I nostri media focalizzano spesso l’attenzione sulla repressione dei dissidenti negli Stati antagonisti alle potenze occidentali, ma davvero poco spazio e solo da parte di alcuni è dedicato alla drammatica vicenda di Julian Assange, ricercatore brillante e fondatore di Wikileaks, un sito fondato nel 2006 che fa letteralmente trapelare informazioni, rendendo pubblici, e senza autorizzazione ufficiale, documenti che svelano i retroscena della politica internazionale. Questa diffusione viene fatta usando la rete crittografica Tor che rende difficile intercettare le informazioni su Internet e individuare i luoghi da dove provengono e a cui sono dirette. Chiunque può inviare anonimamente documenti, finora sono stati resi pubblici 10 milioni di documenti, che fanno conoscere comportamenti non corretti, spesso criminali, di organizzazioni politiche o economiche. Questi documenti sono sottoposti a controllo per accertarne la veridicità. Una volta resi pubblici questi documenti diventano oggetto di dibattito da parte di chiunque, qualunque sia il suo orientamento politico.
Una gran mole di documenti relativi alla guerra in Iraq è stata consegnata a Wikileaks da Chelsea Manning, che li ha sottratti mentre lavorava in quel paese dal 2009 come analista di intelligence per l’esercito statunitense, e che è stata per questo condannata per crimini commessi contro la sicurezza nazionale e successivamente scarcerata per aver ottenuto la grazia da Obama nel 2017.
Per chi non la conoscesse ricostruiamo la storia di Assange. Nato in Australia, ormai 49enne, attualmente è detenuto nel carcere britannico di massima sicurezza di Belmarsh e accusato di spionaggio, in base a una legge del 1917, dagli Stati Uniti che ne chiedono l’estradizione per processarlo e probabilmente condannarlo a 175 anni di carcere.
Nel 2010, quando era un personaggio celebre, Assange fu accusato di stupro dai giudici svedesi (accusa poi archiviata), i quali chiesero alla Gran Bretagna di estradarlo in Svezia; nel 2012 la Corte Suprema britannica rigettò il ricorso contro l’estradizione e Assange si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador, allora governato da Rafael Correa che gli concesse lo status di rifugiato politico. Assange è rimasto circa 7 anni rinchiuso nell’ambasciata ecuadoregna da cui è stato illegalmente prelevato nell’aprile del 2019, dopo esser stato privato del diritto all’asilo politico. Nel frattempo infatti Correa era stato sostituito alla presidenza dell’Ecuador da Lenin Moreno, che nonostante fosse stato il suo vicepresidente, una volta eletto nel 2017, si è spostato a destra, accusando di corruzione i suoi precedenti compagni e di sequestro lo stesso Correa. Inoltre, Moreno, coinvolto in un’operazione di riciclaggio di denaro, sembrerebbe voler vendicarsi di Assange per la pubblicazione su Wikileaks dei documenti relativi alle sue trattative con Trump con la mediazione di Paul Manafort, condannato negli USA per evasione fiscale e frode.
Malato e rinchiuso nel carcere di Belmarsh, Assange sta subendo il processo per l’estradizione negli USA, nonostante premi Nobel, intellettuali, giornalisti abbiano presentato petizioni in suo favore. Un processo al quale solo in pochi possono assistere; gli osservatori di Amnesty International, per esempio, non sono stati ammessi in aula. Nel 2010 il fondatore di Wikileaks era fortemente apprezzato, venendo insignito di diversi premi, per esempio da giornali mainstream internazionali quali “The Economist” e “Le Monde”; le principali testate internazionali rendevano noti i documenti da lui raccolti sulle guerre scatenate dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan, svelando al grande pubblico azioni ignobili come l’uccisione di un gruppo di civili, tra cui due giornalisti della Reuters, da parte di soldati americani in volo su di un elicottero. Dall’analisi di questi documenti si è potuto stabilire che in Iraq ci sono state più di 122.000 vittime, prigionieri torturati, militari implicati nella prostituzione infantile. Naturalmente nessun membro dell’esercito statunitense è mai stato sottoposto a giudizio per questi crimini.
Successivamente Wikileaks rese pubblica gran parte della corrispondenza dei diplomatici statunitensi (dal 1966 al 2010); tanto per fare un esempio di cosa viene documentato da questa corrispondenza possiamo citare l’episodio che riguarda alcuni politici svedesi: questi, per convincere l’opinione pubblica contraria alla partecipazione della Svezia alla guerra in Afghanistan, si erano rivolti ai diplomatici statunitensi per invitare nel paese alcune donne afgane, le quali avrebbero testimoniato che l’intervento armato era un fatto positivo che avrebbe apportato miglioramenti alla loro condizione. Come si vede, un’operazione programmata di manipolazione dell’opinione pubblica.
Questo è solo un piccolo esempio del grande controllo delle informazioni, fondate sull’accumulazione dei dati che riguardano ognuno di noi, e attuata dalle grandi multinazionali del web come Google e Facebook, il cui scopo fondamentale è quello di fare previsioni sul comportamento degli individui orientandoli verso il perseguimento di certi fini e non di altri. A parere di Assange si tratterebbe di una sorta di totalitarismo digitale che però si scontra con l’enorme difficoltà di immaginare come reagiranno gli individui a certi eventi che i decisori mondiali si preparano a realizzare.
Inoltre, nel 2016, in piena campagna presidenziale, con il presunto aiuto di hacker russi, Wikileaks ha reso note 30.000 email di Hillary Clinton, la cui diffusione secondo alcuni avrebbe favorito la vittoria di Trump, anche se in realtà la moglie di Clinton ottenne un maggior numero di voti. Secondo la Clinton il crimine di Assange consiste nell’essere entrato illegalmente in un computer militare.
Negando che la fonte delle informazioni sia russa,
Assange afferma che dalle email si può ricavare che i Clinton ricevettero milioni dal Qatar e dal Marocco e che sapevano perfettamente che l’Arabia Saudita e il Qatar erano i veri finanziatori dello Stato islamico. Inoltre, si può ricavare che, durante il periodo in cui la Clinton era Segretaria di Stato durante la presidenza Obama, si realizzarono le maggiori vendite di armi all’Arabia Saudita.
Lo smantellamento dello Stato libico – continua Assange – è stato fortemente voluto dalla Clinton, la quale a suo parere è una donna divorata dalle ambizioni e che voleva utilizzare questo evento per vincere le successive elezioni presidenziali, senza preoccuparsi delle sue conseguenze: la guerra civile in Libia, la destabilizzazione della regione, l’acuirsi della crisi migratoria.
Gli esempi più eclatanti della manipolazione, che Wikileaks ha potuto svelare, sono rappresentati dal modo in cui i mass-media hanno presentato le guerre degli ultimi decenni, che – come è poi risultato evidente – erano tutte basate su una menzogna, ma di questa menzogna necessaria c’era bisogno perché la gente comune di fatto non vuole la guerra.
Oggi la sua vicenda è accantonata, anche se alcuni sottolineano come la sua probabile condanna costituisca un attacco alla libera informazione e quindi a uno dei fondamenti della cosiddetta democrazia, ormai solo una facciata dietro cui si nascondono le nefandezze del potere dominante.
Gli Stati Uniti negano che questo sia il loro intento, dato che gli autentici giornalisti non si rifiutano di consentire la revisione dell’informazione classificata prima di pubblicarla, per presentare obiezioni in difesa della sicurezza nazionale. Secondo questa tesi portata avanti dagli Stati Uniti Assange non è un giornalista, ma una spia che ha messo in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti. In verità, Assange si considera un prigioniero politico e sostiene che ora non si parla di lui perché bisogna nascondere che nel democratico occidente ci sono dei prigionieri politici.
In un’intervista il padre di Assange ha dichiarato che, seguendo Nietzsche, il figlio ha scelto di “vivere pericolosamente” e ora si trova a pagare le conseguenze della sua scelta, che ci ha fatto conoscere molte informazioni prima ignote al grande pubblico.
Free Assange!
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