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giovedì 9 maggio 2019

“Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala

Da: http://www.gianfrancopala.tk/ - (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm) -  Gianfranco Pala è un economista italiano.
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole - 

                      Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206) 


  (valore, classi e pianificazione)

Si sa che Marx – fin dall’inizio dell’analisi del Capitale – ripete tante volte che “produzione delle merci e circolazione delle merci sono fenomeni che appartengono insieme a differentissimi modi di produzione, sia pure in mole e con portata differenti”. Sembra, dunque, inevitabile che una società di produttori associati, la quale voglia iniziare a porre sotto un controllo cosciente e pianificato la produzione stessa non possa fuoriuscire immediatamente da questa forma di merce. Deve, tuttavia, mutarne i caratteri sociali conservandone la base materiale “in quanto forma universalmente necessaria del prodotto” che “si esprime tangibilmente nella produzione su grande scala e nel carattere di massa del prodotto.

Tale carattere può essere conservato – mentre può essere soppressa, insieme alla soppressione della non proprietà del lavoro, l’unilateralità che il capitalismo gli impone – trascendendo così il modo capitalistico stesso di produrre, affinché esso non ripresenti anacronisticamente i caratteri privati (non socializzati) della merce semplice. Si ricordi fin d’ora che la forza-lavoro è l’unica merce che, già nel sistema capitalistico, appare nella sua forma semplice, ovvero non prodotta capitalisticamente, il che dimostra come praticamente possibile l’esistenza immediata di merce semplice con caratteri di massa in antitesi alla forma capitalistica. Dunque, tra i “differentissimi modi di produzione” che presuppongono la merce – ovverosia, lo scambio sul mercato di prodotti del lavoro e forza-lavoro medesima contro denaro – c’è anche, per definizione, la produzione non interamente pianificata della transizione socialista.

Ciò pone tre ordini di problemi: i. la tecnica e la scienza, riducendo il tempo di lavoro vivo socialmente necessario relativamente a quello morto, costituiscono l’oggettivazione che per­mane di contro alla soppressa alienazione delle condizioni materiali del lavoro; ii. la possibile negazione della forma capitalistica della merce ripropone, ma su basi nuove in quanto non solo mediatamente ma immediatamente sociali, quella figura del ciclo della circolazione – vendere per comprare anziché, capitalisticamente, comprare per vendere – che ha al suo inizio e alla sua fine la merce e non il denaro (riconsiderando così il lato “dimenticato” della duplicità della merce, il suo valore d’uso); iii. con il mutamento del carattere storico della merce emerge il mutamento della sua forma valore, fino al significato della sua forma denaro (e del corrispondente prezzo delle merci). 

mercoledì 6 luglio 2016

Il programma minimo. Per la classe e i comunisti in una fase non rivoluzionaria* - Enzo Gamba, Gianfranco Pala


Il Programma minimo indica quali elementi possa contenere un programma di partito comunista per l’intera classe, reputato e definito minimo giacché è impensabile raggiungere, al momento, la costruzione della società comunista (ma nemmeno la transizione a un modo di produzione socialistico), poiché tutto ciò compete al
programma massimo del comunismo. Oggi è palese la mancanza di ogni presa di conoscenza di massa dell’analisi marxiana, pratica e teorica; questo è il significato da dare alla perdurante fase non rivoluzionaria, in un’attesa di lotta profonda per ritrovare tempi meno bui.
Qui si mette implicitamente a confronto la strategia del programma massimo del “partito” comunista, per cui è essenziale l’appendice che include la Critica al programma di Gotha di Marx, perché quel partito aveva progettato una strategia “operaia” con un programma inadeguato. Similmente, Engels, elaborò una critica di opportunismo che riaffiorava nell’incoerente programma del partito operaio tedesco di Erfurt. La distinzione fra un programma strategico comunista e uno tattico di rivendicazioni così“minime”che sono tutte interne alle regole capitalistiche borghesi, ma che nonostante ciò sono irrealizzabili con i rapporti di forza esistenti, è quindi centrale. Marx e Engels chiamarono “minimo” quello del Partito operaio francese del 1880, scrivendone le considerazioni introduttive: in tale circostanza Marx – di fronte alle parole di un “massimalista” ante litteram, Guesde, che negava l’importanza delle lotte per le riforme da parte dei comunisti, entro e contro il potere borghese – sbottò spazientito esclamando che se quella politica rappresentava il marxismo, “tutto quel che so, è che io non sono marxista”.


[...]Come narrava il mito dell’Araba fenice, che risorse dalle proprie ceneri, è possibile che nel punto di maggiore arretramento dei rapporti di forza del proletariato mondiale, Marx stia assumendo un nuovo fascino? Già dal 2008 le vendite [per la lettura e lo studio è un altro affare – gli anni 1960-70 in Italia o Francia lo attestano] dei suoi testi più noti sono aumentate sensibilmente ovunque e, secondo un sondaggio del 2005 commissionato dalla Bbc, egli è risultato essere il filosofo-rivoluzionario più importante della storia nell’opinione degli interessati. Questo risultato, alquanto stupefacente [... sit venia verbo!] va analizzato tenendo anche in considerazione il fatto che, le nuove generazioni, nate dopo la fine dell’Urss, hanno svincolato gli scritti del tedesco dall’esperienza politica dei paesi appartenenti all’area ex sovietica. Peraltro, la recente pubblicazione del testo di Piketty – che, sia chiaro, del Capitale mantiene solamente il titolo, assumendo una impostazione teorica palesemente keynesiana – deve una gran parte del successo planetario proprio al mercanteggiamento (nei fatti ogni riferimento effettuale è del tutto insussistente) degli scritti del materialista dialettico di Treviri. [Nel nostro ambito, l’uscita del volume Perla critica – dell’economia politica, secondo Marx (a cura di Gianfranco Pala), ed. la Città del Sole, 2014, ha incontrato un interesse significativamente superiore alle attese, stimolando dibattiti e presentazioni in meno di un anno in decine di sedi, di partito, di collettivi varii, o anche attraverso emittenti radiofoniche].

La crisi e la sua negazione

mercoledì 9 settembre 2015

UNA TESTIMONIANZA SULLA FIGURA DI STEFANO GARRONI - Ermanno Semprebene

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. -
Leggi anche: Dialettica riproposta - Stefano Garroni - LA CITTA' DEL SOLE
CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni

   Circa 25 anni fa ho incontrato Stefano Garroni, che era docente di filosofia e ricercatore presso il CNR. Il mio incontro con lui fu una strana coincidenza. Avevo cominciato a frequentare il Circolo culturale "Valerio Verbano" a San Lorenzo (Roma). Non sono mai stato un gran frequentatore di circoli politici, ma era un periodo della mia vita in cui sentivo forte l'esigenza di approfondire meglio certe tematiche che, nonostante avessi sempre fatto parte di quell'area di sinistra alternativa ancora abbastanza diffusa (anche se già in crisi soprattutto dopo la caduta del blocco socialista), non avevo mai scandagliato seriamente. Anzi, nonostante la partecipazione anche assidua a manifestazioni, scioperi e letture varie, purtroppo mal comprese, la mia "militanza" era molto povera. Sostanzialmente m'ero fermato a quando, da giovane studente liceale e poi lavoratore avevo partecipato ai corsi di preparazione politica del PCdI marxista-leninista e alle letture della Nuova Unità, il loro giornale. E anche questa attività non era durata molto tempo. Poi, trovato un lavoro fisso (era un periodaccio quello del 1977), avevo cambiato città e mollato tutto tranne l'attività, anche questa di breve durata, nella CGIL, partecipando, chissà poi perché, a un congresso nazionale a Rimini come rappresentante sindacale. Non una bella esperienza per chi, come me, si aspettava tutta un'altra linea assai diversa da quella che invece si stava già da tempo portando avanti all'ombra del PCI. 

   Avevo cominciato a frequentare un corso sul Capitale al circolo Valerio Verbano, una lettura in comune con altri compagni e con la frequente supervisione di Gianfranco Pala. Una presenza, quella di Pala, assolutamente necessaria per riuscire a comprendere un testo altrimenti arduo, almeno per me. Era qualche tempo che il nostro lavoro sul Capitale proseguiva proficuamente e mi si presentò casualmente la possibilità di assistere, sempre al circolo Verbano, ad un altro incontro (ma poi furono più d'uno) sul tema della dialettica in Marx tenuto da Stefano Garroni. Devo essere sincero ne rimasi meravigliato. Non solo per la capacità espositiva e argomentativa estremamente qualificata di Stefano, basata su rimandi puntuali e precisi alla letteratura, alla psicologia, all'arte, alla poesia e persino alla musica, ma anche per la presenza all'incontro di un docente di musica, di cui non ricordo più il nome, che intervallava l'esposizione di Stefano, facendoci ascoltare brani di musica classica legati all'argomento trattato. Fu un'esperienza particolarissima e fu per me, e non solo per me, l'inizio di una lunga frequentazione dei seminari e gruppi di studio tenuti in seguito da Stefano, che portarono alla costituzione del Collettivo di formazione marxista tuttora esistente.

   Stefano Garroni era un ottimo insegnante, ma soprattutto era un convinto e convincente comunista. E la sua militanza è stato il lavoro di tutta una vita. Prima nella sua attività di studio, che non ha mai lasciato, poi nel PCI e nei quotidiani Unità e Paese Sera e, dopo l'abbandono del PCI, nel suo lavoro di ricercatore, nell'insegnamento, il cui obiettivo è sempre stata la formazione di “persone”, ossia uomini e donne dotati di uno spiccato senso critico. Era del tutto persuaso che per portare avanti la lotta politica fosse necessario un costante lavoro culturale e uno studio appassionato, senza i quali non sarebbe stato neppure immaginabile costruire una società fondata sull'autogoverno dei produttori; obiettivo che costituiva lo sfondo di tutta la sua attività intellettuale e di insegnamento, la quale era dunque fortemente animata da un pervadente impegno etico-politico.

domenica 27 dicembre 2020

L’impatto della crisi su povertà e disuguaglianze* - Francesco Schettino

 Da: https://www.sinistrainrete.info - Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 1/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, pp. 156-176, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/index) - Francesco Schettino (Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli), allievo di Gianfranco Pala. 

* Ci sembra opportuno sottolineare come questo articolo sia stato sottoposto all’at­tenzione della rivista il 7 febbraio del 2020, dunque ben prima dell’esplosione della pandemia legata al COVID19. Questo è un elemento utile ad avvalorare l’idea che essa debba essere intesa come amplificatore degli effetti della crisi attuale e giammai come la sua (unica o principale) causa. - 

Ascolta anche l'intervista di Radio Onda d'urto a Francesco Schettino: https://www.spreaker.com/user/11689128/manovra-economica-reddito-e-patrimoniale


1. All’alba del nuovo decennio

«Caro lettore, l’economia mondiale versa in una condizione di elevata fragilità. La spinta espansiva dei primi mesi del 2018 ha perso vigore prevalentemente a causa delle tensioni commerciali. A queste, vanno aggiunte le minacce provenienti dalla vulnerabilità dei mercati finanziari e dalle incertezze geopolitiche. Tali sfide privano i policy makers della possibilità di commettere passi falsi e, al contrario, gli impongono di adottare giuste politiche a livello locale, internazionale e globale». 

Questo incipit sembrerebbe essere stralciato da un articolo di uno studioso marxista nell’analisi, corretta, della fase critica del capitale. Tuttavia, la fonte è di natura profondamente distinta e per questo assume, per quanto possibile, una rilevanza ancor superiore: si tratta del messaggio dell’Acting Manager del Fmi, David Lipton, pubblicato in apertura del periodico IMF Annual Report (2019). Insomma, parafrasando Lenin, ancora una volta, a fronte di una parte della sinistra radicale alla costante ricerca di “nuovismi” teorici da cui farsi incantare, sono proprio i “borghesi onesti e sinceri” (ammesso e non concesso che loro lo siano) a fornire l’analisi materiale più aderente alla fase che il capitale mondiale sta vivendo.

Il rapporto, pubblicato nell’ultimo trimestre del 2019, fa da eco ai campanelli d’allarme già suonati negli anni passati, che nel frattempo si sono moltiplicati dacché una parte cospicua di analisti inizia a tenere in adeguata considerazione il fatto che il 2020 potrebbe essere l’anno in cui le bolle finanziarie (ri)gonfiatesi, almeno dal 2008, potrebbero esplodere con una violenza forse sconosciuta.

Un’avvisaglia in questo senso, che ha terrorizzato gli operatori almeno un po’ coscienti delle dinamiche dei mercati finanziari, si è materializzata il 17 settembre 2019, giorno che, per ora, racconta poco ma che in futuro potremmo trovare sui libri di storia.

martedì 14 maggio 2019

Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky

Da: http://www.fondazionezaninoni.org - hyman-philip-minsky è stato un economista statunitense.
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
                     Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala


"Il 25 ottobre 1990 il Centro culturale Progetto di Bergamo ha organizzato il convegno Vittoria del capitalismo?, relatore Hyman Minsky. Pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, quando c’era chi preconizzava la fine della storia con la vittoria finale del capitalismo, Minsky contrapponeva una lucida lettura, anticipando le caratteristiche del nuovo fragile sviluppo capitalistico..."
(PAOLO CRIVELLI)



Vittoria del capitalismo? 

Il collasso delle economie di tipo Sovietico è stato salutato come una vittoria del Capitalismo e il crollo simultaneo dei regimi politici comunisti è stato usato per convalidare l’identificazione del Capitalismo con la democrazia.

Da alcune parti si avanza l’idea che questa vittoria segni la fine della Storia così come noi l’abbiamo conosciuta. Ma le vicende del Golfo, la fragilità della prosperità capitalistica e le pressioni nazionaliste risvegliate dal collasso dell’egemonia Sovietica nell’Europa orientale indicano che la Storia non finisce, ma fluisce come il Mississippi che nella canzone “...continua a scorrere”.

Non c’è dubbio che il Socialismo centralistico autoritario di tipo Sovietico è crollato. Ma questa forma di Socialismo non è la sola possibile. Il modello Sovietico ha sempre avuto la caratteristica di non consentire che le preferenze e i desideri della gente influenzassero la produzione. Segnali effettivi (decisioni) nel Socialismo di tipo Sovietico andavano dall’alto verso il basso, mai dal basso,  dalla popolazione verso coloro che avevano il potere di decidere che cosa e come produrre. Esistono modelli teorici alternativi di Socialismo nei quali regna una sovranità del consumatore più ampia rispetto a quella delle economie di tipo capitalistico.

Questo modello autoritario di economia centralizzata non è cattivo quando i compiti assegnati all’economia sono semplici: quando si deve produrre solo pane o carri armati. Un’economia centralistica ha funzionato bene nella trasformazione da una società di tipo contadino ad una economia di produzione di massa limitata nella varietà di beni – quando acciaio, cemento e macchinari sono tutto ciò che deve essere prodotto: questo tipo di economia funziona altrettanto bene per la produzione di materiale bellico. Gli approvvigionamenti militari negli Stati Uniti e nel Regno Unito durante la Seconda Guerra Mondiale seguivano un modello di economia centralistica. 

martedì 16 giugno 2020

LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE - Karl Marx

Da: http://www.criticamente.com
Leggi anche:  Il tema del lavoro secondo Karl Marx*- Giulio Di Donato 
                        Karl Marx (una compiuta critica dell’economia politica)* - Emiliano Brancaccio 
                        Una storia complessa. La teoria dell’accumulazione in Marx - Roberto Fineschi 
                        La produzione capitalistica di fabbrica fondata sulle macchine*- Aleksandr A. Kusin 
                        Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica*- Stefano Garroni 
                        IL CAPITALE: CAPOLAVORO SCONOSCIUTO - a mo’ di allegoria da Balzac - per Marx* - Gianfranco Pala 
                        Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte* - Karl Marx (1852)
                        Das Kapital nel XXI secolo* - Giorgio Gattei 


IL CAPITALE (LIBRO I) 
SEZIONE VII IL PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE 
CAPITOLO 25 LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE[253]
L’economia politica fa confusione, in linea di principio, fra due generi assai differenti di proprietà privata, uno dei quali è fondato sul lavoro personale del produttore, l’altro sullo sfruttamento del lavoro altrui. Essa dimentica che questo ultimo genere di proprietà privata non solo costituisce l’antitesi diretta del primo, ma può crescere soltanto sulla tomba di quello.
Nell’Europa occidentale, patria dell’economia politica, il processo dell’accumulazione originaria è più o meno compiuto. Quivi il regime capitalistico o si è assoggettata direttamente tutta la produzione nazionale; o, dove le condizioni economiche sono ancora meno sviluppate, esso controlla per lo meno indirettamente gli strati della società che continuano a vegetare in decadenza accanto ad esso e che fanno parte del modo di produzione antiquato. L’economista politico applica a questo mondo capitalistico ormai compiuto le idee giuridiche e della proprietà del mondo pre-capitalistico con uno zelo tanto più ansioso e con una unzione tanto maggiore, quanto più i fatti fanno a pugni con la sua ideologia.
Nelle colonie le cose vanno altrimenti. Quivi il regime capitalistico s’imbatte dappertutto nell’ostacolo costituito dal produttore che come proprietario delle proprie condizioni di lavoro arricchisce col proprio lavoro se stesso e non il capitalista. La contraddizione fra questi due sistemi economici diametralmente opposti si attua qui praticamente nella loro lotta. Dove il capitalista ha alle spalle la potenza della madre patria, egli cerca di far con la forza piazza pulita del modo di produzione e di appropriazione fondato sul proprio lavoro.

sabato 9 maggio 2020

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972 [Die moralische Sendung der kommunistischen Partei, 1920]. -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.
Leggi anche:  EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur 
                       Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky                         
                       
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                      Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/09/inefficienze-e-difetti-delleconomia.html


1. Come ogni scritto di Lenin, anche questo nuovo opuscolo1 merita lo studio più attento da parte di tutti i comunisti. Esso dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità di Lenin di comprendere gli elementi decisamente nuovi che esistono in un nuovo fenomeno nell’evoluzione del proletariato, di capire e di far capire in maniera essenziale l’essenza di quegli elementi. Mentre i suoi precedenti scritti erano dedicati più alla polemica, e cercavano di analizzare a fondo le organizzazioni di lotta del proletariato (in primo luogo lo Stato), quest’ultimo è invece dedicato ai germi della nuova società che stanno sbocciando. Come la forma di produzione capitalistica, con cui la disciplina del lavoro imposta dalla costrizione economica (la fame), era superiore alla nuda forma della servitù della gleba, così la libera collaborazione di uomini liberi nella nuova società supererà di gran lunga, anche in produttività, il sistema capitalistico. Appunto a questo riguardo i disfattisti socialdemocratici della rivoluzione mondiale sono estremamente scettici. Essi si richiamano all’allentamento della disciplina del lavoro, al calo della produttività, in una parola a fatti che sono i necessari fenomeni collaterali del dissolversi dell’ordinamento economico capitalistico: e con una impazienza e intolleranza paragonabili quanto a vigore solo alla loro pazienza e tolleranza nei confronti del capitalismo, essi ci dicono che questi fenomeni nella Russia sovietica non si sono modificati immediatamente. La scarsità di materie prime, le lotte intestine, le difficoltà organizzative valgono ai loro occhi come giustificazione solo per gli Stati capitalistici, mentre un ordinamento proletario della società dovrebbe secondo loro significare, nello stesso istante del suo nascere, un capovolgimento di tutti i rapporti tanto all’interno quanto all’esterno, il miglioramento della situazione in tutti i campi. I rivoluzionari autentici, e primo fra tutti Lenin, si distinguono da questo utopismo piccolo-borghese per l’assenza di illusioni. Essi sanno che cosa ci si può aspettare da un’economia distrutta dalla guerra, e soprattutto che cosa ci si può aspettare da uomini educati all’egoismo, spiritualmente depravati e corrotti dal capitalismo. Per il vero rivoluzionario una mancanza di illusioni non può mai significare avvilimento e disperazione, bensì fede, rinvigorita dalla conoscenza, nella missione storico-mondiale del proletariato; si tratta di una fede che non può mai essere scossa dalla lentezza e dalle circostanze spesso più che avverse della sua realizzazione, di una fede che mette in conto tutto ciò e che, nonostante tutti questi sconvolgimenti e ostacoli, non perde mai di vista il proprio obiettivo ed il processo di avvicinamento ad esso.

venerdì 19 giugno 2020

A proposito di Smith, Ricardo, Marx e anche Sraffa. Commento pirotecnico al libro di Riccardo Bellofiore - Giorgio Gattei

Da: https://www.economiaepolitica.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna.
Leggi anche:  Non c'è liberazione dal lavoro senza liberazione del lavoro - Gianluca Pozzoni 
                       https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/18076-cristina-re-riccardo-bellofiore-smith-ricardo-marx-sraffa.
                      DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro 
                      Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore - CLAUDIO NAPOLEONI - (Testo a cura di Riccardo Bellofiore) 
Vedi anche:   https://www.facebook.com/watch/live/?v=300969457731929&ref=watch_permalink

(http://www.rosenbergesellier.it/scheda-libro)


1. Ho religiosamente compitato la collazione (rimaneggiata) di scritti che Riccardo Bellofiore ha testé dato alle stampe (R. Bellofiore, Smith Ricardo Marx Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Rosenberg & Sellier, Torino, 2020) e qui mi provo a recensirla. Per me è stato come compiere un viaggio a ritroso nella mia stessa vicenda intellettuale davanti alla evidenza di un identico sentire (Riccardo, come al solito, non concorderà, ma a me non importa affatto se lui non percepisce, perché io invece sì). E dire che non ci siamo mai frequentati veramente (lui a Torino e a Bergamo, io stabilmente a Bologna), sebbene entrambi avessimo da sempre condiviso l’idea generale che non c’è modo di capire l’economia politica se non se ne ripassa la storia. È stata questa la grande lezione che ha dato ad entrambi Claudio Napoleoni in quelle Considerazioni sulla storia del pensiero economico, dapprima uscite sulla “Rivista trimestrale” e poi raccolte nel 1970 sotto il titolo di Smith Ricardo Marx, che hanno segnato una intera generazione di giovanotti, allora aggressivi e irriverenti, che ambivano a farsi economisti. Poi tanti di loro si sono persi anche solo per «tirare quattro paghe per il lesso» (Giosuè Carducci, Davanti San Guido), ma non Riccardo che ha proprio voluto intitolare questa sua ultima pubblicazione a Smith Ricardo Marx+ Sraffa dove il quarto nome, che nel titolo di Napoleoni non c’era, non è affatto peregrino se proprio Napoleoni è stato il miglior divulgatore in Italia dell’unico libro di alta teoria che sia uscito nella seconda metà del Novecento: quella mitica Produzione di merci a mezzo di merci, per l’appunto, di Piero Sraffa.
Ma da dove cominciare questa mia recensione che vorrei mantenere il più possibile pirotecnica? Dalla certezza, altrettanto condivisa da Riccardo con me, che l’economia politica non tratta per niente di un agire economico in generale (sans phrase, come avrebbe detto Carlo Marx), bensì dell’agire specifico nel cosiddetto “modo capitalistico di produzione”, dove l’aggettivo è tutto un programma. E quale programma? Che il «ricambio organico tra uomo e natura» (copyright, ma piuttosto copyleft dell’inevitabile Carletto) non si pratica più utilizzando lavoro schiavile o servile, bensì con il lavoro salariato. Che tuttavia andrebbe meglio declinato come Lavoro a Salario, per mettere subito in evidenza che due sono gli elementi che entrano in gioco nella “maniera di produrre” che ci governa, ossia il lavoro, necessario affinché si dia una offerta di merci, ed il salario che ne risulta lo stimolo ma pure la domanda di quelle merci. Era ciò che Adamo Smith, “padre nobile” di tutti gli economisti, aveva ben capito introducendo quella categoria del lavoro comandato che io sul momento avevo snobbato parendomi un “pasticciaccio brutto” mettere insieme la fatica e la sua remunerazione. Ma allora ero più ricardiano che smithiano e poi ero giustificato dalla vicenda successiva del pensiero economico che i due termini aveva preso a far correre separatamente con il lavoro, promosso a “sostanza celeste” nel “lavoro contenuto astratto” da David Ricardo (con una “c” soltanto però, perché Riccardo non si allarghi troppo…) ed il salario rigettato sull’istinto di procreazione da contenere con la castità da parte del “prete” Malthus che io, figlio della generazione contraccettiva a venire, ho odiato quanti altri mai perché intendevo fottere e non astenermi! Si sa comunque che da questa divaricazione si sono aperte le due alternative possibili, verso destra, di un “lavoro senza salario” che al giorno d’oggi ha condotto a quella manna per il capitale che è il lavoro volontario (ossia gratuito!) e, verso sinistra, alla utopia (ma mai disperare!) di un “salario senza lavoro” in quel Paese di Cuccagna «dove manco si lavora, più si guadagna».

domenica 13 ottobre 2019

CLASSE (lotta di) - Emiliano Brancaccio

Da: l’Espresso, 7 ottobre 2018 - http://www.emilianobrancaccio.itEmiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio.
Leggi anche: Classe, lotta di classe e prostituzione - Gianfranco Pala


Credo che la cosiddetta sinistra abbia smesso di comprendere il capitalismo da quando si è lanciata in una frettolosa abiura di Marx. Un errore su cui tuttora persevera e che altri invece non commettono. Tra gli estimatori di Marx troviamo oggi, paradossalmente, le testate della grande finanza internazionale: dal Financial Times, secondo cui «Marx è più rilevante che mai», all’Economist, che si avventura a esortare «governanti di tutto il mondo: leggete Marx!».

L’interesse dei circoli finanziari per Marx riguarda soprattutto la sua “legge di tendenza” verso la centralizzazione dei capitali. La centralizzazione è l’esito di una incessante lotta tra capitali per la conquista dei mercati, che porta al fallimento dei più deboli o alla loro acquisizione da parte dei più forti, sfocia nella “espropriazione del capitalista da parte del capitalista” e alla fine determina una concentrazione del capitale in sempre meno mani. E’ il lato cannibalesco del capitalismo, che richiama l’opera bruegeliana “I pesci grandi mangiano i pesci piccoli” e che trova oggi importanti conferme empiriche. Si tratta di una tendenza cruciale, che aiuta ad afferrare i nodi politici di questa fase storica. L’orrido sovranismo piccolo-borghese non è altro, in fondo, che la reazione dei capitali nazionali in affanno contro una devastante centralizzazione trainata dai capitali più forti e ramificati a livello globale. E’ pura lotta di classe in senso marxiano ma è tutta interna alla classe capitalista, con il lavoro totalmente zittito.

La cosiddetta sinistra non capisce quasi nulla di tutto questo. Per anni si è crogiolata nella pia illusione di un capitalismo ormai pacificato, proiettato verso il sol dell’avvenire della democrazia azionaria. E oggi risulta spiazzata da una lotta tra capitali sempre più feroce, che diffonde nel resto della società i semi della barbarie. Una nuova sinistra dovrebbe in primo luogo comprendere che il silenzio a cui è stato ridotto il lavoro ha reso ingovernabile la bestia capitalista. Tra le tante minacce alla civiltà di cui si parla, questa è l’unica tangibile. 

giovedì 11 febbraio 2021

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi - Roberto Fineschi

 Da: https://www.cumpanis.net - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels(Marx. Dialectical Studies)

Leggi anche: Per il comunismo. Il concetto di classe - Roberto Fineschi 

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 

Nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma si opposizione al capitalismo...- Hans Heinz Holz

L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala 

Sul compromesso storico - Aldo Natoli

D’Alema e l’involuzione del PCI - Alessandra Ciattini

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

LA "MARCIA DEI 40000": uno dei momenti di caduta. 

(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968) 

Vedi anche: sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattini

Centenario del PCI: dialogo con Aldo Giannuli, Antonio Carioti e Andrea Ricciardi (https://www.facebook.com/giannulialdo/videos/1408990496166312


Con molte riserve e ritrosie vergo queste note per il centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, non essendo io uno storico e tanto meno un esperto di questo tema specifico. Quanto segue sono riflessioni sviluppate soprattutto nella prospettiva di un conoscitore della teoria di Marx come teoria della processualità storica. Si tratta di commenti provvisori, schematici e quanto mai aperti a essere discussi. Sono riflessioni che hanno inevitabilmente sullo sfondo il presente e le sue problematiche. Il tema abbozzato è quello dello snodo degli anni settanta, la figura di Berlinguer e i cambiamenti storici allora intervenuti e probabilmente ancora irrisolti.


1. Gli anni settanta e Berlinguer come figura di un momento di svolta

Gli anni settanta sono segnati dalla strategia del “compromesso storico” che, nella mente dei suoi promotori, si reggeva su due fondamentali premesse teoriche, strategiche e di fatto:

1) la crisi del comunismo sovietico come modello di socialismo praticabile in occidente (in realtà iniziava a delinearsi l’idea della sua impraticabilità in generale): esso non funzionava in quanto autoritario (i freschi fatti cecoslovacchi del ‘68 lo avevano dimostrato) e in quanto non-europeo (impossibile realizzarlo nell’Europa occidentale con la sua complessa stratificazione sociale e le sue diffuse libertà formali);

2) il colpo di stato in Cile: una via parlamentare al socialismo non era possibile perché, anche in caso di vittoria elettorale, le forze dell’imperialismo mondiale avrebbero messo fine in forma violenta a tale esperienza.

sabato 7 settembre 2019

Inefficienze e difetti dell’economia sovietica - Alexander Höbel

Da: https://www.academia.edu/612485/Il_crollo_dell_Unione_Sovietica._Fattori_di_crisi_e_interpretazioni -
Alexander Hobel  è Dottore di ricerca in Storia, collabora con la Fondazione Gramsci e l’Università di Napoli Federico II. E' direttore di https://www.marxismo-oggi.it
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur 
                        Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky                           
                          Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206) 
                            Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 


La crisi e il crollo dell’URSS sono stati in buona misura la crisi e il crollo dell’economia sovietica. I successi di quest’ultima erano stati notevoli: anche dopo il “grande balzo” dell’industrializzazione staliniana (che portò l’URSS a diventare già nel 1937 la seconda potenza del mondo per produzione industriale)1, i progressi sono stati costanti, almeno fino agli anni ’602. L’economia sovietica era caratterizzata dal predominio dell’industria sull’agricoltura, e dal predominio dell’industria pesante, produttrice di macchine, su quella leggera, produttrice di beni di consumo. Questa “sproporzione” finì per costituire uno dei suoi maggiori problemi3.

L’attenzione degli studiosi peraltro si è focalizzata sul funzionamento interno del sistema pianificato, nel quale – a partire dagli anni ’60 – emergono sempre di più frammentazione e forze centrifughe, interessi settoriali e aziendali: insomma il “dipartimentalismo” e i “localismi”. Di fatto, esistevano “conflittualità tra organi e incompatibilità tra obiettivi e strumenti di piano”: i “ministeri della produzione”, intermediari tra i settori produttivi e l’organo di pianificazione (Gosplan), agivano come “gruppi di interesse”, inducendo il Gosplan ad “apportare correzioni, cioè tagli alle forniture richieste”; queste infatti erano sempre in eccesso rispetto alle esigenze di imprese e settori produttivi, che le gonfiavano in modo da premunirsi da “irregolarità delle consegne, strozzature e tagli delle forniture”. Dunque le informazioni dal basso verso l’alto, essenziali per una corretta pianificazione, erano falsate, oltre che “imprecise, saltuarie e insufficienti”; gli organismi pianificatori, che conoscevano queste tendenze, a loro volta imponevano piani di produzione eccessivi rispetto a risorse e capacità produttive denunciate; e questo induceva i ministeri a sviluppare una rete di forniture parallela, al di fuori del piano e spesso della legge, basata su scambi, favori, corruzione, ecc.4. In sostanza, i “gruppi di interesse agivano “contro gli interessi dello stesso piano generale”. Il discorso era analogo passando dai ministeri alle singole imprese: informazioni falsate per avere piani di produzione meno impegnativi, riserve nascoste, forniture extra-piano, costi gonfiati, ecc. Peraltro, “ogni realtà territoriale di una certa rilevanza” esprimeva “inevitabili spinte localistiche”. Ne derivava la “dispersione” e “l’indebolimento dei poteri di direzione”; “veniva ad indebolirsi fortemente lo stesso principio di responsabilità riguardo all’utilizzo economicamente e socialmente valido delle risorse”, e si moltiplicava la “appropriazione particolaristica delle risorse ‘pubbliche’”5. Come osserva Boffa, “quella che doveva essere l’economia più pianificata e controllata [...] per una parte considerevole e, comunque, crescente, sfuggiva a qualsiasi controllo [...]”6

domenica 21 marzo 2021

La costruzione dell’egemonia culturale statunitense in Europa dalla fine della Seconda Guerra mondiale (Tutte le lezioni)- Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci -
Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) insegna Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.lacittafutura.it - https://www.unigramsci.it



Terza lezione: La libertà di espressione e il controllo della vita culturale. 
Temi: L’utilizzazione della sinistra non comunista. La diffusione mondiale delle correnti artistiche anche non apprezzate in Unione sovietica https://www.youtube.com/watch?v=Q1HzjS0_WU4

Quarta lezione: Corresponsabilità degli intellettuali nella campagna propagandistica contro il comunismo.  Il Congresso per la libertà culturale di Berlino (1950). 
Temi: Dal fanatismo alla moderazione. La Fondazione Ford https://www.youtube.com/watch?v=3Imhj2w40dc

Quinta: La situazione italiana. 
Temi: Il PCI e la guerra fredda. La democrazia progressiva nell’Europa americana 

                                                                             

                         Ascolta anche: Gianfranco Pala, Imperialismo e Globalizzazione https://www.spreaker.com/user/11689128/imperialismo-e-globalizzazione-con-gianf 

mercoledì 4 marzo 2020

Il salario sociale di classe - Carla Filosa

Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo. (https://rivistacontraddizione.wordpress.com


Nei nostri tempi di continua precarizzazione del lavoro, delle finte “autonomie lavorative”, dei lavori senza contratto, dei “lavoretti”, della mancanza di sicurezza sul lavoro, ecc., sembra prioritario fare chiarezza sulle cause delle modalità remunerative che tendono a cancellare il significato di salario, erroneamente identificato nella sola busta paga. Le ultime generazioni non conoscono a volte neppure l’uso di questo termine, al massimo si parla di stipendio, quando devono ricevere un pagamento per prestazioni effettuate.

Anche la comunicazione mediatica favorisce l’obliterazione concettuale del lavoro salariato usando prevalentemente le parole come “occupazione” o “disoccupazione” legate ad una ineluttabile fase di crisi economica, di cui non si menziona né l’origine né le dinamiche di una sua possibile risoluzione.

Riaffrontare i temi legati al salario ripropone quindi una necessaria riflessione critica sui temi sociali legati all’attualità sì dei processi inflattivi, dei fenomeni ambientali e migratori, delle innovazioni tecnologiche, ecc., ma soprattutto delle relazioni sociali che fanno capo alle “diseguaglianze” e alle “povertà assolute e relative”, su cui ormai si organizzano analisi e dibattiti diventati di moda. 

Per orientarsi pubblichiamo la presentazione del libro di Gianfranco Pala Propriamente SALARIO SOCIALE DI CLASSE. Critica delle mistificazioni del valore della forza-lavoro edito da La Città del Sole che sarà presentato venerdì 6 marzo 2020 alle ore 18.30 presso la Libreria Fahrenheit 451 Piazza Campo de’ Fiori 44 - Roma da Carla Filosa, Presidente dell’Università popolare A. Gramsci, che ne ha scritto l’introduzione che proponiamo ai nostri lettori. 

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Il “Salario sociale – La definizione di classe del valore della forza-lavoro” [ed. Laboratorio politico, la Città del Sole, Napoli 1995] focalizzava in tempi diversi dall’oggi – circa 21 anni fa – quella che comunemente si intende per remunerazione o compenso per tutto il tempo di un lavoro svolto. L’ampliamento conoscitivo della miseria di questo “senso comune” illusorio, in quanto indotto dalla falsificazione dominante, dettava allora come adesso la necessità di fornire la strumentazione concettuale storicamente corretta e completa, cioè insita nelle cose, necessaria alla formazione di una coscienza di classe che sia rimasta ancora restìa all’omologazione dell’esistente. Con l’obiettivo di rivolgersi a tutti, allora come adesso, deve essere chiaro che si è consapevoli di non poter sfuggire alla contraddizione reale di ricorrere alla parte pensante di quei tutti, in una fase in cui il pensiero è stato delegittimato ad affrontare i problemi della vita, a favore invece di fattori regressivi quali emotività, irrazionalità, fideismi, ecc. Tuttavia è una necessità collettiva l’impe­gno a riabilitare quella parte razionale che non in tutti ha avuto la possibilità di formarsi nella concretezza della propria vita, e che ci spinge a creare quelle condizioni mancate per maturare l’interesse a capire, quale priorità, le modalità di lotta attuabile per conquistare la sopravvivenza o se possibile il benessere, costantemente minacciati da un sistema nemico così velocemente proteiforme.