domenica 15 marzo 2020

La città appestata - Michel Foucault

Da: https://antinomie.it - Tratto da Michel Foucault, Sorvegliare e punire, trad. Alcesti Tarchetti, Einaudi, Torino 1976.
Michel Foucault è stato un filosofo, sociologo, storico della filosofia, storico della scienza, accademico e saggista francese.
Leggi anche:  Michel Foucault: Sorvegliare e punire. Nascita della prigione*- by fernirosso 
                         La società artificiale - Renato Curcio  
                         Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias
Vedi anche:   "Le nuove forme di controllo sociale nella società artificiale" - Renato Curcio 




Michel Foucault apre il famoso capitolo di Sorvegliare e punire dedicato al Panottico con una descrizione bellissima e minuziosa delle misure amministrative e di polizia da adottare nel caso di un’epidemia di peste. Nell’economia del libro questa descrizione della quarantena, tratta dagli archivi militari di Vincennes alla fine del XVII secolo, sembra avere un ruolo analogo a quello della descrizione delle torture e dell’impiccagione di Damiens, con cui si apre la trattazione del potere disciplinare. La scena violenta e pubblica del patibolo – l’éclat des supplices – si contrappone al freddo rigore con cui il dressage dei corpi viene organizzato negli spazi sottratti allo sguardo.


Il rapporto fra la quarantena e il panottico segue una logica simile. Se la prima è finalizzata al controllo dichiarato e capillare di una popolazione intrappolata in un territorio chiuso, il panottico di Bentham segue inosservato i gesti e i movimenti dei detenuti. Sono due modi e due pratiche diverse dell’esercizio del potere disciplinare: la quarantena è il controllo pubblico, eventualmente militare, dello spazio di una moltitudine anonima, la prigione è il controllo nascosto e continuo dei comportamenti singolari di un ristretto e ben preciso gruppo di individui.

In questo quadro il panottico anticiperebbe piuttosto l’inventario delle tecniche contemporanee di controllo, coadiuvate da dispositivi elettronici e telematici silenti, mentre il controllo violento ed esplicito dei movimenti e del contatto fra individui sembrerebbe una misura arcaica che appartiene alla preistoria del contemporaneo. Il ricorso attuale alla quarantena non può che falsificare questa opposizione, facendo apparire la fragilità dei paradigmi, delle pretese e perfino dell’efficacia della biopolitica, se è vero che la biopolitica è inseparabile dal presupposto che un sistema sanitario degno di questo nome sia capace di dominare perfino l’irruzione di impreviste epidemie senza ledere diritti fondamentali come la libertà di movimento e l’inviolabilità dei corpi. Ma vita e politica non sono coestensive, e lo spazio e il tempo della prima sono infinitamente più estesi di quelli della seconda.

Clemens-Carl Härle

------------------------------------

Ecco, secondo un regolamento della fine del secolo XVII, le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città. Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del «territorio agricolo» circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall’esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all’intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all’altro, i “corvi” che è indifferente abbandonare alla morte: sono «persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti». Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.

sabato 14 marzo 2020

Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias

Da: https://contropiano.org - Pier Franco Devias (https://liberu.org)



Continuo a pensare che la situazione, oltre che essere grave dal punto di vista sanitario, abbia delle importantissime (e molto sottovalutate) implicazioni politiche.

Certamente il momento in cui è più difficile ragionare freddamente è proprio quello in cui la società è in preda a un’isteria di massa. Ma resta la cosa più utile e importante da fare per non lasciarsi travolgere dagli eventi.


Premessa

So bene che battaglioni di analfabeti funzionali o avversari politici mossi da malafede cercheranno di accusarmi di cose non dette o di minimizzare un pericolo. Perciò cercherò di spiegarmi al meglio, confidando in chi ha la pazienza di capire il significato di ciò che resta scritto.

Il problema

A mio parere non è spiegabile dal punto di vista esclusivamente scientifico l’enorme importanza data alla diffusione di questo virus. Esso infatti ha una contagiosità e una resistenza importante, ma non ha una mortalità eccessiva (pare sia ancora attestata intorno al 2-3%).

Va d’altra parte precisato che un’alta contagiosità, anche se unita a una bassa mortalità, può comunque determinare tantissimi morti, per cui non si può certamente dire che il Covid-19 “non sia pericoloso”. E’ pericoloso, è potenzialmente mortale specialmente per le persone più deboli o con problemi di salute pregressi, è estremamente contagioso e non deve essere assolutamente sottovalutato.

venerdì 13 marzo 2020

Pensare con Hegel - Vladimiro Giacché

Da: https://www.lettera43.it - Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche (CER), è un filosofo ed economista italiano.
Leggi anche: NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché 
                       "Totalitarismo", triste storia di un non-concetto* - Vladimiro Giacché 
                        DIALETTICA E TEMPORALITÀ, l’immagine di Hegel nella Dialettica della natura di Engels* - Vladimiro Giacché
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 
                        Note sulla polisemia di «dialettica»: dal quotidiano alla riflessione formale Stefano Garroni 
                        Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi
Vedi anche:   La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci 
                       La dialettica tra Stato e società civile. A partire da Hegel e Marx - Paolo Vinci 
                       Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli



Nel libro Hegel. La dialettica (Diarkos 2020, 2018 pagine, 18 euro) il pensiero del filosofo tedesco è spiegato in termini chiari e accessibili, ripercorrendone lo sviluppo attraverso i contenuti delle opere principali, per poi offrire un rapido quadro d’insieme della fortuna delle teorie hegeliane presso i filosofi successivi. 


Il capitolo conclusivo (Pensare con Hegel) propone una lettura originale delle principali caratteristiche della filosofia hegeliana, con particolare riferimento ai concetti di “dialettica” e “contraddizione”, ed esamina alcuni importanti utilizzi successivi delle categorie hegeliane. Il testo è accompagnato da un’ampia antologia di pagine di Hegel e dei suoi critici, che consentono un confronto diretto con la filosofia del pensatore tedesco. Di seguito l’estratto. 


UNA FINE E UN INIZIO

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio.

HEGEL E NOI

giovedì 12 marzo 2020

Francesco Valentini: Soluzioni hegeliane - Renato Caputo


Vedi anche:  I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (ultima parte) - Renato Caputo  
                      Le origini filosofiche del marxismo: la filosofia di G.W.F. Hegel (7-8-9) - Renato Caputo 
                      Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei  
                      Marx, Hegel ed il metodo. Note introduttive - Roberto Fineschi 



A poco più di 10 anni dalla morte di uno dei massimi interpreti di Hegel e a quasi 20 dalla pubblicazione della sua più significativa monografia sull’opera hegeliana, pubblichiamo un’analitica recensione di quest’ultima 


Soluzioni hegeliane è una raccolta di saggi di Francesco Valentini, dedicati in maniera diretta o indiretta a delucidare il pensiero hegeliano. Le tematiche affrontate nella prima sezione sono: la società civile, il mondo della ricchezza, la moralità, le prime categorie della Logica, l’interpretazione dell’illuminismo, il Sapere assoluto, la genesi della razionalità. Nella seconda, invece, Valentini analizza la filosofia di Eric Weil, una filosofia fortemente influenzata dal pensiero di Hegel come da quello di Kant. Il confronto tra questi due filosofi e l’interpretazione storicistica del pensiero hegeliano possono essere considerate le due caratteristiche fondamentali dell’approccio dell’autore alle differenti problematiche presenti nel suo libro.

Nel primo saggio dedicato alla società civile Valentini muove dalle critiche rivolte da Karl Marx e Rudolf Haym al pensiero “speculativo” hegeliano, al razionale che si pretende reale e che quindi “consacra contenuti empirici, qualificandoli razionali” [1]. Valentini rigetta queste critiche in quanto ritiene che “la compenetrazione di ragione ed empiria sia la conseguenza inevitabile (e plausibile) della polemica contro le filosofie della riflessione e corrisponda a un atteggiamento umano di conciliazione con il mondo, di pacificazione con le cose” (25). Valentini ritiene che nella filosofia hegeliana non vi sia affatto un dominio della logica sul dato empirico, dato che i concetti stessi in essa non sono altro che “condensazioni di fatti, hanno la loro nascita storica e la loro vicenda storica, e poi vengono tesaurizzati come categorie del discorso” (26).

mercoledì 11 marzo 2020

Rosa Luxemburg, teorica marxiana dell’economia e della politica - Riccardo Bellofiore

Dal numero monografico dedicato a Rosa Luxemburg dalla rivista «Alternative per il socialismo», n. 56, dicembre 2019/marzo 2020. - http://www.rifondazione.it - 

                      Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi 
                        ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)


«Qualche sentimentale piangerà che dei marxisti bisticcino fra loro, che ‘autorità’ provate siano messe in discussione. Ma il marxismo non è una dozzina di persone che si distribuiscano a vicenda il diritto alla ‘competenza’, e di fronte alle quali la massa dei pii musulmani debba inchinarsi in cieca fede. Il marxismo è una dottrina rivoluzionaria che lotta per sempre nuove conquiste della conoscenza, che da nulla aborre più che dalle formule valide una volta per tutte, che mantiene viva la sua forza nel clangore delle armi incrociate dell’autocritica e nei fulmini della storia.» (Rosa Luxemburg, 1916) 

Sono trascorsi cento anni dall’assassinio di Rosa Luxemburg. Ecco che si sono svolte numerose iniziative per ricordarne la figura, è stato pubblicato qualche volume, o qualche articolo di rivista. Certo, nulla a che vedere con la doppia ricorrenza marxiana che abbiamo alle spalle (due anni fa, il cento- cinquantenario della pubblicazione della prima edizione del Capitale, l’anno scorso duecento anni dalla nascita di Karl Marx). Nel caso di Rosa Luxemburg, comprensibilmente (ma pur sempre discutibilmente) il fuoco è stato sulla figura personale e politica, non sulla teorica, tanto meno sulla Luxemburg economista. Il che, dal mio punto di vista, è una mutilazione che cancella il centro della figura che si vuole ricordare, e in fondo rende concreto il rischio di disperderne l’eredità. 


Mi proverò allora a ripercorrerne la riflessione guardando agli scritti economici e politici, oltre gli stereotipi. Si comincerà dalla Luxemburg marxista, per approdare alla Luxemburg marxiana, che ci interroga ancora oggi. Dovrò procedere un po’ con l’accetta, rimandando per un approfondimento a miei altri scritti, che saccheggerò qua e là. 


Gli inizi: ristagno e crisi nel marxismo 

venerdì 6 marzo 2020

Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei

Da: Festivalfilosofia - Remo Bodei è stato un filosofo e accademico italiano. 
Vedi anche: Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei 
                    Hegel e la dialettica - Remo Bodei 
                      "La civetta e la talpa, il concetto di filosofia in Hegel" - Remo Bodei 
                      "La notte dalle vacche nere" - Carlo Sini 
                   "Il boccio, il fiore, il frutto" - Carlo Sini
                      Hegel,"Filosofia e Metodo" - Carlo Sini 
                      Hegel: la comprensione dell’intero - Carlo Sini 
                      Hegel: la ragione come mondo - Costantino Esposito 

                                                                               


giovedì 5 marzo 2020

"Il pensiero di Ludwig Feuerbach come limite allo sviluppo teorico di Karl Marx" - Roberto Finelli

Da: AccademiaIISF -
Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org
Vedi anche: La linea e il circolo: Hegel nella mente di Marx - Roberto Finelli 

                                                                         

               L’idealismo tedesco nei suoi critici. 
                        Fratture e permanenze? 
                                     Schelling, Feuerbach, Marx, Schopenhauer, Nietzsche. 

(1/5) - Marco Ivaldo "Da Hegel a Nietzsche. Rileggendo Löwith"

(2/5) - "Lo Schelling post-hegeliano" - Paolo Vinci

(3/5) - Matteo d’Alfonso "Schopenhauer e la ragione pratica di Kant"

(4/5) - Roberto Finelli "Il pensiero di L. Feuerbach come limite allo sviluppo teorico di Karl Marx"

(5/5) - Marcello Musté "La volontà di potenza in Nietzsche: genesi, significato, conseguenze"

mercoledì 4 marzo 2020

Il salario sociale di classe - Carla Filosa

Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo. (https://rivistacontraddizione.wordpress.com


Nei nostri tempi di continua precarizzazione del lavoro, delle finte “autonomie lavorative”, dei lavori senza contratto, dei “lavoretti”, della mancanza di sicurezza sul lavoro, ecc., sembra prioritario fare chiarezza sulle cause delle modalità remunerative che tendono a cancellare il significato di salario, erroneamente identificato nella sola busta paga. Le ultime generazioni non conoscono a volte neppure l’uso di questo termine, al massimo si parla di stipendio, quando devono ricevere un pagamento per prestazioni effettuate.

Anche la comunicazione mediatica favorisce l’obliterazione concettuale del lavoro salariato usando prevalentemente le parole come “occupazione” o “disoccupazione” legate ad una ineluttabile fase di crisi economica, di cui non si menziona né l’origine né le dinamiche di una sua possibile risoluzione.

Riaffrontare i temi legati al salario ripropone quindi una necessaria riflessione critica sui temi sociali legati all’attualità sì dei processi inflattivi, dei fenomeni ambientali e migratori, delle innovazioni tecnologiche, ecc., ma soprattutto delle relazioni sociali che fanno capo alle “diseguaglianze” e alle “povertà assolute e relative”, su cui ormai si organizzano analisi e dibattiti diventati di moda. 

Per orientarsi pubblichiamo la presentazione del libro di Gianfranco Pala Propriamente SALARIO SOCIALE DI CLASSE. Critica delle mistificazioni del valore della forza-lavoro edito da La Città del Sole che sarà presentato venerdì 6 marzo 2020 alle ore 18.30 presso la Libreria Fahrenheit 451 Piazza Campo de’ Fiori 44 - Roma da Carla Filosa, Presidente dell’Università popolare A. Gramsci, che ne ha scritto l’introduzione che proponiamo ai nostri lettori. 

--------------------

Il “Salario sociale – La definizione di classe del valore della forza-lavoro” [ed. Laboratorio politico, la Città del Sole, Napoli 1995] focalizzava in tempi diversi dall’oggi – circa 21 anni fa – quella che comunemente si intende per remunerazione o compenso per tutto il tempo di un lavoro svolto. L’ampliamento conoscitivo della miseria di questo “senso comune” illusorio, in quanto indotto dalla falsificazione dominante, dettava allora come adesso la necessità di fornire la strumentazione concettuale storicamente corretta e completa, cioè insita nelle cose, necessaria alla formazione di una coscienza di classe che sia rimasta ancora restìa all’omologazione dell’esistente. Con l’obiettivo di rivolgersi a tutti, allora come adesso, deve essere chiaro che si è consapevoli di non poter sfuggire alla contraddizione reale di ricorrere alla parte pensante di quei tutti, in una fase in cui il pensiero è stato delegittimato ad affrontare i problemi della vita, a favore invece di fattori regressivi quali emotività, irrazionalità, fideismi, ecc. Tuttavia è una necessità collettiva l’impe­gno a riabilitare quella parte razionale che non in tutti ha avuto la possibilità di formarsi nella concretezza della propria vita, e che ci spinge a creare quelle condizioni mancate per maturare l’interesse a capire, quale priorità, le modalità di lotta attuabile per conquistare la sopravvivenza o se possibile il benessere, costantemente minacciati da un sistema nemico così velocemente proteiforme. 

martedì 3 marzo 2020

Socialismo e rivoluzione nella concezione di Rosa Luxemburg - Lelio Basso

Da: http://www.rifondazione.it/formazione - Estratto dalla Introduzione al volume: ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione tedesca 1918 -1919 -
Lelio Basso è stato un avvocato, giornalista, antifascista, politico e politologo italiano. [Tutti gli scritti di Lelio Basso li trovate su http://www.leliobasso.it/]
Vedi anche:  ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986) (Film completo)
                     "Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht"



"Rosa sta dalla parte delle masse perché sono oppresse, e la funzione educatrice delle élite è per lei finalizzata alla loro rivolta, alla rivoluzione - non al potere delle stesse élites per conto delle masse, vicario del potere borghese e a esso speculare. E' una visione fino a oggi priva di sbocco politico, ma la sola dove la rivoluzione non sia destinata a divorare se stessa"      
(Edoarda Masi,"La persona Rosa, perché", p. 95)


---------------------------

[…] 

Va osservato in primo luogo che Rosa non è stata mai una spontaneista nel senso di considerare che solo conti l’azione spontanea delle masse, senza bisogno di direzione politica.

Al contrario essa ha sempre rimproverato alla socialdemocrazia di non sapere svolgere proprio la funzione dirigente cui è chiamata (“Il periodo nuovo, quello dell’imperialismo, ci pone dinanzi dei problemi nuovi, che non possono essere risolti con i soli mezzi parlamentari, con il vecchio apparato e la vecchia routine. Il nostro partito deve imparare a scatenare, quando la situazione lo consente, delle azioni di massa e a dirigerle [corsivo nostro, L. B.]: non sa ancora farlo”), perché delle masse svuotate d’iniziativa politica e di capacità di lotta non saranno mai delle masse che potranno condurre a fondo un’azione rivoluzionaria (anche senza bisogno di attribuire a questa parola il significato insurrezionale). 

Non si tratta quindi di negare il ruolo dirigente del partito, ma di contestare il modo come viene svolto e che sottovaluta totalmente il ruolo e la capacità combattiva delle masse, facendo del partito il solo protagonista. “Storicamente, il partito socialdemocratico è chiamato a costituire l’avanguardia del proletariato; partito della classe operaia, deve aprire la marcia e assumere la direzione. Ma se la socialdemocrazia s’immagina che è essa chiamata a scrivere la storia, che la classe non è niente, e che deve esser trasformata in partito prima di poter agire, potrebbe darsi che la socialdemocrazia svolgesse il ruolo di freno nella lotta di classe”, come infatti l’ha svolto. 

E d’altra parte, se così fosse, se solo il partito fosse il titolare della azione politica della lotta di classe, come si spiegherebbe che la lotta di classe ha preceduto la nascita del partito, e anzi vi ha dato essa stessa vita, come si spiegherebbe che rivoluzioni socialiste, come a Parigi nel ‘48 e nel ‘71 e in Russia nel ‘905, sono scoppiate senza che un partito le avesse preparate e dirette? Come si spiegherebbe la partecipazione di vastissime masse non organizzate in tanti movimenti e il peso decisivo che vi hanno esercitato? “In occasione di grandi lotte, l’impeto delle masse non organizzate rappresenta, ai nostri occhi, un pericolo assai minore della debolezza dei capi”. Sarebbe quindi “un errore fatale immaginarsi che ormai l’organizzazione socialdemocratica è diventata la depositaria unica di tutta la capacità di azione storica del popolo, e che la massa non organizzata del proletariato è ridotta a un magma amorfo costituente per la storia un’inerte zavorra”. No, “la materia vivente della storia mondiale resta sempre, a dispetto della socialdemocrazia, la massa del popolo; e solo se si mantiene una viva circolazione sanguigna fra il nucleo dell’organizzazione e la massa popolare, solo quando il polso dell’una e dell’altro battono all’unisono la socialdemocrazia può dimostrarsi atta a grandi imprese storiche”. 

Questo dunque è il punto essenziale: la funzione dirigente del partito deve esplicarsi non attraverso ordini e direttive, non con i metodi burocratici dell’apparato, non mediante le famose “cinghie di trasmissione”, ma attraverso un’interazione continua che faccia appunto scorrere permanentemente il sangue fra vertici e base, fra partito e classe, fra organizzazione e movimento, essendo chiaro che una grande azione politica, un importante compito storico non potranno essere svolti da una massa abituata soltanto a obbedire. 

lunedì 2 marzo 2020

Il debito perpetuo e odioso - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it/ Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 
Leggi anche: L'annullamento del debito nell'antichità*- Eric Toussaint** 
                       L'uomo e il denaro*- Carlo Sini** 
                       Semiotica e Moneta*- Carlo Sini**



Siamo davvero obbligati a pagare i debiti esteri contratti da governi antipopolari senza consultare i cittadini? 


Ho scoperto una nuova nozione, certo nota agli economisti: “il debito perpetuo”, il quale non scade mai e né il debitore è obbligato a ripagarlo. Ovviamente, tuttavia, poiché questi non restituisce il denaro prestato, nel frattempo dovrà pagare gli interessi, che saranno superiori a quelli del mercato, perché l’operazione è altamente rischiosa per il creditore. Inoltre, nel caso in cui il debitore fallisca, il detentore del debito perpetuo sarà l’ultimo ad avere diritto al rimborso del denaro prestato. Tale tipo di prestito è accessibile solo agli Stati ed alle grandi corporazioni, che a tutta prima appaiono più sicuri.

Tra i paesi che si trovano intrappolati nel debito perpetuo risalta l’Argentina, il cui ex presidente Mauricio Macri ha chiesto 57 miliardi di dollari dal FMI, che intendeva garantire con un sostanzioso finanziamento la sua rielezione e mantenere il paese in uno stato di disastrosa sudditanza. Il Dr. Héctor Giuliano, specializzato in debito pubblico, affermava nel 2018 che quell’anno l’Argentina aveva in scadenza 67 miliardi di dollari, dei quali non era in grado di restituire nemmeno un centesimo, vedendosi costretta a rifinanziare tutto il debito. A suo parere siamo qui dinanzi alla logica dell’usura, secondo la quale l’usuraio non vuole la restituzione del capitale, preferendo ricevere interessi che si fanno di anno in anno più corposi. L’Argentina è arrivata a pagare il 60%/70% di interessi. 

venerdì 28 febbraio 2020

Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei

Da: Festivalfilosofia - Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e accademico italiano.
                       Hegel: "Fenomenologia dello spirito" - Antonio Gargano 
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)

                                                                           

giovedì 27 febbraio 2020

Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik. - Alessandro Visalli

Da: https://tempofertile.blogspot.com - 
Alessandro Visalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. https://www.facebook.com/alessandro.visalli. 
Leggi anche: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2019/07/08/intervista-a-utsa-patnaik-storia-agraria-e-imperialismo
                      La migrazione come rivolta contro il capitale*- Prabhat Patnaik** 
                       "Il Vero Debito Estero" - Guaicaipuro Cuatemoc 


Nel libro che Utsa Patnaik e Prabhat Patnaik, scrivono nel 2017 sull’imperialismo[1] c’è un’ultima parte nella quale è riportato un dialogo a distanza con David Harvey. Il notissimo geografo marxista americano svolge diverse critiche molto serrate ai due economisti indiani e questi replicano in modo altrettanto deciso. Si tratta di un confronto tra discipline e tra culture, ma anche tra posizioni interiorizzate. Sembra di leggere tra le righe il fantasma dell’oggetto stesso della contesa, la dualità centro-periferia e quella occidente-oriente e la memoria del colonialismo. L’uno scrive da britannico e da New York, gli altri da indiani e da Nuova Delhi. Ma soprattutto, pur essendo tutti critici del capitalismo e quasi coetanei, a separarli ci sono le tracce della storia. In fondo, e la lettura del libro lo mostra molto bene, i due marxisti indiani si sentono parte di una storia di oppressione e hanno qualcosa da chiedere come risarcimento.

È vero, l’India è una potenza regionale con grande proiezione di potenza economica, commerciale, tecnologica e persino militare, e Harvey di passaggio lo ricorderà. È un paese di oltre un miliardo e trecento milioni di persone e la dodicesima potenza economica mondiale. Ma è anche un paese nel quale permangono enormi differenze tra i diversi gruppi sociali, le regioni, le aree rurali ed urbane. Un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, secondo i canoni indiani, mentre secondo quelli internazionali è oltre la metà.

In india il governo Modi è sfidato dalla mobilitazione dei contadini che impegna a fondo il Partito Comunista Indiano chiedendo la cancellazione dei debiti, la possibilità di accedere alla proprietà delle terre e l’aumento del prezzo dei prodotti agricoli. Del resto era una promessa elettorale disattesa dello stesso Bharatiya Janata Party al potere: raddoppiare il reddito degli agricoltori entro il 2022. Oggi il settore copre il 17 per cento del Pil a causa della crescita del settore dei servizi, ma tra il 50 ed il 70 per cento della popolazione dipende dal settore agricolo. E questa situazione pone, appunto, oltre la metà della popolazione in condizioni di povertà, in quanto i prezzi al consumo dei prodotti agricoli continuano a scendere e in venticinque anni si sono suicidati oltre trecentomila contadini a causa dell’endemica condizione di estrema povertà.

La All India Kisan Sangharsh Coordination Committee (AIKSCC)[2], organizzazione che unisce duecento organizzazioni contadine in tutto il paese lamenta il mancato rispetto delle indicazioni della Swaminathan Commission (aumentare della remunerazione agricola oltre il costo di produzione) ma soprattutto denuncia il degrado delle condizioni degli agricoltori da quando, negli anni novanta, furono introdotte le riforme neoliberali. Dal 2014, infatti, una tenaglia strangola le famiglie contadine, da una parte gli aumenti del prezzo del carburante e dei fertilizzanti, dall’altro la riduzione dei prezzi agricoli. Inoltre sta calando la terra adibita all’agricoltura, a causa della competizione delle sempre maggiori infrastrutture e ormai il 40 per cento dei contadini sono senza terra; si parla di circa sessanta milioni di persone che sono state espropriate, spesso senza nessun risarcimento, da società internazionali concessionarie dello stato.

Tutto questo mostra la rilevanza della sovrappopolazione relativa (ovvero dell’esercito di riserva) nel settore: circa duecentocinquanta milioni direttamente impiegati nei lavori della terra e, appunto, altri cinquecento milioni comunque connessi e dipendenti dal settore.

David Harvey è una notissima e rispettabile personalità, uno studioso di grande valore e sensibilità, una guida per molta parte del pensiero critico occidentale. Ma è britannico, laureato a Cambridge in geografia, sin dagli anni settanta si converte al materialismo dialettico ed al marxismo, se pur letto in chiave autonoma ed originale.

Utsa Patnaik e suo marito, Prabhat Patnaik, sono due economisti che hanno studiato in India, e che hanno lavorato per lo più al Center of Economic Studies and Planning nella School of Social Sciences dell’Università Jawaharlal Nehru di Nuova Delhi, dall’inizio degli anni settanta. Il loro perfezionamento è tuttavia avvenuto in Inghilterra, entrambi ad Oxford ma Utsa in economia e Prabhat in filosofia, da cui ha passato un periodo a Cambridge.

Per quando David Harvey abbia dieci anni più di loro si tratta di studiosi esperti e stimati, con decine di libri e centinaia di articoli alle spalle. Ma questo confronto, riportato in calce al libro dei Patnaik, è insolitamente aspro. L’uno parla di leggerezza, imprecisione e infondatezza e di “ossessione”, gli altri di subalternità ad una cultura che oscura la verità perché scomoda, quasi di complicità.

La durezza dello scontro dice qualcosa. Parla del portato degli scontri di classe e di radicamento che attraversano i secoli per riproporsi. Sono di fronte, in effetti, colonizzatori e colonizzati. I secondi non lo hanno dimenticato.