Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - www.ilgiardinodeipensieri.eu - Questa Introduzione accompagna la Sintesi dei Lineamenti della Filosofia del Diritto di Hegel, condotta sulla edizione italiana curata da V. Cicero (Rusconi, Milano 1996). -
Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI
Leggi anche: Da
Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla
Maria Fabiani
IL
PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI
La
dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto
Finelli
Tutta la Filosofia del diritto è Scienza del diritto. Come dice Hegel, è l’Idea del Diritto; cioè è la
realtà oggettiva (i rapporti oggettivi quali la proprietà, l’azione morale, la famiglia, la società civile,
lo Stato) che lo Spirito (di un popolo) produce nella Storia ed è al contempo l’esposizione adeguata
di questa realtà che si mostra intimamente razionale (arrivati alla fine del suo sviluppo storico
possiamo esporne tutte le tappe, cogliendo il senso di questa totalità ormai dispiegata). Il cammino
dello Spirito nel mondo è un cammino di Libertà; la realizzazione e la comprensione della Libertà è
il contenuto filosofico della scienza del diritto.
E’ una parte del sistema filosofico hegeliano collocata all’interno della filosofia dello Spirito (è lo
spirito oggettivo); è il cammino etico intrapreso dallo Spirito oggettivo.
Si articola in tre parti: Diritto astratto, Moralità ed Eticità. Per Hegel il vero è l’intero; dunque la
verità dell’eticità è tutto il percorso etico, dall’astratto al concreto, articolato in momenti, ognuno
dei quali si presenta autonomo dall’altro, ma, secondo il metodo dialettico, si toglie e si conserva
nell’altro.
E’ importante considerare i tre momenti della filosofia del diritto (diritto astratto, moralità, eticità)
come momenti organici, i quali hanno ognuno un loro particolare diritto, che venendo a un certo
punto in contraddizione con se stesso passa in quello successivo, logicamente più esplicativo e
realmente più elevato.
L’ordine che Hegel dà all’esposizione d’altra parte non coincide - e ce lo dice lui fin da subito - con
l’ordine che si presenta nella realtà: è anzi l’esatto opposto. I concetti (le categorie del diritto)
vengono esposti a partire da quelli più astratti fino ad arrivare a quelli più concreti e organici;
viceversa nella realtà le figurazioni (le forme reali che il diritto assume nella storia) più astratte e
semplici esistono e sussistono solo all’interno di quelle più concrete. Il compito della filosofia del
diritto è quello di comprendere l’oggettività che lo Spirito produce nella storia; comprenderla come
prodotto dello Spirito e come realtà oggettiva massimamente sensata e razionale. La forma della
comprensione, per così dire, percorre la strada inversa rispetto a quella della realtà. Beninteso,
secondo Hegel, le due strade (una all’insù e l’altra all’ingiù) sono la stessa.
Il principio essenziale della sfera del Diritto astratto è la ‘persona’; la realtà più concreta in cui si
trova ad operare la persona è il contratto di proprietà. La persona si trova in rapporto con altre
persone proprio per via della proprietà esercitata sulle cose. L’arbitrio è il massimo grado di libertà
presente in questa prima sfera etica, che, al dunque, si rivela fortemente contraddittoria. Così come
il contratto viene stipulato arbitrariamente, così arbitrariamente può essere rotto e non rispettato da
uno dei due contraenti.
Si passa dialetticamente alla Moralità (c’è una negazione del contratto rappresentata dall’arbitrio-illecito e c’è la negazione della negazione, rappresentata dalla punizione dell’illecito-delitto). Nel
momento del Diritto astratto la punizione della persona piega il diritto sulla soggettività, ma lo
piega in modo non completamente positivo (la punizione ristabilisce l’intero etico, però punisce
proprio l’arbitrio); da questa condizione non pienamente stabile si passa a una categoria etica più
alta e più comprensiva: la Moralità. La soggettività prende coscienza di sé diventando il principio
motore dell’etica. L’azione morale del soggetto è il centro della discussione ed è, a questo livello, il
nodo etico-kantiano fondamentale. Il giudizio morale, il rapporto tra il soggetto e il Bene, tra il
soggetto e il Male, l’interiorità del soggetto, la realtà con cui quest’interiorità viene a scontrarsi,
sono il contenuto fondamentale della trattazione morale del Diritto.
Come si passa e perché si passa all’Etica? E cioè perché si passa alla scienza dello Stato?
Lo Stato, secondo Hegel, è la realtà etica realizzata. E’ il rapporto dello Spirito di un popolo con sé
stesso, è la produzione consapevole della vita del popolo. Il vero soggetto perciò è lo Spirito, non il
soggetto morale, tutto chiuso in sé stesso ed estraniato da una realtà - quella storica - che non riesce
proprio a comprendere, che lo mette anzi in difficoltà, stravolgendo la sua azione morale che tende
a un Bene considerato come un dover essere, che, per definizione, non è essere.
Lo Stato è invece l’ESSERE dello Spirito oggettivo; la sua più alta produzione reale e razionale
insieme.
Lo Stato è Sistema organico. E’ un’articolazione viva, nella quale sono presenti e si riproducono la
famiglia (con la sua etica della riproduzione), la società civile (con la sua etica del lavoro) e lo Stato
stesso con la sua etica ricomprensiva delle altre due. Un’etica che riproduce e sa di riprodurre un
Bene comune reale; lo sistema, mediando le sue interne articolazioni, creando la moderna società
politica (la costituzione, i rapporti fra i poteri, etc.), la quale sa e vuole essere un organismo reale,
pieno di vita, ma anche un sistema, ossia una realtà razionale e sensata, una totalità concreta che
abbia come principio interno la realizzazione del bene comune, saputo e voluto da tutti, in quanto
cittadini.
L’etica dello Stato (singolo) però si rivolge necessariamente nei confronti dell’etica degli altri Stati,
dando luogo alla storia del mondo, a un teatro etico-politico mondiale; necessariamente superiore a
quello nazionale.
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
martedì 21 aprile 2020
lunedì 20 aprile 2020
Caratteristiche, origini ed effetti del nuovo Coronavirus - Ernesto Burgio
Da: https://www.lacittafutura.it - Testo tratto dall’intervista al Dott. Ernesto #Burgio, pediatra e ricercatore, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale e membro del consiglio scientifico dell’Istituto di Ricerca sul Cancro e Ambiente di Bruxelles.
L’intervista integrale di Francesco Paolo Caputo è del 05/04/2020 può essere vista qui
L’intervista integrale di Francesco Paolo Caputo è del 05/04/2020 può essere vista qui
Per settembre dobbiamo avere un SSN messo in sicurezza e rafforzato, corridoi sanitari specifici, operatori sanitari formati e protetti nel modo corretto, una popolazione preparata e tamponi sufficienti per fare monitoraggi massivi. Solo così i rischi saranno minori.
È giusto partire dalla storia del virus. Nonostante fosse un virus pericoloso è stato anche sottovalutato. Per capire meglio la sua natura bisogna raccontare due storie. Una storia di lungo periodo e poi invece una più recente di come è emerso e come abbiamo capito che è pericoloso.
La storia di medio-lungo periodo inizia all’incirca nel 1997, quando muore un bimbo ad Hong Kong per un virus denominato H5N1. Questo virus, tuttora in circolazione, e per il quale si è lanciato un pre-allarme pandemico, è della stessa famiglia del virus famoso della spagnola H1N1 del 1918 con il quale condivide delle caratteristiche che lo rendono molto pericoloso, cioè aveva fatto ”il salto di specie”, passando da un serbatoio animale (gli uccelli migratori) all’uomo. Tutto ciò significa acquisire delle mutazioni particolari che lo rendono particolarmente patogeno, cioè capace da un lato di agganciare le vie aeree superiori dell'uomo e dall’altro di trasmettersi da un uomo all'altro. Successivamente ci furono altri allarmi di virus con caratteristiche simili, come fu il caso della SARS del 2002 (coronavirus numero 1), oppure quello dell’influenza aviaria del 2010 (H1N1pdm09), virus che tutto sommato si sono comportati meno drammaticamente di come si temeva.
E arriviamo ad oggi. Nei primi di gennaio in Italia arriva come nel resto del mondo la notizia che nella provincia di Hubei in Cina vi erano alcune decine di casi legati all’emergere di un nuovo coronavirus e quindi si temeva la possibilità di un'estensione epidemica o addirittura pandemica. La notizia fu inizialmente sottovalutata probabilmente perché gli esperti cinesi non conoscevano quello che realmente stava succedendo. Il 20 di gennaio avvengono due eventi fondamentali, in Cina si rendono conto sia che i casi stanno aumentando esponenzialmente sia che le sequenze del virus mostrano la presenza di un gran numero di mutazioni pericolose.
A quel punto il governo Cinese chiude l'intera provincia di Hubei, una provincia di 57 milioni di abitanti, ovvero numerosa quanto l’Italia, e costruisce ospedali cosiddetti COVID-19 (termine con cui è chiamata la patologia da SARS-COV2). A quel punto alcuni specialisti, come me, quelli che si erano occupati di epidemie di virus pandemici, capiscono che la situazione è allarmante e cercano di comunicare quello che sta accadendo. Così il 31 di gennaio anche in Italia parte una nota importante, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, in cui si dice che c'è un allarme pre-pandemico e, finalmente, cominciamo a prepararci. Purtroppo questa nota, pur essendo ufficiale, non ha avuto molto seguito. Le regioni e il governo che l’ha emessa l'hanno in qualche modo presa sottogamba e devo dire che anche molti dei miei colleghi non abituati, a differenza degli orientali, a una situazione potenzialmente drammatica come questa, probabilmente l'hanno sottovalutata.
venerdì 17 aprile 2020
La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli
Da: Filosofia
Roccella Scholé - Roberto
Finelli insegna
Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la
rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana.
Freudiana” (http://www.consecutio.org)
Leggi anche: Per un'etica del riconoscimento*- Paolo Bartolini intervista Roberto Finelli
Vedi anche: Hegel e la dialettica - Remo Bodei
Parte prima:
Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=LyvMRJmQlxA
Parte terza: https://www.youtube.com/watch?v=8p1k33o7f-Y
Leggi anche: Per un'etica del riconoscimento*- Paolo Bartolini intervista Roberto Finelli
Vedi anche: Hegel e la dialettica - Remo Bodei
Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=LyvMRJmQlxA
Parte terza: https://www.youtube.com/watch?v=8p1k33o7f-Y
giovedì 16 aprile 2020
Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri
Da: https://www.unicost.eu - Gaetano Silvestri, giurista, accademico e rettore italiano, presidente emerito della Corte Costituzionale.
SOMMARIO: 1. Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”. 2. Il ricorrente disprezzo per la democrazia parlamentare. 3. L’alterazione progressiva del sistema delle fonti. 4. Possibile sveltimento del procedimento di conversione dei decreti legge. 5. Emergenza e sistema delle autonomie.
SOMMARIO: 1. Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”. 2. Il ricorrente disprezzo per la democrazia parlamentare. 3. L’alterazione progressiva del sistema delle fonti. 4. Possibile sveltimento del procedimento di conversione dei decreti legge. 5. Emergenza e sistema delle autonomie.
1 Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”
L’epidemia da Covid-19 ha prodotto in Italia una emergenza “vera”, che ha riattualizzato il problema – che si era posto anche negli anni del terrorismo fascista e brigatista – della compatibilità di misure eccezionali, a tutela della collettività, con i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione repubblicana, con la forma di governo parlamentare basata sulla separazione dei poteri e con il sistema costituzionale delle autonomie. Troppo spesso politici, giornalisti e tuttologi di vario genere hanno abusato del termine “emergenza”, al solo scopo di dare enfasi retorica ai propri discorsi, per ritrovarsi poi puntualmente impreparati quando si verificano autentici stati di necessità, che reclamano risposte rapide ed efficaci dalle istituzioni. Di qui una ridda di atti normativi e amministrativi, di annunci mediatici e di commenti “a caldo”, che quasi sempre aumentano la confusione, ingenerando equivoci difficili da superare perché ormai entrati nel senso comune.
Sul piano del diritto costituzionale, un primo equivoco, di carattere generale, è prodotto dall’affermazione che una situazione di emergenza richieda la sospensione, ancorché temporanea, delle garanzie, personali e istituzionali, previste dalla Costituzione. Tenterò di dimostrare che non si deve sospendere nulla, ma che invece sarebbe sufficiente, per fronteggiare lo stato di necessità, applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale, senza vagheggiare revisioni e tirare in ballo la sempre fascinosa teoria di Carl Schmitt sulla sovranità che spetta a chi comanda nello stato di eccezione.
mercoledì 15 aprile 2020
#iostoacasa: come la paura e la mancanza di ragione uccidono la libertà e la democrazia - Riccardo Manzotti
Da: https://www.leoniblog.it - Riccardo Manzotti è professore di filosofia teoretica (Università IULM di Milano), psicologo e ingegnere. Dalla teoria che ha elaborato sulla coscienza ha tratto vari libri, tra cui il più recente The Spread Mind, tradotto ed edito in Italia da Il Saggiatore. https://www.riccardomanzotti.com
Leggi anche: IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani
- PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI -
- I bambini scomparsi per decreto. La sofferenza dei più piccoli nei giorni del coronavirus -
Leggi anche: IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani
- PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI -
- I bambini scomparsi per decreto. La sofferenza dei più piccoli nei giorni del coronavirus -
La campagna del governo #iostoacasa sarà ricordata come un esempio da scuola di come in pochissimo tempo, ignoranza e paura possono cancellare il patto di mutua ragione tra cittadino e istituzioni. Di fronte alla minaccia del virus e il rischio del collasso del sistema sanitario, il governo ha proceduto, a partire dal 21 Marzo a una campagna di quarantena basata sull’hashtag #iostoacasa convincendo milioni di italiani che stare il più a lungo possibile nel chiuso delle loro abitazioni è l’unica strada possibile per fermare la avanzata del virus.
Questo è ovviamente falso. Altri hastag, molto più precisi e dettagliati, come #iostoatremetri o #iostodasolo, sarebbero stati molto più onesti e, nella misura in cui sarebbero stati più sostenibili, sarebbero stati anche molto più efficaci. Purtroppo, il governo ha invece scelto di fondare la sua campagna su un diktat approssimativo e dannoso.
È ovvio a chiunque voglia esercitare un po’ di buon senso come stare al chiuso con la famiglia non è sostenibile e richieda per lo meno l’accesso a supermercati e altri servizi essenziali. Di per sé rendendo vana la pretesa di una applicazione del diktat. Ma è altrettanto evidente che non si tratti nemmeno di una misura necessaria, perché basterebbe stare a distanza e seguire le norme previste dalla OMS (mascherine, lavaggio mani, etc).
Tuttavia, la richiesta ai cittadini di compiere un SACRIFICIO è stata ideologicamente efficace, soprattutto in un paese con le nostre radici storico-culturali. Stare a casa è diventato subito un gesto scaramantico, che si fa per motivi tra la superstizione e l’appartenenza alla comunità. Nessuno si interroga sui meccanismi di trasmissione del virus. Sono demandati agli esperti, come in passato era demandato ai preti di interpretare le sacre scritture e agli intellettuali di sinistra di fare l’analisi del momento storico. La popolazione è contenta di affidare ad altri, esperti o autorità che siano, il proprio destino contando nel principio antico che è più importante appartenere a una comunità, sia un gregge di pecore o una torma di Lemming, il proprio destino.
Ai virologi non vengono chiesti lumi circa i meccanismi di trasmissione del virus, ovvero un trasferimento di conoscenza che richiederebbe, da parte delle persone, un atteggiamento di comprensione critico-scientifica del problema, ma regole e direttive da applicare in modo fedele salvo eccezioni (“padre ho tanto peccato, mi dia l’assoluzione”).
lunedì 13 aprile 2020
Riflessioni 18... - Stefano Garroni
Stefano
Garroni (Roma,
26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo
italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica
(Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G.
Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di
Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. -
Leggi anche: CONTRO
LA GUERRA! - Stefano Garroni
Leggi anche: CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni
Le
“Riflessioni” di Stefano Garroni in forma di aforismi, dal
suo imponente lavoro. Una
vita dedicata allo studio e alla militanza: "Riflessioni"
- Stefano Garroni; "Riflessioni"
2.0; "Riflessioni"
3.0; "Riflessioni"
4.0; "Riflessioni"
5.0; "Riflessioni"
6...; "Riflesssioni"
7...; "Riflessioni"
8...; Riflessioni
9...; Riflessioni
10...; Riflessioni
11...; Riflessioni
12...; Riflessioni
13...; Riflessioni
14...; Riflessioni
15...; Riflessioni
16...; Riflessioni
17...;
Pubblichiamo, in forma di "Riflessioni", un'altro breve scritto inedito di Stefano Garroni.
Ci sembra opportuno farlo in quanto esplicita la situazione di smarrimento in cui gli appartenenti ad una vasta area "di sinistra" si sono ritrovati all'indomani del crollo dei paesi socialisti nell'Est europeo.
La preoccupazione di fondo descritta da Garroni relativamente all'incapacità del cosidetto marxismo italiano (e non solo) di farsi "arma critica radicale" nell'affrontare la situazione in corso, per rivolgersi, invece, ad una "oscillante nuova cultura" al contempo "rigida ed accomodante, sclerotica e disponibilissima, spocchiosa e incoerente" ma appunto incapace di leggere la gravissima fase storica, lascia intendere (profeticamente) quella che sarà poi la deriva autodistruttiva fino ai nostri giorni.
E' una denuncia chiara della scelta di rinunciare all'analisi marxista della lettura dei fatti.
Una scelta che s'è rivelata, lo vediamo bene oggi, l'annichilimento totale di una sinistra "perbene" pronta a credere nella possibilità di un capitalismo riformabile.
Stefano Garroni ci ha lasciato il 13 aprile 2014. Vogliamo oggi così ricordarlo. (il collettivo)
"Smarrimento" - Stefano Garroni 20/02/1990
Tentiamo
una prima riflessione sulle reazioni della sinistra, in particolare
della cultura di sinistra, agli eventi dell’Est europeo.
È
certo, ciò che subito si nota è smarrimento (non perché sia
l’unica reazione, ma sì la più visibile e diffusa).
D’altra
parte contenuti, modi e ritmi di quegli eventi son tali da
giustificare tale smarrimento, data la grande difficoltà di
organizzare gli eventi stessi entro parametri e inferenze, che
consentano valutazioni sufficientemente pacate e ragionevoli.
Tuttavia
in quello stesso smarrimento c’è anche qualcosa di assai meno
ovvio. Lo testimonia il linguaggio della sinistra, che si va sempre
di più connotando per il ricorso a termini generici, retorici
(“democrazia”, “libertà”, “valori universali”,
“modernità”), quasi non fosse vero che un concetto è
scientificamente attendibile, quando è internamente articolato fino
al punto da specificarsi, puntualizzarsi e, quindi, divenir
comprensibile ed usabile in contesti storici e politici determinati.
Ciò
che preoccupa è che, di fronte ad eventi sicuramente epocali (come
che vadano, poi, giudicati per la loro dinamica e il loro
significato), la sinistra e la sua cultura riescano, solo, a compiere
un clamoroso balzo all’indietro, riscoprendo modalità di
ragionamento e di giudizio storicamente così datati (la sinistra, ad
esempio, sembra a volte rilanciare perfino la dottrina sociale della
Chiesa), da renderle sempre meno capaci di orientarsi nel mondo
attuale.
È
una preoccupazione, questa, largamente fondata. Non è infatti la
prima volta (si pensi agli anni del cosiddetto miracolo economico, o
agli inizi degli anni ’60, o al ‘68) che la sinistra e la sua
cultura non riescono a recepire, egemonizzare, anticipare (mentre è
proprio questo che dovrebbero fare) eventi grandi, che interessano la
società tutta ed, in particolare, le masse del proletariato
tradizionale e moderno.
In
questo senso, il periodo, che iniziò col ’67-’68, è largamente
significativo: è lì che abbiamo visto la sinistra oscillare
smaccatamente fra i poli di un marxismo sclerotizzato ed una cultura
vissuta come “nuova”, che non altro, invece, significava se non
l’immediata espressione di una crisi vasta, profonda, insieme al
rilancio di temi spiritualistici ed irrazionalistici.
Quell’oscillare
ed il tentativo di saldare temi del marxismo sclerotizzato con pezzi
interi della cosiddetta “nuova” cultura, ovviamente,
testimoniavano di guasti profondi già avvenuti: in definitiva , di
uno scarto apertosi fra la cultura (e la politica) di sinistra ed i
processi profondi, che specificano il nostro tempo.
Questo
forse è l’elemento più di fondo. Quali che ne siano i motivi (che
vanno studiati puntualmente), anche il cosiddetto marxismo italiano è
andato progressivamente perdendo il carattere di arma critica
radicale, per trasformarsi in un pasticcio di tradizioni spurie (se
non opposte addirittura) con un sostanziale esito mistificante. Il
realismo proprio della grande tradizione marxista è stato sostituito
da una cultura , ad un tempo, rigida ed accomodante, sclerotica e
disponibilissima, spocchiosa e incoerente. L’innesto, poi, di
motivi “moderni” – ma, in realtà, fortemente ideologici,
addirittura nel senso dello spiritualismo e dell’irrazionalismo –
certo, non potevano migliorare la situazione.
Se
così stanno le cose, allora ecco il significato più vero ed
allarmante di quello smarrimento, di cui dicevamo all’inizio.
E
possiamo, a questo punto, anche comprendere perché proprio la
sinistra non riesca a fornire degli eventi dell’Est Europa una
lettura non di maniera, non ideologica, ma che tenga conto, invece,
di un gioco più nascosto di fattori (militari, economici,
diplomatici), che per il fatto di non essere “televisivi”, non
per questo risultano meno reali e determinanti.
Insomma,
se è vero – come è vero – che un’epoca è finita, sarebbe
auspicabile che ne iniziasse una nuova, in cui i marxisti si
mostrassero capaci di “tornare a Marx” nell’unico modo in cui
ciò è possibile. Ossia, non certo mettendo tra parentesi la storia
e leggendo finalmente il “vero” Marx (che in un certo senso non
esiste); ma sì riprendendo del marxismo la criticità radicale e la
disponibilità piena all’uso della ragione per leggere gli odierni
processi contraddittori del capitalismo e costruire, su questa base,
la strada per il socialismo.
venerdì 10 aprile 2020
Il marxismo e lo Stato. Un dibattito italiano 1975-1976 - Carla Maria Fabiani
Da: CARLA MARIA FABIANI. TESI DI
LAUREA, A.A. 1997-1998, UNIVERSITà DEGLI STUDI DI ROMA “LASAPIENZA”,
TITOLO: IL PROBLEMA
DELLO STATO IN KARL MARX. - APPENDICE - http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.academia.edu/1424146/Il_problema_dello_stato_in_Karl_Marx?email_work_card=view-paper
Il marxismo e lo Stato.
Carla Maria Fabiani, Università
del Salento. Department of Humanities
Il marxismo e lo Stato.
Il dibattito aperto
nella sinistra italiana sulle tesi di Norberto Bobbio1.
In questa appendice
vorremmo dar conto di una polemica aperta alla fine degli anni
settanta da Norberto Bobbio, a proposito della mancanza in Marx e nei
marxisti contemporanei di una dottrina articolata e compiuta sullo
Stato. Gli interventi in risposta a Bobbio sono numerosi e non tutti
prendono direttamente in considerazione la questione teorica se e in
che modo Marx abbia criticato lo Stato capitalistico e soprattutto
fino a che punto nei suoi testi sia rintracciabile una costruzione
positiva di uno Stato ‘altro’ da quello borghese. Tutti invece
(Bobbio compreso)discutono del rapporto democrazia-socialismo,
incalzati dalle “dure repliche della storia” che l’hanno reso
assai problematico, anche e soprattutto in una prospettiva di
modificazione politica della realtà capitalistica dell’Occidente
europeo e italiano nella fattispecie2.
Certamente l’accenno
marxiano - presente già nell’Ideologia tedesca, in Miseria della filosofia,
poi nel Manifesto, e nel saggio sulla Comune, oltre che in
misura minore nel Capitale -al necessario superamento
dell’ordinamento sociale borghese, delle sue classi e quindi della
sovrastruttura statale che gli corrisponde, viene da tutti citato, ma
al contempo considerato solo come un accenno e non come una vera e
propria teoria politica di Marx. D’altra parte il Marx del1843 –
la Critica a Hegel - non viene ricordato, e nemmeno viene presa in
considerazione la concezione sostanzialmente etica che quel Marx
aveva del sistema statale; non viene altresì considerato il
passaggio alla critica dell’economia politica, o meglio, viene
visto come un’esclusione da parte di Marx di una riflessione che
sia tutta incentrata sullo Stato, sulle istituzioni politiche
borghesi e su quelle ad esse tendenzialmente opposte.
La critica marxiana
allo Stato capitalistico borghese non si presenta perciò - secondo
la tesi di Bobbio e pure secondo quei marxisti sollecitati dalla
polemica - connessa a una costruzione teorica che dia conto delle
diverse forme in cui si organizza il dominio della
borghesia(soprattutto la forma democratica di Stato che dovrebbe poi
mantenersi all’interno di quello Stato socialista che Marx non ha
comunque articolato), ma prende di mira l’essenza violenta - lo
Stato come “violenza concentrata e organizzata della società” -
di quel sistema di dominio di una classe sull’altra, della
borghesia sul proletariato, che potrà superarsi solo attraverso una
rivoluzione strutturale della società, all’indomani della quale si
porrà allora il problema concreto di come organizzare praticamente
la transizione al comunismo. Alla nuova società senza classi esenza
Stato si dovrà arrivare comunque attraverso un processo politico,
rispetto al quale, dicono Bobbio e gli intellettuali marxisti, nei
testi di Marx non c’è un riferimento particolareggiato, non ci
sono indicazioni in proposito.
L’urgenza politica
che Bobbio manifesta è quella di concentrarsi da una parte sul
concetto di democrazia - rappresentativa e/o diretta - e comunque
sulle forme e gli istituti democratici che l’ordinamento borghese
ha prodotto, e dall’altra sulla compatibilità fra questa e il
‘socialismo’,visto al di fuori della sua realizzazione pratica
nell’Unione Sovietica, ma al di dentro di una prospettiva
teorico-politica vicina al marxismo italiano, che deve prendere atto
però dell’insufficienza teorica marxiana sulla questione dello
Stato (seppure realisticamente definito come dominio basato sulla
forza di un interesse sull’altro) e tentare di riempire il vuoto
lasciato dal teorico della “rivoluzione sociale”, con uno studio
finalmente incentrato sui rapporti, sulle istituzioni e sulle forme
alternative possibili a quelle specificamente borghesi.
Considereremo
in margine anche un intervento di Antonio Negri3 sull’argomento
discusso da Bobbio e i marxisti ; l’interesse che può
suscitare è dato dal fatto che Negri riporta la discussione sullo
stretto nesso economico-politico, individuato da Marx, fra Stato e
capitale, ma,curiosamente, tende a interpretare e ricostruire il
pensiero marxiano utilizzando essenzialmente i Grundrisse
ed escludendo invece proprio l’opera principale di Marx,
il Capitale,
nella quale – già nel 24° capitolo del I libro - è
rintracciabile una trattazione non accidentale di quel nesso4.
Si
vuole inoltre precisare che non daremo conto di tutti gli interventi
di risposta a Bobbio,ma solo di quelli che esplicitamente fanno
riferimento ai testi o al pensiero di Karl Marx.
Le
Tesi di Bobbio
giovedì 9 aprile 2020
La Russia è un paese imperialista? - Alessandra Ciattini
Da: https://www.lacittafutura.it/ - Alessandra
Ciattini insegna
Antropologia culturale alla Sapienza.
Leggi anche: Il
mito dell’imperialismo russo: in difesa dell’analisi di Lenin*-
Renfrey Clarke, Roger Annis
Nel complesso mondo contemporaneo è importante comprendere qual è la natura degli Stati che stanno in competizione tra loro anche per operare una ragionata scelta politica.
Molti si interrogano anche da sinistra sul carattere imperialistico dell’attuale Russia, governata da Vladimir Putin, ex agente del KGB ed ex militare, ormai al potere dal 2000, per cui abbiamo deciso di mettere insieme una serie di dati raccolti da alcuni studi per rispondere a questa domanda. Naturalmente i fattori che hanno determinato il trapasso da una forma di capitalismo di Stato, con il riconoscimento di un’ampia serie di diritti e di conquiste ai lavoratori sovietici, a un capitalismo definito semi-periferico sono molteplici e di carattere esterno ed interno e tra questi ultimi bisogna annoverare il ruolo avuto dalla grande burocrazia.
Nel processo di disgregazione dell’URSS, iniziato negli anni ’80 e portato a termine dalle politiche di Gorbaciov, una parte importante è stata giocata anche dal capitalismo internazionale, il quale, per accaparrarsi le immense risorse sovietiche, ha sostenuto l’emergere di quello che si è definito capitalismo semi-periferico in Russia e nei paesi del CSI; capitalismo caratterizzato da ampi livelli di criminalità imprenditoriale, dalla fuga dei capitali, dalle privatizzazioni, dal controllo informale delle entrate, il cui costo è stato un sensibile calo demografico [1].
Per far accettare agli ex sovietici il passaggio al capitalismo un programma televisivo faceva questa propaganda: il socialismo era rappresentato da una torta che veniva divisa in piccoli pezzi distribuiti tra tutti i cittadini; anche il capitalismo era rappresentato da una torta, ma i pezzi erano assai più grandi e sempre divisi tra tutti. Ma ben presto si rivelò la triste realtà: i coupon rappresentanti i pezzi di proprietà sociale privatizzati, distribuiti tra i cittadini non valevano nulla, tuttalpiù si poteva con uno di essi avere in cambio una bottiglia di vodka. Nel frattempo chi aveva gestito e governato le grandi proprietà era stato in grado di fare incetta di questi beni, divenendone l’unico proprietario e sottraendoli al popolo sovietico.
Tale radicale trasformazione comportò la caduta senza precedenti della produzione, del livello di vita, la criminalizzazione della società, il collasso del sistema educativo e di quello sanitario, la riduzione della Russia a uno Stato semi-dipendente, l’implementazione del sottosviluppo – nozione proposta da A. Gunder Frank -, la disoccupazione, il declino del potenziale industriale, in un sistema economico in cui il 50% dei profitti della vendita delle materie prime vanno ai privati, stranieri compresi [2].
Come è noto, alcuni avevano previsto che, senza il trionfo della Rivoluzione a livello mondiale, la Russia sarebbe molto probabilmente tornata al capitalismo, anche perché il processo di decolonizzazione, cui la Rivoluzione di Ottobre aveva dato forte impulso, fu facilmente fatto abortire con forme di dominio neocoloniale tuttora vigenti.
mercoledì 8 aprile 2020
PERCHÉ NON TI FANNO RIPAGARE IL DEBITO - Marco Bersani
Da: Antonio
Freno - Storia, numeri e analisi sulla favola del debito pubblico, raccontati con lucidità e nella maniera più semplice possibile da marco bersani, filosofo, dirigente pubblico e fondatore di Attac (https://www.attac-italia.org).
Leggi anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_sui_debiti_esteri_germanici
L'annullamento del debito nell'antichità*- Eric Toussaint
L'uomo e il denaro*- Carlo Sini
Semiotica e Moneta*- Carlo Sini
L'annullamento del debito nell'antichità*- Eric Toussaint
L'uomo e il denaro*- Carlo Sini
Semiotica e Moneta*- Carlo Sini
Una chiara ed esaustiva esposizione per un argomento al centro del dibattito politico attuale. Una tematica, però, di difficile spiegazione e comprensione, dove risulta molto importante avere, quantomeno, un quadro il più limpido possibile e tale da poter essere messi in condizione di una seria valutazione.
Questa intervista, a noi sembra, raggiunge lo scopo. Da vedere e ascoltare con attenzione. (il collettivo)
IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani
Da: http://filosofiainmovimento.it - Paolo
Ercolani insegna
filosofia all'Università di Urbino Carlo Bo.
Vedi anche: Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche - Paolo Ercolani
"Il Dio cattivo" - L'insurrezione della Nuova Umanità - Paolo Ercolani
Leggi anche: PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI
Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias
Alain Badiou è uno dei filosofi più autorevoli e sicuramente rappresenta un motivo d’onore il fatto che abbia scritto un articolo per Filosofia in movimento (http://filosofiainmovimento.it/sulla-situazione-epidemica/).
Articolo in cui il pensatore marocchino analizza il contesto storico-sociale nell’epoca del Covid-19, proponendosi di utilizzare il metodo cartesiano di individuazione oggettiva dei fatti, così da «non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presenta così chiaramente e distintamente (si clairement et distinctement)»[1].
L’operazione mi sembra riuscita soltanto in parte, tanto da spingermi a intervenire per rimarcare alcuni punti che sono sfuggiti a Badiou, o che non ha proprio considerato oppure, sempre a mio avviso, interpretato male.
Possiamo schematizzare in tre tipologie gli elementi che collegano il Covid-19 all’umanità.
La prima è per così dire oggettiva: il virus colpisce l’uomo. Quella che Aristotele avrebbe chiamato la realtà «in atto».
La seconda è fisiologica, nel senso che evidenzia la natura comune che li unisce ancor prima che il primo si manifesti colpendo il secondo (la realtà «in potenza»). Ciò fin dalla radice semantica del nome: «virus» (che significava «veleno» in latino) evidenzia una comunanza con «vir» (che sempre in latino era uno dei termini con cui si definiva l’uomo). In questo senso il virus non è un elemento estraneo (ed esterno) all’umanità, che la colpisce alla maniera di una disgrazia tellurica (terremoto), bensì un elemento consustanziale all’umanità stessa, una tragedia che si inscrive nel quaderno per tanti versi a noi sconosciuto di quella che chiamiamo «vita».
È la vita stessa a contenere e produrre gli elementi patogeni, talvolta in maniera endogena talaltra per l’effetto di un’azione umana magari inconsapevole (pensiamo agli eventi climatici estremi, che possono verificarsi a fronte di un ecosistema sconvolto dall’inquinamento ambientale prodotto dall’attività umana).
La terza tipologia somiglia fortemente alla «storia degli effetti (Wirkungsgeschichte)» di cui parlava Gadamer, per cui l’esercizio di interpretazione di un accadere storico «non va inteso tanto come un’azione del soggetto, quanto come l’inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale passato e presente si mediano continuamente»[2].
Vedi anche: Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche - Paolo Ercolani
"Il Dio cattivo" - L'insurrezione della Nuova Umanità - Paolo Ercolani
Leggi anche: PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI
Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias
Alain Badiou è uno dei filosofi più autorevoli e sicuramente rappresenta un motivo d’onore il fatto che abbia scritto un articolo per Filosofia in movimento (http://filosofiainmovimento.it/sulla-situazione-epidemica/).
Articolo in cui il pensatore marocchino analizza il contesto storico-sociale nell’epoca del Covid-19, proponendosi di utilizzare il metodo cartesiano di individuazione oggettiva dei fatti, così da «non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presenta così chiaramente e distintamente (si clairement et distinctement)»[1].
L’operazione mi sembra riuscita soltanto in parte, tanto da spingermi a intervenire per rimarcare alcuni punti che sono sfuggiti a Badiou, o che non ha proprio considerato oppure, sempre a mio avviso, interpretato male.
Possiamo schematizzare in tre tipologie gli elementi che collegano il Covid-19 all’umanità.
La prima è per così dire oggettiva: il virus colpisce l’uomo. Quella che Aristotele avrebbe chiamato la realtà «in atto».
La seconda è fisiologica, nel senso che evidenzia la natura comune che li unisce ancor prima che il primo si manifesti colpendo il secondo (la realtà «in potenza»). Ciò fin dalla radice semantica del nome: «virus» (che significava «veleno» in latino) evidenzia una comunanza con «vir» (che sempre in latino era uno dei termini con cui si definiva l’uomo). In questo senso il virus non è un elemento estraneo (ed esterno) all’umanità, che la colpisce alla maniera di una disgrazia tellurica (terremoto), bensì un elemento consustanziale all’umanità stessa, una tragedia che si inscrive nel quaderno per tanti versi a noi sconosciuto di quella che chiamiamo «vita».
È la vita stessa a contenere e produrre gli elementi patogeni, talvolta in maniera endogena talaltra per l’effetto di un’azione umana magari inconsapevole (pensiamo agli eventi climatici estremi, che possono verificarsi a fronte di un ecosistema sconvolto dall’inquinamento ambientale prodotto dall’attività umana).
La terza tipologia somiglia fortemente alla «storia degli effetti (Wirkungsgeschichte)» di cui parlava Gadamer, per cui l’esercizio di interpretazione di un accadere storico «non va inteso tanto come un’azione del soggetto, quanto come l’inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale passato e presente si mediano continuamente»[2].
martedì 7 aprile 2020
La fortuna del Manifesto di Marx/Engels in Italia — Luciano Canfora
Da: Andrea
Cirla - Luciano
Canfora è
un filologo classico, storico e saggista italiano.
Vedi anche: La
Rivoluzione Russa - Luciano Canfora
Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano -
Cosa resta dell’Utopia col passaggio del secolo - Luciano Canfora -
Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo
Convegno "Marx in Italia. Edizioni, interpretazioni e influenze".
Evento organizzato da Fondazione Istituto Gramsci Onlus e Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani.
Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano -
Cosa resta dell’Utopia col passaggio del secolo - Luciano Canfora -
Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo
Convegno "Marx in Italia. Edizioni, interpretazioni e influenze".
Evento organizzato da Fondazione Istituto Gramsci Onlus e Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani.
lunedì 6 aprile 2020
Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici - Roberto Fineschi
Da: http://www.ospiteingrato.unisi.it - http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Marx.
Dialectical Studies - Roberto
Fineschi è
un filosofo ed
economista
italiano.
Leggi anche: Ancora sulla dialettica: Tesi su Feuerbach - Stefano Garroni
A partire dal sottotitolo del 'Capitale': Critica e metodo della critica dell’economia politica - Tommaso Redolfi Riva
Vedi anche: Roberto
Fineschi: Marx “economista”
Un nuovo Marx, conferenza inaugurale del ciclo “Officina Marx 2018” - Roberto Fineschi
“I filosofi hanno solo interpretato il mondo diversamente: importa cambiarlo”
(Tesi su Feuerbach* - Karl Marx)
Leggi anche: Ancora sulla dialettica: Tesi su Feuerbach - Stefano Garroni
A partire dal sottotitolo del 'Capitale': Critica e metodo della critica dell’economia politica - Tommaso Redolfi Riva
Un nuovo Marx, conferenza inaugurale del ciclo “Officina Marx 2018” - Roberto Fineschi
“I filosofi hanno solo interpretato il mondo diversamente: importa cambiarlo”
(Tesi su Feuerbach* - Karl Marx)
I. Per una definizione meno vaga del concetto di “critica” attraverso Marx
Nel mondo anglosassone e non solo, la popolarità del termine “critica” è tale che sulla “critical theory” si possono trovare in libreria dizionari, glossari, antologie.1 Sfogliando le pagine di queste pubblicazioni, tuttavia, talvolta si resta un po’ disorientati vedendo accostati autori assai lontani tra di loro, al punto che è difficile scovare un tratto comune, se non in un generico atteggiamento anti-mainstream. Che cosa sia mainstream resta del resto non chiaramente espresso. Ovviamente, non si intende qui liquidare il contributo di autori assai importanti; si tratta piuttosto di prendere atto che questo galassia pare riconducibile a una qualche unità solo per via negativa, un criterio di distinzione/identificazioni troppo generico e, da sempre, potenzialmente foriero di accostamenti pericolosi.2
Un tentativo di ricostruzione della storia del termine andrebbe ovviamente molto al di là dei limiti di questo contributo, in questa prospettiva però si può forse fare qualche considerazione di carattere generale a partire dall’autore che meglio conosco, vale a dire Karl Marx. È noto, infatti, che molte delle sue opere contengono la parola “critica” addirittura nel titolo3 e che l’ambiente della “critica critica”, come sarcasticamente Marx la definisce nel sottotitolo della Sacra famiglia, rappresentò il contesto culturale nel quale avvenne la sua formazione e dal quale prese successivamente le distanze.
La tesi da indagare, che qui si espone solo come spunto di ricerca da approfondire, è che il termine venga utilizzato in una maniera analoga a quella che si configura nell’ambito della metodologia storico-critica dell’esegesi biblica tedesca degli anni trenta e quaranta dell’ottocento grazie a interpreti come Strauss, Bruno Bauer, ecc. Esso ha quindi solo mediatamente a che fare con la critica kantiana e sembra piuttosto riguardare il processo di riconduzione dei fenomeni storici alle cause storico-politico-culturali che li hanno determinati; si tratta insomma di ricostruire e conoscere il contesto per cui essi si determinano in una certa maniera, contesto che sempre più si configurerà come “economico”.4
Questo processo della conoscenza, illuministico in senso lato, è comprensione, chiarimento e quindi superamento del non conosciuto dentro la sfera del conosciuto. Nel contesto post-hegeliano in cui questa critica si sviluppa, tale processo viene facilmente riconfigurato come modalità di attuazione dell’autocoscienza che, nell’alterità, riconosce se stessa e, ancor di più, il processo per cui essa si scinde in sé e nel proprio altro per poi individuare in questa modalità nient’altro che la dinamica di autoattuazione dell’autocoscienza stessa. Il limite di questa “critica critica” consiste nell’accontentarsi di questa riconciliazione nel pensiero e di non comprendere la natura reale dell’alterità, che può essere superata solo dalla soppressione reale dei processi che la generano; in questo senso, l’alienazione non è altro che la versione filosofica di ciò che spiega assai più efficacemente l’economia politica inglese, ovvero la filosofia tedesca post-hegeliana non è che la versione speculativa la cui chiave reale è l’economia politica classica. In sostanza sono i – per adesso non meglio definiti – processi reali a determinare le ipostatizzazioni ideologiche, intellettuali, culturali, istituzionali e non viceversa; senza una “critica” reale che trasformi questi ultimi, gli altri continueranno a sussistere.
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