giovedì 1 ottobre 2020

Le passioni tra Heidegger e Aristotele - Enrico Berti

Da: Bollettino della Società Filosofica Italiana, Rivista Quadrimestrale, Nuova Serie n. 206, maggio/agosto 2012. - Sintesi della conferenza tenuta alla sezione SFdi Francavilla il 16 marzo 2012, lettcomdiscorso accademico nell’Aula Magndell’Università di Atene il 17 maggio 2012 ioccasiondel conferimento all’autore del titolo dDoctohonoris causa iFilosofia. - Enrico Berti è un filosofo italiano, Professore emerito di Storia della filosofia presso l'Università degli Studi di Padova.

Vedi anche: Le passioni tra Heidegger e Aristotele - ENRICO BERTI                                                        

                 Martin Heidegger: Sull'origine dell'opera d'arte - B. Moroncini, P. Vinci 


Un tema dei miei studi è sempre stato la sopravvivenza dell’antica filosofia greca, in particolare quella di Aristotele, nella filosofia contemporanea, come è dimostrato dal mio libro su Aristotele nel Novecento1. A questproposito ho incontrato recentemente un nuovo documento di tale sopravvivenza, che a quanto mi risulta non ha ancora ricevuto la dovutattenzione, cioè l’uso che Heidegger ha fatto, nel suo corso del 1924 suGrundbegriffe der aristotelischen Philosophie, dell’analisi delle passioncompiuta da Aristotele nel II libro della RetoricaGda Sein und Zeit risultava che questo testo aveva suscitato l’interesse di Heidegger, perché questi nel § 29 di quello che rimane, a mio avviso, il suo capolavoro, aveva affermato che le diverse modalità dell’“esserci” (Dasein), inteso comsituazione emotiva” (Befindlichkeit), erano state analizzate dalla filosofia antica sotto il nome di “emozioni” e di “sentimenti”. In particolare – precisava Heidegger – la prima trattazione sistematica delle emozioni che la tradizione ci tramanda è l’analisi dei pathe compiuta da Aristotele nel II libro della Retorica2. La retorica infatti, secondo Heidegger, è la primermeneutica sistematica dell’“essere insieme” (Miteinendersein) quotidiano, perché l’oratore ha bisogno di conoscere le variazioni della tonalità emotiva per suscitarle e dirigerle nel modo giusto. Ebbene – dichiara il filosofo tedesco – «l’interpretazione ontologico-fondamentale dei prinpdelle emozioni non ha compiuto alcun passo avanti degno di nota da Aristotele in poi». Il paragrafo si conclude infine con l’affermazione che, ivista della successiva interpretazione della situazione emotiva come “angoscia”, di importanza fondamentale per il suo significato ontologicoesistenziale, il fenomeno della situazione emotiva deve essere esaminatmediante l’analisi di un suo modo determinato, la paura (die Furcht, icorsivo nel testo) alla quale Heidegger dedica l'intero §30. 

Nel 2002, cioè solo dieci anni fa, il corso tenuto da Heidegger nel Sommersemester 1924 sui Grundbegriffe der aristotelischen Philosophie è statpubblicato sulla base degli appunti presi dagli studenti3. Non bisogndimenticare che i corsi tenuti da Heidegger a Marburg dal 1923 al 1928 avevano immediatamente diffuso la fama di un giovane professore chleggeva Aristotele in modo del tutto nuovo, facendolo sembrare un nostro contemporaneo. Questi corsi avevano attirato da tutta la Germania numerosi ascoltatori, tra i quali c’erano alcuni di coloro che sarebbero divenuti più importanti filosofi tedeschi del Novecento: Hans-Georg Gadamer, Karl Löwith, Hans Jonas, Günther Anders, Leo Strauss e, dall’autunno del 1924, Hannah Arendt, allora soltanto diciottenne. Cinqudi tali corsi, su un totale di dieci (due per ogni anno), erano infatti dedicati alla lettura di Aristotele. Quello che ci interessa, benché sia stato immediatamente tradotto in inglese4, è stato oggetto finora – a quanto mi risulta – di un solo studio, una raccolta di scritti su Heideggeand Rhetoric pubblicata a New York nel 2005, che tuttavia tratta il temdella retorica in modo generale, senza soffermarsi sull’analisi delle passioni5

L’intera prima parte del corso è dedicata alla spiegazione del Dasein come “essere-nel-mondo”, che sarà proprio il tema di Sein und Zeit, pubblicattre anni più tardi. Per interpretare tale “essere-nel-mondo” Heidegger si richiama alla determinazione aristotelica dell’esserci dell’uomcome zoe praktike, vita pratica, il che conferma quanto segnalato quasi trent’anni fa dal mio allievo Franco Volpi, purtroppo prematuramentscomparso, cioè che il concetto heideggeriano di Dasein non è che una ripresa del concetto aristotelico di praxis come “avere da essere”6. Ma la novità è che l’esserci dell’uomo come essere-nel-mondo è interpretato dHeidegger, sulla base del famoso secondo capitolo della Politica di Aristotele, come “essere parlante”, cioè dotato di logos, dove il termine logos noè tradotto, come spesso si usa, con “ragione”, bensì è tradotto codiscorso”, comunicazione”. A questo proposito Heidegger segue fedelmentil testo di Aristotele, Pol. I 2, dove si dice che l’uomo è per natura animale politico, perché tra tutti gli animali è l’unico dotato di logos, cioè della capacità di discutere con gli altri che cosa è giusto o ingiusto, utile o dannoso7

Dopo avere illustrato la concezione dell’uomo e della società espostda Aristotele nella Politica, con tono apparentemente positivo, cioè dconsenso, Heidegger passa a considerare la concezione del logos nella Retoricadove il logos è presentato da Aristotele come uno dei tre mezzi di persuasiontecnici” (pisteis entechnoi), accanto al “carattere” (êthosdell’oratore, che deve risultare affidabile, e alla “passione” (pathos) degli ascoltatori, che deve essere considerata dall’oratore8. A questo punto Heidegger concentra la sua attenzione sul pathos, che definisce come «l’essere coinvoltdell’esserci umano nel suo pieno essere-nel-mondo corporeo»9. AnchAristotele passa a trattare delle passioni, alle quali dedica ben dieci capitoli del II libro della Retorica, illustrando nell’ordine l’ira e il suo contrario, cioè la mitezza, l’amicizia e l’odio, la paura e il coraggio, il pudore e l’impudenza, il favore, la pietà e l’indignazione, l’invidia e l’emulazione. Ma Heidegger, di tutta questa trattazione, prende in considerazione solo la paura (die Furcht, in greco phobos). Questa non è una novità: già iSein und Zeit, come abbiamo visto, Heidegger indicava la paura come la modalità principale della situazione emotiva che caratterizza l’esserci dell’uomo. Ciò che colpisce nel corso del 1924, dove per la prima volta Heidegger sviluppa l’analisi della paura, è l’esclusione dalla sua trattazione dtutte le altre passioni che Aristotele illustra nel II libro della Retorica, a cuHeidegger si è richiamato. Mentre infatti per Aristotele l’oratore deve conoscere tutte le passioni umane, e tenerne conto per esercitare nel modpiù efficace la sua persuasione, per Heidegger sembra che tutte le altre passioni non contino nulla e che, per capire la situazione emotiva dell’uomnei suoi rapporti con gli altri, sia importante tenere conto solo della paura. 

L’analisi che Heidegger compie della paura nel corso del 1924 seguquasi pedissequamente, come del resto tutte le analisi precedenti, il testdi Aristotele, sì da risultarne una semplice parafrasi. Egli riprende infattla definizione aristotelica della paura come la forma di sofferenza o dsconvolgimento prodotta dalla prefigurazione di un male imminente, chcausa rovina o dolore; poi riprende la descrizione aristotelica delle “cose che fanno paura” (phobera), quali l’inimicizia o l’ira di uomini che sonin grado di farci del male; indi riprende la descrizione degli “uomini chfanno paura” (phoberoi), con l’annotazione aristotelica secondo cui gli uomini sono per la maggior parte cattivi e quindi l’idea di essere nelle mani di qualcuno che può farci del male suscita paura; in seguito riprendl’accenno di Aristotele alle cose che fanno paura perché suscitano compassion(eleos) quando accadono agli altri. Infine Heidegger si soffermsull’affermazione di Aristotele, secondo la quale, quando è desiderabile, allo scopo di persuaderli, che gli uomini provino paura, è necessario far credere loro che stiano per soffrire, dato che persone simili a loro nelle stesse circostanze hanno sofferto10. Questo, secondo Heidegger, è uesempio dell’uso delle passioni in vista della persuasione, il che dimostra che le passioni sono la base per il logos11

L’effetto prodotto dalla paura, in Aristotele, è una forma di sofferenza, ma questa per Aristotele non è l’unico sentimento che gli uomini provannei rapporti reciproci. Il fatto che Heidegger abbia scelto la paura comunica passione che caratterizza i rapporti tra gli uomini, significa dunquche tali rapporti per lui sono connotati in senso puramente negativo, cioè come sofferenza, ovvero appunto come paura. Inoltre è noto che Aristotele a proposito della paura ha preso posizione non solo nella Retorica, manche nella Poetica, cioè nella famosa definizione della tragedia comquella forma di “messa in scena” (mimesis) che attraverso la pietà e la paura porta a compimento la purificazione (katharsis) di queste passioni12Secondo le interpretazioni più accreditate la “purificazione” in questionsarebbe una purificazione dal dolore che nella realtà la pietà e la paura producono, a cui la tragedia sostituirebbe invece il piacere di apprendere la saggezza (phronesis), prodotto dalla mimesis13. Ciò conferirebbe alla paura un valore positivo, o alluderebbe ad un uso positivo della paura, che in Heidegger è totalmente ignorato. 

Insomma, mentre per Aristotele la trattazione delle passioni ha lo scopdi insegnare all’oratore quali sono i mezzi “tecnici”, cioè oggetto dtrattazione metodica, razionale, che possono essere usati per persuadere l’uditorio, per Heidegger la stessa trattazione serve a descrivere la situazionesistenziale dell’uomo che si trova costretto a vivere in mezzo agli altri, perché in ciò consiste il suo “essere-nel-mondo”, e tra tutte le passiondi cui tratta Aristotele solo la paura è oggetto di attenzione da parte dHeidegger, per cui questa passione viene ad essere, nella sua interpretazione, ciò che connota essenzialmente i rapporti tra gli uomini. In tal modo questi rapporti sono concepiti da Heidegger in senso esclusivamentnegativo, perché il sentimento che l’uomo prova verso gli altri è per lusoltanto la paura, senza che egli prenda nemmeno in considerazione l’uso positivo che in alcune situazioni, per esempio nella tragedia, si può fare della paura come mezzo di apprendimento, su cui invece sofferma la suattenzione Aristotele. 

Questa interpretazione profondamente pessimistica della teoria aristotelica delle passioni, esposta da Heidegger nel suo corso del 1924, colpisce tanto più, quando viene messa a confronto con un’altra opera, le cui originprobabilmente risalgono alla stessa epoca ed anzi alla stessa situazionesistenziale, cioè il libro di Hannah Arendt, The Human Condition, tradottin tedesco col titolo Vita activa14, che corrisponde esattamente alla zoe praktike con cui Heidegger identificava l’esserci dell’uomo nel corso del 1924. Sembra che Hannah Arendt abbia cominciato a frequentare i corsi di Heidegger a Marburgo solo nell’autunno del 1924 15, quindi ella non fu presente al corso sui Grundbegriffe der aristotelischen Philosophie, che fu tenuto nel semestre estivo dello stesso anno, anche se lo fu certamente al corso sul Sofista di Platone, dedicato per metà al VI libro dell’Etica Nicomachea di Aristotele (Wintersemester 1924/1925), a quello suconcetto di tempo in Aristotele (Sommersemestrer 1925), a quello sulla questione della verità, sempre in Aristotele (Wintersemester 1925/1926), ed a quello sui Grundbegriffe der antiken Philosophie, dedicato in gran partad Aristotele (Sommersemester 1926). Tuttavia nell’ottobre del 1960, nell’inviare al suo antico maestro la traduzione tedesca del libro, HannaArendt gli scrisse una lettera in cui si scusava di non averglielo dedicato, affermando che il libro era nato «nei primi giorni di Friburgo» (probabilmentquando Hannah andò a visitare Heidegger a Friburgo nel 1952) e che esso era dovuto a lui «sotto ogni riguardo quasi tutt16

Ebbene, Hannah Arendt in The Human Condition descrive ugualmentla condizione dell’uomo nei suoi rapporti con gli altri, ispirandosi anch’ella alla trattazione che Aristotele ne fa nel I libro della PoliticaL’autrice individua nella polis lo “spazio pubblico” (concetto che poi sarebbe stato ripreso nella categoria del “politico”), inteso essenzialmentcome spazio di libertà, in cui gli uomini, grazie al logos inteso come comunicazione, anzi come discussione sul giusto e l’ingiusto, sul bene e il male, possono realizzare quella forma di praxis, cioè di attività fine a sé stessa, non rivolta ad altro come il lavoro e la produzione, che li conduce alla “vita buona”, cioè alla felicità. Per questo motivo Franco Volpi ha potutparlare, a proposito di Hannah Arendt, di «riabilitazione della praxis», come ha parlato a proposito di Gadamer di «riabilitazione della phronêsis» e a proposito di Ritter di «riabilitazione dell’êthos»17. Insomma, mentre Hannah Arendt, pur ispirandosi ai commenti heideggeriani dAristotele, si serve del filosofo greco per una rivalutazione dell’agire politico in senso che oggi diremmo “democratico”, Heidegger al contrario si servì di Aristotele per quella svalutazione pessimistica della politica e della democrazia che in qualche misura spiega anche la sua temporanea adesional nazismo. È noto infatti che una delle cause del sorgere dei movimentviolenti di estrema destra è il desiderio di sicurezza personale, cioè la paura che la piccola borghesia nutre nei confronti del proletariato18

Al di là di ogni valutazione politica, ciò che trovo interessante è il nuovo documento dell’uso che Heidegger fece di Aristotele, il quale viena confermare e ad arricchire quanto già osservato da Volpi quasi trent’annfa e poi riconosciuto da tutti gli studiosi, cioè che Heidegger, nella redaziondi Sein und Zeit, si appropriò in maniera “vorace” della filosofia pratica di Aristotele, ma per costruire un sistema alternativo a quello dAristotele. Se ci si limita a considerare quanto detto nel § 29 di Sein und Zeit, cioè che  l’interpretaziondelle emozioni come modalità dell’esserci dell’uomo non ha compiuto alcun passo avanti da Aristotele in poi, si può essere indotti a credere che Heidegger aderisca alla concezione aristotelica dell’uomo come animale politico in quanto dotato di logos. Ma quandpoi si scopre che nel corso del 1924 Heidegger collocava la trattaziondelle passioni contenuta nella Retorica sullo sfondo della conceziondell’“essere insieme” illustrata da Aristotele nella Politica e si constata chl’unica passione da lui considerata come caratteristica dell’“essere insieme” è la paura, allora si capisce che la sua posizione è agli antipodi di quella dAristotele, e ricorda piuttosto quella di Thomas Hobbes, che disse di essere nato gemello della paura, perché sua madre lo partorì mentre al largo delle coste dell’Inghilterra appariva la Invencible Armada del re di Spagna. Non a caso per Hobbes la paura spinge gli uomini a consegnarsi interamentnelle mani del Leviathan, rinunciando alla vita politica e ritirandosi nella vita privata, cioè li spinge a fare esattamente il contrario di quanto, secondo Aristotele, deve fare l’uomo in virtù della sua natura di animale politico. Chi ha ripreso in modo coerente Aristotele, pur non avendo forse assistito al corso del 1924 sui Grundbegriffe der aristotelischen Philosophieè piuttosto Hannah Arendt, la quale tuttavia fu indotta ad accostarsi alla filosofia pratica di Aristotele proprio da Heidegger nei corsi di Marburg tra il 1924 e il 1926. 


Note

E. Berti, Aristotele nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 1992 (II ed. 2008). 

2 M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2005, pp. 167-173.

3 M. Heidegger, Grundbegriffe der aristotelischen Philosophie, Vittorio Klostermann Verlag, Frankfurt a. M. 2002 (GA II 18).

4 M. Heidegger, Basic Concepts of Aristotelian Philosophy, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 2002.

5 D.M. Gross-A. Kemmann (eds.), Heidegger and Rhetoric, State University of New York Press, Albany, N.Y. 2005.

6 F. Volpi, Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova 1984 (II ed. Laterza, Roma-Bari 2010).

7 Heidegger, Grundbegriffe, cit., pp. 45-65. Cfr. Aristot. Pol. I 2, 1253a 7-18.

8 Aristot. Rhet. II 1, 1377b 16-1378a 29.

9 Heidegger, Grundbegriffe, cit., pp. 197-203. 

10 Aristot. Rhet. II 5, 1383a 8-12.

11 Heidegger, Grundbegriffe, cit., pp. 248-263. 

12 Aristot. Poet. 6, 1449b 24-29.

13 P.L. Donini, La tragedia e la vita. Saggi sulla Poetica di Aristotele, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2004.

14 H. Arendt, The Human Condition, University of Chicago Press, Chicago 1958; trad. tedesca Vita activa, oder vom tatigen Leben, Piper, München und Zürich 1960.

15 E. Young-Bruehl, Hannah Arendt: for the Love of the World, Yale University Press, New Haven-London 1982. 

16 H. Arendt-M. Heidegger, Briefe 1925 bis 1975 und andere Zeugnisse, Klostermann, Frankfurt a. M. 1998, p. 149.

17 F. Volpi, Heidegger und der Neoaristotelismus, in A. Denker-G. Figal-F. Volpi-H. Zaborowski (Hrsgg.), Heidegger und Aristoteles, Alber, Freiburg-München 2007 (“Heidegger-Jahrbuch 3), pp. 221-236.

18 Ciò è riconosciuto dalla stessa H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, Harcourt, New York 1951, traduzione italiana Edizioni di Comunità, Milano 1996, p. 469. 



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