Chi non sa ascoltare, non comprende né impara.
Qualunque prodotto del nostro «Io», che si tratti di un’idea, uno scritto, un lavoro manuale o altro, deriva da un sapere precedente, da un’eredità di conoscenze con cui veniamo a contatto attraverso il dialogo, la lettura o semplicemente il confronto con chi ci ha preceduti in quell’attività o ne condivide la passione.
Siamo essenzialmente animali dialoganti, insomma, tanto che il nostro «logos» (il bagaglio di idee, parole e studi che portiamo con noi) risulta sempre essere il risultato di un «dia-logos», ossia del confronto con i bagagli sapienziali altrui.
Albert Einstein non sarebbe stato in grado di elaborare la sua celebre teoria della relatività, senza trarre conoscenza e ispirazione dal dialogo con le teorie di coloro che lo hanno preceduto come anche dei suoi contemporanei, e, del resto, la sua grande scoperta non avrebbe avuto alcun senso se non ci fossero state persone pronte ad ascoltarla, farla propria, elaborarla e, per molti versi, confermarla grazie alle ulteriori informazioni conseguite in epoche successive.
L’ascolto è, insomma, l’attività fondamentale che rende possibile la comprensione, l’apprendimento e, quindi, l’eventuale elaborazione di un nostro sapere autonomo, di un nostro contributo alla grande «conversazione» dell’umanità. Ciò sia a livello individuale che collettivo.
In questo senso, la nostra odierna potrebbe apparire come la società più fortunata e sapiente, perché grazie alle formidabili tecnologie «social», il dialogo fra le persone sembra essere almeno teoricamente continuo e mai come oggi potenziato.
Eppure le cose non stanno così. La richiesta costante di un nostro «intervento» da parte dei social (pensieri, commenti, like, fotografie, etc.), non solo ha distrutto la nostra capacità di ascolto delle posizioni altrui, ma ha alimentato quel narcisismo sterile per cui non dialoghiamo, bensì interagiamo.
Tradotto: non ci esponiamo costantemente nella sfavillante vetrina della Rete, spesso con modalità e contenuti inutili, sciocchi e autoreferenziali, per instaurare un dialogo effettivo con le altre persone (tanto più che i nostri post si rivolgono a una massa indistinta), ma soltanto per fare bella mostra delle nostre più disparate «qualità», cercando nello schermo del pc, dello smartphone o di quant’altro, piuttosto uno specchio che ci conforti rispetto all’immagine narcisistica che abbiamo di noi stessi, quindi «godendo» soltanto dei like e delle notifiche di approvazione che ci provengono dagli utenti più disparati.
Tale modalità egocentrica e narcisistica di rapportazione, la ritroviamo anche nella maggior parte dei dialoghi che avvengono con le altre persone al di fuori del contesto virtuale.
Il dialogo fra sordi impera sovrano, con persone che ti impongono comizi solenni in cui riesci soltanto a chiederti, ovviamente fra te e te, quando mai tu abbia rivolto tale ulteriore domanda o richiesta di chiarificazione alla persona che ti sta sproloquiando di fronte senza interruzione. Altre che poi, dopo averti imposto la giaculatoria a senso unico, fingono di chiedere o attendere cosa abbia da dire tu, salvo non aspettare altro che interrompere il tuo discorso, puntualmente inascoltato, per poter riprendere un nuovo monologo. Superfluo precisare che la loro attesa non è molto lunga, anzi, perché di quello che hai da dire tu non gli importa nulla, se non nella misura in cui, e fino a quando, il tuo discorso fornisce loro delle conferme rispetto alla bontà delle cose che hanno detto, oppure il minimo appiglio per ricominciare con l’unica cosa che davvero gli interessa: vomitare i propri «pensieri».
Del resto, il sistema tecnologico che riesce a imporre tali modalità interattive, ottiene profitti soltanto nella misura in cui gli «utenti» propongono contenuti, pensieri, fotografie e quant’altro, non certo quando gli stessi attivano la propria capacità di ascoltare ed entrare in relazione empatica con le persone.
Deriva da questa distorsione universalizzata il dialogo fra sordi che impera sui social, impastato di aggressività irrisolta, emotività non elaborata, autoreferenzialità incapace di cogliere in profondità idee o istanze altre rispetto alla propria. Meccanismo che, alla stessa stregua di ogni aspetto della vita virtuale, sta gradualmente colonizzando anche la vita reale, abitata ormai monadi connesse (ma di fatto incomunicanti) affette da inconsapevole narcisismo.
Non a caso, narcisismo è un termine che deriva dal greco antico «nárkõsis», che voleva dire torpore, addormentamento. E di vero e proprio addormentamento si tratta, poiché a essere anestetizzate sono le facoltà umane più essenziali a costituire degli individui sicuri di sé, equilibrati, forniti di un pensiero critico e di una sana capacità di entrare in dialogo con gli altri. L’ascolto, l’elaborazione di quanto sentito, l’effettiva (e rischiosa!) messa a confronto delle proprie posizioni con quelle altrui, la capacità di elaborare idee nuove (magari avendo mutato le precedenti in seguito a quel confronto), sono tutte facoltà di una galassia umana posta in letargo dall’esplosione incontrollata di un’intelligenza artificiale programmata con il fine primario di creare profitto. Ad ogni costo umano.
Il risultato più evidente e sconfortante, di fronte al tracollo della capacità di «ascolto» in senso lato, è quello di una società in cui non si è più in grado di imparare, quindi di progredire verso forme sempre più elevate di umanità.
Ecco perché non sorprendono i dati emersi dal Rapporto sulla popolazione. L’istruzione in Italia, (Il Mulino, Bologna 2019), come anche dai recenti dati Invalsi presentati alla Camera dei deputati, da cui nello specifico del caso italiano emerge una popolazione sempre più in larga parte disimpegnata e incapace, che non legge e se lo fa capisce poco del contenuto di quanto letto, che evita accuratamente le attività culturali e con una generazione giovanile disastrata, perfino rispetto a quelle competenze digitali che dovrebbero costituire il terreno naturale dei nativi digitali.
L’analfabetismo funzionale e relazionale costituisce sempre più il registro dominante di una società ottusa, nel senso di chiusa a tutto ciò che è conoscenza e confronto, abitata da individui egoisti ed egoriferiti, votati al proprio esclusivo tornaconto in maniera direttamente proporzionale a quanto risultano in balia dei demagoghi e incompetenti di turno, che in questo modo hanno gioco facile nel guadagnare consenso fra una popolazione arrabbiata e abbrutita.
Una politica seria e responsabile dovrebbe darsi da fare subito, imponendo come un’emergenza tutte quelle misure atte a ripristinare una cultura dell’ascolto, del confronto, della conoscenza e di una valorizzazione delle relazioni inter-umane non mediate dalle macchine.
Ma se quanto ho scritto è vero, saranno pochissimi anche i politici che leggeranno questo appello accorato. Ancor meno quelli che vorranno prenderlo in considerazione.
Perché da una comunità che non sa ascoltare e quindi imparare, ha tutto da guadagnare una politica che vuole vincere senza governare.
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