lunedì 18 gennaio 2021

I paradossi del tempo - Remo Bodei

Da: Festivalfilosofia - Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e accademico italiano.

                                                                           

domenica 17 gennaio 2021

"LA PARABOLA DEL COMUNISMO" - Angelo D'Orsi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Leggi anche: STORIA DEL MARXISMO - Andras Hegedus -

Sull' URSS - Marcello Grassi

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.

                                                                           

martedì 12 gennaio 2021

Chi si ricorda dei prigionieri di Guantánamo? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.

Leggi anche: La battaglia delle idee: come è stata costruita l’egemonia statunitense - Alessandra Ciattini

Il processo a Julian Assange - Alessandra Ciattini

Assange è Colpevole di Aver Rivelato al Mondo Intero l'Anima Malvagia dell'Imperialismo a Stelle e Strisce - Federico Pieraccini 

Assange in Tribunale - Craig Murray



Benché siano ormai stati dimenticati ci sono ancora 40 prigionieri rinchiusi nel carcere di Guantánamo con l’accusa di essere dei terroristi, e ancora non si conosce la loro sorte.



Prima della buona notizia del 4 gennaio, nonostante tutto qualcuno aveva ricordato che quel giorno ci sarebbe stata una sessione del tribunale britannico che avrebbe dovuto decidere della sorte di Julian Assange, debilitato nello spirito e nel corpo, e che probabilmente non avrebbe potuto nemmeno partecipare all’udienza, dalla quale del resto erano esclusi anche giornalisti e osservatori. Addirittura, nei giorni passati il governo tedesco aveva invitato il Regno Unito a rispettare gli obblighi umanitari nel processo, il cui obiettivo era costituito dall’estradizione del fondatore di Wikileaks negli Stati Uniti dove lo aspettavano 175 anni di carcere per aver rivelato cosa si cela dietro il potere e la cosiddetta esportazione della democrazia. Infatti, il commissario tedesco per i diritti umani Barbel Kofler aveva dichiarato che le modalità del processo destavano molte preoccupazioni e che gli aspetti umanitari della questione non dovevano essere trascurati, riferendosi in particolare allo stato fisico e mentale del giornalista australiano, sulla cui salute continuerà a tenersi informato. 

Abbiamo appreso con somma gioia che il tribunale londinese ha respinto la richiesta dell’estradizione di Assange da parte degli Stati Uniti con la motivazione che la sua reclusione nelle prigioni di quel paese, molte delle quali gestite da privati, potrebbe spingerlo al suicidio. I suoi difensori hanno dichiarato che chiederanno la libertà su cauzione del loro assistito, mentre l’amministrazione statunitense presenterà sicuramente un ricorso contro la sentenza. Da notare che le motivazioni della sentenza, e per questo difficilmente questionabili, sono esclusivamente mediche e che non si fa riferimento alla questione della libertà di espressione.

In altre occasioni abbiamo ricordato che in realtà il democratico occidente tiene nelle sue carceri prigionieri politici e che spesso questi ultimi passano attraverso i centri di detenzione clandestini della Cia, fondata nel 1947, quando la grande alleanza antifascista e antinazista si era sfasciata e si avviava la politica della “guerra fredda”, invero preparata fin dal 1943. Tra questi prigionieri politici debbono essere annoverati anche coloro che furono arrestati dopo il celebre e discusso attentato al World Trade Center di New York.

lunedì 11 gennaio 2021

KEYNESISMO E MARXISMO A CONFRONTO SU DISOCCUPAZIONE E CRISI - Domenico Moro

 Da: https://www.lordinenuovo.it - DOMENICO MORO è ricercatore presso l’Istat, dove si occupa di indagini economiche strutturali sulle imprese. Ha lavorato nel settore commerciale di uno dei maggiori gruppi multinazionali mondiali ed è stato consulente della Commissione Difesa della Camera dei deputati.

Leggi anche: Come va l’economia? Ne parliamo con Domenico Moro

L’esplosione del debito pubblico senza un prestatore di ultima istanza - Domenico Moro

CATASTROFE O RIVOLUZIONE - Emiliano Brancaccio

La Modern Monetary Theory - Intervista a Marco Veronese Passarella

INTERVISTA A VLADIMIRO GIACCHÉ - Bollettino Culturale

L’impatto della crisi su povertà e disuguaglianze* - Francesco Schettino

Cosa significa socialismo nel XXI secolo e cos'è lo Stato socialista? - Stefano G. Azzarà

Vedi anche: INTERVISTA A RICCARDO BELLOFIORE - Bollettino Culturale 


La crisi del Covid-19 ci pone davanti ad un aumento della disoccupazione di massa. Secondo l’Istat nel III trimestre del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, gli occupati sono diminuiti di 622mila unità (-2,6%), fra questi i dipendenti sono diminuiti di 403mila unità e gli indipendenti di 218mila unità. I disoccupati[1] sono invece aumentati di 202mila unità (+8,6%) raggiungendo la cifra di 2milioni 486mila. Anche gli inattivi – cioè quelli che comprendono i cosiddetti “scoraggiati” che neanche provano a cercare lavoro – sono cresciuti di 265mila unità (+2%)[2]. Bisogna, inoltre, aggiungere che l’aumento dei disoccupati e degli inattivi avviene in un contesto di blocco dei licenziamenti. Ad essere state colpite dall’aumento della disoccupazione sono state, fino ad ora, le figure precarie dei lavoratori a tempo determinato. Secondo alcune stime[3], l’eliminazione del blocco dei licenziamenti potrebbe generare un milione di disoccupati in più, portando il loro numero totale a oltre 3,5 milioni, una cifra impressionante, che metterebbe a dura prova non solo la tenuta del welfare ma anche la tenuta sociale e politica del sistema.

Comunque, la situazione occupazionale italiana era tutt’altro che rosea anche prima del Covid-19. L’economia italiana è stata una delle più lente nella Ue a recuperare dalla crisi precedente. Nel 2019, il numero degli occupati (22milioni 687mila) era ancora leggermente inferiore al picco pre-crisi, registrato nel 2008 (22milioni 698mila)[4]Anche nel confronto con il resto della Ue la situazione italiana è tra le peggiori: il tasso di occupazione (15-64 anni) in Italia nel 2019 era del 59%, mentre era del 68,4% nella Ue a 27 e del 68% nell’area euro, con la Germania al 76,7%, la Francia al 65,5%, e la Spagna al 63,3%[5].

Di fronte a questi dati appare chiaro quanto il tema della disoccupazione sia fondamentale nello scenario politico italiano. Per questo è importante avere una chiara visione teorica della disoccupazione e delle sue cause. A tale scopo partiamo dalla teoria borghese mainstream che individua come causa principale della disoccupazione la rigidità del mercato del lavoro, ossia la difficoltà a ridurre il costo del lavoro e i salari.

I neoclassici e la critica keynesiana 

sabato 9 gennaio 2021

- Dossier Cina -

 Da: http://lnx.retedeicomunisti.net - https://contropiano.org 

Leggi anche: Come usare il capitalismo nell'ottica del socialismo - Deng Xiaoping 

Egemonia come direzione o come dominio? - Tian Shigang
Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping
Una teoria del miracolo cinese*- Cheng Enfu, Ding Xiaoqin
- La Nuova Era cinese tra declino Usa e debolezze Ue - 

Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 

“Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 

Vedi anche: LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci

OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO? 



Proponiamo nel presente volume i materiali raccolti sulla Repubblica Popolare Cinese negli scorsi mesi, e pubblicati sul sito della Rete dei Comunisti nella sezione “DOSSIER CINA”.

Tali contributi, tradotti e preceduti da una nostra introduzione, spaziano fra diversi temi: dal ruolo dell’agricoltura nel modello cinese all’importanza del processo di internazionalizzazione del Renmimbi, dagli investimenti cinesi in Africa e in Sud-America all’evoluzione del ruolo dell’Esercito Popolare di Liberazione. Senza pretesa di esaustività in nessuno dei temi trattati, riteniamo i seguenti articoli degli spunti di riflessione interessanti per cominciare una riflessione sull’evolversi del ruolo della Repubblica Popolare all’interno della fase storica che stiamo attraversando.

Per facilitare la consultazione proponiamo di seguito l’indice dei capitoli che vanno a formare questo e-book, in cui dopo il titolo e gli autori abbiamo aggiunto una brevissima sintesi che inquadra il contenuto dei diversi articoli. 

Gruppo Internazionale Rete dei Comunisti

venerdì 8 gennaio 2021

Social? Soggetti in rete, oggetti nella realtà - Paolo Ercolani

Da: Festivalfilosofia - Paolo Ercolani (www.filosofiainmovimento.it) insegna filosofia all'Università di Urbino Carlo Bo.

I mass media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto*- Paolo Ercolani 

(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica - Zbigniew Brzezinski (1968) https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html

                                       L’io prevale sul noi? In che modo si costruisce la soggettività nei social media?

                                                                         

giovedì 7 gennaio 2021

La Teoria del Circuito Monetario: Tutto Quello che So (o Quasi) - Marco Veronese Passarella

 Da: https://www.marcopassarella.it/it - Marco Veronese Passarella è docente di economia presso la Leeds University.

Leggi anche: L’Italia prima e dopo l’euro* - Augusto Graziani

Riabilitiamo la teoria del valore* - Augusto Graziani 

Moneta, finanza e crisi. Marx nel circuito monetario* - Marco Veronese Passarella 

Finance Matters! Genesi e sviluppo della Teoria del circuito monetario in Italia - Tesi di Dottorato Marco Veronese Passarella (https://www.marcopassarella.it/wp-content/uploads/TesiDottorato.pdf?fbclid=IwAR3aq4L5hFd-0mTFVH1MMzqK6gTiG3T4-E8gZ5shj8b6LMY1xmdRDcADTA4)

Un economista ‘inattuale’: Augusto Graziani, o dell’economia critica come vera conoscenza. - Riccardo Bellofiore

Augusto Graziani: la scienza moderna delle classi sociali. - Emiliano Brancaccio -

Augusto Graziani, l’uomo che ha davvero capito la moneta - Steve Keen

Vedi anche: Lo SME - Augusto Graziani – 9/11/1994

Augusto Graziani e la Teoria Monetaria della Produzione*- Giorgio Gattei 

La Modern Monetary Theory - Intervista a Marco Veronese Passarella

keynes-ma-chi-era-costui-marco-veronese.html 

Ricorre oggi (5/01/2021) l’anniversario della morte di Augusto Graziani, uno dei più eminenti economisti italiani del novecento e padre del filone teorico eterodosso noto come teoria del circuito monetario (TMC). Benché apparentemente semplice ed intuitiva, la TCM nasconde alcune insidie interpretative che nel tempo hanno dato adito a fraintendimenti e ne hanno depotenziato il messaggio originario. Le brevi note che seguono hanno lo scopo di contribuire a fare chiarezza su alcuni punti chiave della TCM. Con l’avvertenza che si tratta di considerazioni personali sparse, senza alcuna pretesa di esaustività. (M.V.P.)

Che cosa la TCM di Augusto Graziani mi ha insegnato

Che un’economia monetaria di produzione, o economia capitalistica, è composta necessariamente da tre macro-classi sociali: imprese (o capitalisti industriali), lavoratori salariati e banche (o capitalisti finanziari).

Che in tale sistema la moneta è un rapporto sociale triangolare in cui le passività di un soggetto terzo, la banca, vengono accettate come mezzo di regolamento degli scambi tra due contraenti (impresa vs salariati o imprese vs imprese).

Che le imprese hanno bisogno di un finanziamento iniziale per dare avvio al processo complessivo di produzione e di scambio.

Che tale finanziamento è moneta-credito creata ex nihilo dal sistema bancario, non necessitando alcuna previa accumulazione di fondi prestabili o risparmi (o, detto diversamente, è l’erogazione di prestiti che genera depositi, non viceversa).

Che nuova moneta viene creata quando la banche accreditano il conto corrente delle imprese, e distrutta quando le imprese ripagano i propri debiti con le banche.

Che il finanziamento ex ante deve necessariamente coprire i piani di produzione delle imprese (dunque sia produzione di beni di consumo che produzione di beni capitale), sebbene ciò che residua ex post sia sempre la parte di investimenti non coperta con fondi interni o nuove emissioni di titoli.

Che i fondi raccolti mediante collocazione di titoli sui mercati finanziari, essendo null’altro che una delle forme assunte dal risparmio dei salariati, seguono sempre logicamente la creazione di moneta bancaria e non possono dunque sostituirsi ad essa – rappresentando, invece, uno dei canali del finanziamento finale delle imprese.

Che, in modo analogo, il credito al consumo deve essere logicamente collocato in fase di chiusura del circuito – essendo un altro canale di finanziamento finale delle imprese – e non di apertura.

Che ogni decisione di tesoreggiamento dei salariati comporta un corrispondente indebitamento delle imprese verso il sistema bancario.

Che imprese e lavoratori possono contrattare soltanto il livello nominale del salario, essendo il suo livello reale definito ex post dal livello dei prezzi dei beni di consumo (determinato, a sua volta, da autonome decisioni delle imprese).

Che, in equilibrio di riproduzione, variazioni nel livello della domanda aggregata non hanno alcun effetto necessario su livello e composizione del prodotto nazionale, sull’occupazione e sul salario reale (distribuzione), essendo tali variabili determinate in ultima istanza dalle decisioni autonome delle imprese.

Che, dunque, ceteris paribus politiche fiscali espansive e trasferimenti valgono a modificare la distribuzione reale del reddito all’interno della classe dei salariati (p.es. dai lavoratori occupati a quelli inoccupati), mentre lasciano inalterata la distribuzione tra classi sociali.

Che se è vero che il livello dei prezzi dipende dai costi di produzione, è anche vero che l’inflazione è uno degli strumenti che consentono alle imprese di imporre i propri piani di produzione ai salariati (risparmio forzato).

Che un aumento del tasso di interesse di riferimento ha effetti inflazionistici se le imprese decidono di mantenere inalterato il proprio margine di profitto.

Che, essendo l’acquisto di forza-lavoro l’unico scambio esterno per le imprese nel loro insieme, é nell’appropriazione del prodotto del plus-lavoro (e cioè della parte della giornata lavorativa complessiva eccedente il tempo di lavoro necessario) che va rinvenuta l’origine del profitto per l’insieme delle imprese, mentre la compravendita di beni capitale è solo un gioco a somma zero.

Che spesa pubblica ed esportazioni nette agevolano la monetizzazione dei profitti realizzati dalle imprese ed il ripagamento degli interessi bancari.

mercoledì 6 gennaio 2021

Le realtà sul terreno: replica di David Harvey a John Smith

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link al post originale in inglese roape.net: http://roape.net/2018/02/05/realities-ground-david-harvey-replies-john-smith - 

David Harvey è Distinguished Professor di antropologia e geografia presso il Graduate Center della City University of New York.

Leggi anche: Il neoliberismo è un progetto politico*- B. S. Risager intervista David Harvey

Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik. - Alessandro Visalli

GIOVANNI ARRIGHI prima de IL LUNGO XX SECOLO - Giordano Sivini

IL MARX DI DAVID HARVEY - Giorgio Cesarale


L'articolo oggetto di polemica tra John Smith e David Harvey: Le realtà imperialiste e i miti di David Harvey - John Smith

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John Smith si è perso nel deserto, prossimo a morire di sete. Il suo fidato GPS gli segnala la presenza d’acqua dieci miglia ad Est. Dato che ritiene si debba leggere “dal Sud al Nord globali” al posto di “dall’Oriente verso l’Occidente”, si incammina verso Sud per non essere più visto. Questa, ahimè, è la qualità dei rilievi che mi rivolge. 

L’Oriente di cui parlo quando osservo che la ricchezza si è spostata, in tempi recenti, da Occidente verso Oriente è costituito dalla Cina, oramai la seconda economia più grande al mondo (laddove si consideri l’Europa un’unica economia) seguita al terzo posto dal Giappone. Si aggiunga Corea del Sud, Taiwan e (con una certa licenza geografica) Singapore e ci si trova di fronte ad un potente blocco nel contesto dell’economia globale (talvolta identificato come modello di sviluppo capitalistico delle “oche volanti”), il quale rappresenta, al momento, circa un terzo del PIL globale (rispetto al Nord America, che conta ora solo per poco più di un quarto). Se guardiamo indietro a come era configurato il mondo, diciamo per esempio nel 1960, allora l’incedibile crescita dell’Asia orientale come centro di potere dell’accumulazione globale di capitale appare in tutta la sua evidenza. 

Cinesi e Giapponesi posseggono ormai enormi fette del sempre crescente debito USA. Vi è stata anche un’interessante sequenza, in cui ogni economia nazionale dell’Asia orientale si è attivata alla ricerca di un fix spaziale per le massicce quantità di capitale eccedente, accumulate all’interno dei rispettivi confini. Il Giappone ha iniziato a esportare capitale alla fine degli anni Sessanta, la Corea del Sud alla fine dei Settanta e Taiwan nei primi Ottanta. Non poco di tale investimento è andato verso il Nord America e l’Europa. 

Adesso è il turno della Cina. Un mappa degli investimenti esteri cinesi nel 2000 appariva vuota. Ora la loro ondata sta attraversando non solo la “Nuova via della seta”, lungo l’Asia centrale in direzione dell’Europa, ma anche l’Africa orientale, in particolare, e sino all’America Latina (più della metà degli investimenti esteri in Ecuador proviene dalla Cina). Quando la Cina ha invitato leader da tutto il mondo a partecipare, nel maggio del 2017, alla conferenza della Nuova via della seta, oltre quaranta fra loro sono venuti ad ascoltare il presidente Xi enunciare quello che molti hanno visto come l’esordio un nuovo ordine mondiale, nel quale la Cina dovrebbe essere una (se non la) potenza egemone. Questo significa che la Cina è la nuova potenza imperialista? 

Si possono individuare delle interessanti micro-caratteristiche in tale scenario. 

martedì 5 gennaio 2021

Guerra e guerra civile: il caso italiano - Luciano Canfora

Da: Fondazione Circolo dei lettori -  Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano. 

                                                                               

lunedì 4 gennaio 2021

Cosa significa socialismo nel XXI secolo e cos'è lo Stato socialista? - Stefano G. Azzarà

 Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino e dirige la rivista “Materialismo Storico(materialismostorico http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.

"... ritengo che il socialismo vada inteso, con le parole di Gramsci, come una “società regolata”, ovvero come una società organizzata in maniera razionale. “Razionale”, però, nel senso di una razionalità universale, e non meramente strumentale e tecnocratica. Una razionalità, cioè, per via della quale lo sviluppo delle forze produttive materiali e immateriali (la cultura, le idee) va a beneficio di tutti ed è assoggettato al controllo della società di cui è al servizio, in modo che esso diventa la premessa dello sviluppo integrale delle soggettività e dei gruppi umani e della conciliazione tra il mondo umano e quello naturale. Questa razionalità non può che essere assicurata in primo luogo dallo Stato, il quale ha la forma dell’universalità ed è dunque potenzialmente in grado di elevarsi al di sopra delle contraddizioni della società civile e di mediare tra esse fino a portarle a sintesi (Hegel). 

Poiché queste contraddizioni hanno a che fare con la riproduzione complessiva della società stessa e sono legate alle sue capacità produttive, la natura socialista di un paese è determinata dunque in primo luogo dalla capacità dello Stato e della politica di "comandare" ovvero coordinare l'“economia”, intesa – come abbiamo visto sopra – come l’insieme del lavoro sociale complessivo. 

Questa condizione non è però sufficiente, perché altrimenti tutti i paesi nei quali esiste un comando statale centralizzato o una prevalenza del controllo statale sarebbero socialisti. 

Non è così, invece, perché la natura socialista del comando statale dipende a sua volta dalla natura dello Stato stesso; dipende cioè da quale è l’obiettivo generale che questo Stato – il quale costituisce un vero e proprio campo di battaglia in cui si svolge una lotta di classe (Poulantzas) – si prefigge. 

C’è lo Stato che è espressione politica diretta o indiretta delle classi dominanti e del loro potere, ad esempio, il cui obiettivo generale è quello di garantire la riproduzione di questo dominio di classe e dunque di garantire la prevalenza degli interessi sociali particolari più potenti, oppure quello di favorire questa o quella tra le diverse frazioni delle classi dominanti, oppure ancora quello di garantire un equilibrio tra classi dominanti e ceti medi e piccola borghesia, così come c'è lo stato colonizzatore e quello della borghesia conoradora. 

Lo Stato socialista, al contrario, è quello Stato che si prefigge di manipolare i rapporti di forza tra le diverse classi al fine di far prevalere l’interesse generale sugli interessi particolari e sugli egoismi privati, trovando sempre l’equilibrio giusto nella situazione concreta. Socialisti sono perciò quei paesi nei quali la direzione statale non è mai fine a se stessa ma si inscrive in un progetto generale di emancipazione della società in tutte le sue parti. Un progetto il cui obiettivo “filosofico” è la costruzione del concetto universale di uomo, la realizzazione della comune umanità mediante il superamento delle discriminazioni di classe, di genere e di etnia; e dunque un progetto che è fondato sul principio di eguaglianza (inteso a sua volta non come distribuzione rigidamente egualitaria della ricchezza ma come reciproco riconoscimento della pari dignità umana tra tutti gli uomini e tutte le donne). 

Di conseguenza, sono socialisti quei paesi nei quali questa direzione statale viene esercitata da uno Stato il quale, a partire dalla sua genesi storica o comunque da un evento fondativo rivoluzionario che ha spezzato il potere delle classi dominanti, è o è diventato espressione di questa comune umanità e dunque espressione degli interessi della maggioranza: espressione, in primo luogo, delle classi lavoratrici e della loro capacità di organizzazione. 

Questo Stato rappresenta cioè l’atto di emancipazione di quelle classi che nella storia del genere umano e di tutti i paesi, e in particolare nella storia moderna, sono state subalterne; classi che vedono perciò nell’azione regolatrice dello Stato ­– la quale coincide con la loro presa di potere – esattamente la fuoriuscita da questa subalternità. 

In questo senso, è del tutto secondaria la questione della proprietà dei mezzi di produzione: certamente la presenza di una forte proprietà sociale dei mezzi di produzione che viene esercitata attraverso lo Stato è importante; e però non è necessario che questa proprietà pubblica sia esclusiva ed è perfettamente possibile la sua coesistenza con il mercato privato, perché la cosa più importante di tutte è il primato della politica e dello Stato secondo la definizione che abbiamo visto. 

In questa prospettiva, socialismo è l'appropriazione razionale e consapevole che gli uomini e le donne esercitano sulle proprie condizioni di riproduzione e la presenza dell’imprenditoria privata non rappresenta un problema, nella misura in cui la borghesia rimane classe in sé sul terreno economico e non si costituisce come classe per sé in grado di contendere il potere politico (Lukacs)...". 

sabato 2 gennaio 2021

Pandemia nel capitalismo del XXI secolo - A cura di Alessandra Ciattini, Marco Antonio Pirrone



Qui il video della presentazione di "Pandemia nel capitalismo del XXI secolo" (https://www.facebook.com/rifondazionepalermo/videos/3943359729021773

Coronavirus, un’opportunità per cambiare 

Geraldina Colotti (Fonte: Le monde diplomatique - https://ilmanifesto.it/edizione-pdf/le-monde-diplomatique)


In modo quanto mai opportuno, la casa editrice  PM (https://www.pmedizioni.it) manda in libreria il volume Pandemia nel capitalismo del XXI secolo, a cura di Alessandra Ciattini e Marco Antonio Pirrone.

Il profilo dei due autori – Alessandra Ciattini, già docente di Antropologia culturale presso l’Università Sapienza di Roma, è specializzata nello studio della vita religiosa latino-americana e della riflessione sulla religione; Marco Antonio Pirrone, ricercatore di sociologia generale presso il Dipartimento “culture e società” dell’Università degli studi di Palermo, si occupa prevalentemente di migrazioni internazionali, razzismo, capitalismo e globalizzazione, storia del pensiero sociologico e sociologia dello sviluppo – dà al volume un taglio multidisciplinare.

L’intento dichiarato della collana che ospita il lavoro, Strumenti per il servizio sociale, diretta da Michele Mannoia e Pirrone, è infatti quello di pubblicare riflessioni e ricerche che muovano da una visione critica della realtà sociale per favorire il dialogo tra varie discipline circa le trasformazioni della società globale e le conseguenze di tali mutamenti sulla vita e sulle relazioni di uomini e donne.

Pandemia nel capitalismo del XXI secolo è dunque uno strumento per comprendere, ma anche uno stimolo ad agire. Una ricerca in chiave marxista che, avvalendosi del contributo di vari specialisti (biologi, virologi, medici, sociologi, filosofi, economisti, giuristi), mette in relazione la sfera economica con quella ecologica e con gli altri aspetti della vita sociale, nella convinzione che vi sia una stretta relazione tra il modo di produzione capitalistico e la pandemia da coronavirus. Il Covid-19 sta infatti mietendo vittime in tutto il mondo, soprattutto tra gli strati sociali che, «per le loro stesse condizioni di vita, non sanno come difendersi ».

domenica 27 dicembre 2020

L’impatto della crisi su povertà e disuguaglianze* - Francesco Schettino

 Da: https://www.sinistrainrete.info - Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 1/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, pp. 156-176, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/index) - Francesco Schettino (Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli), allievo di Gianfranco Pala. 

* Ci sembra opportuno sottolineare come questo articolo sia stato sottoposto all’at­tenzione della rivista il 7 febbraio del 2020, dunque ben prima dell’esplosione della pandemia legata al COVID19. Questo è un elemento utile ad avvalorare l’idea che essa debba essere intesa come amplificatore degli effetti della crisi attuale e giammai come la sua (unica o principale) causa. - 

Ascolta anche l'intervista di Radio Onda d'urto a Francesco Schettino: https://www.spreaker.com/user/11689128/manovra-economica-reddito-e-patrimoniale


1. All’alba del nuovo decennio

«Caro lettore, l’economia mondiale versa in una condizione di elevata fragilità. La spinta espansiva dei primi mesi del 2018 ha perso vigore prevalentemente a causa delle tensioni commerciali. A queste, vanno aggiunte le minacce provenienti dalla vulnerabilità dei mercati finanziari e dalle incertezze geopolitiche. Tali sfide privano i policy makers della possibilità di commettere passi falsi e, al contrario, gli impongono di adottare giuste politiche a livello locale, internazionale e globale». 

Questo incipit sembrerebbe essere stralciato da un articolo di uno studioso marxista nell’analisi, corretta, della fase critica del capitale. Tuttavia, la fonte è di natura profondamente distinta e per questo assume, per quanto possibile, una rilevanza ancor superiore: si tratta del messaggio dell’Acting Manager del Fmi, David Lipton, pubblicato in apertura del periodico IMF Annual Report (2019). Insomma, parafrasando Lenin, ancora una volta, a fronte di una parte della sinistra radicale alla costante ricerca di “nuovismi” teorici da cui farsi incantare, sono proprio i “borghesi onesti e sinceri” (ammesso e non concesso che loro lo siano) a fornire l’analisi materiale più aderente alla fase che il capitale mondiale sta vivendo.

Il rapporto, pubblicato nell’ultimo trimestre del 2019, fa da eco ai campanelli d’allarme già suonati negli anni passati, che nel frattempo si sono moltiplicati dacché una parte cospicua di analisti inizia a tenere in adeguata considerazione il fatto che il 2020 potrebbe essere l’anno in cui le bolle finanziarie (ri)gonfiatesi, almeno dal 2008, potrebbero esplodere con una violenza forse sconosciuta.

Un’avvisaglia in questo senso, che ha terrorizzato gli operatori almeno un po’ coscienti delle dinamiche dei mercati finanziari, si è materializzata il 17 settembre 2019, giorno che, per ora, racconta poco ma che in futuro potremmo trovare sui libri di storia.

sabato 26 dicembre 2020

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

 Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Trascrizione leggermente rivista della conferenza tenutasi online il 3 maggio 2020 organizzata dalla Rete dei Comunisti ("Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.). - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzoneha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: La Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone 


Lo sforzo di questo intervento è iniziare a pensare le dinamiche di classe, la configurazione dei soggetti che agiscono storicamente e politicamente in quella sottofase dello sviluppo del modo di produzione capitalistico che chiamo “capitalismo crepuscolare”; si vedrà come il nodo della violenza nasca intrinsecamente in seno a queste dinamiche e come la violenza ed il suo inasprimento siano un portato necessario dello sviluppo di strutturazioni sociali complesse. 


Uno dei punti chiave di questa fase è la “crisi” del concetto di persona. Il concetto di persona è la chiave logica, istituzionale, giuridica del mondo borghese e per un largo periodo di tempo la sua rivendicazione è stata una lotta progressista; se si pensa al periodo rivoluzionario, conflittuale della classe borghese contro le forze dell'ancien régime, è proprio l'affermazione dell'universalità della persona, dell’uomo in generale come principio che ha carattere assolutamente positivo. Qui già emerge un punto chiave: la storicità di queste categorie; questa storicità implica che una categoria come quella di persona abbia una funzione storicamente progressiva in un determinato momento di sviluppo dei rapporti di forza e che possa averne una negativa, o diversa, in altre fasi. Perché nella teoria di Marx, che fa da orizzonte di riferimento in queste considerazioni, un concetto chiave è quello della storicità dei soggetti e dei modi di produzione; nel caso specifico ciò significa che, secondo Marx, l’uomo in generale non esiste, la persona astratta non esiste come dato naturale, è piuttosto essa stessa risultato di processi storici, di modificazioni dei modi di produzione che implicano esattamente che questo stesso concetto di uomo in generale si produca storicamente. Si tratta di un punto veramente chiave, perché tutta l’ideologia borghese si basa sul naturalismo della persona, cioè sul ritenere che uomo e persona siano la stessa cosa. Questa è la grande funzione storica della filosofia di John Locke per esempio, che teorizza come i diritti naturali, l’uguaglianza, la libertà e ovviamente la proprietà, facciano parte dello stesso pacchetto.

Se noi pensiamo in termini di persona l’uomo come tale, se riduciamo le nostre rivendicazioni politiche alla personalità, questo ahimè ci vincola a un contesto di senso borghese che non riusciamo a spezzare. Qui il discorso si fa di nuovo complicato: nelle condizioni attuali, per esempio, la rivendicazione dei diritti personali è nuovamente diventata un elemento progressista, perché a molti esseri umani è negata la personalità, quindi rivendicare per loro il diritto a essere persone è chiaramente positivo; non è tanto negare la rivendicazione della personalità il problema, ma credere che questo sia sufficiente, cioè che ristabilire i diritti della persona come tale a livello universale ci liberi dal modo di produzione capitalistico e dallo sfruttamento. Infatti, è proprio il modo di produzione capitalistico a imporre la persona come struttura universale di senso. Di nuovo, Marx ci insegna nei primi capitoli del Capitale ma prima ancora nei Grundrisse, che la persona è la forma di soggettività che ci viene imposta dalla circolazione delle merci: libertà, uguaglianza sono le precondizioni del mercato. Solo in quanto libero e uguale e titolare di proprietà io posso essere uno scambiante ed è proprio il modo di produzione capitalistico che universalizza questo concetto a tutta la specie umana. Ciò ha la sua dimensione progressiva, ma se ci riduciamo a rivendicare libertà e uguaglianza a livello personale ricadiamo in Prudhomme, siamo utopisti, vale a dire che vorremmo gli aspetti positivi del modo di produzione capitalistico, ma senza capire che tali concetti sono il frutto del modo di produzione capitalistico stesso. Molti movimenti libertari, rivendicando la libertà individuale, sono in certe fasi progressisti, ma, se questa posizione si radicalizza, di nuovo si ricade dalla padella nella brace, cioè in una ideologia individualistica che è veramente il fondamento concettuale del modo di produzione capitalistico e della borghesia stessa. 

giovedì 24 dicembre 2020

La critica marxista della scienza capitalistica: una storia in tre movimenti? – Gary Werskey

 Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link all’articolo integrale in inglese human-nature.com - Gary Werskey è uno storico della scienza che si è concentrato sul rapporto tra marxismo e scienza.


Per Bob Young

Introduzione


Il mio obiettivo, con questo scritto, è comprendere, come partecipante e come osservatore, la storia e le prospettive della critica marxista della scienza capitalistica.

Tale prospettiva – e le politiche da essa sostenute – hanno vissuto una breve fioritura, in particolare in Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, negli anni Trenta e Quaranta, per poi essere riprese e trasformate solo negli anni Sessanta e Settanta. In entrambi i casi, i critici socialisti hanno attinto dalla propria esperienza personale, professionale e politica – influenzati dal marxismo della loro epoca – dando vita a nuovi e stimolanti resoconti circa la storia, la filosofia e le politiche della scienza. Tuttavia, nessuna corrente marxista ha condizionato, in modo significativo, la tendenza dominante nello sviluppo degli studi su scienza e tecnologia (STS) nella second meta del XX secolo. Ancora più importante per queste attività, i movimenti politici sui quali poggiavano sono interamente, e rispettivamente, crollati negli anni Cinquanta e ottanta.

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John D. Bernal (1901-1971)

Ciò nonostante, come un fantasma infernale nella macchina degli STS, l’influenza di tali critici marxisti ha aleggiato nell’ombra, nelle memorie e nelle liste di lettura. Al culmine della Guerra fredda, Marx rappresentava una sorta di spirito non annunciato, che ossessionava i resoconti dell’epoca sulla rivoluzione scientifica del XVII secolo. Né certi sopravvissuti marxisteggianti – in particolare J.D. Bernal e Joseph Needham – avevano chiuso bottega del tutto.

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Joseph Needham (1900-1995)

 Alcuni dei loro giovani accoliti sono stati, in seguito, in grado di ispirare una nuova generazione di studiosi, in un periodo di rinnovata agitazione politica, a intraprendere ricerche sullo sviluppo scientifico assai più critiche dal punto di vista sociale. Gli studenti di questo gruppo che hanno scelto di rimanere nell’ambito accademico hanno, a loro volta, agito come un legame costante a questa tradizione.

D’altro canto, la mia impressione è che, a partire dal 1980, l’influenza della critica marxista sulle discipline di tale campo di studi sia stata praticamente nulla. Il predominio dei resoconti sociologici della scienza post-kuhniani e postmodernisti ha fatto curiosamente eco alle storie “internaliste” degli anni Cinquanta, trasferendo semplicemente l’enfasi da ciò che gli scienziati hanno pensato a ciò che hanno fatto. Quindi mi colpisce l’ironia – conoscendo molti dei miti e apolitici desperados che hanno promosso il costruttivismo sociale negli STS – per la quale il loro dogma centrale è stato visto, in alcuni ambienti, come parte integrante degli sforzi di uno strambo assortimento di docenti femministe e “radicali” finalizzati a sovvertire la razionalità scientifica. Di gran lunga più preoccupante è il fatto che, mentre le cosiddette “science wars” hanno concentrato l’attenzione sulle dispute epistemologiche all’interno degli STS, i rapporti sociali della scienza venivano trasformati è sempre più subordinati a sostegno del potere e della redditività del capitale globale e, più specificamente, americano.