La Cina reagisce con savoir-faire alla guerra commerciale. Prova, anzi, ad approfittarne per presentarsi al mondo come l’alternativa al caos economico dei dazi e la garante di una globalizzazione maggiormente condivisa. È possibile un riavvicinamento con l’UE?
Può darsi che gli obiettivi complessivi che il presidente Trump mira a raggiungere con la sua campagna dei dazi non siano del tutto chiari, ma forse si può ricorrere a quanto scrive Kroebler (Kroebler, 2025) in proposito: «lo scopo della sua guerra commerciale è quello di rimuovere i vincoli imposti dall’attuale ordine economico internazionale sull’esercizio del potere unilaterale statunitense e in particolare l’esercizio del potere da parte del presidente…quello che Trump vuole soprattutto è di mostrare la sua dominazione sul mondo e di ottenere sottomissione. I paesi che non resistono attivamente ai suoi dazi verranno graziosamente risparmiati dall’imposizione di dazi troppo elevati, il paese che osa resistergli è selvaggiamente punito…».
La “crociata” contro la Cina viene da lontano
In tale quadro un paese in particolare è sotto tiro, la Cina, ai voleri da parte di chi si crede, a torto o a ragione, il padrone del mondo. Nella sostanza, peraltro, la “crociata” di Trump su questo fronte non appare in generale certo una novità. La lotta statunitense al paese asiatico è cominciata da molto tempo e, anche se essa ha acquisito contorni decisi a partire dalla presidenza Obama, tra l’altro con il suo pivot to Asia, i segni del conflitto erano evidenti già da diversi anni prima. In ogni caso da Obama in poi abbiamo assistito a un impressionante crescendo di ostilità. Ma tale offensiva è risultata del tutto fallimentare.
Il problema di fondo è che gli Usa sono spaventati dalla Cina.
Un paese come quello statunitense che si crede eccezionale, comunque superiore a tutti gli altri, destinato a governare il mondo per volontà divina – credenza che sta alla base della stessa identità collettiva degli Stati Uniti – si trova ora a fare i conti con la realtà, a confrontarsi con il paese asiatico, che tende a collocarsi perlomeno al suo stesso livello e che mostra che anche gli Usa sono una realtà “normale” (Michael Bremmer). Un colpo terribile.
A suo tempo i primi successi cinesi, in particolare in campo tecnologico, sono stati a lungo attribuiti a Washington, al fatto cioè che essi copiassero, rubassero le tecnologie alle imprese occidentali e che comunque non sarebbero mai stati capaci di innovare in maniera autonoma, cosa che in un paese autoritario, essi pensavano, non poteva accadere, dal momento che la ricerca richiede quella libertà che sarebbe negata per definizione ai laboratori del paese asiatico. Tutte convinzioni ripetute con sicurezza anche dai nostri giornali, televisioni, rappresentanze politiche, ambienti universitari, stanchi riproduttori di messaggi scritti altrove.
Vogliamo incidentalmente ricordare, a questo proposito, che il processo di industrializzazione statunitense fu a suo tempo innescato proprio dal furto di brevetti e di macchine tessili ai danni dell’Inghilterra.
L’atteggiamento statunitense si è fortemente irrigidito a partire dal 2015, quando i cinesi hanno presentato un piano che si proponeva entro il 2025 di fare del paese una grande potenza tecnologica, che avrebbe in particolare dovuto raggiungere ed anche superare gli Stati Uniti in molti settori. Oggi si può dire che gli obiettivi prefissati in quel documento sono stati sostanzialmente raggiunti, ovviamente con qualche comprensibile differenza.
I sempre più importanti successi del paese asiatico in campo commerciale, economico, tecnologico, militare, finanziario, hanno lasciato sgomenti gli americani, che oggi sono in ogni caso pressoché unanimi, a livello politico come a quello dell’opinione pubblica, nel ritenere che l’avanzo della Cina vada combattuta in tutti i modi possibili. Ma la Cina, almeno in questo momento, non si può apparentemente battere e gli americani non vogliono accettare tale realtà o almeno cercano di nasconderla, mostrando la faccia truce di Trump.
I dazi e altre misure anticinesi del primo Trump sono falliti, mentre i divieti di Biden all’esportazione di prodotti e tecnologie avanzate verso il paese asiatico hanno solo prodotto l’effetto di spingere i cinesi a darsi ancora di più da fare nel campo delle tecnologie, cosa che non sta mancando di ottenere dei risultati, il più evidente dei quali è stato alcuni mesi fa l’annuncio di DeepSeek nel campo dell’IA, mentre qualche settimana fa la Huawei ha presentato un chip sempre per l’IA con prestazioni anche migliori dell’equivalente statunitense prodotto da Nvidia e Xiaomi sta annunciando un chip a 3 nanometri, impresa ritenuta finora impossibile senza il know-how e le strumentazioni occidentali. Più in generale, non passa settimana senza l’annuncio di qualche importante progresso tecnologico dei cinesi nei vari campi della scienza e della tecnologia.
Diversi esperti suggeriscono che tra gli obiettivi che il presidente Usa si propone con le sue iniziative ci sia quello di arrivare a mettersi d’accordo su di una nuova spartizione del mondo tra Usa, Russia, Cina, in cui ai primi spetti la parte del leone. Ci sembra a tale proposito che la Russia potrebbe trovarsi in sintonia con tale progetto, ma la Cina si rifiuterebbe invece plausibilmente di rispondere positivamente all’ipotesi; la sua visione del mondo appare assolutamente contraria a governare politicamente gli altri paesi, essendo in sostanza interessata, come in tutta la sua storia, soltanto allo sviluppo di rapporti di tipo economico.
Dall’altro lato, come suggerisce di nuovo Kroebler (Kroebler, 2025), se lo scopo della nuova guerra di Trump con la Cina è quello di costringere Pechino a inginocchiarsi di fronte al potere degli Stati Uniti, il risultato sarà soltanto quello di frustrazione e delusione.
A tal proposito, il più autorevole commentatore del Financial Times, Martin Wolf (Wolf, 2025) aggiunge che “nessun paese sano di mente dovrebbe scommettere il suo futuro affidandosi a un tale partner (Trump), specialmente contro la Cina”.
La reazione misurata di Pechino
Dunque Trump ha ad un certo punto alzato i dazi nei confronti della Cina sino al 145% in generale, con tassi ancora più elevati in certi casi. La reazione della Cina non si è fatta attendere, rispondendo a Trump colpo su colpo, portando a sua volta il livello dei dazi nei confronti degli Stati Uniti al 125%. Non è stata una reazione di panico, ma è stata abbastanza calma, improntata in generale alla fiducia nelle proprie forze (The Economist, 2025, a).
Certo, appare evidente che con tali dazi il paese sconterebbe qualche difficoltà sul fronte economico, magari con un aumento della disoccupazione, ma con la fiducia di uscirne con una vittoria politica e di immagine, apparendo la Cina come un’oasi di tranquillità e di affidabilità rispetto al caos scatenato dagli Stati Uniti, caos che ne ha minato profondamente la credibilità. La Cina afferma che stringerà le mani, non i pugni, per battere le tariffe di Trump, butterà giù i muri invece di costruire delle barriere, collegherà invece di separare, come ha dichiarato un portavoce del ministero degli esteri (Asia Financial, 2025, a).
Plausibilmente Trump sperava che la Cina si sarebbe piegata e avrebbe domandato clemenza. In realtà, secondo molti osservatori, saranno gli Stati Uniti che saranno alla fine più ansiosi di terminare il conflitto (Kristof, 2025).
Il paese si era preparato per tempo; nel 2016 le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentavano circa il 21% del totale, mentre oggi il loro peso è sceso al 13-14% (Foster e altri, 2025). Al contempo, sono aumentate quelle verso i paesi del Sud del mondo e in particolare verso quelli del sud-est asiatico. Da allora la Cina è anche molto meno dipendente sul piano delle tecnologie, dell’autonomia energetica e alimentare e appare in generale molto più forte.
Per quanto riguarda le strategie, la Cina pensa di potere eventualmente almeno in parte assorbire il colpo aumentando le vendite all’interno, utilizzando al riguardo misure appropriate, alzando anche il deficit di bilancio, azione in corso. È stato tra l’altro varato, nei primi giorni di maggio, un pacchetto di misure di stimolo all’economia (altre misure stanno seguendo), che comprende una riduzione dei tassi di interesse e un allentamento del livello delle riserve obbligatorie delle banche, delle iniezioni di liquidità, dei fondi per agevolare i consumi e l’innovazione tecnologica. Tra l’altro, i giganti del web cinesi sono in prima linea per aiutare lo sviluppo del mercato interno: Alibaba come Pinduoduo stanno investendo molte risorse a tale fine (Thibault, 2025).
Si pensa anche di aumentare le vendite negli altri paesi, cosa che peraltro appare difficile oltre certi limiti: il mondo rigurgita già di merci cinesi e nel 2024 il surplus della bilancia commerciale della Cina con il resto del mondo ha raggiunto il record di 1 trilione di dollari. Comunque, la Cina è il partner commerciale più importante di molti paesi, molto più degli Stati Uniti. Può aiutare anche una valuta più debole. Per il resto, stringeranno un poco la cinghia, se necessario: la crescita del pil quest’anno si ridurrà di un punto, probabilmente.
Ma ancora nell’aprile del 2025, dopo l’entrata in vigore dei dazi di Trump, le esportazioni cinesi sono aumentate dell’8,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono fortemente diminuite le spedizioni verso gli Stati Uniti (-21,0%), ma sono aumentate quelle verso il Sud-Est asiatico, il Medio Oriente e, in misura minore, verso l’UE.
Intanto la Cina minaccia contromisure contro i paesi che negoziano con gli Stati Uniti nel caso in cui stringessero un accordo a spese della Cina (Davidson, 2025).
Un’ondata di patriottismo sta toccando la Cina e anche i suoi esportatori e non sarà facile smontarla (Asia Financial, 2025, b). Per il resto, si attendeva una qualche marcia indietro di Trump. Cosa che almeno in parte è già avvenuta.
Così, il 10 e 11 maggio i rappresentanti dei due paesi si sono riuniti in Svizzera ed hanno concordato una tregua, riducendo sostanzialmente per 90 giorni il livello dei dazi rispettivi. Si ignora del tutto come le cose evolveranno nelle prossime settimane, ma si può scommettere che la Cina ne uscirà vittoriosa, anche se Trump dichiarerà di aver vinto lui. Ma intanto comunque il mondo sembra non sopportare le montagne russe del presidente Usa.
Nel 2024 la Cina ha avuto un surplus commerciale con gli Stati Uniti di quasi 300 miliardi di dollari; il 13-14% delle sue esportazioni sono andate in Usa. Ma la Cina può sostituire le sue importazioni dagli Usa più facilmente di quanto possano fare gli Usa; le esportazioni USA-Cina sono molto concentrate in agricoltura, prodotti a basso valore aggiunto (anche se bisogna ricordare anche gli aerei) che possono essere sostituiti, ad esempio, con quelli brasiliani, mentre le esportazioni cinesi, (elettronica, macchine, minerali lavorati), sono per una parte molto consistente ad alto valore aggiunto e difficilmente sostituibili (Foster e altri, 2025), almeno a breve termine.
Per molti Trump ha delle carte in mano più deboli di quelle di Xi e più a lungo Trump tarderà a riconoscere tale fatto più gravemente gli Usa perderanno. Il pensiero di Trump è che gli Usa esportano in Cina molto meno di quanto essi non importino. Ma gli americani vogliono i prodotti cinesi. Così se essi diventeranno più cari o scompariranno dagli scaffali essi ne soffriranno. Devono sperare che l’estate non sia troppo calda, perché l’80% dei condizionatori e il 75% dei ventilatori vengono dalla Cina. E i prodotti di Natale, le bambole, gli arredi degli alberi, i passeggini e le biciclette hanno la stessa origine. La Cina produce poi il 50% degli ingredienti che vanno negli antibiotici mentre diversi armamenti richiedono le terre rare cinesi (Rachman, 2025). In più, nei prossimi mesi, se si prolungasse la guerra commerciale, larghe parti dell’industria statunitense potrebbero chiudere, con i prezzi dei beni intermedi che salirebbero e la fornitura delle terre rare e di altri input che si prosciugherebbero (Feizi, 2025).
Per altro verso, lo shock determinato da Trump sta spingendo la Cina a riallocare ancora più velocemente le risorse verso le tecnologie a più alto valore, più avanzate; in effetti l’innovazione e il controllo delle tecnologie chiave è la miglior difesa contro i dazi. La Cina sta mettendo a punto un nuovo modello di catene di fornitura: produzione su base regionale, sovranità tecnologica (Keyu Jin).
L’arma cinese delle terre rare
I cinesi hanno in effetti un’arma potente nelle loro mani, quella delle 17 terre rare, di cui essi controllano l’estrazione e ancora di più la lavorazione. La Cina potrebbe essere paragonata a una sorta di OPEC delle terre rare (Kristof, 2025; The Economist, 2025, b). Esse sono elementi essenziali per la produzione di batterie, energie rinnovabili, smartphone, prodotti medicali, armi. Si tratta di produzioni che trovano molto difficilmente dei prodotti sostitutivi e di cui il paese, come ritorsione ai dazi, sta bloccando la fornitura. Le imprese e le altre organizzazioni occidentali posseggono certo delle riserve accumulate nel tempo, ma esse potranno durare soltanto qualche mese. Un solo aereo F-35 Contiene circa 450 chili di terre rare e un sottomarino più di quattro tonnellate. La messa al bando cinese colpirà duramente gli Stati Uniti che tra l’altro non possiedono le tecnologie per la loro lavorazione sofisticata, anche se al livello monetario sembra trattarsi di poca cosa (il paese importa dalla Cina tali prodotti per una cifra di circa 170 milioni di dollari).
Inoltre, la Cina ha bloccato le consegne alle compagnie aree cinesi di nuovi aerei Boeing, anche se poi il provvedimento è stato sospeso in attesa dei risultati delle trattative in atto. I cinesi potrebbero ancora arrestare la loro collaborazione sui narcotici e l’esportazione di medicine contro il cancro e i problemi cardiovascolari.
Alla fine dei conti, una recessione appare più probabile negli Stati Uniti piuttosto che in Cina.
È possibile un riavvicinamento con la UE?
In tale situazione la Cina sta tentando un riavvicinamento all’UE (Global Times, 2025), riavvicinamento complicato da vari fattori, tra cui la tradizionale ostilità dei gruppi dirigenti dell’UE, a partire dalla von der Leyen, pilotati in gran parte da Washington, dall’appoggio della Cina alla Russia, dall’esistenza di un grande deficit commerciale della stessa UE verso la Cina (deficit che nel 2024 si collocava intorno ai 274 miliardi di dollari). In ogni caso, i contatti sono in corso, mentre Bruxelles ha perlomeno allentato i toni di ostilità (la von der Leyen ha dichiarato che i due soggetti devono lavorare insieme per assicurare stabilità e prevedibilità all’economia globale, McMorrow e altri, 2025), mentre i vari paesi della UE sono molto divisi al loro interno, con il primo ministro spagnolo che sta sviluppando al massimo i rapporti con il pese asiatico, le grandi aziende tedesche sullo stesso fronte, mentre l’Italia si mostra invece sempre obbediente a chi governa a Washington.
Molto dipenderà dalle trattative in corso tra UE e Usa; c’è qualche possibilità che esse finiscano con un nuovo atto di sottomissione dell’UE, cosa che potrebbe comprendere qualche allentamento dei legami con la Cina, ma si tratterebbe di un autogol, che per il momento a Bruxelles escludono. In mancanza di un accordo con gli USA allora sarebbe inevitabile stringere il legami con il paese asiatico, accordo che però plausibilmente gli Usa cercherebbero di impedire a costo far andare in pezzi la costruzione europea (Tsukanov, 2025). In ogni caso, i paesi dell’UE rischiano di uscire molto male dall’affare.
La Gran Bretagna si è piegata al Padrino
Intanto la Gran Bretagna ha firmato un accordo commerciale con gli Stati Uniti, primo paese a farlo. Ma, come suggerisce un articolo del Financial Times (Beattie, 2025), il patto è in realtà più vicino a un pizzo pagato a un boss della mafia che ad un accordo tra paesi sovrani. Si tratta, tra l’altro, di un accordo parziale e provvisorio e non c’è garanzia che gli Usa non richiedano più tardi ancora di più. Esso appare per lo meno molto ambiguo per quanto riguarda i rapporti della Gran Bretagna con la Cina. Per altro verso, una volta pagata una rata del pizzo, non ci si libera più del mafioso. D’altro canto, l’accordo pone un cuneo tra la Gran Bretagna e l’UE e rafforza in qualche modo la Brexit.
I rapporti con il sud-est asiatico e con l’India
L’Asia del Sud-Est è tra le regioni più colpite dai dazi di Trump, anche per gli stretti rapporti economici da essa intrattenuti con la Cina. Essa è presa tra due fuochi, dal momento che la gran parte dei paesi della regione esporta molto negli Stati Uniti. D’altra parte, la Cina da molti anni porta avanti una strategia di legami sempre più stretti con la regione. Nel 2024 l’interscambio tra la Cina e i paesi dell’Asean ha raggiunto i 953 miliardi di dollari, contro i 582 con gli Stati Uniti (The Economist, 2025, c). La Cina sta sviluppando le consultazioni con i paesi dell’area sia con visite dirette sia con i consueti canali di comunicazione. Non sappiamo a oggi i risultati di tali rapporti. Appare in ogni caso molto difficile che tali paesi accettino di allentare i rapporti con Pechino. In ogni caso, se costretti da Trump a scegliere tra Cina e Stati Uniti, essi, che pure cercano da sempre di non schierarsi, sarebbero a denti stretti portati a privilegiare la prima.
In Asia bisognerà sorvegliare da vicino quale indirizzo prenderà l’India, che peraltro, mentre si mostra sempre molto amichevole nei suoi rapporti con gli Stati Uniti, tiene contemporaneamente a mantenere dei legami abbastanza stretti con i paesi del Sud del mondo. Prima dell’avvento di Trump l’India e la Cina stavano portando avanti un processo di riavvicinamento dopo gli incidenti bellici di qualche anno fa, processo che, pensiamo, il primo paese non abbia molto interesse a interrompere.
Intanto l’amministrazione americana segnala il suo sganciamento dall’Africa. Molte incertezze riguardano l’America Latina, portata da tempo commercialmente verso la Cina, ma su cui le pressioni di Trump si riveleranno molto forti.
Il consulente per la politica estera del presidente brasiliano, Celso Armorim, ha dichiarato che la Cina e i paesi in via di sviluppo sono oggi i principali difensori del sistema commerciale multilaterale e che la Cina e i partner del gruppo dei Brics sono per la cooperazione internazionale; egli fa intravedere che Brasilia spingerà per una cooperazione più stretta tra i paesi del gruppo (Stott, Pooler, 2025).
La nuova realtà del mondo multipolare
I diversi presidenti che si sono succeduti alla guida degli Usa sono da molto tempo all’attacco della Cina in forme sempre più brutali, ma i risultati sono sino a oggi modesti e il paese asiatico diventa sempre più forte; dopo il plausibile fallimento del nuovo tentativo di Trump quale arma resterà in mano agli Stati Unti per combattere quello che vedono come un avversario esistenziale?
Tutti si attendono e sperano in un accordo tra i due rivali, senza il quale il mondo si avvierebbe verso sentieri molto incerti. Un possibile risultato potrebbe essere comunque quello di un isolamento degli Usa, non solo in campo economico. In ogni caso, il tentativo di Trump di dividere nettamente il mondo in due blocchi non dovrebbe riuscire. Il problema è che le classi dirigenti del paese non riescono a rassegnarsi alle nuove realtà del mondo.
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