Il fondamento
militare del potere statunitense in America Latina
Alcuni analisti politici hanno sostenuto che i vari i governi progressisti – diversi tra loro - che si sono impiantati in alcuni paesi dell’America Latina, lo hanno potuto fare perché gli Stati Uniti erano impegnati fortemente in altre regioni dello scenario internazionale, che si va facendo sempre più complicato e conflittuale. A ciò bisogna aggiungere che negli anni ’90 del Novecento sono sorti movimenti sociali e forze politiche che hanno messo in discussione in forme diverse le feroci politiche neoliberali, imposte dalle dittature militari brutali (come quelle del Cile e dell’Argentina) o da governi formalmente democratici. Basti citare, per esempio, il movimento indigeno dell’ Inti Raymi sviluppatosi in Ecuador e la forte resistenza delle masse popolari, che nel primo decennio del 2000 ha sconfitto la coalizione neoliberale in Bolivia.
Da sinistra questi governi sono accusati di non aver
promosso riforme profonde che abbiano alterato la struttura del potere
economico, giacché la proprietà delle risorse materiali continua ad essere
concentrata, come il controllo del commercio estero e delle istituzioni
finanziarie, ancora non si è raggiunta nemmeno la sovranità
alimentare. Da destra, invece, si è posto l’accento sui caratteri
autoritari e clientelari del sistema politico. Quanto al primo quesito,
dovremmo chiederci: esistevano le condizioni oggettive per rendere operative
tali trasformazioni radicali o non si è voluto procedere in questa direzione?
Per rispondere, sia pure parzialmente, a questa domanda
penso sia utile fare riferimento a un evento importante realizzatosi a Lima in
Perù alla fine del passato mese di agosto. Intendo riferirmi alla Riunione
dei Partiti comunisti e rivoluzionari dell’America Latina e del Caribe, del
tutto trascurata dai mass media nostrani, nel contesto della quale il sociologo
argentino Atilio Borón, noto anche in Italia, ha fatto presente che gli
Stati Uniti hanno nel subcontinente almeno 80 basi militari, stanziate in
maggior numero in Perù e in Colombia. Fatto che
rende alquanto complicato, se non addirittura arduo, il processo di
trasformazione radicale auspicato da molti [1].
Come risulta dall’informazione diffusa da Telesur, in una
sala gremita di giovani, Borón ha dichiarato che “le basi statunitensi sono
state installate senza aver consultato i popoli interessati, senza nessun
dibattito, solo perché così hanno deciso i governi vicini a Washington,
che con tale strumento intende consolidare il suo potere nella regione. Allo
stesso tempo – ha aggiunto Borón - il governo statunitense finanzia con una
cospicua massa di denaro la destra latinoamericana attraverso istituzioni come
la Fondazione di Alti Studi Sociali creata dall’esponente
della destra spagnola José María Aznar. Il sociologo argentino ha
sottolineato la necessità di dar vita a un’ampia mobilitazione per liberare la
regione da tali strutture che ne limitano la sovranità, ostacolando lo sviluppo
di politiche non vantaggiose agli Stati Uniti e alle sue corporazioni. Una
mobilitazione – ha auspicato Borón – del tutto simile a quella cui diede
impulso Hugo Chávez – grazie alla quale fu sconfitto nel
novembre del 2005 il progetto dell’ALCA (Area di libero
commercio delle Americhe), che avrebbe reso il subcontinente
latinoamericano ancora più dipendente dalla superpotenza.
Con questa campagna occorre rispondere alla controffensiva
restauratrice dell’imperialismo statunitense, che si articola in varie forme,
il cui obiettivo è rendere i popoli latinoamericani mendicanti degli Stati
Uniti (Ibidem). Che, d’altra parte, tale progetto sia del tutto
utopistico e impraticabile, è smentito dal fatto che il governo dell’Ecuador,
diretto da Rafael Correa, è riuscito a scacciare nel 2009 i gringos da
Manta, in cui si erano istallati in base ad un accordo firmato
nel 1999 con l’obiettivo dichiarato di combattere il narcotraffico, ma anche
con quello non esplicito di sostenere la lotta contro la guerrilla in
Colombia (Ecuador
le pidió a Estados Unidos desalojar la base militar de Manta).
Inoltre, Borón saprà perfettamente meglio di noi, informati
solo delle insulse chiacchiere di Renzi, che Obama e Macri,
presidente dell’Argentina, recentemente incontratosi, si sono trovati
d’accordo dell’apprestare due nuove basi statunitensi, una nella cosiddetta Triple
Frontera (in cui si toccano Argentina, Brasile e Paraguay),
e l’altra a Ushuaiacapitale della Terra del fuoco. Regione
di capitale importanza che si estende sino all’Antartide, dove si trova la
maggior riserva di acqua dolce congelata del mondo.
Alle critiche rivolte a queste scelte politiche da varie
parti Macri ha risposto che la città di Ushaia si dovrà trasformare in una
“base logistica per appoggiare la ricerca scientifica nell’Antartide”. A questa
osservazione ha risposto Elsa Bruzzone, esponente del Centro
dei militanti per la democrazia argentina ed esperta di questioni geopolitiche,
strategiche e di difesa nazionale, affermando che nella regione in questione
sono disponibili significativi giacimenti di idrocarburi e minerali indispensabili
allo sviluppo dell’industria militare e spaziale. Pertanto, Macri cercherebbe
solo di occultare con una giustificazione scientifica le vere finalità
dell’accordo raggiunto con gli Stati Uniti (Macri abre las puertas a EE.UU. para instalar bases militares).
Occorre aggiungere che tali operazioni militari, sostenute
dai paesi strettamente alleati agli Stati Unite e le cui élites sono di fatto
“americanizzate” fino al midollo, sono accompagnate dal cosiddetto nuovo
Plan Condor, denunciato in più occasioni da vari uomini politici
latino-americani, come per esempio Rafael Correa e Nicolás
Maduro. Il Plan Condor del XXI secolo si avvale dell’apparato
massmediatico latino-americano, ampiamente sostenuto da quello
internazionale, dell’uso disinvolto e spregiudicato degli strumenti della
democrazia formale per far fuori personaggi come Dilma Roussef e Cristina
Fernández, che certamente in molti casi non hanno fatto sensate scelte
politiche.
Come si può ricavare da queste rapide informazioni, la destra
latino-americana, supportata militarmente ed economicamente dalla
superpotenza statunitense, sta portando avanti un piano di ampio respiro (a
tenaglia si potrebbe dire), che coinvolge le varie istanze sociali e culturali
con lo scopo di smantellare dalle radici quel progetto di cambiamento
affermatosi all’insegna del cosiddetto Socialismo del XXI secolo.
Progetto sulla cui concretezza e praticabilità sarebbe assai complesso
esprimersi, al di là di espressioni trionfalistiche, a mio parere da evitare
perché spesso riconducibili a puri slogan, sia pur necessari ad animare chi di
sconfitte ne ha subite tante.
Che la situazione dei governi progressisti in America
Latina sia assai difficile, nonostante l’attivismo mostrato nello
stipulare un nuovo sistema di relazioni finanziarie ed economiche [2], lo
possiamo evincere anche da un altro recente episodio, o meglio dalla
valutazione che di esso viene data e che qui riporto con lo scopo di suscitare
una riflessione sull’accaduto.
Mi riferisco a quanto scrive il 18 agosto passato Miguel Angel Ferrer per Telesur a proposito
dell’accordo di pace tra le FARC e il governo colombiano, successivamente non
approvato dalla popolazione di quel paese. Osservando che “Nadie está
obligado a lo imposible” Ferrer si pone varie domande. In una di
queste si chiede se le FARC sono per caso giunte al patteggiamento a causa dei
moderni strumenti tecnologici e militari che il Pentagono ha
somministrato all’esercito colombiano e che rendono alquanto difficile la
prosecuzione dell’insurgencia. Si domanda anche se, una volta
smobilitato e disarmato, il movimento insurrezionale, che è giunto a
controllare un ampio territorio per cinque decenni, ciò non porterà alla
sparizione fisica dei suoi capi uccisi dagli squadroni della morte nel mezzo
della strada, come del resto è già avvenuto in passato.
Come si vede, tutti questi elementi, qui non casualmente
riuniti, ci sollecitano a riflettere sulle effettive condizioni oggettive nelle
quali si dispiega una certa azione politica, evitando di presentare come una
vittoria sicura e indiscussa ciò che invece può aprire la strada a una
sconfitta sia pure di diverso segno. Essi ci sollecitano anche ad associarsi
alla campagna proposta da Borón, i cui obiettivi d’altra parte coincidono con
quelli del movimento che si oppone alla presenza delle basi NATO nel
nostro paese e nel continente europeo.
Note:
[1] Il rinnovato interesse per l’antico cortile di casa,
sanzionato dalla riattivazione nel 2008 della IV Flotta alle dipendenze del US
Southern Command, risponde ad una serie di esigenze diverse: interesse per le
risorse energetiche di cui dispone la regione, l’intervento sempre più
massiccio di altre potenze, che possono giocare un ruolo importante nella
definizione degli equilibri politici non favorevoli a Washington (http://www.geopolitica-online.com/23503/la-presenza-militare-statunitense-in-america-latina)
[2] In particolare con Cina, Russia e Iran.
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