Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza.
Il sistema capitalistico potrebbe sopravvivere all’attuale crisi sistemica, accentuata dalla pandemia e dalla guerra, ma pesante sarà per noi il costo della sua riproduzione.Secondo l’eminente studioso britannico David Harvey, non si può escludere del tutto che il capitale [1] possa sopravvivere alle diciassette contraddizioni che egli ha dettagliatamente esaminato nel suo libro intitolato appunto Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, pubblicato nel 2014. In questa sede ovviamente non illustreremo tutte le contraddizioni indagate da Harvey, per cui rimandiamo il lettore al suo interessante libro; ci interessa sottolineare, invece, come il capitale sia stato finora in grado di superare gli ostacoli che il suo stesso sviluppo con l’obiettivo dell’accumulazione senza fine ha generato, e come potrebbe esser possibile che superi anche la crisi scatenata dalla pandemia e dall’attuale scontro tra gli Stati Uniti, con il loro strumento armato rappresentato dalla Nato, e la Russia. Crisi che si palesa, inoltre, nel contesto delle enormi difficoltà che il sistema capitalistico incontra per riprodursi, sia pure con inevitabili trasformazioni.
Ricordo, tuttavia, che per Harvey, le contraddizioni pericolose – non fatali – per il capitale sono costituite dall’accumulazione esponenziale senza fine (o la mera ricerca del profitto), la relazione del capitale con la natura, la generalizzata alienazione dell’uomo nella società capitalistica. Scrive sempre lo studioso britannico che il capitale potrebbe riuscire ancora una volta a farla franca con l’aiuto di una élite oligarchica che si preoccupasse di sterminare gran parte della popolazione superflua e per questo eliminabile, schiavizzando il resto dell’umanità e rinserrandosi in luoghi protetti e sorvegliati, per difendersi dalla rivolta della natura e degli esseri umani ridotti a uno stato subumano (Harvey, v. Contraddizione diciassettesima). Naturalmente questa élite, per mantenersi tale, avrebbe bisogno di una continua vigilanza poliziesca totalitaria, sia fisica che mentale (Ibidem, p. 218), cui ci hanno abituato le recenti misure repressive adottate per contrastare la non scomparsa pandemia. E a ciò dobbiamo aggiungere la propaganda di guerra, non solo unilaterale e distorsiva, ma anche in mancanza di argomenti poggiata su insulti e denigrazione volgare dell’avversario additato all’odio della maggioranza ritenuta omologata, ma in realtà piuttosto sfiduciata e scettica. Inoltre, tutto ciò accade mentre si parla di “democrazia liberale” e di libertà contrapposte all’autoritarismo russo, che mette “il bavaglio ai media proprio come si sta facendo dalle nostre civilissime parti.
Questa tesi non è nuova, era già presente nel libro di Susan George, Rapporto Lugano. La salvaguardia del capitalismo del XXI secolo (Trieste, 2000), in cui si parte dall’ipotesi fantasiosa di un rapporto stilato da eminenti scienziati, economisti, accademici, incaricati da misteriosi committenti, con lo scopo di “proporre strategie, misure concrete e svolte in grado di massimizzare la probabilità che il sistema capitalista globale di libero mercato rafforzi la sua supremazia” (p. 17). Utilizzando documenti elaborati da importanti organismi internazionali, la George delinea un quadro tragico della situazione mondiale, nella quale i perdenti, o la popolazione in eccesso e quindi necessariamente scartabile (usa e getta), non può sopravvivere e deve sacrificarsi per garantire ai pochi vincenti la continuazione di un sistema che concede loro straordinari vantaggi e privilegi. Ciò sarebbe il risultato della vittoria delle cosiddette leggi di mercato sul contratto sociale tra capitale e lavoro, stipulato alla fine della Seconda Guerra Mondiale; vittoria dalla quale sarebbe scaturita la società contemporanea così descritta: “Il sistema attuale è una macchina universale per devastare l’ambiente e per produrre perdenti dei quali nessuno sa cosa fare” (George 2000, p. 211).