martedì 26 maggio 2020

"Da Marx al post-operaismo" - Marco Cerotto

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Giovanni Sgrò, Irene Viparelli (a cura di), Da Marx al post-operaismo. Soggettività e pensiero emergente, Napoli, La Città del Sole, 2018 -
Marco Cerotto (Università di Napoli Federico II, Scienze Storiche)
Leggi anche:   Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento*- Carla Maria Fabiani 
                         Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredità dell’operaismo italiano*- Cristina Corradi 
                         La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli 
                         Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70* - Roberto Finelli 
                         Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento - Riccardo Bellofiore  
Vedi anche:    I marxismi in Italia - Roberto Finelli


Il testo Da Marx al post-operaismo[1] offre una lettura teorico-politica che ripercorre circa un secolo di riflessioni filosofiche variegate tra loro, ma che esaminando gli sviluppi della società capitalistica contemporanea adoperano la metodologia marxiana come chiave di lettura del presente, estrapolando però contenuti e concetti ereditati dalle diverse tradizioni del pensiero politico moderno che l’opera di Marx ha generato. Si tratta di un lavoro svolto da «giovani leve», come scrive Giovanni Sgro’ nell’Introduzione, le quali però si orientano decisamente verso la comprensione di determinati filoni teorici che hanno tentato di plasmare la prassi politica, cioè delle organizzazioni operaie, dal momento che posero all’attenzione delle loro analisi gli sviluppi politici della stessa classe operaia.
Dall’analisi degli sviluppi filologici su L’ideologia tedesca, dalla quale però emerge un’accesa diatriba teorico-politica scatenatasi in un periodo storico particolare (quello degli anni Venti e Trenta del secolo scorso) tra gli interpreti marxisti sovietici e quelli tedeschi socialdemocratici per l’affermazione indiscussa dell’eredità marxiana, allo studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e all’elaborazione del concetto marxiano di «uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane» (p. 53), si giunge ai tedeschi Benjamin e Marcuse, influenzati dal clima di devastazione totale provocato dalla Prima guerra mondiale e dal consolidarsi dei regimi nazi-fascisti che condussero l’Europa al suo secondo suicidio. Ciò che accomuna i due pensatori tedeschi è la considerazione dello svilimento del soggetto rivoluzionario, vale a dire la discontinuità della riflessione della classe operaia nei termini delineati da Marx, come classe capace di emancipare tutta la società emancipando sé stessa. La socialdemocrazia, secondo Benjamin, ha «corrotto i lavoratori tedeschi» (p. 89) mistificando la funzione storica del proletariato «di creare la propria storia nel tempo vivo e cosciente dell’attualità» (p. 90), come scrive Morra, interpretando accuratamente quelle riflessioni benjaminiane che costituiscono gli scritti inediti sulla storia a partire dal frammento giovanile teologico-politico e giungendo fino alle tesi di filosofia della storia.

domenica 24 maggio 2020

Le banche creano moneta “dal nulla”? - Vitor Constâncio, ex vicepresidente della BCE, spiega cosa significa -

Da: https://keynesblog.com - [fonte: https://twitter.com/VMRConstancio/status/1207233364152983552]


Cogliendo l’occasione di un articolo comparso su VoxEU, Vitor Constâncio, ex vicepresidente della BCE con Mario Draghi, spiega su Twitter in che senso è corretto sostenere che le banche commerciali creano moneta “dal nulla” e cosa questo significhi. Non è vero, come molti pensano, che le banche prestano i soldi depositati dai clienti. E non è rilevante l’esistenza di un obbligo di riserva (che, infatti, in Inghilterra, Canada ed Australia è stato abolito tempo fa). Tutta la storia del “moltiplicatore dei depositi” è priva di senso. BCE, Banca d’Inghilterra e persino la Bundesbank smontano la teoria monetaria esogena ancora oggi riportata sui testi introduttivi di economia: è la vittoria definitiva per la teoria della moneta endogena. (keynesblog)



I testi della Bank of England [1] e della Bundesbank [2] sulla creazione di moneta, citati in questo strano articolo [3], sono assolutamente corretti. Le banche creano moneta, naturalmente non senza vincoli e senza limiti. L’articolo non sembra contestare queste opinioni.

L’articolo si concentra solo nel criticare l’espressione “creato dal nulla” perché le attribuisce il significato che le banche creano denaro senza vincoli e senza limiti. Che significhi questo o meno, non è un punto tanto rilevante da richiedere un pezzo su Voxeu.

Ciò che conta è che le banche non aspettano che i precedenti risparmi siano depositati presso di loro per creare credito/moneta, ma creano “potere d’acquisto” quando concedono credito, che è un’attività rischiosa, basata su una promessa di rimborso. Che questo non sia al 100% uguale a “creare dal nulla” non è importante. 

L’importante è che le banche permettono ad un imprenditore senza abbastanza denaro/risparmio di finanziare il suo investimento. Anche altre parti del sistema finanziario possono finanziare gli investimenti, ma non lo fanno creando un “potere d’acquisto” generale (moneta). Redistribuiscono il “potere d’acquisto” esistente. 

sabato 23 maggio 2020

- Note sulla crisi. Intervista all'economista Marco Passarella -

Da: http://www.marx21.it - http://www.badiale-tringali.it - Di Francesco Fustaneo e Alessandro Pascale
Vedi anche:  - Cause strutturali e congiunturali della stagnazione italiana - Marco Veronese Passarella 
                         La crisi dell'economia italiana all'interno della crisi dell'area euro - Marco Veronese Passarella 
                         Crisi si, ma quale teoria della crisi? - Marco Veronese Passarella 
                         Keynes* (ma chi era costui?) - Marco Veronese Passarella


Marco Veronese Passarella, 44 anni, veneto, è docente di economia presso l’Economics Division della Leeds University Business School. Fa parte della redazione di Economia e Politica ed è membro del gruppo Reteaching Economics. Lo abbiamo intervistato per la rivista Marx21 sull'attuale fase economica cercando di capire se dal suo punto di vista gli strumenti messi in campo dalle istituzioni europee siano o meno idonee per arginare la crisi, con un passaggio obbligato poi, sui trattati europei e sulle relazioni geopolitiche attuali e su possibili mutamenti di scenario.


- Professore, tutto il mondo si avvia verso una recessione economica che forse non ha precedenti: è possibile e auspicabile uscire da questa crisi restando all'interno di rapporti di produzione capitalistici? Se sì, quali strategie economiche e politiche può mettere in campo uno Stato come il nostro?

- Non so se sia possibile. Di certo non è auspicabile. E tuttavia non vi sono, al momento, segnali di un superamento imminente dei rapporti di produzione capitalistici. Dobbiamo giocoforza misurarci con un paese ed un contesto internazionale in cui il movimento operaio e le sue organizzazioni storiche o quello che ne rimane, sono in fase di arretramento. Nel caso italiano il problema è amplificato dai vincoli istituzionali e politici imposti dall’adesione all’Area Euro, che limitano drammaticamente le possibilità di intervento proprio quando l’economia viene colpita da shock esterni. 

- Che cosa si può fare dunque?

venerdì 22 maggio 2020

giovedì 21 maggio 2020

Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo - Emiliano Alessandroni

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n°1/2018, Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo, a cura di Emiliano Alessandroni, pp. 74/88, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 - http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1832/1640
Emiliano Alessandroni Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Leggi anche: Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron 


Nel corso degli anni ‘50 e ‘60 del Novecento, collocandosi lungo la scia tracciata da Galvano Della Volpe, Lucio Colletti sviluppa in Italia una requisitoria contro Hegel e segnatamente contro quegli elementi della filosofia hegeliana che, in modo più o meno volontario, erano penetrati all’interno del marxismo, inficiandone, a suo avviso, la consistenza scientifica. Tre i vizi speculativi tramandati, secondo lo studioso italiano, dalla Scienza della logica e dalla Fenomenologia dello Spirito

1) l’assorbimento del quadro storico nel quadro ontologico, vale a dire il complessivo disinteresse verso la «molteplicità del reale», portata a vanificarsi entro «una genericità o un’idea che non rimanda né si riferisce a questo o a quell’aspetto del reale, ma si presenta al contrario essa stessa come la sola e intera realtà»1; 

2) lo «scambio», per usare la terminologia aristotelica, «del genere con la specie»2; 

3) la tendenza a cedere reiteratamente alle lusinghe delle «ipostasi», categorie incapaci «di servire come ipotesi e criteri per l’esperienza» in quanto non desunte da scrupolose osservazioni dell’Oggetto, ma apparse come «un’introduzione surrettizia di contenuti immediati, non controllati»3. 

Sarebbe alquanto facile replicare a Colletti come simili forme di dogmatismo, che costituiscono alcune delle configurazioni che assume il concetto di ideologia in Marx4 , siano in ultima analisi anche alcune delle configurazioni che assume il concetto di intelletto astratto in Hegel – ripartito a sua volta tra l’astrattezza del particolare e l’astrattezza dell’universale. Ma altri sono gli aspetti che qui preme evidenziare: partendo dalle convinzioni di cui sopra, l’allievo di Della Volpe rimprovera a Lenin la tendenza ad allinearsi «nella sostanza» sempre più «alla logica hegeliana»5 . Si tratterebbe di un allineamento a concezioni teologiche, coscienzialiste e mistiche, quali erano quelle che, a suo avviso, la filosofia classica tedesca promuoveva, inclini a contaminare la coscienza del dirigente russo verso forme di speculazione deteriore. È un punto che viene ribadito con fermezza: la «logica» e la «dialettica hegeliana» avevano posto tra gli occhi di Lenin e il mondo un’insidiosa «lente deformante»6. 

Come giudicare queste accuse? Lo studio della filosofia di Hegel concorre realmente a indebolire la comprensione che Lenin maturerà del mondo? Per rispondere a queste domande occorre tornare indietro fino al 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale. Guerra che vedrà un altissimo numero di vite falcidiate, in massima parte appartenenti agli strati sociali meno abbienti. In quel mentre, nei parlamenti inglese, francese, austriaco e tedesco, i deputati socialisti che pur si ergevano a portavoci delle masse popolari, votavano favorevolmente ai crediti di guerra. È una vicenda che suscita l’indignazione di Rosa Luxemburg: «l’immortale appello del Manifesto comunista» di Marx ed Engels (“proletari di tutti i paesi unitevi”) «subisce» ora, «un completamento essenziale...secondo la correzione apportatavi da Kautsky...: “Proletari di tutti i paesi unitevi in pace e sgozzatevi in guerra!”»7. 

mercoledì 20 maggio 2020

Edipo. Dall'enigma alla colpa - Maurizio Bettini

Da: Teatro Franco Parenti -
Maurizio Bettini è professore ordinario di Filologia Classica all'Università di Siena e direttore del centro interdipartimentale di studi 'Antropologia del mondo antico'.
Vedi anche:  Tragedia come Paideia*- Eva Cantarella 
                      Medea migrante - Eva Cantarella 
                     "EDIPO, LA CONOSCENZA E IL DESTINO"- Mauro Bonazzi, Silvia Vegetti Finzi 
                      Antigone di Sofocle - Vittorio Cottafavi 
                      Le troiane - Euripide
                                                                            

domenica 17 maggio 2020

Non c'è liberazione dal lavoro senza liberazione del lavoro - Gianluca Pozzoni

Da: http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it - Gianluca Pozzoni è Dottore di Ricerca all'Università degli Studi di Milano Statale.
Vedi anche:   Quale attualità di Claudio Napoleoni: il contributo di Politica Economica 
                       Paul Mason: POSTCAPITALISMO – Riccardo Bellofiore 
                       Sulla “Nuova lettura di Marx”*- Riccardo Bellofiore 
Leggi anche: Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale.*- Riccardo Bellofiore**
                        Marx e la fondazione macro-monetaria della microeconomia - Riccardo Bellofiore 
                        La socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes - Riccardo Bellofiore - 
                        CHE COS'È IL VALORE? - Giorgio Gattei* 
                        L’ecomarxismo di James O’Connor - Riccardo Bellofiore

Qui il video della presentazione dell'ultimo libro di Riccardo Bellofiore "Smith, Ricardo, Marx, Sraffa: Il lavoro nella riflessione economico-politica", Rosenberg & Sellier, 2020, presso la Mediateca Gateway. 

Tutta da ascoltare, grazie agli ottimi interventi di Giorgio Gattei, Cristina Re e Francesco Garibaldo. Sono seguite le repliche dell'autore. Ha moderato e introdotto Andrea Coveri: https://www.facebook.com/mediateca.gateway/videos/300969457731929/ 

                                           * * *

“Smith Ricardo Marx Sraffa: Il lavoro nella riflessione economico-politica” di Riccardo Bellofiore (Rosenberg&Sellier, 2020) non è un semplice compendio di storia del pensiero economico. È piuttosto un'immersione nelle teorie economiche moderne che spinge l’autore a interrogarsi sul ruolo del lavoro nell’attuale fase neoliberista del capitalismo, sul suo futuro aperto, e sui compiti politici che questo futuro pone.

Tanto vale dichiararlo in apertura: dietro al titolo esoterico, da “addetti ai lavori”, dell’ultimo libro di Riccardo Bellofiore – Smith Ricardo Marx Sraffa – si nasconde in realtà un testo fortemente militante. Si tratta, beninteso, di una militanza teorica, da economista critico. Lo stesso titolo del libro è un omaggio all’opera Smith Ricardo Marx, pubblicata all’inizio degli anni Settanta da un altro economista critico, Claudio Napoleoni, antico maestro di Bellofiore. E se l’impostazione di Bellofiore non risparmia neppure lo stesso Napoleoni, criticato in vari punti, fedele all’approccio del suo predecessore è invece la scelta di avanzare una proposta teorica ripercorrendo alcune tappe fondamentali del pensiero economico moderno. 

sabato 16 maggio 2020

Il circolo vizioso tra bassa istruzione e povertà - Cristina Re


Da: https://www.roars.it - Cristina Re studia Dottorato in Economics presso Università degli Studi di Siena. https://www.facebook.com/cristinare93
Leggi anche: Su: Europa e Globalizzazione*- Cristina Re** 


(per Noi Restiamo)

In questo articolo, ci occupiamo di analizzare la connessione tra disuguaglianze sociali ed istruzione andando a decostruire una narrazione dominante che presenta il mondo della formazione come fondato su una efficiente meritocrazia che premia sempre i più bravi e “giustamente” lascia indietro chi non ha le “skills” per affrontare un mondo del lavoro flessibile che richiede giovani lavoratori sempre più “smart” e competitivi. Riferendoci, al di là dell’ideologia, alla realtà vediamo una situazione ben diversa: chi non ha le competenze adatte non è un incapace, ma viene da una condizione economica svantaggiata, e la meritocrazia diventa solo un modo per giustificare le enormi disuguaglianze economiche e sociali.

Da sempre sottolineiamo come il modello economico capitalistico genera uno sviluppo ineguale di diverse aree geopolitiche e classi sociali, il quale a sua volta viene rafforzato dalla “controrivoluzione” neoliberale, iniziata negli anni ‘80, che ha visto l’introduzione di una serie di leggi in materia di lavoro, di istruzione, di previdenza sociale, sanitaria ecc., aventi l’obiettivo di piegare i diritti sociali al profitto e promuovere l’interesse privato a discapito di quello pubblico. Questo sviluppo ineguale, rafforzato dall’Unione Europea soprattutto attraverso la gestione della crisi economica con politiche di austerity, emerge ormai chiaramente dai dati e dall’analisi del quadro generale, tant’è che ormai anche i giornali mainstream non riescono più a nasconderla, nonostante il goffo tentativo di mostrare il fenomeno come marginale. In Italia, nello specifico, sono usciti recentemente una serie di articoli sul tema che sottolineano come la disuguaglianza e la povertà siano ereditarie e molto più sentite al Centro-Sud. Inoltre, l’impatto è diverso all’interno degli stessi territori a seconda della classe di appartenenza e dell’età, risultando ancora più feroce nei confronti dei giovani, nonché per le fasce sociali più deboli.

Con lo scopo di avere una fotografia più chiara del fenomeno, smascherando gli effetti di un modello economico e sociale insostenibile, ne presentiamo una descrizione per cercare di cogliere le tendenze più rilevanti e soprattutto per mostrare l’assenza totale di mobilità sociale, le relazioni centro-periferia che si stanno sempre più rafforzando e l’attacco fortissimo perpetrato nei confronti delle nuove generazioni che, tra le fasce di popolazione, sono tra quelle che soffrono di più gli effetti di questo modello.

venerdì 15 maggio 2020

Stiamo vivendo la prima crisi economica dell’Antropocene - Adam Tooze

Da: https://www.infoaut.org - Adam Tooze è uno storico britannico che è professore alla Columbia University e direttore dell'Istituto europeo.
Ascolta anche: RADIO QUARANTENA: Intervista a Giuseppe Antonio di Marco, docente di Filosofia della storia, Università di Napoli "Federico II": Preistoria e Comunismo. L'attualità degli scritti antropologici di Marx e Engels (https://www.spreaker.com/user/11689128/preistoria-e-comunismo).




Pubbichiamo questo articolo uscito qualche giorno fa sul sito del The Guardian, scritto dallo storico dell’economia Adam Tooze, autore, due anni fa, del monumentale “Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo”. Il merito del testo è quello di cogliere la dimensione profonda di una crisi che, anche se letta ancora come economica, ha le sue radici nello sconvolgimento dei rapporti tra natura umana e natura non-umana e il loro complessivo incorporamento nell’economico, che oggi però viene messo in discussione dall’irruzione della pandemia. 
(INFOaut)




Ogni aprile la città di Washington DC ospita la riunione primaverile del FMI e della Banca mondiale. Il mese scorso la direttrice operativa del FMI Kristalina Georgieva si è però rivolta ai colleghi in video. “Il mondo sta affrontando”, ha dichiarato, “una crisi senza pari”. Per la prima volta da quando sono disponibili rilevazioni, l’economia è in contrazione in tutto il mondo, tanto nei paesi ricchi quanto in quelli poveri.

Ma non è tanto il suo impatto immediato a rendere questa crisi economia senza precedenti. È la sua genesi. Questo non è il 2008, con il crollo del sistema bancario nordatlantico. E non sono nemmeno gli anni ‘30, col terremoto generato dalle linee di frattura conseguenti alla prima guerra mondiale. Questo è il 2020 e l’emergenza economica dettata dal Covid-19 è il risultato di uno sforzo massiccio e globale per contenere una malattia sconosciuta e letale. Si tratta al tempo stesso di una dimostrazione sorprendente del potere collettivo che abbiamo di arrestare l’economia e di un promemoria sconvolgente sul fatto che il nostro controllo sulla natura, che sta alla base della vita moderna, è più fragile di quanto pensassimo. Stiamo vivendo la prima crisi economica dell’Antropocene.

Questa è l’epoca in cui l’impatto umano sulla natura ha cominciato a ritorcersi contro in modi imprevisti e disastrosi. Per quanto la grande accelerazione che ha contraddistinto l’Antropocene possa essere iniziata nel 1945, è nel 2020 che ci confrontiamo con la prima crisi le cui ripercussioni destabilizzano l’intera economia. È un promemoria di quanto totalizzante e immediata sia questa sfida. Mentre la temporalità dell’emergenza climatica tende ad essere misurata in anni, il Covid-19 ha fatto il giro del mondo in poche settimane. È un trauma profondo. Mettendo in discussione il nostro stesso dominio sulla vita e sulla morte, la malattia ha scombussolato le basi psicologiche del nostro ordine sociale ed economico. Pone delle domande fondamentali in merito alle nostre priorità. Capovolge i termini del dibattito. Né negli anni ‘30 né nel 2008 ci si era trovati a discutere se fosse giusto o meno far tornare le persone al lavoro.

giovedì 14 maggio 2020

Proletari di tutto il mondo, la vera pandemia è la disuguaglianza - Pasqualina Curcio

Da: https://contropiano.org - Pasqualina Curcio è Economista e Professoressa all’Universidad Simón Bolívar (Venezuela).
Leggi anche: - PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI - 
                         Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias 
                         Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik. - Alessandro Visalli 

Non è del tutto vero che il Covid-19 non distingue nel momento in cui colpisce e, soprattutto, uccide. È possibile che biologicamente non ci siano differenze di colore della pelle, età, o sesso; in ogni caso sono studi che dovranno essere condotti con attenzione una volta che si dispone del dettaglio dei casi di infetti e morti, ma differenze e disuguaglianze per combattere la pandemia e non morire nel tentativo, infatti, ci sono.

Non è lo stesso il rischio di contagio che si assume il fattorino dell’azienda di Amazon, che deve uscire a lavorare ogni giorno perché altrimenti i suoi figli andranno a letto senza mangiare, al rischio che si assume il proprietario della stessa azienda, che essendo socialmente molto ben distante nella sua villa, è in cima alla lista Forbes con un patrimonio di 138 miliardi di dollari.

Non è la stessa cosa passare la quarantena come cassiere di Walmart, con tutto il rischio di contagio che questo comporta, e con uno stipendio che non potrebbe essere sufficiente a pagare un test Covid-19, che passare il distanziamento fisico come uno degli azionisti della citata catena di negozi: il numero 13 della lista Forbes 2020 con 54 miliardi di dollari di patrimonio.

Non è lo stesso combattere il Coronavirus senza un pezzo di pane da mangiare perché, essendo un lavoratore dipendente e senza la capacità di risparmiare, sei stato licenziato perché l’azienda transnazionale dove lavori ha dovuto chiudere a causa della quarantena, o essere il proprietario borghese della filiale.

Non è lo stesso sopravvivere alla pandemia vivendo per strada, senza un riparo permanente, senza dover mangiare, senza lavoro e senza stipendio, o come appartenenti all’1% della popolazione mondiale che si appropria dell’82% della ricchezza (Oxfam, 2019).

Il vero male che oggi si sta diffondendo in tutto il mondo e che attacca l’umanità è la disuguaglianza, a sua volta conseguenza di un sistema predatorio di produzione e distribuzione attraverso il quale la borghesia, proprietaria del capitale, con la complicità degli Stati che partecipano minimamente alle economie e applicano il laissez faire, si è appropriata sempre più dello sforzo del lavoratore salariato. Un sistema che, quindi, genera sempre più povertà e che oggi, in tempi di Coronavirus, diventa sempre più evidente.

Affrontare l’assalto della pandemia di Coronavirus in condizioni di povertà è ovviamente più difficile. Oggi, 3,7 miliardi di persone nel mondo sono poveri, cioè la metà della popolazione. 

Ci siamo chiesti perché ci sono così tanti poveri nel mondo, o crederemo al discorso egemonico del capitalismo che dice che i poveri sono poveri perché non lavorano abbastanza, non fanno uno sforzo, non sono produttivi, sperperano il loro salario, e quindi sono loro stessi responsabili della loro condizione di povertà?

Guardiamo alcune cifre e smontiamo questa menzogna.

mercoledì 13 maggio 2020

- Un culto di morte -

Da: http://ilpedante.org - https://www.facebook.com/giorgio.bianchi
Leggi anche:  Contro l’emergenza - Alessandra Ciattini e Aristide Bellacicco 
                         Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri 
                         IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani 
                         La città appestata - Michel Foucault
Vedi anche:    https://youtu.be/qAKKA21pWfo


"I do not believe that a nation dies save by suicide. 
To the very last every problem is a problem of will; and if we will we can be whole."
(G.K. Chesterton)

I.

Non è facile commentare il periodo che stiamo attraversando. Mentre i più lo traducono nelle cronache e nei bollettini sanitari di una malattia che circolerebbe dall'inizio dell'anno, qualche avanguardia critica si spinge a denunciare gli errori con cui sarebbe stata gestita la collegata emergenza. È però ormai evidente che le reazioni e i pensieri innescati dalla patologia virale, su cui pure si fissa disciplinatamente il dibattito, evidenziano le piaghe di una patologia antropologica più vasta da cui emergono i limiti, se non forse anche la fine, di un intero modello antropologico e sociale.

Per restare nel dominio semantico che tiene banco, prima di valutare le cause e i rimedi occorre dare una chiara descrizione dei sintomi. In punto di fatto, la sospensione delle attività sociali oggi imposta per arginare la trasmissione di un virus non ha precedenti in tempi di pace e forse anche di guerra, scaricandosi ora l'intero potenziale offensivo e difensivo dello Stato sulla sola popolazione civile. Il combinato delle misure in vigore ha creato le condizioni di un esperimento, inedito per radicalità e capillarità, di demolizione controllata del tessuto sociale che parte dai suoi atomi per diramarsi verso la struttura. Alla base sono colpiti gli individui: terrorizzati dall'infezione e dalle sanzioni, braccati nella quotidianità con un accanimento e un dispiegamento di mezzi che è raro riscontrare nella repressione dei crimini più efferati, segregati tra le mura domestiche, allontanati dai propri cari, isolati nella malattia e nella morte, istigati alla delazione e al terrore - quando non direttamente all'odio - del prossimo, privati dei conforti della religione, senza istruzione, costretti alla disoccupazione e a vivere dei propri risparmi nell'attesa di un'elemosina di Stato, stipati come bestie in batteria e ridotti ad abitare il mondo attraverso gli ologrammi gracchianti di un telefonino. La speranza stessa della liberazione diventa fonte di angoscia per l'incertezza delle previsioni e l'enormità dei messaggi accreditati in cui si annunciano «rimedi» fino a ieri quasi indicibili per i nostri standard giuridici e morali: dal tracciamento digitale dei cittadini e del loro stato di salute, riservato finora solo alle specie selvatiche, alla somministrazione presumibilmente coatta di farmaci che ancora non esistono (se mai esisteranno) o, in alternativa, che nulla hanno a che fare con la patologia in oggetto; dalla smaterializzazione dei rapporti umani più stretti al prelievo forzoso degli «infermi», fino ai sogni più sfrenati di tatuaggi e certificati digitali per poter condurre una vita (si fa per dire) normale.

lunedì 11 maggio 2020

"Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.

Da: Contropiano video - https://contropiano.org - Roberto Fineschi (Filosofo marxdialecticalstudies) - Mauro Casadio (Rete dei Comunisti http://www.retedeicomunisti.net) - Antonio Allegra (Rete dei Comunisti)


Le forme di repressione odierne, che si accentuano e si accentueranno nelle prossime settimane con il pretesto della gestione della pandemia, vanno comprese connettendole al contesto della crisi sistemica di quello che Roberto Fineschi definisce “capitalismo crepuscolare”.

                                                                           
Primo intervento Fineschi 16:10
Primo intervento Casadio 49:16
Secondo intervento Fineschi 1:05:55
Secondo intervento Casdadio 1:24:29
Terzo intervento Fineschi 1:39:08

domenica 10 maggio 2020

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron

Da: http://www.rifondazione.it - Il testo è tratto da: https://www.elsiglo.cl/2020/04/23/atilio-boron-y-los-150-anos-de-lenin -
Atilio A. Boron è un intellettuale e sociologo argentino.
Leggi anche:  Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908) 
                         Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915) 
                         Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale*- Vladimir Lenin (1917) 
                         Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923) 
                         Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923) 
                       Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih 
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                         La missione morale del Partito comunista - György Lukács 


22 Aprile 2020

Vladimir Illich Ulianov è nato in un giorno come oggi, del 1870, a Simbirsk, in Russia. Fu il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), il leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina di successo a livello nazionale nella storia della umanità: la Rivoluzione d’ottobre in Russia (che portò a termine ciò che la eroica Comune di Parigi non potè fare) e architetto e costruttore dello Stato sovietico. Come se questo non fosse abbastanza, fu anche un notevole intellettuale, autore di numerosi scritti su argomenti diversi come filosofia, teoria economica, scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali (1).

“Pratico della teoria e teorico della pratica” secondo la brillante definizione che György Lukács ha proposto, Lenin introdusse tre contributi decisivi al rinnovamento di una teoria vivente, il marxismo, che ha sempre inteso come una “guida all’azione” e non come un dogma o un insieme sclerotizzato di precetti astratti. 

Grazie a Lenin le basi teoriche stabilite da Karl Marx e Friedrich Engels furono arricchite con una teoria dell’imperialismo che fece luce sugli sviluppi più recenti del capitalismo nel primo decennio del ventesimo secolo; con una concezione della strategia e delle tattiche della conquista del potere o, in altre parole, con una rinnovata teoria della rivoluzione basata sull’alleanza “operaia-contadina” e sul ruolo degli intellettuali; e con le sue diverse teorie sul partito politico e i suoi compiti in diversi momenti della lotta sociale. Una straordinaria eredità teorica, come emerge dalla precedente enumerazione. 
 
In questo breve promemoria della nascita di una persona eccezionale come Lenin, vorrei attirare l’attenzione su uno di questi tre contributi: la “teoria” del partito in Lenin. 

sabato 9 maggio 2020

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972 [Die moralische Sendung der kommunistischen Partei, 1920]. -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.
Leggi anche:  EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur 
                       Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky                         
                       
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                      Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/09/inefficienze-e-difetti-delleconomia.html


1. Come ogni scritto di Lenin, anche questo nuovo opuscolo1 merita lo studio più attento da parte di tutti i comunisti. Esso dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità di Lenin di comprendere gli elementi decisamente nuovi che esistono in un nuovo fenomeno nell’evoluzione del proletariato, di capire e di far capire in maniera essenziale l’essenza di quegli elementi. Mentre i suoi precedenti scritti erano dedicati più alla polemica, e cercavano di analizzare a fondo le organizzazioni di lotta del proletariato (in primo luogo lo Stato), quest’ultimo è invece dedicato ai germi della nuova società che stanno sbocciando. Come la forma di produzione capitalistica, con cui la disciplina del lavoro imposta dalla costrizione economica (la fame), era superiore alla nuda forma della servitù della gleba, così la libera collaborazione di uomini liberi nella nuova società supererà di gran lunga, anche in produttività, il sistema capitalistico. Appunto a questo riguardo i disfattisti socialdemocratici della rivoluzione mondiale sono estremamente scettici. Essi si richiamano all’allentamento della disciplina del lavoro, al calo della produttività, in una parola a fatti che sono i necessari fenomeni collaterali del dissolversi dell’ordinamento economico capitalistico: e con una impazienza e intolleranza paragonabili quanto a vigore solo alla loro pazienza e tolleranza nei confronti del capitalismo, essi ci dicono che questi fenomeni nella Russia sovietica non si sono modificati immediatamente. La scarsità di materie prime, le lotte intestine, le difficoltà organizzative valgono ai loro occhi come giustificazione solo per gli Stati capitalistici, mentre un ordinamento proletario della società dovrebbe secondo loro significare, nello stesso istante del suo nascere, un capovolgimento di tutti i rapporti tanto all’interno quanto all’esterno, il miglioramento della situazione in tutti i campi. I rivoluzionari autentici, e primo fra tutti Lenin, si distinguono da questo utopismo piccolo-borghese per l’assenza di illusioni. Essi sanno che cosa ci si può aspettare da un’economia distrutta dalla guerra, e soprattutto che cosa ci si può aspettare da uomini educati all’egoismo, spiritualmente depravati e corrotti dal capitalismo. Per il vero rivoluzionario una mancanza di illusioni non può mai significare avvilimento e disperazione, bensì fede, rinvigorita dalla conoscenza, nella missione storico-mondiale del proletariato; si tratta di una fede che non può mai essere scossa dalla lentezza e dalle circostanze spesso più che avverse della sua realizzazione, di una fede che mette in conto tutto ciò e che, nonostante tutti questi sconvolgimenti e ostacoli, non perde mai di vista il proprio obiettivo ed il processo di avvicinamento ad esso.

venerdì 8 maggio 2020

La Covid19 Economics e il trionfo europeo dei Chicago Boys – Sargent Pepper

Da: http://effimera.org - https://www.spreaker.com/show/radioquarantena -

                        PERCHÉ NON TI FANNO RIPAGARE IL DEBITO - Marco Bersani 

                        "La multinazionale ecumenica" - Eugenio Cefis


Effimera è venuta in possesso di alcune lettere scritte da un conservatore americano lobbista a Bruxelles e amante dei Beatles – che, per rispetto della privacy, abbiamo ribattezzato con uno pseudonimo: Sargent Pepper.

Sono lettere indirizzate a un suo anziano collega ricoverato in una casa di riposo … In tempi di corona virus i postini a volte si disfano della corrispondenza per evitare luoghi pericolosi come le case di cura lombarde, ove è facile rimanere contagiati.

Hans Iacob Stoer l’ha trovata e ora Effimera pubblica la traduzione del testo apparso a Gottingen in lingua inglese, traduzione del prof. Ferrante Pallavicino.

* * * * * *

See the worst thing about doing this
Doing something like this
Is I think that at first people sort of are a bit suspicious"
‘You know, come on, what are you up to?’ The Beatles, A day in the life, 1967


1. Caro XXXXX è difficile immaginare il futuro quando si resta a casa a guardare dalle finestre.

È ancora più difficile quando si è in preda ad un bombardamento mediatico che ripete incalzante ritornelli insopportabili.

Fra questi ce ne sono alcuni che abbiamo costruito con dovizia proprio noi: i Chicago Boys.

Ed io sono uno di loro che, come tanti, ha trovato lavoro in Europa. Faccio parte di quel mondo di confine fra i funzionari di Bruxelles e le Università in cui si insegnano soprattutto le nostre teorie economiche. Teorie economiche che dominano la vostra visione politica. È ciò di cui mi hai chiesto di parlare durante la nostra ultima telefonata, e allora, sperando che possa mantenere vivo il tuo antico senso critico, parliamone, ricorrendo alle nostra amatissima carta da lettere. 

Il coronavirus, la globalizzazione e la Storia - Aldo Giannuli

Da: Aldo Giannuli - http://www.aldogiannuli.it - Aldo Giannuli è uno storico e saggista italiano, direttore del centro studi Osservatorio Globalizzazione.

Quali saranno le conseguenza del coronavirus? Come interpretare la situazione in corso con gli occhi della Storia?

                                                                 Lezione 1 - Il coronavirus, la globalizzazione e la Storia - Storia del mondo contemporaneo 2020:

                                                                          
                                                                 Tutte le lezioni: Storia del mondo contemporaneo 2020 Aldo Giannuli 1/14


giovedì 7 maggio 2020

Del denaro. I mezzi e i fini - Remo Bodei

Da: Filosofia Roccella Scholé -  Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e accademico italiano.
Leggi anche:   Semiotica e Moneta*- Carlo Sini 
                         L'uomo e il denaro*- Carlo Sini 
                         Compendio del Capitale - Carlo Cafiero

                                                                           


lunedì 4 maggio 2020

Contro l’emergenza - Alessandra Ciattini e Aristide Bellacicco


Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini (Antropologa) e Aristide Bellacicco (Medico) fanno parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni".
Leggi anche:  Passiamo alla fase 2? - Alessandra Ciattini , Aristide Bellacicco 
                           Ipotesi sulle cause della pandemia provocata dal Coronavirus - Alessandra Ciattini  
                           Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri


Crisi sanitaria, crisi economica e crisi istituzionale? 


Tenendo conto degli ultimi dati (27 aprile) l’epidemia da Coronavirus, che un miracolo invocato dal Papa avrebbe dovuto bloccare, ha provocato finora circa 27.000 morti in Italia, oltre un terzo dei quali in Lombardia e circa 200.000 contagiati. Com’è noto, in conseguenza di questa situazione il governo ha dichiarato il 31 gennaio lo stato di emergenza fino al 31 luglio, passato quasi inosservato, ed ha assunto severe misure di restrizione che hanno riguardato una parte del sistema produttivo e di distribuzione del paese e, in grado molto maggiore, la stessa libertà di movimento dei singoli cittadini.

Sul piano formale, tali provvedimenti sono stati emanati, e trovano la loro legittimazione giuridica, sulla base di due successivi decreti-legge (n° 6/2020 e n°19/2020) che hanno assegnato al Presidente del Consiglio ampi poteri in ordine alle misure da adottare a fronte dell’andamento del fenomeno epidemico [1]. Lo strumento tecnico cui il Presidente del Consiglio ha fatto ricorso per la formulazione e l’attuazione di tali provvedimenti è stato il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in un contesto di significativa latitanza del Parlamento, forse spaventato dal virus. Al momento attuale, in virtù di una valutazione tecnica sul piano epidemiologico, che legge nei dati relativi ai contagi e ai ricoveri una tendenza alla riduzione dell’espandersi dell’epidemia, il governo ha deciso una parziale e graduale mitigazione delle misure fin qui adottate: si tratta di quella che viene ordinariamente indicata come “Fase 2”, in particolare il Dpcm (l’ennesimo) varato il passato 26 aprile.

Su questi aspetti vogliamo intervenire sia mettendo in luce i limiti che a nostro avviso l’azione del governo ha presentato in ordine alle diverse questioni trattate di seguito, sia ribadendo la nostra seria perplessità sull’effettiva utilità di alcune di esse, in particolar modo quelle che hanno violentemente ridotto, e severamente sanzionato, gli ordinari spazi di libertà personale dei cittadini tutti (il cosiddetto “distanziamento sociale”). 
Il presupposto di questo intervento è che non siamo disponibili ad accettare supinamente misure, del resto criticate da eminenti costituzionalisti, prese da uno Stato che non persegue certo il benessere collettivo in quanto rappresentante di ben precisi interessi di classe. Inoltre, sottolineiamo che la gravità della situazione è stata determinata dal precedente smantellamento del sistema sanitario, universitario e della ricerca portato avanti da quelle stesse forze politiche che ora, in nome della coesione sociale e della salvezza della patria, vogliono convincerci che ci porteranno fuori dalla crisi. 
Allo stesso tempo, questo stesso Stato non si è preoccupato delle avvisaglie del fenomeno, dimostrandosi tutt’ora impreparato ad affrontarlo con i tamponi e i test di massa (come in Cina), la distribuzione gratuita dei dispositivi di protezione, l’isolamento dei contagiati, la capacità di curare a domicilio i casi non gravi etc. 

domenica 3 maggio 2020

Gramsci. Eretico e comunista - Rossana Rossanda

Da: http://www.rifondazione.it/formazione - [Articolo pubblicato sul manifesto nel gennaio 1991 nell’inserto per il centenario della nascita di Gramsci. Si era alla vigilia del congresso di scioglimento del Pci (3,febbraio,1991)] - Rossana Rossanda è una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e cofondatrice de il manifesto.
Vedi anche:  Seminario organizzato dall'Istituto della Enciclopedia Italiana in occasione della pubblicazione del volume di Giorgio Fabre, Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato (https://www.youtube.com/watch?v=a4r005sbHak).


Non è senza imbarazzo che il Partito comunista italiano celebra l'anniversario di Antonio Gramsci alle soglie di quel XX congresso nel quale cambierà nome, simbolo e progetto politico. 

Paradossalmente è la natura decisamente antistaliniana di Gramsci a farne un personaggio non piegabile alle ragioni della «svolta» di Occhetto. Egli dimostra infatti come nessun altro che si può essere comunisti e non totalitari, comunisti e non giacobini, comunisti e non legati a uno schema impoverente di lettura della realtà, comunisti e sostenitori o portatori di un radicale dissenso.

Figura scomoda dunque per chi sostiene che comunismo e stalinismo sono la stessa cosa. O leninismo o trotzkismo. Gramsci non si può dire del tutto leninista («La rivoluzione contro il capitale») e per nulla trotzkista; nel 1926 si oppose alla condanna di Trotzki non perché ne condividesse le posizioni, ma per la rottura che Stalin induceva nel gruppo dirigente bolscevico mentre si spegneva ogni prospettiva di rivoluzione in Europa. A lui un partito comunista che volesse seriamente ripensare il suo metodo e trarre categorie di analisi non riducibili alla vulgata marxista, poteva davvero riferirsi: ma per restare comunista, non per cessare di esserlo.


E' questo che rende Gramsci non fungibile a qualsiasi uso politico. La duttilità dell'intelligenza si univa a una fermezza su alcuni principi, che pagò a costi altissimi: l'indisciplina del 1926, ce la diceva lunga su come egli concepisse un partito, fu deflagrante, Togliatti gli rispose aspramente, egli replicò non meno aspramente, e l'Internazionale spedì Humbert Droz a Genova per ricondurre i comunisti italiani sulla retta via. Non dovette penare molto: Gramsci non poté partecipare alla riunione perché era stato arrestato a Milano due giorni prima e non avrebbe più rivisto la libertà. Né avrebbe potuto mai più discutere con i compagni quel giudizio e la situazione che gliene derivava. Tanto da poter sospettare tormentosamente che, per quel dissenso, il Partito poco ormai si interessasse a lui, se addirittura non aveva contribuito - con la famosa lettera di Grieco - a «incastrarlo» al processo.