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giovedì 7 febbraio 2019

Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi” - Vladimiro Giacché -

Da: http://www.marx21.it - Vladimiro Giacché è un economista italiano. - alessandro-somma è professore ordinario di diritto comparato nell’Università di Ferrara.
Vedi anche: La Costituzione italiana e i trattati europei: convivenza possibile?*- Vladimiro Giacché 
Leggi anche: L'Europa e le false credenze della Sinistra - Alessandro Somma
     "       "    : Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato
 

"Quando un regno è condotto verso l'abisso da bande di briganti che si sono impadronite del governo, coloro che predicono la fine trovano scarso credito per le seguenti ragioni: i grandi regni hanno in sé qualcosa di durevole già per la loro stessa grandezza. La vita in piccolo continua al solito modo, i panettieri vendono il pane, si stampano libri, escono i giornali, si celebrano matrimoni, si seppelliscono i morti, si costruiscono case. In tutto ciò è ancora all'opera la ragione. L'osservatore spera quindi, senza cercare di rendersi esattamente conto della questione, che questa grande riserva di ragione, questa collaudatissima attività quotidiana, debba pure rimediare ai tratti demenziali dei reggitori. Questi tratti demenziali desumono da ciò una parvenza di plausibilità, di ragione addirittura." (B. Brecht, Me-ti libro delle svolte)

E già... Ma questo potrebbe valere in grande per l'UE e in piccolo per ogni singolo Stato... 
(il collettivo)



Poche parole hanno conosciuto un improvviso boom negli ultimi anni come i termini “sovranismo” e “sovranisti”. Di queste parole, ormai onnipresenti nel nostro dibattito politico, chi compulsasse i quotidiani anche solo di due-tre anni non troverebbe quasi traccia. E francamente di un’altra parola-contenitore di incerto significato, oltretutto in genere adoperata come etichetta denigratoria e dispregiativa, proprio non si sentiva la mancanza.

Un motivo in più per apprezzare l’ultimo libro di Alessandro Somma, “Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale” (Roma, Derive/Approdi, 2018), dedicato precisamente al compito di risalire ai diversi significati che oggi assume il concetto di “sovranità”, al quale quello di “sovranismo” confusamente allude, e i limiti ai quali è sottoposto nel contesto dell’Unione Europea. Al termine di questa disamina, l’autore descrive nell’ultimo capitolo i compiti e gli obiettivi di un “sovranismo democratico” che voglia porsi all’altezza delle sfide del presente.

Prima di procedere a un esame sommario dei contenuti di questo testo, la cui facilità di lettura - un pregio ben noto ai lettori dei libri di Alessandro Somma - non deve trarre in inganno (i temi trattati infatti sono molti, importanti e molto ben approfonditi), devo premettere che mi occuperò qui della linea argomentativa che mi pare centrale, mentre per motivi di spazio dovrò lasciare ai lettori del libro il piacere di scoprire numerosi altri temi importanti. 

Il testo parte da un assunto forte sulla fase che stiamo vivendo: “L’epoca attuale è indubbiamente caratterizzata dal rigetto del mercato autoregolato e del processo di denazionalizzazione che ha accompagnato la sua affermazione”. Un rigetto che non si verifica oggi per la prima volta: il rifiuto del mercato autoregolato quale fondamento della società si ebbe tra la prima e la seconda guerra mondiale, e diede luogo a esperienze sociali e politiche radicalmente diverse tra loro quali l’Unione Sovietica e i fascismi. Dopo la seconda guerra mondiale, l’esigenza di una regolamentazione del mercato si tradusse in una rottura con la tradizione liberista che si realizzò da un lato nella drastica limitazione dei movimenti di capitale conseguente agli accordi di Bretton Woods, dall’altro nella costruzione - anche all’interno del mondo capitalista - di strutture sociali e politiche di redistribuzione della ricchezza che facessero da contrappeso al naturale squilibrio a favore del capitale dei rapporti capitale/lavoro ove lasciati a meri meccanismi di mercato (il cosiddetto “compromesso keynesiano” tra capitale e lavoro). 

mercoledì 16 luglio 2014

Il mito della riunificazione tedesca - Vladimiro Giacché -

"Motivo per cui questo modello (tedesco) secondo me ha dei problemi è che questa è la classica politica mercantilista, l’idea che io pago relativamente poco i miei salariati – e la Germania paga relativamente poco i suoi salariati, anche se questo può sembrare impossibile in un paese come il nostro dove la gente è pagata ancora di meno. Il calcolo va fatto tenendo conto dell’aumento di produttività. Dal 1999 al 2013 è aumentata la produttività del lavoro del 14%, ma non è stato trasferito nulla ai salari, i salari sono diminuiti in questo periodo di tempo del -1% all’incirca. In Francia la produttività è cresciuta del 12% e i guadagni sono stati maggiormente trasferiti ai salari. Per questo motivo la Francia ha una bilancia commerciale in perdita rispetto alla Germania."

http://www.sinistrainrete.info/estero/3920-vladimiro-giacche-il-mito-della-riunificazione-tedesca.html

http://www.opinione-pubblica.com/2015/06/15/dallannessione-della-ddr-alleuropa-del-rigore-in-nome-del-dogma-mercantilista/

mercoledì 8 ottobre 2014

La rivincita del capitale: 40 anni di RDT, 25 anni dopo - Vladimiro Giacché



"Negli anni Ottanta la produzione industriale per abitante era superiore a quella di tutti gli altri Paesi dell'Est (quasi doppia di quella dell'Ungheria e più che doppia di quella polacca). Prestazioni e servizi sociali, d'altra parte, erano molto più estesi che ad Ovest. Gli asili ospitavano più di 9 bambini in età prescolare su 10. C'era la piena occupazione, anche femminile: lavorava il 92 % delle donne in età da lavoro. La scuola era gratuita e garantita a tutti.

Il 7 ottobre 1989 la RDT era il paese economicamente più avanzato tra i paesi dell'Europa Orientale. Aveva 20 miliardi di marchi di debiti con l'estero, ma era tutt'altro che "in bancarotta” (“pleite”), come invece si continua a sostenere (20 miliardi di marchi sono una cifra ridicola se confrontata con i debiti pubblici odierni degli Stati europei, Germania inclusa).

Dalla fine dell'89 alla primavera 1992 furono distrutti 3,7 milioni di posti di lavoro a tempo indeterminato. E tra il 1992 e il 2009 è andato perduto un altro milione e mezzo di posti di lavoro a tempo pieno, il 27% del totale. Una parte di essi si è trasformata in posti di lavoro a part-time e sottopagati. Un’altra parte è andata a infoltire le schiere dei disoccupati. Oggi nella ex Germania Est vive un sesto della popolazione della Germania, ma la metà dei disoccupati. Nelle famiglie dell’Est c’è una percentuale di disoccupati doppia rispetto all’Ovest. E secondo uno studio della società di consulenza PricewaterhouseCoopers riportato il 27 agosto di quest'anno dalla "Thüringer Allgemeine" il numero degli occupati ad Est diminuirà di un altro 10 per cento entro il 2030.

La verità l'ha detta Joachim Ragnitz, dell'Ifo-Institut di Dresda, il 4 maggio scorso, in una sede insospettabile come il quotidiano "Welt am Sonntag": “L’Est non riuscirà in tempi prevedibili ad agganciare l’Ovest”. In tedesco la formulazione per “mancare l’aggancio” è “den Anschluss nicht schaffen”. Ma “Anschluss” è anche il termine che indica l’“annessione”. Il mancato “Anschluss” economico è il prezzo pagato dai cittadini dell’Est per il rapido “Anschluss” politico della RDT alla RFT."

martedì 17 settembre 2013

Teoria della crisi. 100 tesi - Vladimiro Giacché -

Marx definisce il capitale impiegato per comprare l'uso della forza lavoro capitale variabile e quello adoperato per acquistare macchinari e mezzi di lavoro capitale costante. Ora, il problema è che con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la proporzione del capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in forza-lavoro. Questo perché macchinari sempre più sofisticati e costosi aumentano la forza produttiva del lavoro e procurano al capitalista che li impiega per primo un vantaggio competitive sugli altri (vantaggio che poi viene perduto non appena l’uso delle nuove tecnologie si generalizza). In ogni caso, si verifica “una diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in movimento” (Marx 1863-5: 110). Marx definisce questo processo anche come una progressiva crescita della “composizione organica del capitale”. Si tratta di “un’altra espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del crescente uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro” (ibidem). La diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto – ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo investito nella produzione (la somma di capitale variabile e capitale costante) – diminuisca. Questa, in sintesi, la legge della “caduta tendenziale del saggio di profitto”.                                                                                                     
                                           

La crisi che scoppia nel 2007 ha cause di breve, medio e lungo periodo, così sintetizzabili:
- nel breve è stata alimentata dal parossismo finanziario (e dal sovraindebitamento dei lavoratori, soprattutto dei paesi anglosassoni);
- nel medio periodo è originata da sovrainvestimenti (grande crescita degli investimenti nei paesi di nuova industrializzazione a cui non ha corrisposto una proporzionale diminuzione nei paesi industrialmente avanzati) e sovraconsumo pagati a debito.
- nel lungo periodo nasce dalla caduta del saggio di profitto cui si è reagito con la finanziarizzazione, resa possibile tra l’altro dallo status particolare del dollaro (valuta internazionale di riserva che però dal 1971non è legata ad alcun sottostante)

“Karl Marx aveva ragione. A un certo punto il capitalismo può autodistruggersi”  (Roubini2011a).                                                                                                                     “le imprese stanno tagliando posti di lavoro perché non c’è abbastanza domanda finale. Ma tagliare posti di lavoro riduce i redditi da lavoro, aumenta la disuguaglianza e riduce la domanda finale” (Roubini2011b).                                                                                                                                                                                                                                                     “Il pagamento dei prestiti esteri e il ritorno alla stabilità delle valute erano considerati (anni 30) il simbolo della razionalità politica e nessuna sofferenza dei singoli, nessuna violazione di sovranità erano considerati un sacrificio troppo grande per riacquistare l’integrità monetaria. Le privazioni di coloro che per la deflazione rimanevano disoccupati, la miseria di pubblici impiegati licenziati senza un soldo di liquidazione e anche l’abbandono di diritti nazionali e la perdita di libertà costituzionali, erano considerati un buon prezzo da pagare per soddisfare i requisiti di bilanci solidi e di valute altrettanto solide, questi apriori del liberalismo economico” (Polanyi 1944: 182).
Va riaffermata la liceità, e anzi la necessità, di riprendere i grandi temi della programmazione dello sviluppo e della pianificazione della produzione. Si tratta di un’esigenza che può essere variamente declinata. Il modo più garbato per farlo è proporre, secondo la formulazione di Nouriel Roubini citata più sopra, il ritorno «a un corretto bilanciamento tra mercati e fornitura di beni pubblici». Ipotesi che secondo lo stesso autore ha una sola alternativa: «come negli anni Trenta, sta­gnazione prolungata, depressione, guerre valutarie e commerciali, controlli sui capi­tali, crisi finanziaria, insolvenze dei debiti sovrani e grande instabilità sociale e poli­tica» (Roubini 2011 b). Se si eccettuano i controlli sui capitali, è il film che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.


giovedì 21 febbraio 2019

Fine di un’epoca - Vladimiro Giacché

Da:  Vladimiro Giacché, Rosa-Luxemburg-Konferenz, supplemento a “die junge Welt” del 30.1.2019, sezione “Capitale e lavoro
Traduzione di Francesco Spataro - http://contropiano.org - https://www.jungewelt.de/beilage/art/347610 -
Vladimiro Giacché, nato nel 1963, è economista e presidente del Centro Europa Ricerche a Roma. Dal 1995 al 2006 ha lavorato per Mediocredito Centrale, l’ex banca di sviluppo statale italiana. Dalla fine del 2007 è socio del gruppo finanziario Sator. 

La crisi del 2007 ha dimostrato che la crescita e i profitti nel capitalismo non possono più essere garantiti dalla speculazione finanziaria. È necessario un cambio di sistema.


Per capire la prossima crisi, dovremmo guardare alle origini e all’evoluzione della precedente: dal 2000 al 2005, a causa dei bassi tassi di interesse, negli Stati Uniti emerse una consistente bolla finanziaria. Sul mercato immobiliare locale, i prezzi e il numero di contratti di mutuo raddoppiarono. A partire dal 2006, i prezzi iniziarono a scendere. Iniziò a sussistere un problema di eccesso di offerta, ovvero un problema di sovrapproduzione nel settore delle costruzioni. Nel 2007 si evidenziarono i primi problemi con i prodotti finanziari, che avevano a che fare con alcuni prestiti ipotecari statunitensi rischiosi (i cosiddetti mutui subprime). 

Quello che segue è noto: massiccia insolvenza dei mutuatari, problemi nei mercati finanziari. Saltano alcuni fondi speculativi e banche specializzate. La crisi si diffonde in tutto il mondo, e sarà la peggiore dagli anni ’30. 

Ma perché la crisi è stata così grave? 

martedì 8 settembre 2015

Stagnazione secolare o caduta tendenziale del saggio del profitto? - Vladimiro Giacché

        «Sei anni sono passati dallo scoppio della Crisi Globale e la ripresa non è ancora soddisfacente. I livelli di prodotto interno lordo sono stati superati, ma poche economie avanzate sono tornate ai tassi di crescita pre-crisi nonostante anni di tassi d’interesse praticamente a zero. Inoltre, cosa preoccupante, la crescita recente ha un vago sentore di nuove bolle finanziarie. La lunga durata della Grande Recessione, e le misure straordinarie necessarie per combatterla, hanno originato una diffusa sensazione, non meglio definita, che qualcosa sia cambiato. A questa sensazione ha dato un nome a fine 2013 Laurence Summers, reintroducendo il concetto di ‘stagnazione secolare’». (Secular stagnation: Facts, Causes and Cures, a cura di C. TEULINGS E R. BALDWIN)

        Secondo Marx la società capitalistica è caratterizzata da una tendenza di lungo periodo alla diminuzione della profittabilità del capitale, ossia alla caduta del saggio di profitto. Tale tendenza è basata sulla teoria del valore-lavoro. Per Marx il valore di una merce è dato dal lavoro in essa incorporato. Soltanto il lavoro umano può creare valore e al tempo stesso conservare e sfruttare il valore già incluso nei macchinari (che altrimenti, se nessun lavoratore li facesse funzionare, non soltanto non creerebbero nuovo valore, ma perderebbero anche il valore che possiedono). È il lavoro umano in atto (il lavoro vivo) a procurare al capitalista i suoi profitti, fornendogli lavoro non pagato (pluslavoro), cioè lavoro supplementare rispetto a quello necessario per riprodurre la forza lavoro (lavoro necessario): questo pluslavoro produce infatti un valore supplementare, un plusvalore, rispetto al valore della forza-lavoro affittata dal capitalista all’inizio del processo di produzione.

        Proprio a motivo di questa peculiarità del lavoro umano di creare nuovo valore, Marx definisce il capitale impiegato per comprare l’uso della forza lavoro capitale variabile e quello adoperato per acquistare macchinari e mezzi di lavoro capitale costante. Ora, il problema è che con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la proporzione del capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in forza-lavoro: si verifica, in altri termini, «una diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in movimento». Marx definisce questo processo anche come una progressiva crescita della «composizione organica del capitale». Si tratta di «un’altra espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del crescente uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro». La diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto - ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo investito nella produzione (la somma di capitale variabile e capitale costante) - diminuisca . 

        Questa la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. È quindi la crescente produttività del lavoro sociale a far calare il saggio di profitto. E questo calo per Marx ostacola a sua volta lo sviluppo del processo capitalistico di produzione e favorisce il prodursi delle crisi:

        «nella misura in cui il saggio di profitto, il saggio di valorizzazione del capitale complessivo è il pungolo della produzione capitalistica, così come la valorizzazione del capitale è il suo unico scopo, la sua caduta rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti e appare come una minaccia per lo sviluppo del processo di produzione capitalistico. (Questa stessa caduta favorisce sovrapproduzione, speculazione, crisi, capitale in eccesso accanto alla forza-lavoro in eccesso o sovrappopolazione relativa)».  (K. MARX, Il capitalismo e la crisi. Scritti scelti) 

        Per Marx la crisi è da un lato parte integrante del funzionamento normale del modo di produzione capitalistico, è più precisamente il modo attraverso cui, periodicamente, il capitalismo risolve i suoi problemi. Per ciò stesso, la crisi secondo Marx è però d’altra parte anche qualcosa di diverso, e cioè un sintomo:

        «nelle contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta di capitale, non in seguito a circostanze esterne a esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più evidente in cui gli si rende noto che ha fatto il proprio tempo e che deve far posto a un livello superiore di produzione sociale» . (K. Marx, Gundrisse)


mercoledì 24 agosto 2016

Il ruolo della Germania nella crisi europea*- Vladimiro Giacché


La crisi non è un incidente, non è esogena, al contrario: essa mostra una continuità o meglio una consequenzialità rispetto ad alcuni trend di fondo.

L’innesco della crisi è rappresentato dal collasso del modello di consumo degli Stati Uniti, basato sull’indebitamento privato, che consentiva di mantenere consumi elevati nonostante stipendi in calo ormai da decenni (per i dati relativi vedi V. Giacché, Titanic Europa, 2012, pp. 29-30).

Viene alla luce un “sistema bancario ombra”, che consentiva di occultare una leva finanziaria elevatissima (rapporto attività/mezzi propri pari o superiore a 30). In tal modo le perdite maturate in alcuni settori (mutui subprime e obbligazioni basate su di essi) si estendono a macchia d’olio agli altri, nel momento in cui le banche e le società finanziarie coinvolte sono costrette a vendere in perdita gli assets finanziati a leva.

Il sistema finanziario è sconvolto dalla crisi e ne amplifica gli effetti. Quando nel settembre 2008 la banca d’investimento Lehman Brothers fallisce, la circolazione del capitale sembra per qualche tempo interrompersi su                                                                                                            scala mondiale, si verificano corse agli sportelli e fenomeni di tesaurizzazione.

Crollano produzione e commercio internazionale.

Tra la fine del 2008 e la prima metà del 2009 la bancarotta delle principali istituzioni finanziarie a livello mondiale, ma anche di molte grandi imprese manifatturiere (si pensi al settore automobilistico statunitense), fu sventata soltanto grazie a interventi pubblici di salvataggio senza precedenti. Nel giugno 2009 la Bank of England rivelò che i sussidi e le garanzie offerti dalle banche centrali e dai governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dei paesi dell’Eurozona a sostegno del sistema bancario ammontavano alla cifra di 14.000 miliardi di dollari.

Si trattava precisava lo stesso rapporto di una cifra equivalente a circa il 50% del prodotto interno lordo di quei paesi (Bank of England2009). Si ebbe in tal modo una gigantesca trasformazione di debito privato in debito pubblico o, per essere più chiari, una gigantesca socializzazione delle perdite.

La crisi iniziata nel 2007 ha distrutto capitale reale e fittizio in enorme quantità (a conferma del carattere non ciclico della crisi). Ma non è riuscita a rilanciare l'accumulazione di capitale su scala globale. Stati Uniti, Giappone e Unione Europea (e più in particolare l'eurozona) si trovano molto al di sotto della crescita potenziale stimata prima della crisi.

1. La narrazione standard della crisi fase 1: 2007-2009. Finanza colpevole: una spiegazione convincente?
2. La narrazione standard della crisi fase 2: 2010-2014. Debito pubblico eccessivo: una spiegazione convincente?
3. Alla ricerca di una spiegazione alternativa: la crisi come effetto di una evoluzione strutturale 
4. Le leve della crescita nei paesi a capitalismo maturo dagli anni 1980: finanza e debito 
5. Il ruolo dell’euro nella crisi europea
6. Il ruolo della Germania


mercoledì 16 dicembre 2020

INTERVISTA A VLADIMIRO GIACCHÉ - Bollettino Culturale

 Da: https://bollettinoculturale.blogspot.com - Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche (CER), è un filosofo ed economista italiano.

Leggi anche: Democrazia, potere e sovranità nell’Europa di oggi* - Yanis Varoufakis

Che fare nella crisi? Ne parliamo con Alan Freeman

Xi Jinping: sui nuovi orizzonti della politica economica marxista contemporanea. -

La Modern Monetary Theory - Intervista a Marco Veronese Passarella

Vedi anche: INTERVISTA A RICCARDO BELLOFIORE - Bollettino Culturale

Catastrofe o Rivoluzione - Incontro con Emiliano Brancaccio autore di "Non sarà un pranzo di gala"

PERCHÉ NON TI FANNO RIPAGARE IL DEBITO - Marco Bersani 


Vladimiro Giacché è nato a La Spezia nel 1963. Presidente del Centro Europa Ricerche dall’aprile 2013.

Nel settore finanziario dal 1995, sino al 2006 ha lavorato presso il Mediocredito Centrale, dove ha ricoperto nel tempo i ruoli di responsabile dell’ufficio sviluppo risorse umane, assistente del Presidente, responsabile del servizio studi e relazioni esterne e del servizio revisione interna. Dal 2006 al 2007 è stato responsabile dello staff tecnico di Matteo Arpe, Amministratore Delegato di Capitalia. In Sator dal 2008, è stato responsabile affari generali di Sator S.p.A. e della funzione di internal audit di Sator Immobiliare SGR S.p.A. É attualmente responsabile della funzione di internal audit di Arepo BP S.p.A. e membro del Consiglio di Amministrazione di Banca Profilo S.p.A.

Studi universitari svolti a Pisa e Bochum (Germania), laurea e dottorato di ricerca in filosofia con il massimo dei voti alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

Principali pubblicazioni: Finalità e soggettività. Forme del finalismo nella Scienza della logica di Hegel (1990), Storia del Mediocredito Centrale (con P. Peluffo, 1997), La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (2008, 3a ed. 2016), Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato (2012; ed. tedesca 2013), Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (2013; ed. tedesca 2014, ed. francese. 2015) e Costituzione italiana contro trattati europei. Il conflitto inevitabile (2015). Nel corso degli anni ha curato saggi economici e politici di Marx e Lenin, pubblicando spesso articoli scientifici su riviste italiane e straniere. Il suo ultimo libro è "Hegel: la dialettica".


1) Lei ha più volte ribadito una incompatibilità di fondo tra i Trattati Europei e la nostra Costituzione.
A suo avviso, una forza comunista dovrebbe mettere l'uscita dall'UE al primo punto del proprio programma o dovrebbe, come suggerisce ad esempio Varoufakis, lottare per una sua possibile riforma?

In realtà di recente, preso dallo sconforto per l’assenza di reazioni sensate da parte dell’UE alla crisi del Coronavirus, Varoufakis si è spinto sino ad affermare che gli Inglesi avevano fatto la cosa giusta votando Brexit, contraddicendo così sue posizioni passate in merito. Ma questo atteggiamento – apparentemente un po’ schizoide – non ha a che fare soltanto con la natura un po’ volubile del personaggio. Essa è in realtà abbastanza naturale: quanto più mi illudo che la UE sia riformabile, tanto più il mio atteggiamento ogni volta che l’UE dimostra la sua vera natura sarà di disappunto e di sdegno, da “amante tradita” per capirsi. 
Chi per contro da anni ha inteso quale sia questa natura non vede motivi per amare la UE, ma non ha neppure motivi per gridare al tradimento. L’Unione Europea è un insieme di Stati in lotta per affermare gli interessi delle rispettive grandi borghesie nazionali. Qualcuno ci è riuscito molto bene (la Germania in primis, ma anche la Francia), qualcuno altro molto meno (è il caso dell’Italia). Resta il fatto che oggi l’Unione Europea è un beggar thy neighbor club, un’accolita in cui ciascuno cerca di fregare il vicino, e dal punto di vista dei suoi Trattati qualcosa di peggio: una macchina per la deflazione salariale, per lo spostamento della competitività su questo terreno. Non si tratta di avere simpatia o antipatia nei confronti di questa Unione, ma di capire come funziona: e funziona esattamente così, attraverso la competizione al ribasso di diritti e garanzie del lavoro. La fuoriuscita da questo contesto è la condizione necessaria, anche se ovviamente non sufficiente, per poter ricominciare a parlare seriamente – e non in una stanca e rituale ripetizione di vecchi slogan ai quali nessuno crede più – di diritti del lavoro, di miglioramenti delle condizioni delle classi lavoratrici. 

venerdì 17 marzo 2023

La riforma del MES



Iniziativa politica sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità MES e le sue ricadute sociali. 
Interventi di Emiliano Brancaccio, Gianmario Cesarini e Marco Veronese Passarella
Introduzione di Pasquale Vecchiarelli. 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

venerdì 4 giugno 2021

Hegel, la storia universale della libertà - Salvatore Natoli

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Salvatore Natoli Ha insegnato logica alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano. Attualmente è professore ordinario di Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca

                                                                           


Vedi anche: 
Dall’essere all’idea. Le articolazioni decisive della "Logica" di Hegel - Paolo Vinci 

LA LEGGE LA LIBERTA' LA GRAZIA - Remo Bodei, Antonio Delogu

Hegel: lo Stato perfetto (e la spina di Marx) FILOSOFIA E VITA PUBBLICA - Fulvio Papi 

"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)

Leggi anche: SULLA VORREDE HEGELIANA - Stefano Garroni 

Alexandre Kojéve, Introduzione alla lettura di Hegel (Fenomenologia dello Spirito) - Silvio Vitellaro 

Da Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla Maria Fabiani

Il lato inquieto dello spirito. Osservazioni su alcuni momenti della filosofia dello spirito jenese di Hegel [1] - Carla Maria Fabiani

CRITICA” TRA HEGEL E MARX - Roberto Fineschi

NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché**

HEGEL - IL SISTEMA - Antonio Gargano

Danaro, lavoro, macchine in Hegel - Remo Bodei

sabato 9 maggio 2020

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972 [Die moralische Sendung der kommunistischen Partei, 1920]. -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese.
Leggi anche:  EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur 
                       Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky                         
                       
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                      Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/09/inefficienze-e-difetti-delleconomia.html


1. Come ogni scritto di Lenin, anche questo nuovo opuscolo1 merita lo studio più attento da parte di tutti i comunisti. Esso dimostra, ancora una volta, la straordinaria capacità di Lenin di comprendere gli elementi decisamente nuovi che esistono in un nuovo fenomeno nell’evoluzione del proletariato, di capire e di far capire in maniera essenziale l’essenza di quegli elementi. Mentre i suoi precedenti scritti erano dedicati più alla polemica, e cercavano di analizzare a fondo le organizzazioni di lotta del proletariato (in primo luogo lo Stato), quest’ultimo è invece dedicato ai germi della nuova società che stanno sbocciando. Come la forma di produzione capitalistica, con cui la disciplina del lavoro imposta dalla costrizione economica (la fame), era superiore alla nuda forma della servitù della gleba, così la libera collaborazione di uomini liberi nella nuova società supererà di gran lunga, anche in produttività, il sistema capitalistico. Appunto a questo riguardo i disfattisti socialdemocratici della rivoluzione mondiale sono estremamente scettici. Essi si richiamano all’allentamento della disciplina del lavoro, al calo della produttività, in una parola a fatti che sono i necessari fenomeni collaterali del dissolversi dell’ordinamento economico capitalistico: e con una impazienza e intolleranza paragonabili quanto a vigore solo alla loro pazienza e tolleranza nei confronti del capitalismo, essi ci dicono che questi fenomeni nella Russia sovietica non si sono modificati immediatamente. La scarsità di materie prime, le lotte intestine, le difficoltà organizzative valgono ai loro occhi come giustificazione solo per gli Stati capitalistici, mentre un ordinamento proletario della società dovrebbe secondo loro significare, nello stesso istante del suo nascere, un capovolgimento di tutti i rapporti tanto all’interno quanto all’esterno, il miglioramento della situazione in tutti i campi. I rivoluzionari autentici, e primo fra tutti Lenin, si distinguono da questo utopismo piccolo-borghese per l’assenza di illusioni. Essi sanno che cosa ci si può aspettare da un’economia distrutta dalla guerra, e soprattutto che cosa ci si può aspettare da uomini educati all’egoismo, spiritualmente depravati e corrotti dal capitalismo. Per il vero rivoluzionario una mancanza di illusioni non può mai significare avvilimento e disperazione, bensì fede, rinvigorita dalla conoscenza, nella missione storico-mondiale del proletariato; si tratta di una fede che non può mai essere scossa dalla lentezza e dalle circostanze spesso più che avverse della sua realizzazione, di una fede che mette in conto tutto ciò e che, nonostante tutti questi sconvolgimenti e ostacoli, non perde mai di vista il proprio obiettivo ed il processo di avvicinamento ad esso.

sabato 28 novembre 2020

“CRITICA” TRA HEGEL E MARX - Roberto Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Articolo originariamente apparso su "Revista dialectus", n. 18, 2020, pp. 189-201. - Roberto Fineschi ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo le monografie Ripartire da Marx (Napoli 2001), Marx e Hegel (Roma 2006) e Un nuovo Marx (2008). Vincitore del premio Rjazanov 2002, è curatore di una nuova versione del 1 libro del Capitale dopo la nuova edizione storico-critica MEGA2 (Napoli 2011), nonché membro del comitato scientifico dell'edizione italiana delle opere complete di Marx ed Engels e dell’International Symposium on Marxian Theory. I suoi saggi sono tradotti in varie lingue. r.fineschi@sienaschool.com

Leggi anche: Pensare con Hegel - Vladimiro Giacché

Critica alla religione e realizzazione della filosofia, nella tradizione dialettica - Stefano Garroni

FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani

Studio su Hegel: LA RELIGIONE - Stefano Garroni

Debolezze e potenzialità negli argomenti anti-hegeliani del giovane Marx*- Carlo Scognamiglio

ESSENZA E FORMA NELL'INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA HEGELIANA - Stefano Garroni

Il Capitale come Feticcio Automatico e come Soggetto, e la sua costituzione. - Sulla (dis)continuità Marx-Hegel. - Riccardo Bellofiore -

Hegel e Feuerbach. - Stefano Garoni-

A partire dal sottotitolo del 'Capitale': Critica e metodo della critica dell’economia politica - Tommaso Redolfi Riva

Vedi anche: La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci

" Hegel "- Vittorio Hosle

La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli

Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei

"La civetta e la talpa, il concetto di filosofia in Hegel" - Remo Bodei 


Marx fa largo uso del termine “critica”, che è presente nel titolo di varie sue opere. In questo articolo cercherò di ricostruire lo sviluppo e i cambiamenti di significato di questo termine nelle diverse fasi dell’indagine di Marx. Mi concentrerò sulle fonti dirette, come il dibattito “critico” tedesco durante il Vormärz, e su autori come Strauß, Bruno Bauer, Feuerbach. Certamente Hegel è un punto di riferimento privilegiato dell’approccio filosofico di Marx. Mostrerò come Marx si sia spostato lentamente da un significato specifico del termine “critica” che era predominante durante il Vormärz per approssimarsi alla posizione hegeliana.



"CRITIQUE" FROM HEGEL TO MARX

È noto che Marx fa largo uso del termine “critica”. Esso è presente nel titolo di varie sue opere e non è quindi un caso che l’attenzione si sia concentrata su di esso. In questo articolo si cercherà di contribuire alla ricostruzione della sua storia interna e della sua origine nella tradizione filosofica anteriore. Essendo Hegel uno dei filosofi di riferimento privilegiati di Marx, si indagherà anche in questo autore il significato del termine per vedere a quale uso specifico di critica Marx si avvicini di più. Si vedrà del resto come il ruolo e la funzione della critica cambino nel corso della sua maturazione teorica. 

1. Critica è un termine dall’uso diffusissimo nel dibattito intellettuale dall’illuminismo in poi. Qui fa da generale ed emblematico punto di riferimento la ricca, articolata e programmatica voce “Critique” nella Encyclopédie di Diderot e D'Alembert scritta da Marmontel (1754, vol. IV, pp. 490a–497b). Riviste critiche, biografie critiche, approcci critici, per non parlare ovviamente del criticismo kantiano, inondano la produzione letteraria e pubblicistica al punto che non è affatto semplice individuare un significato univoco del termine. Il tema è così complesso che non può certo essere oggetto di questo saggio; ci si limiterà in questa sede a indicarne alcune interpretazioni specifiche che reputo rilevanti per Marx ed il suo rapporto con Hegel. 

mercoledì 15 maggio 2019

LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci

Da: byoblu - 
Michele Geraci, economista, ex docente di Economia e Finanza all'Università di New York a Shanghai. E' sottosegretario allo Sviluppo Economico del Governo Conte. 
Leggi anche: La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché

"L'importante e' che si parli di Cina, che si cerchi di comprendere cosa sta succedendo, senza preconcetti.  
Approfitto per aggiungere e chiarire un concetto importante: La Cina ha avuto uno sviluppo economico cosi' impressionante grazie a 5 pilastri: 
1) controllo dei dazi, 
2) controllo della migrazione 
3) controllo demografico, 
4) controllo del cambio  
5) controllo dei tassi d'interesse. 
E ovviamente, batte moneta, il che e' una grande arma se usata bene." 

                                                                     

domenica 9 febbraio 2020

MESà che è una fregatura...

Da: la Città Futura - https://www.lacittafutura.it -
Vedi anche:  MES, l'intervento di Vladimiro Giacché in audizione alla Commissione Bilancio. 
Leggi anche: Crisi, Mes e conflittualità interimperialistica. - Francesco Schettino
                     Il problema tedesco - Heiner Flassbeck
                                                        Se ne è parlato con:

Francesco Schettino (Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli) è un economista italiano. (http://www.contraddizione.it/Contraddizioneonline.htm)

Bruno Steri è membro della Segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano (https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/).

Franco Russo, ex parlamentare, piattaforma sociale Eurostop (http://www.eurostop.info/).