni di lavoro arricchisce col proprio lavoro se stesso e non il capitalista. La contraddizione fra questi due sistemi economici diametralmente opposti si attua qui praticamente nella loro lotta. Dove il capitalista ha alle spalle la potenza della madre patria, egli cerca di far con la forza piazza pulita del modo di produzione e di appropriazione fondato sul proprio lavoro.

martedì 26 novembre 2019

Accumulazione di capitale e ruolo dell’innovazione - Maurizio Donato

Da: https://www.economiaepolitica.it - Maurizio DonatoUniversità di Teramo, è un economista italiano - https://mrzodonato.wordpress.com/



Accumulazione Capitale Marx | Nel primo trimestre del 2019 il ‘valore’ mondiale delle obbligazioni a tassi negativi è tornato ad avvicinarsi ai livelli massimi toccati nell’estate del 2016. Da allora, a riportare in alto i tassi nominali spingendo al rialzo anche i rendimenti delle obbligazioni è stata unicamente la ripresa nelle aspettative di inflazione. Questo obiettivo, una maggiore inflazione, è stato al centro dell’impegno delle banche centrali che dal 2009 hanno iniettato quasi 20mila miliardi di dollari attraverso numerose politiche espansive. Ma evidentemente una politica monetaria pure ultra-accomodante non serve o non basta: i problemi dell’economia sono ‘reali’

Fig. 1 Rendimento dei BUND tedeschi a 10 anni
Secondo gli economisti del periodo classico, affinché possa ripartire il meccanismo di accumulazione, una parte significativa del capitale in eccesso sulle possibilità medie di valorizzazione deve essere svalutato o distrutto, non solo capitale nella sua forma monetaria, ma capitale costante, merci nella loro duplice natura di valori d’uso e valore tout-court, e capitale variabile, la forza-lavoro pagata al suo valore, la cui svalutazione continua sta comportando conseguenze almeno altrettanto paradossali e ben più tragiche dei tassi di interesse negativi.

Non performing capital

giovedì 7 febbraio 2019

Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi” - Vladimiro Giacché -

Da: http://www.marx21.it - Vladimiro Giacché è un economista italiano. - alessandro-somma è professore ordinario di diritto comparato nell’Università di Ferrara.
Vedi anche: La Costituzione italiana e i trattati europei: convivenza possibile?*- Vladimiro Giacché 
Leggi anche: L'Europa e le false credenze della Sinistra - Alessandro Somma
     "       "    : Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato
 

"Quando un regno è condotto verso l'abisso da bande di briganti che si sono impadronite del governo, coloro che predicono la fine trovano scarso credito per le seguenti ragioni: i grandi regni hanno in sé qualcosa di durevole già per la loro stessa grandezza. La vita in piccolo continua al solito modo, i panettieri vendono il pane, si stampano libri, escono i giornali, si celebrano matrimoni, si seppelliscono i morti, si costruiscono case. In tutto ciò è ancora all'opera la ragione. L'osservatore spera quindi, senza cercare di rendersi esattamente conto della questione, che questa grande riserva di ragione, questa collaudatissima attività quotidiana, debba pure rimediare ai tratti demenziali dei reggitori. Questi tratti demenziali desumono da ciò una parvenza di plausibilità, di ragione addirittura." (B. Brecht, Me-ti libro delle svolte)

E già... Ma questo potrebbe valere in grande per l'UE e in piccolo per ogni singolo Stato... 
(il collettivo)



Poche parole hanno conosciuto un improvviso boom negli ultimi anni come i termini “sovranismo” e “sovranisti”. Di queste parole, ormai onnipresenti nel nostro dibattito politico, chi compulsasse i quotidiani anche solo di due-tre anni non troverebbe quasi traccia. E francamente di un’altra parola-contenitore di incerto significato, oltretutto in genere adoperata come etichetta denigratoria e dispregiativa, proprio non si sentiva la mancanza.

Un motivo in più per apprezzare l’ultimo libro di Alessandro Somma, “Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale” (Roma, Derive/Approdi, 2018), dedicato precisamente al compito di risalire ai diversi significati che oggi assume il concetto di “sovranità”, al quale quello di “sovranismo” confusamente allude, e i limiti ai quali è sottoposto nel contesto dell’Unione Europea. Al termine di questa disamina, l’autore descrive nell’ultimo capitolo i compiti e gli obiettivi di un “sovranismo democratico” che voglia porsi all’altezza delle sfide del presente.

Prima di procedere a un esame sommario dei contenuti di questo testo, la cui facilità di lettura - un pregio ben noto ai lettori dei libri di Alessandro Somma - non deve trarre in inganno (i temi trattati infatti sono molti, importanti e molto ben approfonditi), devo premettere che mi occuperò qui della linea argomentativa che mi pare centrale, mentre per motivi di spazio dovrò lasciare ai lettori del libro il piacere di scoprire numerosi altri temi importanti. 

Il testo parte da un assunto forte sulla fase che stiamo vivendo: “L’epoca attuale è indubbiamente caratterizzata dal rigetto del mercato autoregolato e del processo di denazionalizzazione che ha accompagnato la sua affermazione”. Un rigetto che non si verifica oggi per la prima volta: il rifiuto del mercato autoregolato quale fondamento della società si ebbe tra la prima e la seconda guerra mondiale, e diede luogo a esperienze sociali e politiche radicalmente diverse tra loro quali l’Unione Sovietica e i fascismi. Dopo la seconda guerra mondiale, l’esigenza di una regolamentazione del mercato si tradusse in una rottura con la tradizione liberista che si realizzò da un lato nella drastica limitazione dei movimenti di capitale conseguente agli accordi di Bretton Woods, dall’altro nella costruzione - anche all’interno del mondo capitalista - di strutture sociali e politiche di redistribuzione della ricchezza che facessero da contrappeso al naturale squilibrio a favore del capitale dei rapporti capitale/lavoro ove lasciati a meri meccanismi di mercato (il cosiddetto “compromesso keynesiano” tra capitale e lavoro). 

martedì 15 gennaio 2019

Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"

Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco - [Die Fackel, nr. 546-550, luglio 1920, pp.6-9; e nr. 554-556, novembre 1920, pp. 6-12] -





Vedi anche:
ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)

Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi



Leggi anche: 
https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/05/rosa-luxemburg-rivoluzionaria-donna.html



Dedico alla memoria della più nobile vittima la lettura della seguente lettera, che Rosa Luxemburg scrisse dal carcere femminile di Breslavia a Sonja Liebknecht a metà dicembre 1917.

«Ormai è un anno che Karl è in carcere a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso: proprio un anno fa Lei era a casa mia, qui a Wronke, e mi ha donato quel bell’albero di natale…Quest’anno me ne sono procurato uno,ma me lo hanno portato molto scadente e con qualche ramo mancante – non c’è confronto con quello dell’anno scorso. Non so come potrò appenderci le otto piccole luci che mi sono porcurata. E’ il mio terzo Natale in carcere , ma non la prenda sul tragico. Io sono tranquilla e serena come sempre. Ieri sono rimasta sveglia a lungo – ormai non riesco a prender sonno prima dell’una, ma devo coricarmi già alle dieci – e poi nel buio mi abbandono a tanti sogni dunque pensavo: è strano come io viva costantemente in una lieta ebrezza – e senza alcun motivo particolare. Così, per esempio, giaccio in questa cella buia su un materasso duro come la pietra, tutto intorno a me regna il solito silenzio di tomba, sembra di essere già morti: dalla finestra si staglia sulla coperta il riflesso di un lampione, che arde tutta la notte davanti al carcere. Di quanto in quanto si sente, smorzato, lo strepito lontano di un treno che passa o, vicinissimo sotto la finestra, il tossicchiare della sentinella che, per sgranchirsi le gambe irrigidite, fa due passi lentamente nei suoi pesanti stivali. Sotto questi passi la sabbia scricchiola così disperatamente, che tutto il vuoto e l’inesorabilità dell’esistenza risuonano nella notte umida e oscura. Ed io giaccio sola, avvolta nei molteplici panni neri delle tenebre, della noia, della prigionia dell’inverno – ma il mio cuore intanto batte di un’intima gioia sconosciuta, inconcepibile, come se camminassi su un prato fiorito nella chiara luce del sole. Nel buio io sorrido alla vita, come se fossi consapevole di un magico segreto, che annulla il male e la tristezza e li trasforma in pura luminosa felicità. Cerco un motivo per questa gioia, non lo trovo e sorrido di me stessa. Penso che il segreto non sia che la vita stessa; le profonde tenebre notturne sono belle e morbide come il velluto, basta saper guardare. Ed anche nello scricchiolio della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della sentinella, risuona un piccolo e dolce canto sulla vita – basta saper ascoltare. In questi momenti io penso a Lei, e vorrei comunicarLe la chiave magica, perché possa cogliere, sempre ed in ogni circostanza, la gioiosa bellezza della vita, perché anche Lei possa vivere in questa ebrezza e camminare come su un prato fiorito. Non voglio certo propinarLe ascetismo e gioie immaginarie: Le auguro tutte le reali gioie dei sensi. A queste vorrei solo aggiungere la mia inesauribile gioia interiore, per essere tranquilla sul Suo conto, per essere sicura che Lei affronti la vita avvolta in un mantello trapunto di stelle, che La protegga da ogni piccineria, volgarità angoscia. Nel parco di Steglitz Lei ha colto un bel mazzo di bacche nere e rosso-viola. Per quelle nere, si può trattare di sambuco – le sue bacche pendono in pesanti e fitti corimbi fra grandi foglie pennate, le conosce certamente – o di ligustro: piccole, esili pannocchie dritte, tra foglie sottili e lanceolate- Le bacche rosa-viola, nascoste tra le piccole foglie, potrebbero essere quelle del nespolo nano; in realtà sono rosse, ma in questa stagione avanzata sarebbero fin troppo mature, e un po’ marcite appaiono spesso di un rosa violetto; le foglioline sono simili a quelle del mirto, piccole e aguzze in cima, di un verde scuro, ruvide nella parte inferiore e simili al cuoio in quella superiore.

sabato 12 gennaio 2019

Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato


Da: https://mrzodonato.wordpress.comhttps://pungolorosso.wordpress.comhttp://www.antiper.org -
maurizio donato è un economista italiano.

Trovate qui di seguito un articolo dell’economista Maurizio Donato dell’università di Teramo sull’impoverimento della popolazione lavoratrice e la questione dell’euro. Quest’articolo sferra un bel colpo alla tesi dei “sovranisti di sinistra” secondo cui è stato l’euro a far impoverire i lavoratori abbassando il potere d’acquisto dei salari. Dati alla mano, Donato mostra come il fatto dell’impoverimento relativo e assoluto di chi vive e lavora in Italia sia cominciato ben prima dell’introduzione dell’euro nel 1999. L’impoverimento è iniziato nella seconda metà degli anni Settanta ed è stato particolarmente forte proprio nel periodo che va dalla meta’ degli anni Settanta fino al 1999, con la lira come moneta. In altri termini, Donato mostra come additare l’euro come causa dell’impoverimento “serv[a] a nascondere l’aumento dello sfruttamento” da parte della classe capitalistica: questa è la causa del peggioramento delle condizioni di vita e lavoro,  non il cambio della moneta. Non all’euro bisogna guardare, ma alla necessità del capitale, italiano e globale, di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto, e in particolare alla necessità dei capitalisti italiani di restare competitivi in un mercato mondiale in cui si è fatta insidiosa la concorrenza della Cina e altri colossi, puntando molto sulla riduzione dei salari. [Pungolorosso] 



L’impoverimento assoluto e relativo di chi vive e lavora in Italia è un fenomeno reale, evidenziabile da numerosi indicatori relativi alla dinamica del reddito pro-capite, dei salari nominali, dei salari reali in riferimento alla produttività del lavoro, della quota del lavoro sul PIL. Non emergono, al contrario, evidenze empiriche che possano mettere tali dinamiche in rapporto all’introduzione dell’euro, dal momento che la compressione dei redditi da lavoro è cominciata molto tempo prima del 1999. 

mercoledì 10 maggio 2017

Miserabile accumulazione: Salari, produttività e impoverimento relativo dei lavoratori*- Maurizio Donato**

*Da:   https://www.lacittafutura.it/ **L’autore insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo 


Nella misura in cui il capitale si accumula, la situazione del lavoratore, qualunque sia la sua retribuzione, alta o bassa, deve peggiorare.


L'attenzione notevole rivolta negli ultimi anni ai cambiamenti intervenuti nella distribuzione del reddito da numerosi studiosi (Milanovic, Picketty, Deaton) può essere utilizzata correttamente se si considerano le crescenti disuguaglianze come effetto e non come causa della crisi.

Salari fermi al livello di sussistenza
Per Karl Marx, la parola “miseria” non indica la povertà assoluta, avendo egli chiarito nel I libro del Capitale (in particolare nei par. 3 e 4 del cap. 23) che la legge dell'immiserimento della classe operaia non è contraddetta dalla possibilità che i salari dei lavoratori crescano durante l’accumulazione di capitale, almeno fino a un certo livello. Nella sua analisi, Marx distingue tre definizioni del salario. In primo luogo, e a un livello più immediato, il salario rappresenta la quantità di denaro che il lavoratore riceve dal suo datore di lavoro: è il salario “nominale” o “monetario”. Tuttavia, in un mondo in cui spetta ai capitalisti decidere quantità e prezzi della produzione, non possiamo accontentarci di considerare i salari nominali, ma                                                                                        dobbiamo considerare la quantità effettiva di beni e servizi che i salari sono in grado di acquistare, cioè i salari “reali”.  

martedì 7 febbraio 2017

Salario, concorrenza e mercato mondiale*- Maurizio Donato**

*Da:   https://mrzodonato.wordpress.com/ 
** Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo, aprile 2015.



“Nel commercio mondiale le merci dispiegano universalmente il loro valore. Dunque, la loro forma autonoma di valore si presenta qui, di fronte ad esse, ovviamente come denaro mondiale. Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto”. Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, terzo capitolo, pagg. 171-2 dell’edizione Einaudi, 1978.


Secondo la teoria marxiana del valore-lavoro, il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla; essendo la forza-lavoro una merce, anche il suo valore è determinato allo stesso modo. Se vogliamo esprimere lo stesso concetto facendo riferimento alla forma monetaria del valore, possiamo dire che il valore della forza-lavoro umana è determinato dal valore delle merci di sussistenza necessarie a produrla e riprodurla. L’aumento della forza produttiva del lavoro reso possibile dalle innovazioni tecnologiche riduce il tempo di lavoro necessario a produrre anche le merci di sussistenza, e dunque – per questa via – il valore della forza-lavoro tende necessariamente a ridursi.

Come è noto, non solo questo prezioso elemento di analisi, ma l’intera struttura logica del I libro del Capitale si situano a un livello di astrazione molto alto, nel senso che il metodo di Marx – nel complesso lavoro di scrittura del I volume – era rivolto a concentrarsi sugli elementi e sulle tendenze di fondo del processo di produzione del capitale, prescindendo completamente – e volutamente – dalle “perturbazioni” di un modello costruito sulle sue linee generali, riservando ad altre occasioni il compito di “ridurre” il livello di astrazione dell’analisi, per tener conto di elementi ugualmente importanti ma con un grado inferiore di generalizzazione.

Da questa prospettiva l’elemento del mercato mondiale è presente – come concetto – da subito nel modello marxiano che già nel terzo capitolo del I libro, dedicato al denaro come forma di valore delle merci, intitola un paragrafo “denaro mondiale”. Ma in che senso era da intendersi allora e oggi l’espressione “mercato mondiale”?

Se è senz’altro corretto assumere la categoria di “mercato mondiale” a un livello di astrazione alto, non si possono ignorare o sottovalutare le profonde differenze, le vere e proprie stratificazioni di cui il mercato mondiale è stato ed è ancora composto a partire dalle condizioni generali della produzione e dunque anche – necessariamente – in riferimento al salario. Senza cercare di ripercorrere la storia dei differenziali salariali mondiali, va almeno tenuto presente che attorno alla metà degli anni ’90 i lavoratori specializzati dei paesi più ricchi del mondo guadagnavano in media sessanta volte di più dei lavoratori appartenenti al gruppo più povero, i braccianti dell’Africa subsahariana.

sabato 16 gennaio 2016

Immigrati, diseguaglianza, istruzione* - Maurizio Donato

*Da:  https://mrzodonato.wordpress.com/

Come è noto agli economisti e agli statistici, ci sono diversi modi di intendere la diseguaglianza economica, e di conseguenza differenti indici per misurarla. Se prendiamo in considerazione le due definizioni più importanti, quella di diseguaglianza interna ai singoli paesi e quella tra i paesi, è la seconda quella che ci mostra gli indicatori più significativi. Nascere e crescere in un paese piuttosto che in un altro fa la differenza maggiore, più che nascere e crescere relativamente povero o ricco rispetto agli altri abitanti dello stesso paese. Fondamentalmente è per questa ragione che molte persone emigrano, a parte le guerre e le dittature che naturalmente contano, eccome.

Molte è un aggettivo poco qualificativo: diciamo che all’incirca il 97% degli abitanti del pianeta Terra rimane a vivere nel paese in cui è nato. In un suo recente lavoro di ricerca, Branko Milanovic1 propone di ordinare i redditi degli abitanti di un paese confrontandoli con quello degli abitanti del Congo, il paese statisticamente riconosciuto come il più povero del mondo; nascere, vivere e restare in Congo costituisce uno “svantaggio economico” rispetto al quale una persona che vive negli Stati Uniti di America gode di una sorta di “premio di cittadinanza” che vale in media il 355%, il 329% se vivi in Svezia, la metà – ma è ancora il 164% - se si tratta del Brasile, del 32% se stai nel relativamente povero Yemen.

Concentrarsi su questa misura è dunque molto utile nei confronti internazionali, anche se non andrebbe dimenticata l’altra dimensione della diseguaglianza economica, quella interna a ogni singolo paese. Se prendiamo in esame i redditi dell’ultimo decile della popolazione (i più poveri di ogni singolo paese) vediamo che il “premio” a cui si riferisce Milanovic conta di più in alcuni casi – come la Svezia in cui sale al 367% - e meno per altri: nei confronti del Brasile il premio si “riduce” al 133%. I valori si ribaltano se prendiamo in esame il novantesimo decile (i più ricchi): il vantaggio di essere ricchi in Svezia è “solo” del 286%, mentre essere ricco in Brasile vale il 188%.

domenica 29 novembre 2015

LA FASE SUPERIORE DELL’IMPERIALISMO* - Maurizio Brignoli


Le mutazioni strutturali che caratterizzano il passaggio dalla fase multinazionale a quella transnazionale dell’imperialismo, insieme all’ultima crisi di sovrapproduzione, hanno comportato una modificazione dei processi produttivi volta a scardinare la resistenza di classe, la trasformazione dello stato nazionale e la sua subordinazione agli organi sovranazionali del capitale transnazionale e un riacutizzarsi dello scontro interimperialistico.

Dalla fase multinazionale a quella transnazionale

Il passaggio all’attuale fase transnazionale dell’imperialismo, che incomincia agli inizi degli anni ‘70 con l’esplosione dell’ultima crisi di sovrapproduzione, è caratterizzata da importanti trasformazioni strutturali rispetto a quella precedente. La fase multinazionale (1945-1971) si distingue per la realizzazione di forme di integrazione sovranazionale del capitale monopolistico finanziario (Fmi, Bm, Gatt), capaci di garantire stabilità nella lotta fra i concorrenti e di subordinare le istituzionali nazionali rendendo il capitale finanziario autonomo dalle economie nazionali. Direzione e proprietà del capitale multinazionale sono in una nazione, ma gli investimenti sono fatti in molti paesi differenti. Il capitale statunitense impone la sua forza sul mercato mondiale grazie agli investimenti diretti all’estero (ide) delle sue multinazionali e domina, attraverso i suddetti organismi sovranazionali, la comunità finanziaria internazionale, mentre la ricostruzione post-bellica gli garantisce un’egemonia sul mercato mondiale.

La forma multinazionale permette al capitale produttivo, attraverso anche un controllo finanziario centralizzato, di superare i limiti del mercato nazionale tramite un’integrazione delle fasi produttive, di circolazione e di realizzazione del plusvalore; è così possibile una localizzazione più adeguata degli impianti e il superamento della frammentazione della produzione mondiale. La ristrutturazione del sistema capitalistico basata su un’integrazione del mercato mondiale, determina il grande sviluppo dell’economia mondiale (fra il 1948 e il 1971 la produzione annua mondiale mantiene una crescita media del 5,6%), siamo in quella che Eric Hobsbawm chiama “età dell’oro” del capitalismo. Grazie a questa fase espansiva di accumulazione del capitale è possibile realizzare, tramite i sistemi di welfare state, una strategia che punta a integrare il proletariato cercando di favorire un compromesso fra le classi. Le conquiste ottenute dal proletariato sono frutto di un rapporto dialettico fra le lotte condotte nei centri dell’imperialismo negli anni ‘60 e ‘70 e la favorevole fase di espansione del modo di produzione capitalistico. Quando il ciclo accumulativo verrà meno lo “stato sociale” inizierà a essere smantellato. 

martedì 8 settembre 2015

Il valore della forza-lavoro - Maurizio Donato

Da: https://mrzodonato.wordpress.com - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo.


Nello studio dell’economia politica, sia che si faccia riferimento alla tradizione classica che ad altre prospettive teoriche, ci si imbatte in variabili che si presentano in  forma monetaria – pensiamo ai prezzi – assieme ad altre che assumono una dimensione non monetaria ma – per così dire – fisica, per  esempio la disoccupazione.
Questo non è difficile da comprendere. Le cose cambiano quando le due forme si presentano “assieme”. Cioè quasi sempre.
Se noi scriviamo
[2] v = L * w
stiamo esprimendo il capitale variabile come prodotto tra il numero dei lavoratori salariati e il salario unitario loro corrisposto. Essendo il prodotto tra una grandezza fisica (il numero dei lavoratori) e una monetaria (il salario) il risultato è una grandezza esprimibile in termini di valore che comprende in sé entrambe le categorie, nel nostro caso la massa salariale corrisposta al totale dei lavoratori. Così se si modifica v, per esempio se cresce, noi non possiamo sapere a priori se questo aumento è dovuto al numero dei lavoratori cresciuto a salario invariato, a un aumento di salario corrisposto allo stesso numero di lavoratori o a una qualche combinazione di questi fattori.
La questione si “complica” (ma solo un po’) se ammettiamo che le stesse forme di espressione delle categorie possano cambiare nel corso del tempo; per esempio il capitale variabile v, dopo essere transitato (di solito per poco tempo..) nelle tasche dei lavoratori, si trasforma in merci fisiche che, a loro volta, si trasformano nella materialissima  nostra esistenza o sopravvivenza.
E’ una trasformazione, questa ultima, in energia psico-fisica,  e questo è chiaro perché fa parte della nostra esperienza quotidiana: assumiamo cibo, acqua, aria, cultura e di questi elementi – trasformati – ci nutriamo.