sabato 14 giugno 2025

Wang Wen: La Cina Sta Costruendo un Nuovo Ordine Mondiale


Nel corso di una lunga intervista con Glenn Diesen, Wang Wen esplora i «mutamenti secolari storici» in atto a livello geopolitico, tecnologico e istituzionale, illustrando come la Cina intenda guidare una profonda transizione globale ordinata verso il nuovo equilibrio mondiale.

                                                                           

Il 2 giugno 2025, Wang Wen, direttore dell’Istituto di Ricerca Finanziaria Chongyang e dell’Accademia di Leadership Globale presso l’Università del Popolo della Cina, ha rilasciato un’intervista su YouTube a Glenn Diesen, professore di Relazioni Internazionali alla Southeast University of Norway e noto politologo. Nel corso del dialogo sono stati approfonditi temi quali la storica trasformazione dell’ordine mondiale, la ricostruzione del sistema internazionale e il significato globale del grande risveglio della nazione cinese. Dopo la sua pubblicazione online, l’intervista ha rapidamente catturato l’attenzione mondiale ed è stata tradotta in otto lingue diverse, tra cui spagnolo, russo, francese, tedesco, portoghese, italiano e giapponese. Ad oggi ha raccolto oltre 300 commenti internazionali. Utenti provenienti da background culturali differenti hanno intrapreso vivaci discussioni sul percorso di sviluppo cinese e sull’innovazione nella governance globale. Di seguito trovate raccolti e tradotti in italiano i contenuti originali dell’intervista e il video sia in inglese che in italiano.

Glenn Diesen: Ciao a tutti e benvenuti. Oggi sono insieme a Wang Wen, professore e direttore dell’Istituto di Studi Finanziari Chongyang presso l’Università del Popolo della Cina. Lei è anche vicedirettore della Silk Road School, oltre a ricoprire numerosi altri incarichi. Non so come faccia a gestire tutto così brillantemente, complimenti e, naturalmente, benvenuto al programma.

Wang Wen: Grazie, professor Diesen. È da tanto che non ci vediamo. Sono molto onorato di partecipare al suo programma.

Glenn Diesen: Grazie. L’argomento di cui voglio discutere con lei è, ovviamente, l’ascesa della Cina, che credo stia plasmando in questo momento il sistema internazionale. Pensavo di cominciare con una citazione pronunciata circa due anni fa, quando Xi Jinping disse a Vladimir Putin: “In questo momento stanno avvenendo cambiamenti — che non si vedevano da cento anni — e siamo noi a guidare insieme questi cambiamenti”. Anche questa affermazione richiamò l’attenzione di molti. Ma come interpreta lei questa era trasformativa in cui viviamo, dato che i cambiamenti sono enormi? E ovviamente la Cina ne è protagonista centrale.

Wang Wen: In realtà non fu la prima volta che il Presidente Xi parlò dei cosiddetti “grandi cambiamenti che non si vedevano da secoli”. Se torniamo alla fine del 2017, il Presidente Xi Jinping, durante un incontro di lavoro con inviati stranieri, presentò per la prima volta il concetto di “Bǎi Nián Biàn Jú” — “grandi mutamenti che non si vedevano da secoli”. Da allora questa espressione è diventata il giudizio più classico sull’attuale situazione espresso dai decisori cinesi.

Come ha osservato, in Cina negli ultimi cinque‑sette anni sono state pubblicate migliaia di analisi su cosa sia questo “grande cambiamento secolare”. Nel 2020, insieme a un collega, ho pubblicato un libro intitolato Profound Changes Unseen in Centuries, che in seguito è diventato un bestseller in Cina. Ho scritto anche un articolo accademico su questo tema, ricevendo un’ampia risonanza nella comunità scientifica cinese: è diventato uno dei lavori più rappresentativi sull’argomento.

La mia comprensione di questi “mutamenti secolari senza precedenti” differisce da quella di molti. Non mi focalizzo unicamente sul “secolo” in sé, perché la formulazione di Xi non specifica quanti secoli. A mio parere, possiamo distinguere almeno cinque livelli o concetti di “mutamento secolare”.

1. Il “grande cambiamento che non si vedeva da cinquecento anni”. Dal XVI secolo, con l’ascesa dell’Occidente nell’Età delle Scoperte, la civiltà occidentale ha vissuto un declino senza precedenti negli ultimi 500 anni.

2. Il “grande cambiamento che non si vedeva da quattrocento anni”. Dalla rivoluzione meccanica del XVII secolo, abbiamo attraversato tre rivoluzioni scientifico‑tecnologiche — meccanizzazione, elettrificazione, informatizzazione — che liberavano arti e sensi. Ora la rivoluzione dell’IA libera il cervello umano, un evento senza precedenti negli ultimi 400 anni.

3. Il “grande cambiamento che non si vedeva da trecento anni”. Dal XVIII secolo il sistema politico democratico occidentale ha iniziato un declino senza precedenti. La democrazia è indubbiamente un valore, ma lo stile di democrazia statunitense oggi appare obsoleto e necessita di un aggiornamento.

4. Il “grande cambiamento che non si vedeva da duecento anni”. Dal XIX secolo il modello accademico occidentale, con la compartimentazione delle università in discipline, mostra una crisi profonda: l’economia fatica a spiegare i fenomeni economici, la scienza politica quelli politici, la sociologia quelli sociali… È in corso una ristrutturazione epocale delle scienze sociali.

5. Il “grande cambiamento che non si vedeva da cento anni”. Un secolo fa il sistema internazionale era incentrato sull’Atlantico del Nord. Oggi il baricentro del potere si sta spostando verso il Pacifico occidentale.

In sintesi: cambiamento di civiltà mai visto da 500 anni, tecnologico da 400, istituzionale da 300, conoscitivo da 200 e geopolitico da 100 anni. Certo, alcuni riducono questi “cambiamenti secolari” al solo declino dell’Occidente o degli Stati Uniti, ma questo è solo un aspetto di un’evoluzione molto più complessa, che interessa potere, tecnologia, conoscenza, istituzioni e civiltà. Se si vuole capire il pensiero cinese attuale, è da qui che si deve partire.

Glenn Diesen: È importante avere questa visione ampia, perché spesso ci si concentra solo sulla guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, con l’idea ristretta di quale economia supererà l’altra, ignorando i 500 anni di integrazione globale, le connessioni finanziarie e i molteplici cicli di rivoluzioni industriali. Automatizzare la cognizione è davvero un fenomeno inedito.Vorrei però spostarci più specificamente sulla Cina: dato che tutti questi grandi cambiamenti avvengono simultaneamente, come si traducono in obiettivi e priorità di politica estera cinesi? Cosa cerca di promuovere la Cina? Dal suo punto di vista, quali sono le priorità, considerando che è nell’interesse cinese che queste trasformazioni avvengano in modo ordinato e pacifico?

Wang Wen: È una domanda cruciale per comprendere la Cina odierna. Però va detto che l’obiettivo principale della politica estera cinese non è cambiato: è il grande risveglio della nazione cinese.

Se si ripercorrono gli ultimi cento anni di storia cinese, si comprende quanto forte sia il desiderio di rinascita nazionale. Dalla Prima Guerra dell’Oppio del 1840 quasi tutte le potenze occidentali – Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, perfino l’Austria e truppe indiane – invasero la Cina; nel XX secolo la invase il Giappone e, dal 1931 al 1945, la guerra contro il Giappone costò oltre 30 milioni di vittime. A Nanchino, nel dicembre 1937, in sei settimane furono massacrati 300.000 civili cinesi. È un ricordo drammatico, che ogni cinese impara fin dalla scuola elementare: la storia ha insegnato che chi è debole verrà picchiato. Bisogna diventare forti.

Nel 1949 Mao Zedong proclamò da Piazza Tian’anmen: “Il popolo cinese si è levato in piedi”. Da allora, nei 76 anni successivi, la Cina ha lavorato per la rinascita nazionale, diventando la seconda economia mondiale e non rinunciando a quel sogno.

Ma la Cina non vuole essere una nazione vendicativa né ripetere il vecchio modello secondo il quale “il forte è egemone” o “i forti opprimono i deboli”. Alcuni, soprattutto in Occidente, temono che una Cina forte diventi aggressiva: è un riflesso dei loro stessi sanguinosi trascorsi.

Si dice spesso che sotto Mao la Cina risolse il problema di “essere colpita”, con Deng Xiaoping quello di “essere affamata”, mentre sotto Xi Jinping è tempo di risolvere quello di “essere insultata”, cioè di conquistare maggior rispetto internazionale.

Per questo la Cina ha lanciato la Belt and Road Initiative, l’Iniziativa per lo Sviluppo Globale, quella per la Sicurezza Globale, per la Civiltà Globale e promuove la costruzione di una Comunità dal Destino Condiviso per l’Umanità, sperando che una Cina forte venga trattata con maggior rispetto.

Oggi la priorità della politica estera cinese è quindi contribuire al futuro del mondo attraverso la cooperazione e, quando necessario, il confronto, per ottenere rispetto e realizzare la rinascita nazionale. La cooperazione resta il traguardo, il confronto un metodo quando si è costretti. Così la Cina collabora con tutti i paesi, Stati Uniti inclusi, quando possibile, e contrattacca quando subisce azioni di contenimento.

Glenn Diesen: È importante capire come la sconfitta e la distruzione della Cina nella metà del XIX secolo abbiano inciso sulla sua coscienza nazionale e sui modelli di sviluppo. Curiosamente, nello stesso periodo la Russia visse esperienze simili: nel 1853 Francia e Gran Bretagna invasero la Crimea, costringendola a un’industrializzazione accelerata. Ma oggi sembra che il partenariato strategico più rilevante per il nuovo sistema internazionale sia quello sino‑russo. Qual è, secondo lei, la natura di questo rapporto e su quali basi poggia la sua sostenibilità?

Wang Wen: È una domanda molto popolare. Molti media occidentali descrivono Cina e Russia come “alleati”, ma in teoria delle relazioni internazionali questa etichetta è riduttiva: i rapporti tra paesi non si esauriscono in alleati, avversari o nemici.

Nel discorso diplomatico cinese si parla di relazione tra “buoni amici, buoni partner, buoni vicini, senza creare piccole cerchie”. I primi tre aggettivi si comprendono, ma il quarto – “senza piccole cerchie” – manca nei modelli occidentali: significa non designare nemici immaginari per costruire alleanze esclusive. La cooperazione Cina‑Russia è volta al loro sviluppo comune, frutto di ragione e fiducia reciproca.

Un dettaglio simbolico: il confine tra i due paesi supera i 4.000 km, ma da circa quindici‑vent’anni non vi sono truppe di frontiera, risparmiando ingenti spese militari. Se avessero invece creato un’alleanza militare contro terzi, il mondo rivivrebbe la Guerra Fredda o peggio.

Alcuni insinuano che la cooperazione commerciale Cina‑Russia equivarrebbe al sostegno cinese all’invasione dell’Ucraina: è un’assurdità. Non si può confondere il libero scambio legale tra due Stati sovrani con l’appoggio a “operazioni militari speciali”.

Per capire davvero il rapporto sino‑russo servono più conoscenze e saggezza, non gli schemi obsoleti delle relazioni internazionali occidentali.

Glenn Diesen: Lei ha parlato degli sforzi statunitensi per danneggiare l’economia cinese e della necessità di reagire. Questo mi porta all’ultima domanda: gli Stati Uniti dichiarano ormai apertamente di voler bloccare l’ascesa cinese, più volte hanno minacciato il settore tecnologico e, in prospettiva, potrebbero ostacolare le vie marittime e i corridoi di trasporto nel Pacifico. Come vede l’evoluzione della guerra commerciale? La Cina è in grado di rispondere, di adattarsi, di contrattaccare?

Wang Wen: Professor Diesen, lei è un esperto di relazioni internazionali e sa tutto questo già molto bene. Le offro il punto di vista di uno studioso cinese. Il fatto che gli Stati Uniti utilizzino principalmente la tecnologia e la finanza per contenere la Cina dimostra il loro declino: non osano più usare mezzi militari, segno della solidità della difesa cinese.

Già all’inizio di quest’anno ho pubblicato due articoli dall’ampio impatto internazionale: “Perché gli Stati Uniti non possono vincere la guerra commerciale con la Cina” e “Grazie Trump per aver reso la Cina di nuovo grande”, quest’ultimo ripreso da testate in quasi venti paesi. I fatti confermano le mie previsioni.

Dal primo scontro commerciale e tecnologico lanciato da Trump nel 2018 sono trascorsi sette anni. Trump non ha spezzato le relazioni commerciali bilaterali né ridotto l’eccesso di surplus cinese, né ha sconfitto Huawei: il commercio annuale rimane oltre i 650 miliardi di dollari, superiore al 2018, e il surplus cinese si aggira ancora intorno ai 400 miliardi. Huawei oggi è più forte di allora. Trump è stato dunque sconfitto.

Anche in questa legislatura la pressione è aumentata, ma il metodo fallirà di nuovo perché l’industria manifatturiera cinese è fortissima: la sua produzione vale il doppio di quella statunitense, pari al 30 % dell’output mondiale, e metà dei beni che gli Stati Uniti importano dalla Cina non ha alternative migliori. Gli Stati Uniti hanno più bisogno della Cina, non viceversa.

Ammetto che la guerra commerciale esercita una pressione esterna, ma i cinesi sono uniti e resistenti. Da un lato la Cina cerca nuovi mercati nell’ASEAN, in America Latina, Africa, Medio Oriente, Russia, Asia centrale; dall’altro intensifica la domanda interna. Faccia due conti: il risparmio medio pro capite è di 110.000 yuan, circa 14.000 dollari, e l’export verso gli Stati Uniti è di circa 500 miliardi di dollari; se ogni cinese spendesse in più 350 dollari l’anno, assorbiremmo interamente le esportazioni statunitensi.

Al contrario, gli Stati Uniti sono divisi e lacerati da forti contraddizioni interne. Il mio giudizio non cambia: gli Stati Uniti perderanno di nuovo questa guerra commerciale.

Glenn Diesen: Sembra davvero che la Cina stia riuscendo a diversificare e a reagire. Avrei voluto parlare anche dei BRICS, ma abbiamo esaurito il tempo. Spero di riaverla presto e di discuterne allora. La ringrazio moltissimo per il suo tempo, è stato un piacere.

Wang Wen: Grazie, dottor Diesen. È troppo modesto. So che lei sa tutto questo; io ho condiviso solo il punto di vista cinese. La ringrazio ancora e spero di incontrarla di nuovo in qualsiasi Paese, l’aspettiamo a Pechino.

Glenn Diesen: Non vedo l’ora. Ci vediamo comunque a settembre. 

                                                         VIDEO ORIGINALE IN INGLESE

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