Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
http://www.consecutio.org/2016/10/al-di-la-della-governance-la-politica-come-riconoscimento/
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Con l’evoluzione della «società dello spettacolo» sta
maturando il passaggio da una forma di dominio sui corpi a una sulle menti.
L’individuo, sotto attacco nella sua sfera intellettiva, rischia di perdere la
capacità di agire consapevolmente e di essere soggetto della storia.
«Nella realtà sociale, nonostante tutti i cambiamenti,
il dominio dell’uomo sull’uomo è rimasto il continuum storico che collega la
Ragione pre-tecnologica a quella tecnologica»
H. Marcuse 1
Se uno degli ambiti di studio e azione più importanti
della filosofia marxista è consistito nell’analisi delle forme di dominio del
più forte sul più debole, la grande intuizione di Antonio Gramsci, e quindi uno
dei suoi lasciti più fecondi, risiede nell’aver compreso come, con il
Novecento, il terreno su cui si svolgevano – e si sarebbero svolte – le nuove
forme di dominio non era più dato dal solo contesto strutturale, ma avrebbe
interessato la sovrastruttura ideologica 2.
In forme e con modalità certamente non osservabili (e quindi prevedibili) in
tutta la loro potenzialità ai tempi del pensatore sardo, ma che sono sotto gli
occhi di tutti nei giorni nostri in piena epoca di trionfo della società dello
spettacolo, con i suoi meccanismi tecnologici annessi 3.
Con l’elaborazione del nesso fra teoria e pratica,tra pensiero e azione, in
buona sostanza tra filosofia e politica, Gramsci non soltanto superava quel
marxismo meccanicistico che concentrava la propria attenzione sul solo momento
strutturale (di contro al problema opposto rappresentato dall’Idealismo), ma
poneva le basi per un recupero della centralità dell’uomo (e della sua dignità)
come soggetto pensante e agente (inscindibili i due momenti) e, in quanto tale,
soggetto consapevole e «creatore della sua storia» 4.
All’interno di questo discorso si comprende l’intento gramsciano perché al
nesso fra teoria e azione (o tra filosofia e politica) corrispondesse quello
tra «intellettuali» e «semplici»: innanzitutto affinché i primi sapessero
elaborare dei principi coerenti con i problemi che le masse si trovano a porre
con la propria attività pratica, al fine di costituire un «movimento filosofico»
che non svolgesse «una cultura specializzata per ristretti gruppi di
intellettuali», ma che fosse in grado di trovare nel contatto costante coi
semplici «la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Soltanto in questo
modo una filosofia si «depura» dagli «elementi intellettualistici» e si fa
«vita» 5.
Il nesso fra teoria e pratica, o tra filosofia e politica,
insomma, era fondato sulla prolifica unione di pensiero e azione, con la
finalità di evitare un’elaborazione teorica e una prassi politica che, se
separate, si allontanassero dalle questioni reali e concrete della società
umana. Ma anche per scongiurare quel distacco tra intellettuali e masse
popolari che, specialmente con la Prima Guerra Mondiale, aveva finito col
ridurre le classi subalterne a recitare il ruolo di «materiale umano» o
«materiale grezzo» per la storia delle classi privilegiate 6. Il recupero della centralità
dell’uomo, in quanto capace di elaborare un pensiero che si traduca in azione e
lo configuri come soggetto consapevole della società e della storia, è quanto
oggigiorno appare più a rischio di fronte agli sviluppi di una tecnologia
massmediatica che, se da una parte fornisce l’illusione dell’«onnipotenza
informativa», dall’altra produce individui sempre meno in grado di pensare
autonomamente e di agire consapevolmente, sempre più isolati all’interno di
quattro pareti e davanti al video di un computer. Computer che, per molti
aspetti, finisce col pensare e agire al posto degli uomini stessi, producendo
non soltanto degli effetti deleteri sulle facoltà precipue dell’individuo, ma
minando anche quelle possibilità di relazioni e azioni sociali che
rappresentano il nerbo della polis umana 7.L’odierna
società della comunicazione, che ha ormai assunto le fattezze della società
dello spettacolo descritta da Debord, sta contribuendo alla costruzione di un
uomo sempre più isolato ed eterodiretto e, in quanto tale, sottoposto a forme
di dominio nella dimensione sovrastrutturale che gli rendono impossibile, o
peggio sterile, ogni possibilità di azione concreta ed efficace nel campo
sociale 8.
La natura sociale dell’azione
Dopo un periodo in cui fu predominante la tesi che negava
questo ed altri tipi di influenza dei media sull’uomo, nel 1981,
significativamente sulla Annual Review of Psychology, compare un saggio
pressoché ignorato dalla stampa e dalla comunità scientifica americane. In
questa pubblicazione, dai toni peraltro misurati, viene lanciato un messaggio
di profonda importanza per i professionisti e gli studiosi della comunicazione,
volto a rimarcare «la straordinaria influenza e il potere esercitati dai media
sul modo di percepire, di pensare e in ultima analisi di agire delle persone
nel proprio mondo» 9. Concentriamoci su
quest’ultimo aspetto. L’azione fa parte della dimensione umana, rappresenta un
punto fondamentale tanto quanto la percezione e il pensiero e, anzi, potremmo
dire ripensando a Gramsci, ne costituisce la naturale proiezione nel campo
sociale. Se è vero che «tutte le attività umane sono condizionate dal fatto che
gli uomini vivono insieme», scriveva la Arendt, è ancora più vero che «soltanto
l’azione non può essere neppure immaginata al di fuori della società degli
uomini». Essa soltanto costituisce una «prerogativa esclusiva degli uomini», di
cui né una bestia né un dio possono essere capaci 10. È nell’agire, quindi, un agire
cosciente e razionale proprio perché preceduto da una corretta percezione e da
un libero pensiero, che la natura dell’uomo si rivela «sociale»,
imprescindibile dalla presenza di altri individui e dalla cooperazione con essi
al fine di costruire una società libera e capace dimettere al centro l’uomo e i
suoi bisogni. Ma per «agire» in questo senso sociale e politico, occorre che i
cittadini siano interessati all’azione stessa, «impegnati» nel valutare con la
propria testa e in maniera critica i limiti e le incongruenze della società di
cui si trovano a far parte. Ora, ai nostri giorni esiste un’ampia letteratura
che ha studiato lo straordinario sviluppo tecnologico e strutturale dei mezzi
di comunicazione di massa, arrivando a un generale consenso sul fatto che in
riferimento ai mass media delle società industrializzate, questi sviluppi allo
stato attuale non hanno contribuito né a creare democrazie più robuste né
formare cittadini più «impegnati (engaged citizens)» 11.
Se da una parte, quindi, è assai agevole documentare le rivoluzioni che le
nuove tecnologie informatiche e comunicative hanno operato rispetto a tutte le
sfere della nostra vita, tanto che c’è chi arriva a qualificarle come
«costitutive» della modernità stessa 12,
dall’altra rimangono non poche perplessità rispetto alla loro capacità
effettiva di potenziare la democrazia. Con particolare riferimento a Internet,
per esempio, si possono riscontrare alcuni elementi che vanno in direzione
contraria:
1) l’uso che si fa di
Internet per scopi civili e politici è infinitamente minore rispetto a quello
che concerne l’intrattenimento e lo shopping;
2) per quanto riguarda il reperimento di informazioni,
prevale di gran lunga la ricerca di «non-notizie», afferenti a tematiche come
la salute, la finanza o le questioni riguardanti il consumo, che superano
abbondantemente la ricerca di informazioni sugli affari correnti o sulle
cronache giornalistiche;
3) dalle odierne società dell’informazione non sono usciti
cittadini politicamente impegnati né politicamente attivi. Dato che si
riscontrava anche prima dell’avvento di Internet, ma rispetto al quale la rete
ha finito con l’avere un ruolo ancora più disimpegnante: infatti se è vero che
lo spettro ideologico delle discussioni fra individui su Internet è più ampio
rispetto a tutti gli altri media, è anche vero che queste discussioni si
mantengono su un piano «virtuale», che tende a escludere quasi sempre una
traduzione nella pratica delle discussioni teoriche;
4) una visione molto diffusa era stata quella per cui
Internet avrebbe potuto dare più potere ai meno forti: tale visione è stata
smentita dai fatti poiché si è rilevato che i gruppi marginalizzati non hanno
assolutamente visto incrementare il proprio impatto rispetto alle relazioni di
potere all’interno delle società 13.
Tanto
i massmedia sono diventati elemento centrale delle nostre società moderne e
della vita quotidiana di tutti noi, si potrebbe dire, tanto balza agli occhi il
loro effetto disimpegnante e omologante sulla nostra identità di cittadini
facenti parte di una comunità. Tale effetto si ripercuote sull’assetto
democratico delle nostre società, su quella che, in accordo con quanto
stabilito da Habermas e prima ancora da Dewey, viene chiamata «sfera pubblica»
e che è fondata sulla componente cruciale dell’«interazione» fra individui
liberi, interessati alla res publica: senza una libera discussione fra i
cittadini, scrive uno studioso del rapporto tra sfera pubblica e mass media, la
stessa definizione di «pubblico» diviene senza senso 14. Da questo punto di vista la società della comunicazione crea molti motivi di
preoccupazione per le sorti della democrazia. Facciamo riferimento ad analisi
che documentano come la cultura dei media in generale, con la sua enfasi sul
consumo e sull’intrattenimento,ha tagliato l’erba sotto ai piedi a quel tipo di
cultura pubblica che è richiesta per una democrazia in salute. Più
specificamente il giornalismo contemporaneo è spesso accusato di sovvertire i
valori democratici nella trattazione delle vicende politiche, per via della sua
sempre crescente commercializzazione, per il sensazionalismo, la trivialità,
tutti elementi che conducono a due risultati: 1) da una parte il giornalismo (e
la cultura dei media in generale) contribuisce al generale ammutolimento della
cittadinanza (che non è più in grado di intervenire su questioni trattate in maniera
tanto enfatica e iperbolica, quanto poco fornita di contenuti effettivamente
informativi); 2) dall’altra promuove nei cittadini cinismo, disaffezione e,
alla fine, disinteresse verso il sistema politico e i suoi rappresentanti,
parimenti a un senso di impotenza nel poter intervenire su vicende che si
sentono lontane 15.
Né queste critiche possono essere limitate al giornalismo tradizionale (su
carta stampata o su radio e telegiornali), poiché anche le modalità politiche
ed economiche che caratterizzano l’informazione su Internet suggeriscono che il
suo sviluppo sta rapidamente deviando verso quel tipo di «commercializzazione»
(ossia banalizzazione ad uso e consumo di masse disimpegnate) che già da tempo
caratterizza il modello dei media tradizionali 16.
Cittadini passivi
I mass media che producono cittadini disimpegnati e
disinteressati alla sfera pubblica, media dietro ai quali vi sono poteri forti
di natura economica e politica, finiscono col ritagliarsi anche un ruolo
esclusivo rispetto alla formazione dell’opinione pubblica. Più l’individuo, per
tutte le ragioni viste finora, perde la propria autonomia di giudizio e le
proprie facoltà intellettive ed esperienziali, più questo stesso individuo
perde la capacità di incontrarsi coi suoi concittadini per «dibattere»,
«organizzarsi» e «mobilitarsi» su questioni di interesse collettivo 17,
più alla fine verrà lasciato ai media e a chi vi sta dietro la facoltà di
formare l’opinione pubblica e di dirigerla secondo interessi di natura
economica o, comunque, privata: «Al giorno d’oggi – scriveva Sartori vent’anni
addietro –sono i mass media a giocare il ruolo più grande e centrale nel
formare l’opinione pubblica […] Il mondo, per larga parte del pubblico, si
riduce al messaggio veicolato dal media» 18. Cittadini di questo tipo, resi
passivi ed eterodiretti, sono le vittime preferite dei poteri economici (che
spesso e volentieri controllano i media), che si trovano così di fronte
«consumatori passivi» dei loro prodotti, cervelli meccanicamente predisposti
all’acritica accettazione del prodotto, come del messaggio, imposto da qualcun
altro. Si tratta di un meccanismo che aveva già colto McLuhan, analizzando il
fenomeno della pubblicità (advertising) e riscontrando come essa si fondi
«sull’avanzatissimo principio per cui anche la più piccola parte di un motivo o
di uno schema, se ripetuta in modo rumoroso e ridondante, finirà gradualmente
per imporsi. La pubblicità spinge il principio del rumore fino al livello della
persuasione, sistema che corrisponde pienamente alle procedure di lavaggio del
cervello (brain washing)». E proprio l’assalto all’inconscio potrebbe essere la
ragione che sta dietro al meccanismo della pubblicità, è la deduzione di
McLuhan: «Per dirla brutalmente –concludeva infatti lo studioso dei media –
l’industria pubblicitaria è un rozzo tentativo di estendere i principi
dell’automazione a ogni aspetto della società» 19.
Del resto, come mirabilmente descritto e anticipato da Orwell in 1984, la
società della comunicazione si sta sempre più rivelando come quel sistema
capzioso e sottile in cui viene finalmente conquistato anche «l’ultimo
santuario», la mente umana, tramite meccanismi terrificanti ed efficacissimi
quali il lavaggio del cervello, la persuasione subliminale e il controllo
narcotizzante: in altre parole, per dirla con Sartori, una vera e propria
«realtà totalitaria» fondata su un «sistema unicentrico di produzione
dell’opinione» 20. Ad accostare società della
comunicazione e totalitarismo era stato lo stesso McLuhan, laddove evidenziava
che mentre «la minaccia di Hitler o di Stalin era una minaccia esterna», «la
tecnologia elettrica entra dentro le nostre case e noi assistiamo intorpiditi
(numb), sordi, ciechi e muti al suo incontro con la tecnologia di Gutenberg, sulla
quale e attraverso la quale si è formata l’american way of life» 21.
Se i mass media, e gli interessi forti che li controllano, sono in grado di stravolgere e controllare le nostre capacità di percezione e pensiero, il nostro modo di agire (o non agire) nella società, manipolando le nostre menti fino a renderle atte ad accettare passivamente messaggi, informazioni e financo prodotti, utili ad alcuni interessi particolari e non a noi stessi o al bene comune della società in cui viviamo, è evidente che si pone il problema della democrazia. Non a caso gli autori succitati tirano in ballo il totalitarismo, ossia quel sistema che è considerato antipodico rispetto ai modelli democratici che conosciamo nel nostro benestante Occidente. Mai come oggi, nelle nostre società occidentali così apparentemente libere, è doveroso stare in guardia e ricordare l’insegnamento di Platone, il quale era ben consapevole che è proprio dalla democrazia che può nascere, attraverso un processo di degenerazione, la tirannide 22. Evidentemente non c’è e non può esserci esercizio effettivo della libertà quando i mezzi di comunicazione di massa, nel senso specifico che «massificano» l’individuo, o che «portano all’ammasso» non solo l’intelletto, ma anche la sensibilità dell’uomo, esprimono tutta la loro potenza non solo di informazione, ma anche di «formazione»: l’uomo perde in questo modo la propria autonomia, finendo con l’essere ridotto alla stregua di un «minorenne» eterodiretto, incapace di servirsi autonomamente della propria ragione e del proprio sapere, comunque subordinato ai meccanismi di una tecnica che, seppure figlia dell’uomo stesso, progredisce in maniera più veloce rispetto alle capacità umane di assorbirla 23. Ecco perché i rischi sono quelli di un nuovo totalitarismo, ancora più insidioso e totalizzante in quanto proveniente dai sottili meccanismi di funzionamento di una società in superficie democratica, che non perde occasione per ribadire la centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, ma che in realtà finisce col ridurlo a mezzo e strumento per interessi economici e di potere. Una forma di totalitarismo che, in aggiunta, si rivela ancora più completa in quanto unisce i due aspetti che finora erano stati attribuiti ai regimi liberticidi moderni: la capacità massificante e omologante unita a quella atomizzante ed estraniante.
Se i mass media, e gli interessi forti che li controllano, sono in grado di stravolgere e controllare le nostre capacità di percezione e pensiero, il nostro modo di agire (o non agire) nella società, manipolando le nostre menti fino a renderle atte ad accettare passivamente messaggi, informazioni e financo prodotti, utili ad alcuni interessi particolari e non a noi stessi o al bene comune della società in cui viviamo, è evidente che si pone il problema della democrazia. Non a caso gli autori succitati tirano in ballo il totalitarismo, ossia quel sistema che è considerato antipodico rispetto ai modelli democratici che conosciamo nel nostro benestante Occidente. Mai come oggi, nelle nostre società occidentali così apparentemente libere, è doveroso stare in guardia e ricordare l’insegnamento di Platone, il quale era ben consapevole che è proprio dalla democrazia che può nascere, attraverso un processo di degenerazione, la tirannide 22. Evidentemente non c’è e non può esserci esercizio effettivo della libertà quando i mezzi di comunicazione di massa, nel senso specifico che «massificano» l’individuo, o che «portano all’ammasso» non solo l’intelletto, ma anche la sensibilità dell’uomo, esprimono tutta la loro potenza non solo di informazione, ma anche di «formazione»: l’uomo perde in questo modo la propria autonomia, finendo con l’essere ridotto alla stregua di un «minorenne» eterodiretto, incapace di servirsi autonomamente della propria ragione e del proprio sapere, comunque subordinato ai meccanismi di una tecnica che, seppure figlia dell’uomo stesso, progredisce in maniera più veloce rispetto alle capacità umane di assorbirla 23. Ecco perché i rischi sono quelli di un nuovo totalitarismo, ancora più insidioso e totalizzante in quanto proveniente dai sottili meccanismi di funzionamento di una società in superficie democratica, che non perde occasione per ribadire la centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, ma che in realtà finisce col ridurlo a mezzo e strumento per interessi economici e di potere. Una forma di totalitarismo che, in aggiunta, si rivela ancora più completa in quanto unisce i due aspetti che finora erano stati attribuiti ai regimi liberticidi moderni: la capacità massificante e omologante unita a quella atomizzante ed estraniante.
Ritorno a Gramsci
L’universo dei nuovi media, pensiamo in particolare a
Internet, massifica l’uomo in quanto ne omologa i gusti e le facoltà di
percezione e pensiero, nel momento stesso in cui lo atomizza poiché, fornendogli
l’illusione di poter entrare in comunicazione col mondo intero e con un numero
illimitato di persone (e di informazioni), lo tiene in realtà chiuso tra le
quattro pareti di casa propria, sempre più disabituato a coltivare rapporti
diretti e ad incontrarsi con altri individui per dibattere, ragionare ed
eventualmente organizzarsi 24.
Siffatto individuo, esposto alle forze omologanti e isolanti esercitate dai
nuovi mezzi di comunicazione, finisce col venire «eterodiretto» fin dal suo
rapporto più ordinario con i più elementari meccanismi di funzionamento dei
mass media: nella vita reale l’uomo è libero di seguire in maniera indipendente
i propri processi di associazione, mentre, per esempio nell’interazione col
computer, con i rimandi ai vari link gli viene di fatto richiesto di seguire
delle «associazioni pre-programmate», in altre parole di seguire «la
traiettoria mentale del programmatore» 25. Ecco allora che, a distanza
ormai di quasi un secolo, si pone su un piano ulteriore (mutatis mutandis) la
discriminante già vista, quella fra il «credere, obbedire, combattere» della
propaganda fascista e quanto proprio Gramsci scriveva come epigrafe
all’OrdineNuovo: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra
intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo.
Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza!».
Notes:
- (1964: 144)
- Non per niente il fulcro della «filosofia della praxis» venivaindividuato da Gramsci (1975: 886) nell’«equazione tra filosofia epolitica, tra pensiero e azione».
- Per un’analisi esaustiva del concetto di «ideologia» in Gramsci e per le connessioni tra quest’ultima e l’odierna società dei mass media cfr. Liguori (2006: 66).
- Caracciolo – Scalia (1977: 57). Roberto Finelli (in Baratta -Liguori 1999: 191) ha felicemente interpretato la filosofia della praxis di Gramsci come finalizzata alla «produzione della soggettività capace di iniziativa storica».
- Gramsci (1975: 1382). Losurdo (1997: 235) ha colto efficacemente il «problema centrale della riflessione di Gramsci: in che modo ridare voce alle classi subalterne, in che modo evitare che vengano ideologicamente e politicamente decapitate nei momenti di svolta storica, a causa dell’abbandono degli intellettuali che le hanno rappresentate o che hanno preteso di rappresentarle».
- Losurdo (ibid.: 239).
- Ho analizzato più diffusamente queste tematiche in Ercolani(2007).
- Quasi dieci anni fa Roberto Finelli (1998: 122) individuava nel «post-moderno» quella fase in cui «oggetto del dominio del capitale sulla forza-lavoro cessa di essere il “corpo” e comincia ad essere la “mente”». In particolar modo «la macchina informatica richiede una forza-lavoro mentale particolarmente subalterna ed omogenea, essendo la sua caratteristica fondamentale quella di collocare una serie enorme di informazioni al di fuori del cervello umano e di dar luogo così a una mente artificiale di cui quella umana diventa solo funzione e appendice».
- Roberts – Bachen (1981: 307-8).
- Arendt (1958: 22-3).
- Cfr. Dahlgren (2003: 160-1) per la letteratura cui facciamo riferimento.
- Murdoch (1993: 522-3), il quale, a conclusione del suo ragionamento,aggiunge che «non possiamo teorizzare lamodernità senzatenere in una considerazione centrale le dinamiche della comunicazione».
- Abbiamo riassunto tali conclusioni, a nostro avviso le piùsalienti, dalla lettura diHague – Loader (1999),Hill –Huges (1998)e Margolis – Resnick (2000).
- Dahlgren (1995: 151-2): «La sfera pubblica costituisce un terreno di socializzazione e acculturazione, un meccanismo che ci dice chi siamo in quanto cittadini e cosa la cittadinanza stessa significa come parte della nostra identità […] ilmondo sociale, in breve, è un derivato dell’azione e interazione collettiva».
- Cfr. Dahlgren (2003: 151-2). Considerazioni di questo tipo si possono trovare tanto in accademici (Franklin 1997), Street(2001) quanto in professionisti dei media (Fallows 1996). Interpretazioni più ottimistiche sul ruolo dei media provengono da coloro che si concentrano su Internet e i nuovi media digitali, specie riguardo alle più avveniristiche forme di impegno politico rispetto alle tradizionali politiche elettorali (Bennett 1998).
- Cfr. Patekis (2000).
- Non a caso la società civile viene definita come «quell’indispensabile terreno nel quale attori sociali si riuniscono, si organizzano e si mobilitano», Cohen – Arato (1992: 502).
- Sartori (1987: 93).
- McLuhan (1964: 226). Non solo, ma questa pubblicità che stimola la gente a comprare sempre più prodotti si rivela come «l’emblema della fraudolenza». Se è vero, infatti, che alcune pubblicità costituiscono delle informazioni utili, è altrettanto vero che per la maggior parte predomina una «malafede surrettizia», come nell’emblematico slogan di McDonalds di qualche anno fa: «We do it all for you!»: una palese bugia, notava Schudson (1984: 13).
- Sartori (1987: 99).
- McLuhan (1964: 16-7).
- Platone (1902: VIII, 562b). Non è un caso che, nel suo celebre saggio sui «persuasori occulti» e sulle tecniche di annullamento della persona a favore della ricerca di un consenso acritico, Vance Packard (1958: 171), come epigrafe al capitolo su Pubblicità epolitica, riportasse questa frase di Kenneth Boulding: «Si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale tuttavia siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico».
- Negri (1998: 248). «L’informatica esalta un fenomeno avvertito da tempo, cioè che la velocità con cui si sviluppa la tecnica e si diffondono i suoi effetti è superiore alla velocità con cui progredisce la scienza, intesa come fase preliminare e progettuale della prima: sempre più spesso i manufatti, le invenzioni, le apparecchiature vengono trasferiti dal laboratorio al mercato senza che ne esista una teoria esauriente e rassicurante che esorcizzi una loro ipotetica capacità di nuocere. Come piccoli golem, i nostri dispositivi c’inquietano per la loro autonomia, ma, almeno per il momento,come il Golem possono essere fermati: possiamo sempre staccare la spina. Per farlo, occorre tuttavia volerlo, e anche la volontà ha bisogno di un certo tempo per formarsi, organizzarsi e manifestarsi», sottolineava qualche anno fa Longo (1998: 8-9).
- L’isolamento, scriveva la Arendt al termine della sua ricostruzione dei fenomeni totalitari (1951: 474), è quel vicolo cieco in cui gli uomini sono condotti quando viene distrutta «la sfera politica della loro vita», quella dove «possono agire insieme in vista di un bene comune».
- Manovich (2001: 61).
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